Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-06-01, n. 201803318

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-06-01, n. 201803318
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803318
Data del deposito : 1 giugno 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/06/2018

N. 03318/2018REG.PROV.COLL.

N. 06250/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6250 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A L, I L, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Ombrone, n. 12/B;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, Comando Interregionale dell'Italia Meridionale della Guardia di Finanza, in persona del Ministero in carica, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE I n. 01608/2014, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare - sospensione dall'impiego per la durata di 12 mesi


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Comando Generale della Guardia di Finanza e di Comando Interregionale dell'Italia Meridionale della Guardia di Finanza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Cons. L M T e uditi per le parti gli avvocati I L e l'Avvocato dello Stato Pietro Garofoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Puglia, integrato da motivi aggiunti, l’odierno appellante invocava l’annullamento: a) della Determina del Comandante Interregionale dell'Italia Meridionale della Guardia di Finanza del 20.8.2012, notificata il 6.9.2012, nella parte in cui al ricorrente era stata inflitta la sanzione disciplinare di stato della sospensione dall'impiego per la durata di dodici mesi (con le relative ripercussioni sulla ricostruzione di carriera e di anzianità);
b) della Determina del Comando Generale della Guardia di Finanza - a firma del Capo del 1° Reparto n. 385775/12 del 31.12.2012, notificata il 7.1.2013, che aveva disposto per il ricorrente l'esonero d'autorità dalla specializzazione A.T.P.I. (Anti Terrorismo e Pronto Impiego), per illegittimità propria e derivata;
c) della Determinazione del Capo Ufficio Pe.i.s.a.f. del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 324765 del 31.10.2012, di cui era stata data notizia al ricorrente con nota del Comando Provinciale di Bari, prot. n. 0200968/13 in data 29.4.2013;
d) dei provvedimenti con cui la Commissione Permanente di Avanzamento, nella riunione del 22.3.2013, aveva escluso il ricorrente dalle aliquote di valutazione determinate al 31.12.2000, al 31.12.2001, al 31.12.2002, al 31.12.2003, al 31.12.2004, mentre lo aveva ritenuto idoneo all’avanzamento al grado superiore di Maresciallo Capo soltanto con riferimento alle aliquote di ruolo determinate al 31.12.2005, provvedimenti conosciuti dal ricorrente in data 6.5.2013.

2. Il primo giudice respingeva il ricorso, ritenendo che fossero stati rispettati i termini del procedimento disciplinare e che le contestazioni di merito risultassero infondate, poiché il provvedimento disciplinare adottato sarebbe stato congruamente ed adeguatamente motivato, immune da vizi logici, di ragionevolezza e travisamento dei fatti. Del pari non vi sarebbe spazio per ravvisare alcuna illegittimità derivata ricadente sugli ulteriori provvedimenti di carriera impugnati con separati ricorsi per motivi aggiunti. Inoltre, l’esonero d'autorità del ricorrente dalla specializzazione A.T.P.I. (Anti Terrorismo e Pronto Impiego) non potrebbe considerarsi una sanzione aggiuntiva, ma una scelta organizzativa. Analoghe argomentazioni venivano svolte in relazione alle ulteriori censure sollevate dal ricorrente in relazione alla ricostruzione di carriera, alla detrazione di anzianità di servizio e all’esclusione dalle aliquote di avanzamento al grado superiore dal 2000 al 2004.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originario ricorrente, lamentando l’erroneità della pronuncia di prime cure in quanto: a) il TAR avrebbe dovuto rilevare la violazione del termine di 270 giorni stabilito dall’art. 1392, d.lgs. 66/2010, per la conclusione del procedimento disciplinare. In particolare, la notificazione del provvedimento sanzionatorio all’interessato non rappresenterebbe una condizione di efficacia, ma l’atto conclusivo del procedimento disciplinare, trattandosi di un provvedimento recettizio. In definitiva, la conclusione del procedimento disciplinare non potrebbe che coincidere con la comunicazione del provvedimento all’interessato;
b) il primo giudice non avrebbe motivato adeguatamente in ordine alla circostanza secondo la quale il provvedimento disciplinare adottato sarebbe stato congruamente ed adeguatamente motivato, immune da vizi logici, di ragionevolezza e travisamento dei fatti. Inoltre, la motivazione del provvedimento impugnato non vedrebbe esposte le tesi difensive dell’interessato, né conterrebbe un’autonoma ricostruzione e valutazione dei fatti. Né dall’istruttoria svolta sarebbe evincibile che nel periodo dal marzo all’aprile 1997 l’appellante fosse a conoscenza dell’esistenza di un’organizzazione criminale dedita allo sfruttamento della prostituzione. Mentre si sarebbero dovuti valutare gli elementi di prova dallo stesso indicati a propria discolpa. Tanto che l’esito del procedimento disciplinare contrasterebbe con gli elementi difensivi emersi nel corso del procedimento;
c) il TAR avrebbe errato nel non rispettare il principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione al primo ricorso per motivi aggiunti. Infatti, il thema decidendi introdotto con le dette censure non avrebbe riguardato la richiesta al g.a. di sostituire alle valutazioni operate dall’amministrazione le proprie. Il primo giudice avrebbe dovuto rilevare che l’esonero dalla specializzazione sarebbe affetto da eccesso di potere e violazione del ne bis in idem, dal momento che il detto provvedimento sarebbe stato adottato per finalità unicamente punitive ed in ragione della stessa condotta disciplinarmente rilevante. Il TAR non avrebbe preso adeguatamente in esame la censura della violazione di legge in relazione all’art. 16, lett. d), della circolare 123000/2005 e della circolare n. 1/2006, che escluderebbero la possibilità di esonero in ragione di una mera condotta disciplinarmente rilevante, richiedendo altresì un giudizio proiettato sull’attualità. In ogni caso difetterebbe un’adeguata motivazione. Inoltre, non vi sarebbe alcun riferimento alle difese dell’appellante, che ponevano in evidenza tra l’altro le valutazioni attestate sull’”Eccellente” dell’interessato. Il primo giudice avrebbe altresì omesso di pronunciarsi sulla denunciata violazione delle garanzie partecipative;
d) il primo giudice avrebbe dovuto ritenere fondati anche il terzo ed il quarto ricorso per motivi aggiunti. In particolare, non avrebbe rilevato l’errore commesso dalla commissione di avanzamento nella datazione della presunta flessione di rendimento riferita al periodo 1-1-1998/1-12-1998 invece che 1-11-1998/1-12-1998. Sarebbe stata obliterata una scheda di valutazione per il periodo dall’1-11-1997 al 31-10-1998. Il primo giudice, inoltre, non avrebbe preso in esame la censura avente ad oggetto la violazione dell’art. 33, della l. n. 212/1983, che imporrebbe alla commissione di esprime un giudizio in base unicamente agli elementi risultanti dalla documentazione personale, ossia dal foglio matricolare senza poter fare riferimento agli elementi desumibili dalla vicenda penale. Del pari, non sarebbe stata valutata la censura avente ad oggetto la violazione dell’art. 57, d.lgs. n. 199/1995 per essere stato valutato l’appellante per un periodo di tempo inferiore a sette anni, stante la parziale sovrapposizione del periodo di valutazione con la sospensione cautelare dal servizio. Il giudizio di inidoneità all’inclusione nelle aliquote di avanzamento determinate al 31 dicembre 2001 sarebbe stato reso dalla Commissione di avanzamento in data 22 marzo 2013, pertanto, avrebbe dovuto tenere conto della complessiva personalità dell’interessato dal 7-9-1994 al 22-3-2013 e non solo dal 7-9-1994 al 31-12-2001. Inoltre, la Commissione non avrebbe rilevato che l’appellante dal 28-10-1999 al 31-12-2001 non avrebbe prestato servizio, essendo incorso in sospensione cautelare dall’impiego. Pertanto, la Commissione avrebbe valutato sette anni di cui due puramente virtuali, mentre avrebbe dovuto attingere ai due anni successivi (2005, 2006). Illogico sarebbe inoltre l’operato della Commissione che nella stessa seduta avrebbe ritenuto idoneo l’appellante all’avanzamento per le aliquote determinate al 31-12-2005.

4. Costituitosi in giudizio, il Ministero dell’Economia e Finanze invoca il rigetto dell’odierno gravame.

5. Nelle successive difese l’appellante dal canto suo insiste nelle proprie conclusioni.

6. L’appello è infondato e non può essere accolto.

6.1. Quanto alla prima censura, occorre premettere che il citato art. 1392 del D. Lgs. n. 66/2010, prevede:

“1. Il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione.

2. Il procedimento disciplinare di stato a seguito di infrazione disciplinare deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, espletati dall'autorità competente, nei termini previsti dagli articoli 1040, comma 1, lettera d), numero 19 e 1041, comma 1, lettera s), numero 6 del regolamento.

3. Il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione.

4. In ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall'ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta.”

Il complesso normativo è completato dall'art. 653, comma 1 del c.p.p., nel testo applicabile ratione temporis, che prevede che "la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso."

Le disposizioni evocate dimostrano che un procedimento disciplinare non può essere promosso nel solo caso in cui i fatti oggetto di contestazione siano stati vagliati in sede penale e vi sia stato un proscioglimento con formula ampia, cioè quando i fatti esaminati nella sentenza penale risultino definiti come storicamente inesistenti. Al contrario, il proscioglimento o l'archiviazione in sede penale non impediscono l'avvio del procedimento disciplinare e non pongono vincoli sull'esito dello stesso qualora persistano elementi fattuali con profili rilevanti sotto il profilo disciplinare.

Pertanto, le sentenze assolutorie con formule diverse da quelle citate dalle norme in esame non hanno efficacia vincolante nel procedimento disciplinare, in quanto in tali ipotesi se anche il fatto commesso dal dipendente non integra gli estremi di un illecito penale, ben può avere una autonoma valenza quale illecito disciplinare, stante la diversità di criteri ed i parametri di valutazione dell’una fattispecie rispetto all’altra, in quanto il giudizio disciplinare concerne la trasgressione di norme deontologiche giuridicamente rilevanti e non la violazione di fattispecie penali.

In ordine alla necessità che la notificazione del provvedimento disciplinare sia compiuta entro il termine procedimentale finale deve rilevarsi che secondo la giurisprudenza costante di questo Consiglio il termine di 270 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare si ritiene sia rispettato in caso di tempestiva adozione del provvedimento disciplinare senza che ciò obblighi l’amministrazione a portare a conoscenza dello stesso entro il termine citato (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 15 settembre 2015, n. 4298).

La neutralità della notifica ai fini del perfezionamento dell’atto non è inficiata nemmeno, come ipotizza l’appellante dalla presunta violazione dell’art. 21 bis della l. n. 241/1990. Tale norma, che apre il CAPO IV bis, introdotto interamente nella legge sul procedimento amministrativo dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, ha l’innegabile merito di aver disciplinato in modo espresso il regime dell’efficacia dei provvedimenti amministrativi, chiarendo una volta per tutte quali devono essere comunicati ai destinatari affinché possano divenire operativi e produrre i loro effetti tipici. Superando lo schema concettuale compendiato dalla categoria degli atti recettizi, per i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati la comunicazione condiziona dunque l’efficacia dell’atto, ma non, ovviamente, il suo perfezionamento o la sua validità, purché esso sia completo in ogni sua parte. Cosa che può agevolmente affermarsi per il decreto ministeriale (cfr. Cons. St., Sez. II, 6 novembre 2017, n. 2304).

6.2. Quanto alla doglianza con la quale si contesta che il provvedimento disciplinare adottato sarebbe stato congruamente ed adeguatamente motivato, immune da vizi logici, di ragionevolezza e travisamento dei fatti, dall’esame dell’ampia documentazione versata nel fascicolo di primo grado emerge che l’amministrazione ha svolto un’istruttoria accurata anche su espressa richiesta dell’odierno appellante. Peraltro, nel provvedimento impugnato si evidenzia come “…la richiesta di escussione del Vasile Ifrosa è stata avanzata dall'inquisito con la consapevolezza che il soddisfacimento della stessa sarebbe stata di difficile attuazione a causa dello stato di latitanza dell'Ifrosa e, quindi, con il solo scopo di aggravare l'operato dell'Amministrazione”. Il provvedimento impugnato, inoltre, motiva adeguatamente in ordine agli elementi di prova che hanno consentito di riconoscere la responsabilità disciplinare dell’appellante, le cui tesi non solo sono riportate sia pure sinteticamente nel provvedimento disciplinare, ma risultano esposte chiaramente nelle memorie depositate nel corso del procedimento, che l’amministrazione mostra di aver esaminato. Del pari, l’argomentare dell’amministrazione risulta immune dalle censure di travisamento dei fatti ed illogicità, ricostruendo in modo plausibile le condotte illecite allo stesso imputate, non ravvisandosi inoltre alcuna contraddittorietà tra gli atti istruttori e il provvedimento finale.

6.3. Infondata risulta anche l’ulteriore doglianza con la quale l’appellante si duole del fatto che l’esonero dalla specializzazione sarebbe affetto da eccesso di potere e violazione del ne bis in idem, dal momento che il detto provvedimento sarebbe stato adottato per finalità unicamente punitive ed in ragione della stessa condotta disciplinarmente rilevante e, inoltre, sarebbe stato assunto in violazione delle circolari dell’art. 16 lette d) della circolare 123000/2005 e della circolare n. 1/2006, nonché in spregio alle garanzie partecipative.

È evidente, infatti, che l’addestramento del personale specializzato AT-PI deve riguardare militare particolarmente qualificati sotto i profili morali, fisici e professionali in ragione dell’impiego particolarmente delicato al quale gli stessi possono essere destinati. Tanto che proprio la circolare 123000/2005, invocata dall’appellante, evidenzia che l’esonero può essere disposto a domanda o per autorità. Ossia, per il venir meno anche sulla base di evidenze disciplinari di quei requisiti necessari per accedere alla detta formazione. La valutazione in questione resta sindacabile solo in presenza di figure sintomatiche di eccesso di potere, che nella fattispecie, non ricorrono, come non ricorre il paventato ne bis in idem, dal momento che non si tratta di un’ulteriore sanzione, ma una conseguenza delle valutazioni dell’amministrazione sull’opportunità di poter impiegare l’appellante nei compiti delicati ai quali sono preposti coloro che fruiscono dell’addestramento in questione.

L’interessato, inoltre, ha potuto adeguatamente partecipare al procedimento, come dimostrano le memorie difensive dallo stesso prodotte, ulteriormente arricchite a seguito dell’accesso avvenuto in data 13 novembre 2012, sicché non si ravvisa alcun vulnus al diritto di partecipare al procedimento e di interloquire con l’amministrazione.

6.3.1. Quanto ai rilievi secondo i quali l’esonero difetterebbe un’adeguata motivazione e che non vi sarebbe alcun riferimento alle difese dell’appellante, che ponevano in evidenza tra l’altro le valutazioni attestate sull’”Eccellente ” dell’interessato, gli stessi non meritano di essere condivisi, essendo sufficiente una piana lettura del provvedimento impugnato, che anche utilizzando la tecnica del rinvio per relationem fa riferimento ai numerosi atti istruttori, tra i quali le memorie dell’appellante, che hanno caratterizzato il procedimento in questione. Non può, peraltro, non rilevarsi come l’esonero evidenzi in modo chiaro che esso si fonda sul profilo dell’interessato giudicato manifestamente incompatibile con la proiezione operativa e le peculiari attribuzioni demandate al personale inquadrato nel comparto AT-PI. Pertanto, anche questa censura risulta infondata.

6.4. In ordine, infine, alle censure che richiamano il terzo ed il quarto ricorso per motivi aggiunti di prime cure, deve rilevarsi innanzitutto che le censure aventi ad oggetto illegittimità derivata vanno respinte, considerato che, come dimostrato nei capi precedenti, le illegittimità denunziate in ordine agli atti presupposti risultano del tutto prive di fondamento.

In relazione, invece, alle censure autonome relative all’avanzamento occorre premettere che l’avanzamento è stato (e non poteva essere diversamente) trattato a seguito di ricostruzione di carriera, metodologia correttamente applicata e che escludeva che potesse essere operato un giudizio avente ad oggetto l’intero periodo dal 7 settembre 1994 al 22 marzo 2013. Del pari non coglie nel segno la doglianza secondo la quale la sospensione dal servizio subita dal 28 ottobre 1999 al 31 dicembre 2001 avrebbe dovuto imporre sui sette anni oggetto di giudizio il recupero di due anni effettivi in luogo dei due anni virtuali durante i quali l’appellante non ha prestato alcun servizio. La tesi in questione non merita adesione dal momento che la valutazione riguarda il periodo minimo di sette anni nel grado di Maresciallo ordinario non rilevando la circostanza che il ricorrente sia stato sospeso in via cautelare dal servizio, dal momento che la detta misura non ha in alcun modo eliso l’anzianità maturata nel detto periodo.

Pertanto, l’appellante per l’anno 2001 è stato legittimamente valutato dall’amministrazione ai fini dell’avanzamento a scelta in omaggio alla disciplina ratione temporis vigente (l. 212/1983), mentre solo con il d.lgs. 67/2001 è stato introdotto il diverso criterio dell’avanzamento per anzianità, da qui la diversa valutazione a scelta per l’aliquota determinata al 31 dicembre 2001 e di anzianità per le aliquote determinate al 31 dicembre 2002, al 31 dicembre 2003 ed al 31 dicembre 2004. Quanto agli elogi riportati dall’appellante l’amministrazione poteva valutare solo quelli concessi nel 1997, mentre quelli concessi nel 2007 e nel 2008 non potevano essere considerati, riguardando un diverso lasso temporale.

In relazione al giudizio negativo espresso per più annualità non può registrarsi una contraddittorietà o un’incongruenza valutativa, dal momento che l’amministrazione ben può ritenere che alcune condotte o comportamenti condizionino all’interno di un lasso di tempo ragionevole un giudizio negativo, che nella fattispecie termina con il giudizio di idoneità per l’aliquota determinata al 31 dicembre 2005. Il giudizio negativo di avanzamento non poggia solo sulla vicenda penale de qua , ma su ulteriori elementi indicati in modo puntuale dal provvedimento impugnato che richiama all’uopo gli allegati n. 1 e n. 2.

Circa la flessione di rendimento del 1998, effettivamente deve rilevarsi come l’indicazione operata dall’amministrazione con riferimento al periodo dall’1 gennaio 1998 al 19 dicembre 1998 non sia corretta. Ciò non toglie che il detto refuso non contribuisca a far venir meno la logicità e congruenza del percorso valutativo prescelto dall’amministrazione, che non risulta obliterato nemmeno nella non ritenuta prevalenza del rendimento di “eccellente”, raggiunto solo a far data dal 19 novembre 2004 e cioè solo per un periodo di tempo limitatissimo rispetto alla chiusura dell’aliquota determinata al 31 dicembre 2004.

Del resto la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio ha chiarito che nel giudizio di avanzamento, le commissioni esprimono valutazioni sulla base degli elementi risultanti dalla documentazione personale di ciascun sottufficiale. I detti giudizi devono essere coerenti con le risultanze della documentazione caratteristica (cfr. Cons. St., Sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2631).

La valutazione operata dall’amministrazione appare, quindi, complessivamente immune dalle doglianze esposte dall’appellante.

7. L’appello in esame, pertanto, merita di essere respinto, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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