Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-02-16, n. 202301654

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-02-16, n. 202301654
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301654
Data del deposito : 16 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/02/2023

N. 01654/2023REG.PROV.COLL.

N. 06092/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6092 del 2016, proposto da
S.A.V. - Società Autostrade Valdostane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M A, U G, A M e M S, con domicilio eletto presso lo studio M A in Roma, via Udine n. 6;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
Dipartimento per le Infrastrutture, i Sistemi Informatici e Statistici, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio.

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta n. 00019/2016, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 22 novembre 2022 il Cons. A F e udito per le parti l’avvocato Sanvido Manuela, in collegamento da remoto e, ai sensi dell’art. 87, comma 4-bis c.p.a. e dell’art. 13-quater disp. att. c.p.a. (articolo aggiunto dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113), preso atto del deposito delle note di passaggio in decisione, è data la presenza dell'avvocato dello Stato Di Giorgio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società S.A.V. - Societa' Autostrade Valdostane s.p.a. (in seguito anche SAV) stipulava, in data 2 settembre 2009, una convenzione con ANAS s.p.a., avente ad oggetto l’affidamento in concessione dei seguenti tratti autostradali: A5 Est – Quincinetto;
A5 Aosta Est – Aosta Centro;
A5 Aosta Centro – Aosta Ovest;
Raccordo fra la A5 e la S.S. 27 del Gran San Bernardo. La convenzione, il cui termine finale era fissato per il 31 dicembre 2032, prevedeva che il concessionario dovesse, fra l’altro, realizzare diverse opere di adeguamento e completamento dei suddetti tratti autostradali, nonché i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria necessari per mantenere l’infrastruttura in buono stato di conservazione ed efficienza.

1.1. Con nota del 15 luglio 2015, la SAV s.p.a., in attuazione delle previsioni contenute nella suindicata convenzione, comunicava al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti la volontà di affidare per un triennio, ad una propria controllata, i lavori di manutenzione ordinaria del tratto autostradale in concessione.

1.2. Con successive note del 3 agosto e del 5 agosto 2015, la società forniva maggiori chiarimenti in ordine agli affidamenti effettuati, evidenziando che il superamento dei limiti normativi dovesse valutarsi nell’arco dell’intera concessione;
allegava, altresì, un prospetto numerico analitico dal quale si evinceva l’esatta ripartizione dei lavori infragruppo e di quelli affidati a terzi.

1.3. In riscontro a tali comunicazioni, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con note-provvedimento del 2 settembre 2015 (prot. n. 8902;
prot. n. 8895), e con la nota – provvedimento 12.6.2015 prot. 5849, negava alla ricorrente l’autorizzazione a procedere all’affidamento, rilevando l’avvenuto superamento del limite del 40 per cento previsto dalla vigente normativa per gli affidamenti infragruppo.

1.4. Con ulteriori note dell’8 settembre 2015, prot. n. 1886 e del 9 settembre 2015, prot. n. 1891, la concessionaria rappresentava nuovamente l'insussistenza della violazione della disciplina convenzionale e legislativa vigente, nonché la necessità di parametrare la verifica del rispetto della percentuale minima di affidamento a terzi sull'intero arco temporale di durata della concessione.

2. La SAV s.p.a. proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Valle d’Aosta, lamentando: a) anomalia, genericità ed atipicità del contenuto degli atti impugnati;
b) violazione di specifiche norme legislative e di clausole convenzionali, nonché dello stesso disciplinare, di natura contrattuale, previsto dagli artt. 25 e 26 della vigente convenzione di concessione;
c) ulteriori violazioni di legge (art. 253. comma 25, del d.lgs. n. 163 del 2006;
art.

4. comma 1, lett. a) del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 134 del 2012);
d) eccesso di potere per sviamento e per disparità di trattamento;
e) infondatezza, comunque, degli assunti contestati nelle note-provvedimento impugnate.

3. Il T.A.R. per la Valle D’Aosta, con sentenza della Sez. Unica, n. 19/2016, dichiarava il ricorso infondato, rilevando che dall’art. 253, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, si evinceva il divieto imposto ai concessionari di opere pubbliche di eseguire in proprio, direttamente ovvero attraverso società controllate, una percentuale di lavori superiore al 40 per cento. Il Collegio di prima istanza riteneva che non potesse essere precluso all’Autorità competente l’intervento preventivo atto ad evitare che l’inosservanza dell’obbligo divenisse definitivo e si traducesse, quindi, in un vero e proprio inadempimento. Invero, i rapporti fra la ricorrente ed il concedente erano regolati da una convenzione alla quale, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, potevano applicarsi, in quanto compatibili, le norme e i principi dettati dal codice civile in materia di obbligazioni e contratti, tra cui il dovere di correttezza previsto dall’art. 1175 cod. civ.

3.1. Il giudice di prime cure evidenziava, altresì, che la mancata previsione, da parte dell’art. 253, comma 25, del d.lgs. n. 163 del 2006, dell’arco temporale di riferimento ai fini del calcolo delle percentuali relative agli affidamenti infragruppo, non potesse leggersi nel senso che al concessionario fosse sempre permesso il superamento dei limiti massimi, fino a che il tempo residuo di durata della concessione gli avrebbe permesso di recuperare lo squilibrio creato, dovendo ritenersi preclusa la creazione di forti squilibri difficili da compensare sempre in ossequio al principio di correttezza.

Nel caso in cui il concessionario procedeva agli affidamenti infragruppo per percentuali superiori a quelle ivi previste, l’Autorità preposta alla vigilanza delle concessioni autostradali doveva punire il trasgressore, irrogando, ai sensi dell’art. 2, comma 86, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito con legge 24 novembre 2006, n. 286) le relative sanzioni. Il Collegio riteneva che la mancata esplicitazione, in una norma di rango primario, di tali poteri non era decisiva per precludere all’Autorità competente l’intervento preventivo atto ad evitare che l’inosservanza dell’obbligo divenisse definitivo e si traducesse in vero e proprio inadempimento, per violazione delle regole di correttezza, ai sensi dell’art. 1175 c.c. Il T.A.R. affermava che l’Amministrazione intimata aveva correttamente apposto il diniego, a seguito dell’avvenuta constatazione, nel caso concreto, della sussistenza di un forte squilibrio a favore degli affidamenti infragruppo, che poteva irrimediabilmente compromettere la possibilità di adempimento agli obblighi di cui si discuteva.

Il Collegio escludeva che l’Amministrazione stessa avesse utilizzato un potere avente natura sanzionatoria non previsto dalla legge, dovendosi invece ribadire l’impiego di poteri derivanti dai principi che governavano, in generale, i rapporti obbligatori, sanciti comunque da norme di rango primario.

4. Con l'atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, illustrato anche con memorie, la SAV s.p.a. ha impugnato la suddetta sentenza, invocandone l'integrale riforma.

4.1. Con il primo motivo di gravame, l’appellante denuncia “ censurabilità ed infondatezza di tutti i motivi posti a fondamento della sentenza impugnata ”, sia con riguardo ai poteri di intervento, previsti dal legislatore e dalla convenzione di concessione, in capo all’ente concedente per evitare l’inadempimento contrattuale della concessionaria, sia con riguardo all’applicazione del principio civilistico codificato nell’art. 1175 c.c.

4.2. Con la seconda censura, SAV s.p.a. formula istanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267, comma 1, lett. b, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e, alternativamente, istanza di rimessione alla Corte Costituzionale, ex art. 23 L. n. 87/1953, paventando sotto vari profili violazioni di diritto comunitario e costituzionale, in particolare con riguardo al combinato disposto dell’art. 51, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, nel testo modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, rispetto al quale lamenta: i)violazione dell’art. 77 Cost.;
ii) violazione del principio di separazione dei poteri, non ravvisando alcun carattere straordinario di necessità ed urgenza;
iii) violazione degli artt. 3, in combinato disposto con l’art. 11 prel., 41, 25, 97 e 117 co. 1 Cost. nonché con l’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, realizzando la normativa indicata un’irragionevole disparità di trattamento;
iv) violazione delle norme di diritto comunitario uniforme in materia di appalti;
v) violazione dell’art. 12, c. 2, del Trattato Costituzionale, firmato a Roma il 29.10.2004, posto che lo Stato Italiano avrebbe violato le competenze sancite dal trattato;
vi) violazione del principio europeo di certezza del diritto e del legittimo affidamento, in quanto la normativa, intervenendo retroattivamente su una situazione giuridica pregressa e consacrata in un contratto di concessione, avrebbero gravemente leso tali principi;
vii) Violazione dei principi europei di proprietà, di libertà d’impresa - violazione dell’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU - violazione dell’art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali Dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000.

5. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (oggi Ministero dei Trasporti e della mobilità sostenibili) si è costituito in resistenza, concludendo per il rigetto dell'appello.

6. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza straordinaria del 22 novembre 2022.

DIRITTO

7. Il Collegio, con riferimento ai motivi di appello nella parte in fatto sintetizzati, riporta le conclusioni rassegnate da SAV s.p.a. nell’atto di gravame: “ Voglia l’Ecc.mo Consiglio di Stato, ogni diversa eccezione e difesa disattesa, in accoglimento del presente ricorso in appello, previa rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267, comma 1, lett. b, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), già art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità europea, dei quesiti infra specificati: se la normativa introdotta dall’art. 51, comma 2, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, nel testo modificato dall’art. 4, comma 1, lettera a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134 e dell’art. 51, comma 2, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, come modificato dall’articolo 4, comma 1, lettera b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, che ha stabilito che le disposizioni di cui al comma 1 del citato articolo 51 si applicano a decorrere dal 1 gennaio 2014;
contrasti con le norme di diritto comunitario uniforme in materia di appalti e/o con l’art. 12, c. 2, del Trattato Costituzionale, firmato a Roma il 29.10.2004;
i principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento, di proprietà e di libertà d’impresa, con l’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e con l’art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000;
ovvero, previa rimessione alla Corte Costituzionale, ex art. 23 l. n. 87/1953 come da istanza infra formulata;
riformare la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta, Sezione Unica, n. 19/2016, depositata il 12.4.2016 e per l’effetto annullare, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati con ogni consequenziale pronunzia anche in materia di spese e di contributo unificato”.

Ciò premesso, passando all’esame delle singole censure, con il primo motivo di gravame, l’appellante evidenzia che l’ente concedente non avrebbe potuto, alla luce del quadro normativo e della disciplina convenzionale, procedere a modifiche autoritative ed unilaterali delle clausole contrattuali dell’atto di concessione, non solo nell’esercizio delle funzioni paritetiche di controparte contrattuale, ma anche nell’esercizio di poteri in veste di autorità amministrativa. Secondo l’appellante, l’art. 2, comma 86, lett. d), del D.L. n. 262 del 2006 non contemplerebbe alcun potere in capo all’ente concedente di impartire disposizioni in ordine all’affidamento dei lavori e, tantomeno, disposizioni diverse più restrittive rispetto a quelle previste dal legislatore e dalla convenzione di concessione.

SAV s.p.a. rappresenta che l’ente concedente non ha il potere di emanare misure correttive, e i disposti illegittimi divieti di affidamento costituiscono una sanzione, equiparabile all’esecuzione in danno, incidendo sui poteri di autodeterminazione della concessionaria e sul suo diritto alla libera iniziativa economica anche con gravi conseguenze di natura organizzativa e patrimoniale. Lamenta che le sanzioni sono soltanto quelle espressamente previste dal legislatore e dal contratto di concessione sicchè non è consentito introdurre sanzioni diverse.

Ribadisce l’impossibilità giuridica per l’ente concedente di modificare autoritativamente ed unilateralmente le clausole contrattuali dell’atto di concessione: ciò non solo nell’esercizio delle funzioni paritetiche di controparte contrattuale, ma anche nell’esercizio di poteri in veste di autorità amministrativa.

Evidenzia, altresì, la carenza di una effettiva motivazione degli atti impugnati con riferimento al contenuto delle informazioni a disposizione, oltre al fatto che il preteso sforamento è affermato, ma non dimostrato se non con conclusioni apodittiche, contrastate da tutti gli elementi di fatto e di diritto opposti dalla concessionaria ricorrente. L’appellante evidenzia, peraltro, che il disallineamento rilevato al termine del quinquennio non costituisce di per sé inadempimento, rientrando nella normale gestione della concessione, e non essendo previsto, in nessun caso, un obbligo di riequilibrio entro il quinquennio successivo a quello in cui si è rilevato lo squilibrio/rectius temporaneo disallineamento. La sentenza di primo grado va censurata nella parte in cui ha ritenuto che l’ente concedente, nella veste di controparte contrattuale, abbia operato in applicazione del principio civilistico codificato nell’art. 1175 c.c., di talché sarebbe giustificato e legittimo l’intervento effettuato in via preventiva, allo scopo di evitare l’inadempimento definitivo.

8. Con il secondo mezzo, l'appellante si duole del fatto che la nuova normativa, introdotta con decorrenza 1° gennaio 2014, letta insieme con l’ulteriore nuova disciplina introdotta con il d.lgs. n. 50/2016, modificando le condizioni contrattuali a suo tempo stabilite e rideterminando il regime degli affidamenti a terzi, avrebbe impedito alle concessionarie private di proseguire un’attività d’impresa legittimamente intrapresa e pianificata sulla base di norme di legge e convenzionali esistenti al momento della stipulazione delle convenzioni uniche. Inoltre, la disciplina introdotta dal d.lgs. 50/2016, applicabile nei successivi due anni, avrebbe comportato un ulteriore aggravamento del pregiudizio lamentato. Paventa, quindi, con riferimento al combinato disposto dell’art. 51, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, nel testo modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, diverse questioni di illegittimità costituzionale. Posto che la novella è stata contenuta in due decreti-legge, recanti misure urgenti per il rilancio dell’economia, l’appellante non ravvisa, invero, alcun carattere straordinario di necessità ed urgenza, prescritto dall’art. 77 Cost. per la legittima adozione dei suddetti atti aventi forza di legge, configurandosi un’indebita invasione da parte del Governo nei poteri attribuiti al Parlamento. Sottolinea, poi, come la modifica unilaterale del contratto di concessione contrasterebbe con i principi di ragionevolezza, avuto riguardo ai principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento. La disciplina in commento realizzerebbe un’irragionevole retroattività stigmatizzata dalla Corte costituzionale e si porrebbe altresì in contrasto, sotto altro profilo, con i principi di buon andamento ed imparzialità della P.A. ex art. 97 Cost, penalizzando le società concessionarie “private” ed arrecando un vantaggio alle concessionarie “pubbliche”, che invece potrebbe gestire direttamente i lavori al 100% in house .

8.1. L’appellante prospetta, altresì, diverse violazioni del diritto comunitario, come sintetizzate nella parte in fatto, avuto riguardo alla normativa in materia di appalti, ed evidenziando che il legislatore comunitario non ha mai emanato disposizioni afferenti la quota minima di lavori e/o servizi e/o forniture che i concessionari di costruzione e gestione di lavori pubblici dovessero affidare a terzi. Nell’introdurre le suesposte limitazioni, quindi, lo Stato italiano avrebbe violato il sistema delle competenze normative stabilito dal Trattato, ingerendosi in una materia di competenza concorrente, in cui la Comunità era già intervenuta con atti normativi esaustivi, sicché l’intervento nazionale integrativo deve ritenersi precluso. Peraltro, intervenendo retroattivamente su una situazione giuridica pregressa e consacrata in un contratto di concessione, la novella avrebbe gravemente leso il principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento che la Concessionaria riponeva nella concessione all’esame, per continuare la propria attività economica alle condizioni pattuite. Non ultimo, gli interventi del Governo mediante decretazione d’urgenza avrebbero configurato, secondo l’appellante, un’aperta violazione del diritto di proprietà, in una con il diritto d’iniziativa economica privata, della Concessionaria.

9. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono in parte fondati e vanno accolti nei sensi di cui in motivazione.

10. L’esame della questione impone l’illustrazione del quadro normativo di riferimento in materia di concessioni autostradali, soffermandosi, in particolare, sul rapporto tra concedente e concessionario, e, successivamente, sul regime degli affidamenti infragruppo della concessionaria autostradale.

10.1. La prima disciplina in materia autostradale si rintraccia nelle leggi 21 maggio 1955 n. 463 e 24 luglio 1961 n.729 per la costruzione di autostrade a cura e a carico dell'Azienda nazionale autonoma delle strade statali.

Era previsto l’affidamento della concessione della costruzione e gestione dell’autostrada con decreto del Ministero dei lavori pubblici di concerto con quello per il tesoro, sulla base di domande presentate all’ANAS dagli aspiranti concessionari, ed era stabilito che la concessione fosse disciplinata da una convenzione approvata con il medesimo decreto ministeriale, sentito il Consiglio Superiore dei lavori pubblici e il Consiglio di Stato (art. 3, l. n. 463 del 1955 e art. 2, l. 24 luglio 1961, n. 729, che imponeva all’aspirante concessionario di presentare, unitamente alla domanda, anche un progetto di massima per la costruzione dell’autostrada e un documentato piano finanziario).

In deroga a tale regola generale, l’art. 16 l. n. 729 del 1961 stabiliva l’affidamento diretto della concessione delle più importanti autostrade del Paese ad una società da costituire della quale l’I.R.I. – Istituto per la ricostruzione industriale - avrebbe dovuto detenere una partecipazione diretta ed indiretta pari al 51% del capitale sociale. Era così costituita la Società Autostrade s.p.a..

L’art. 2 l 7 febbraio 1961, n. 59 (Riordinamento strutturale e revisione dei ruoli organici dell’Azienda nazionale autonoma delle strade) attribuiva ad ANAS, tra i vari compiti, anche quello di “… c) vigilare sulla esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la gestione delle autostrade il cui esercizio sia dato in concessione ”.

10.2. In attuazione degli obiettivi di privatizzazione delle società pubbliche, al fine di favorire la dismissione delle partecipazioni statali, l’art. 10, comma 7, l. 24 dicembre 1993, n. 537 del 1993, abrogava l’art. 16, comma 1, della l. n. 729 del 1961, nella parte in cui prevedeva l’obbligo dell’IRI di detenere la maggioranza delle azioni della concessionaria, precisando, peraltro, che “ La costruzione e la gestione delle autostrade è l'oggetto sociale principale della Società Autostrade s.p.a. ”.

Restavano in capo a soggetti pubblici il potere di vigilanza sull’esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllo della gestione delle autostrade date in concessione del concedente: l’art.2, comma 1, lett. d) d.lgs. 26 febbraio 1994, n. 143 lo affidava all’ Ente nazionale per le strade, trasformato nella società per azioni ANAS s.p.a. dall’art. 7 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138.

10.3. La disciplina delle concessioni autostradali ha subito una profonda riforma con il d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2006, n. 262.

All’art. 2, comma 82, è stato previsto l’obbligo di trasferire le clausole delle convenzioni vigenti (nonché quelle conseguenti all’aggiornamento o alla revisione) in una Convenzione Unica tra concedente e concessionario destinata a sostituire ad ogni effetto la convenzione originaria e tutti gli atti aggiuntivi, spesso in regime di proroga.

Il comma successivo ha imposto l’adeguamento delle clausole della Convenzione Unica ad una serie di regole ivi espressamente indicate, a pena di cessazione del rapporto concessorio, salva la possibilità di indennizzo.

Tra queste, di particolare interesse, è quella della introduzione di “… sanzioni a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabile al concessionario, anche a titolo di colpa;
la graduazione di tali sanzioni in funzione della gravità dell'inadempimento
”.

Con il comma 86 sono stati rafforzati i poteri di ANAS, cui, oltre al potere di “ richiede[re] informazioni ed effettua[re] controlli, con poteri di ispezione, di accesso, di acquisizione della documentazione e delle notizie utili in ordine al rispetto degli obblighi di cui alle convenzioni di concessione e all’articolo 11, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, come sostituito dal comma 85 del presente articolo, nonché dei propri provvedimenti” (lett. a), è consentito “irroga[re], salvo il caso che il fatto costituisca reato, in caso di inosservanza degli obblighi di cui alle convenzioni di concessione e di cui all'articolo 11, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, come sostituito dal comma 85 del presente articolo, nonché dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei concessionari alle richieste di informazioni o a quelle connesse all'effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 25.000 e non superiori nel massimo a euro 150 milioni, per le quali non è ammesso quanto previsto dall'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689;
in caso di reiterazione delle violazioni ha la facoltà di proporre al Ministro competente la sospensione o la decadenza della concessione
” (lett. d).

10.4. Occorre, infine, rammentare che, ai sensi del combinato disposto dell'art. 11, comma 5, del d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, conv. dalla l. 24 febbraio 2012, n. 14, e dell'art. 36, comma 4, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni della legge 15 luglio 2011, n. 111, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è subentrato a far data dal 1° ottobre 2012 ad ANAS nelle funzioni di concedente per tutte le convenzioni in essere alla predetta data, sia riguardanti la concessione di costruzione che quella di gestione delle autostrade.

Con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del 1° ottobre 2012 n. 341, è stata poi istituita presso il Ministero la Struttura di Vigilanza sulle Concessioni Autostradali, con funzioni di selezione dei concessionari e di aggiudicazione delle concessioni, nonché di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali.

11. Passando all’esame della disciplina normativa degli affidamenti di lavori da parte delle concessionarie autostradali si osserva quanto segue.

11.1. L’art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), prevedeva che i « concessionari di lavori pubblici, [i] concessionari di esercizio di infrastrutture destinate al pubblico servizio, [le] società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza nonché, qualora operino in virtù di diritti speciali o esclusivi, [i] concessionari di servizi pubblici e [i] soggetti di cui alla direttiva 93/38/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993 », « sono obbligati ad appaltare a terzi i lavori pubblici non realizzati direttamente o tramite imprese controllate […] » (art. 2, commi 2, lettera b, e 4, della legge n. 109 del 1994), con una deroga, limitata ai tre anni successivi alla data di entrata in vigore della legge, in cui era possibile « far eseguire i lavori oggetto della concessione ad imprese collegate, nella misura massima del 30 per cento » (art. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994).

11.2. Usando la discrezionalità rimessa agli Stati dall’art. 60 della direttiva comunitaria 2004/18/CE (secondo cui: “ [l]’amministrazione aggiudicatrice può: a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti a una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione, pur prevedendo la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale;
detta aliquota minima deve figurare nel contratto di concessione di lavori;
oppure b) invitare i candidati concessionari a dichiarare essi stessi nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che intendono affidare a terzi
”), il legislatore italiano inseriva all’art. 253, comma 25, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la seguente previsione: “ In relazione alla disciplina recata dalla parte II, titolo III, capo II, i titolari di concessioni già assentite alla data del 30 giugno 2002, ivi comprese quelle rinnovate o prorogate ai sensi della legislazione successiva, sono tenuti ad affidare a terzi una percentuale minima del 40 per cento dei lavori, agendo, esclusivamente per detta quota, a tutti gli effetti come amministrazioni aggiudicatrici ”.

La norma ha avuto varie riformulazioni, che hanno aumentato la soglia di affidamento, dapprima, al 50% con l’art.51, d.l. 24 gennaio 2012, n.1, e poi al 60 % con l’art. 4, comma 1, lett. a., d.l. 83/2012 a partire dal 1° gennaio 2014.

La disposizione riguardava le concessioni già assentite e quelle rinnovate o prorogate, mentre per le concessioni da affidare mediante procedura di gara valeva la previsione dell’art.146 per il quale « […] la stazione appaltante può: a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti ad una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione. Tale aliquota minima deve figurare nel bando di gara e nel contratto di concessione. Il bando fa salva la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale;
b) invitare i candidati a dichiarare nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione, che intendono appaltare a terzi
».

L’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, nella sua originaria formulazione, era la disposizione vigente al momento nel quinquennio 2008 – 2013 in cui il Ministero ha ritenuto che l’avvenuto superamento del limite agli affidamenti infragruppo da parte dell’odierna appellante.

Nondimeno, come nel prosieguo si avrà modo di precisare, i successivi interventi legislativi in materia assumono particolare rilevanza anche ai fini della decisione del presente giudizio.

11.3. In sede di recepimento della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, il legislatore nazionale, nella legge delega n. 11 del 2016 prevedeva, all’art. 1, comma 1, lettera iii) l’« obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già esistenti o di nuova aggiudicazione, di affidare una quota pari all’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica ».

In conseguenza, nel nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, è stato inserito l’art.177 (Affidamenti dei concessionari), con la seguente formulazione: “ 1.Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all'ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all'articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento ”.

La verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1 da parte dei soggetti preposti e dall'ANAC viene effettuata annualmente, secondo le modalità indicate dall'ANAC stessa in apposite linee guida, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto ai limiti indicati devono essere riequilibrate entro l'anno successivo. Nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi, il concedente applica una penale in misura pari al 10 per cento dell'importo complessivo dei lavori, servizi o forniture che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica.

11.4. La previsione normativa di soglie percentuali di lavori da affidare infragruppo e a terzi ha posto il problema del metodo di computo delle stesse.

La questione è stata avvertita dai giudici di primo grado, che hanno rilevato, nella sentenza impugnata, la mancata indicazione nella norma di un arco temporale in relazione al quale verificare il rispetto delle soglie percentuali da parte del concessionario autostradale.

Con circolare dell’11 maggio 2012 n. 67217, l’ ANAS ha fornito alcune indicazioni operative.

Preliminarmente, è stato precisato che il calcolo delle quote andava fatto tenendo conto dell’importo netto dei lavori eseguiti nel “periodo di riferimento”, decorrente dal primo anno del Piano Economico Finanziario (PEF) – ovvero dal 2008 (in quanto anno di entrata in vigore dell’art. 29, comma 1, quinquies d.l. n. 207 del 2008 come modificato dalla legge di conversione n. 14 del 2009) se precedente – alla data di scadenza della convenzione.

È stato previsto, poi, un sistema di monitoraggio: il periodo di durata della convenzione era suddiviso in intervalli quinquennali più brevi (che, per alcune concessioni sarebbe stato coincidente con l’intero periodo regolatorio), così da poter, al termine di ciascun quinquennio, rilevare eventuali situazione di squilibrio e provvedere, qualora le stesse non costituissero inadempimenti, all’adozione delle misure necessarie ad un riequilibrio delle quote, da effettuare nel quinquennio successivo.

11.5. È opportuno precisare, ai fini di una più agevole comprensione di quanto sarà affermato nel prosieguo, che il riferimento della circolare al quinquennio non era inteso ad integrare l’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 mediante l’indicazione dell’arco temporale entro cui accertare il definitivo rispetto della soglia di affidamento infragruppo (ed irrogare in caso negativo la sanzione amministrativa prevista).

La circolare, infatti, non era in alcun modo integrativa del dato normativo, ma intendeva solo fornire indicazioni operative.

Relativamente al “periodo di riferimento” (per l’accertamento del rispetto delle soglie percentuali di affidamento dei lavori infragruppo), la circolare precisava la sua decorrenza dal primo anno del PEF e fino alla scadenza della concessione, in piena consonanza con il dato normativo, che nulla diceva al riguardo, perché implicitamente lo considerava naturalmente coincidente con la durata della concessione.

Il riferimento al quinquennio era effettuato solo a fini di monitoraggio della condotta del concessionario in costanza di concessione;
esso, poi, non era certo casuale corrispondendo alla durata ordinaria del PEF approvato dall’amministrazione concedente.

In una gestione concessoria ordinaria, che duri, cioè per il tempo stabilito in convenzione senza necessità di ricorrere a proroghe, al momento di redazione del PEF, si doveva prevedere la quantità di lavori da eseguire e definire quali di essi debbano essere affidati infragruppo e quali a soggetti terzi;
al termine dei 5 anni, accertare il rispetto della suddetta ripartizione e prevedere eventuali aggiustamenti nel PEF per il periodo successivo.

La suddivisione temporale facilitava l’espletamento dell’attività di monitoraggio, prima svolta da ANAS e oggi al Ministero, in ordine al rispetto delle quote in relazione allo stock dell’intera concessione, ma soprattutto consentiva al concessionario di calibrare gli affidamenti per il periodo successivo al fine di evitare di incorrere nella violazione delle soglie percentuali e, dunque, nella sanzione amministrativa che in conseguenza del definitivo sforamento la concedente avrebbe dovuto irrogare.

12. Tutto ciò premesso è opportuno passare alla trattazione, in via preliminare, delle questioni di legittimità costituzionale e di violazione del diritto dell’Unione Europea sollevate dall’appellante proprio con riferimento all’art. 253, co. 25, d.lgs. 163 del 2006.

Le censure non possono essere accolte, dovendosi condividere le conclusioni raggiunte da questo Consiglio di Stato, su analoga vicenda processuale, con la recente sentenza n. 6005 del 2022.

12.1. Per quanto attiene alla violazione delle norme del diritto comunitario uniforme in materia di appalti, si evidenzia che il legislatore comunitario lascia a quello nazionale la possibilità di intervenire nella disciplina della materia degli affidamenti infragruppo, non ponendosi dunque alcun problema di violazione delle competenze del legislatore europeo in materia di appalti.

Le disposizioni in esame non si pongono in contrasto la normativa e i principi dell’Unione europea, non costituendo recepimento di specifiche direttive e rappresentando meri strumenti attuativi dei principi comunitari di concorrenza e di massima apertura al mercato.

Non si potrebbe poi ravvisare alcuna violazione né del divieto del cosiddetto gold plating , in quanto nel caso di specie non vi sarebbe alcuna riduzione della concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, né dell’art. 43 della direttiva (UE) 2014/23 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, relativa all’aggiudicazione dei contratti di concessione, poiché quest’ultima disposizione presuppone che la concessione sia stata affidata a mezzo di procedura ad evidenza pubblica, « il che pacificamente non è avvenuto per quella di cui allo stato risulta titolare l’appellante » (così Consiglio di Stato, sez. V, 19 agosto 2020, n. 05097 nel rimettere la questione di legittimità costituzionale dell’art. 177 comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016 alla Corte Costituzionale).

12.2. Allo stesso tempo possono essere disattese anche le censure relative alla violazione del principio di irretroattività della legge, con riferimento all’art. 3 in combinato disposto con l’art. 25, 97 e 117 co. 1 della Costituzione, nonché all’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU. Sicchè va esclusa la violazione dei principi europei di certezza del diritto e di legittimo affidamento.

Dall’art. 253, comma 25 cit., infatti, non è possibile desumere elementi che depongano nel senso di un qualche effetto retroattivo dell’obbligo dei concessionari di esternalizzare l’attività svolta;
infatti la vigenza della norma era prevista solo dalla data del 1 gennaio 2014. D’altro canto la concessione, in quanto rapporto “di durata”, è per sua natura sensibile alle sopravvenienze normative, senza che ciò comporti alcuna violazione dei principi di irretroattività della legge e legittimo affidamento dei destinatari della stessa (così, Cons. Stato, Sez. V, Sent. 14/07/2022, n. 6005).

Sicché, non assume rilievo, in questo caso, l'art. 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall'amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti.

12.3. Del pari, deve essere disattesa la supposta violazione dell’art. 77 Cost. sulla base della stessa giurisprudenza della Consulta, secondo la quale la Costituzione non prevede rigidi parametri di determinazione dei requisiti di “necessità e urgenza” richiesti per l’emanazione di decreti legge. Invero, l’espressione utilizzata dalla Costituzione per indicare i presupposti che condizionano il potere del Governo di emanare norme primarie possiede un largo margine di elasticità, e la straordinarietà del caso, che impone la necessità di dettare con urgenza una disciplina, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani, atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi (così Corte Costituzionale n. 93 del 2011).

12.4. Infine, e congiuntamente, vanno trattate la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 41 Cost. e quella di violazione dei principi europei di proprietà e libertà di impresa.

Ritiene la Sezione che l’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 non sia in contrasto con le disposizioni costituzionali, quanto meno nella sua originaria formulazione, che è quella cui occorre tenere conto nel presente giudizio e neppure con i principi europei di proprietà e libertà di impresa.

Quest’ultimo punto va meglio precisato: le note impugnate con il ricorso introduttivo accertavano l’avvenuto spostamento del limite percentuale nell’affidamento infragruppo sostanzialmente in relazione al precedente quinquennio, disciplinati dall’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2016, nella sua formulazione originaria, con obbligo di esternalizzazione per una percentuale minima del 40 per cento;
la modifica della soglia (al 60%) ha avuto effetto a partire dal 1 gennaio 2014. Tenendo conto di tale dato fattuale, è possibile soffermarsi sulle ragioni che hanno condotto alla pronuncia di incostituzionalità dell’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016.

A tale riguardo, viene in rilievo la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 2021, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 177 del d.lgs. n. 50 del 2016 per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione. È opportuno precisare che l’art. 177 co. 1 d.lgs. n. 50 del 216 prevedeva che “ Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all’articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato ”.

Nella sentenza n. 218 del 2021, la Corte costituzionale non ha ritenuto precluso al legislatore dalle disposizioni costituzionali stabilire un obbligo di esternalizzazione, che, invece, ha giudicato di per sé legittimo, poiché finalizzato ad assicurare la massima apertura possibile al mercato delle commesse pubbliche, specialmente laddove, a monte, le concessioni erano state assegnate con affidamento diretto, ma lo ha detto irragionevole nella dimensione prevista dal legislatore del 2016, per la seguente ragione: ‘ l’impossibilità per l’imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante ’. Nello scrutinio del bilanciamento operato tra diritti di pari rilievo, poi, la Corte ha ritenuto che per la sua ‘incisività e ampiezza applicativa’ la misura non fosse proporzionata, non avendo il legislatore tenuto in debita considerazione l’interesse dei concessionari, i quali, per quanto godessero di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, per avere sostenuto investimenti e fatto programmi, riponevano un affidamento nella stabilità del rapporto concessorio così come originariamente instaurato.

La Consulta ha statuito che la libera iniziativa economica e i limiti al suo esercizio debbano costituire oggetto, nel quadro della garanzia offerta dall’art. 41 Cost., di una complessa operazione di bilanciamento nella quale vengono in evidenza, da una parte, il contesto sociale ed economico di riferimento e le esigenze del mercato in cui si realizza la libertà d’impresa, e, dall’altra, le legittime aspettative degli operatori, in particolare quando essi abbiano dato avvio, sulla base di investimenti e programmi, ad un’attività imprenditoriale in corso di svolgimento. Ed, infatti, la Corte ha affermato che “ Se, dunque, legittimamente in base a quanto previsto all’art. 41 Cost., il legislatore può intervenire a limitare e conformare la libertà d’impresa in funzione di tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio ex post al vulnus conseguente a passati affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato, il perseguimento di tale finalità incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti ”(Corte Cost. n. 218 del 2021).

In ragione di tali considerazioni, la Corte Costituzionale ha ritenuto la previsione di cui all’art. 177 co. 1 cit. irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, ed in particolare tale irragionevolezza si collegherebbe innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto dovendo la parte più grande delle attività concesse essere appaltata a terzi e non potendo comunque la restante parte essere compiuta direttamente. In tal modo, “ l’impossibilità per l’imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante. Né vale in proposito osservare che resterebbero comunque garantiti i profitti della concessione, giacché, anche a prescindere da ogni considerazione di merito al riguardo, è evidente che la garanzia della libertà di impresa non investe soltanto la prospettiva del profitto ma attiene anche, e ancor prima, alla libertà di scegliere le attività da intraprendere e le modalità del loro svolgimento […] Un ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo, così come definito dalla previsione censurata, è costituito dalla sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, nel ricordato bilanciamento, per l’apprezzamento dello stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni della concessione – apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni –, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico ”. (Corte Cost. 218 del 2021). Ciò posto, può affermarsi che la soglia percentuale prevista per gli affidamenti a terzi dall’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, consistente nel 40 per cento dei lavori non era, per la sua entità, nè irragionevole né sproporzionata. La previsione del 40 per cento, pur di applicazione indistinta, era sacrificio ragionevole della libertà di impresa del concessionario alla luce della finalità dell’obbligo di esternalizzazione ricordata in più passaggi della sentenza della Corte costituzionale, vale a dire quello di ‘recuperare a valle la concorrenza compromessa a monte’, per essere basato il previgente sistema di assegnazione delle concessioni autostradali sulla regola dell’affidamento diretto. Quel che la Corte ha inteso tutelare, l’affidamento del concessionario nella stabilità del rapporto concessorio, così come instaurato, per poter realizzare i programmi che aveva elaborato e gli investimenti che in base ad essi erano stati effettuati, oltre agli altri interessi coinvolti (del concedente, degli utenti del servizio e dei lavoratori occupati dal concessionario), non era radicalmente compresso, poiché la norma del 2006 non imponeva in alcun modo la dismissione totalitaria dei lavori dati in concessione, come di fatto comportava la corretta applicazione dell’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016;
non v’era, cioè, un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno. In conclusione, la formulazione originaria dell’art. 253, comma 25, del d.lgs. n. 163 del 2006 non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale, poiché appare una misura mite che impone il sacrificio di un diritto, ma non la sua radicale compressione.

Non possono, pertanto, essere condivise le osservazioni mosse da parte appellante, da ultimo, anche nell’articolata memoria difensiva, nella parte in cui, nell’insistere nell’accoglimento delle prospettate eccezioni di incostituzionalità, ha ritenuto che il precedente arresto di questa Sezione del Consiglio di Stato, n. 6005 del 14.7.2022, il cui ragionamento si ritiene di condividere in toto , fosse incorso in un errore materiale. Invero, va ribadito che la soglia percentuale prevista per gli affidamenti a terzi dall’art. 253, comma 25, d. lgs. n. 163 del 2006, consistente nel 40 per cento dei lavori non era, per la sua entità, né irragionevole né sproporzionata, imponendo il sacrificio di un diritto, ma non la sua radicale compressione.

Lo stesso Consiglio di Stato, in sede di rimessione alla Corte Costituzionale, aveva avuto modo di sottolineare che il legislatore dell’art. 253, comma 25, del d.lgs. 163/2006 avesse tenuto conto delle contrapposte esigenze di tutela della libertà d’impresa ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, così come garantite dal legislatore comunitario (v. Consiglio di Stato, V sezione, 19 agosto 2020, n. 05097, secondo cui “ nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai sensi del sopra citato art. 41 della Costituzione e di mantenimento della funzionalità complessiva della concessione, altre volte invece considerate in funzione limitatrice degli obblighi di dismissione a carico del concessionario senza gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma 25, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) ”).

13. Passando all’analisi dei motivi di appello, occorre in primo luogo soffermarsi sul potere esercitato dal Ministero con le note provvedimento impugnate con il ricorso introduttivo, in quanto, come precedentemente riferito, l’appellante denunzia l’insussistenza di un potere inibitorio (da successivi affidamenti infragruppo) in capo all’amministrazione concedente, la quale non avrebbe potuto modificare autoritativamente ed unilateralmente le clausole contrattuali dell’atto di concessione, né nell’esercizio delle funzioni paritetiche di controparte contrattuale, né nella veste di autorità amministrativa.

A ben vedere, alla luce del quadro normativo e di prassi sopra delineato, deve ritenersi che le predette note ministeriali siano state adottate nell’esercizio del potere di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali riconosciuto al Ministero (in quanto subentrato ad ANAS) dall’art. 2, comma 86, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, oltre che dall’art. 2, comma 1, lett. c) l. n. 59 del 1961. Essa, dunque, era modalità attuativa di un potere espressamente previsto dalla legge, ancor prima che atto di diffida al corretto adempimento che, all’interno di un rapporto paritetico, è consentito al creditore rivolgere al debitore quando è certo che quest’ultimo non sarà in condizione di adempiere all’obbligo assunto nell’ambito dei principi di correttezza e buona fede, di cui all’art. 1175 c.c..

Né può porsi in discussione l’interesse all’immediata impugnazione dei provvedimenti relativamente al loro contenuto precettivo – inibitorio, venendo in rilievo un’ipotesi di “arresto procedimentale”;
in altri termini, sino all’annullamento il rapporto concessorio sarebbe stato conformato nel senso richiesto dal Ministero, con conseguente limitazione della libertà di scelta della concessionaria.

Ciò posto, non può in ogni caso non evidenziarsi la sussistenza di un grave vizio logico e motivazionale delle predette note - provvedimento, tale da comportare l’accoglimento del primo motivo di appello.

Il Ministero ha vietato alla concessionaria ulteriori affidamenti infragruppo per il continuato superamento dei limiti previsti dalle disposizioni normative e convenzionali vigenti rilevando che, sulla base della documentazione trasmessa dalla società aggiornata al 31 dicembre 2014, le percentuali relative ai lavori infragruppo/terzi effettuate dalla stessa non garantivano un rientro nei limiti di legge entro la fine del quinquennio in corso. In questo modo, è stato inibito alla concessionaria di attuare un piano di recupero nel successivo periodo di durata residua della concessione che potesse consentire il riallineamento delle percentuali.

Orbene, il quinquennio è dato temporale utile ai limitati fini del monitoraggio, non potendo venire in considerazione quale arco temporale ultimo per definire lo stock di lavori sul quale appurare il rispetto delle soglie percentuali;
in tal caso, infatti, sarebbe palese la violazione dell’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che l’omessa indicazione di un preciso parametro temporale sottende proprio alla necessità che l’analisi si incentri sull’intero periodo di durata della concessione.

Depone in tal senso, tra l’altro, la circolare dell’ANAS del 11 maggio 2012 n. 67217, la quale afferma con chiarezza il rilievo del quinquennio quale arco temporale finalizzato al solo monitoraggio dell’andamento dell’esecuzione dei lavori, e non anche all’irrogazione della sanzione conseguente all’accertamento dell’inadempimento definitivo agli obblighi previsti dal citato art.253 cit..

Ne discende che il Ministero, nel caso di specie, una volta accertato lo sforamento ‘temporaneo’ delle soglie percentuali, non poteva senz’altro inibire affidamenti infragruppo nel periodo di durata residua delle rispettive concessioni, senza considerare le concrete possibilità per la concessionaria di compensare gli sforamenti della soglia avvenuti nel precedente quinquennio tramite l’affidamento di lavori a terzi nel ridetto periodo successivo, non potendo inibire tout court gli affidamenti infragruppo nel periodo di durata residua delle concessioni.

Nulla, infatti, poteva escludere che, in ragione del valore dei lavori in corso di affidamento o già affidati e da eseguire o, ancora, in corso di esecuzione, la concessionaria potesse, al termine di durata della concessione, dimostrare l’avvenuto rispetto della soglia percentuale negli affidamenti a terzi (così Cons. Stato, n. 6813 del 2022;
Cons. Stato n. 6814 del 2022).

In definitiva, compete al Ministero, da un lato, in corso di durata della concessione monitorare il rispetto delle soglie percentuali degli affidamenti dei lavori, e, quante volte accerti in un periodo quinquennale lo sforamento, adottare atti di sollecito al riallineamento, e, dall’altro, al termine della concessione, accertare l’effettivo rispetto delle soglie e, in mancanza, irrogare la sanzione prevista dalla legge per la violazione degli obblighi del concessionario.

Il Collegio ravvisa, pertanto, l’illegittimità del provvedimento anche per vizio di istruttoria, atteso che era onere dell’amministrazione, anche richiedendo al privato ulteriore documentazione, verificare se, nel residuo periodo di durata della concessione stessa, fossero previsti interventi che, se affidati a terzi, avrebbero portato a compensare gli sforamenti accertati.

Le precedenti considerazioni assorbono ogni altra questione e deduzione difensiva prospettata dall’appellante, stante, sotto tale profilo, l’illegittimità delle note impugnate con il ricorso introduttivo.

Va, infatti, ribadito quanto recentemente affermato da questa Sezione, secondo cui “ un potere di inibizione in corso di durata della concessione non si può ragionevolmente ammettere, poiché delle due l’una: o il Ministero ritiene che il concessionario non sia più in condizioni di rispettare le soglie, ossia ritenga maturato un definitivo inadempimento, ed allora dovrà immediatamente adottare la sanzione (eventualmente anche valutando la revoca – decadenza dalla concessione), oppure, se non abbia evidenze dell’inadempimento definitivo, limitarsi a segnalare il possibile verificarsi dello stesso e spingere la concessionaria a rivedere le sue scelte per il periodo mancante per poter rispettare gli obblighi legali e convenzionali ” (così Cons. Stato, Sez. V, Sent. 03/08/2022, n. 6814;
conforme Sez. V, Sent. 03/08/2022, n. 6813).

14. Il Collegio rileva che l’illegittimità delle note ministeriali impugnate con il ricorso introduttivo non invalida i successivi atti ministeriali, impugnati con i motivi aggiunti nel giudizio di primo grado, nei quali il Ministero si è sostanzialmente limitato a ribadire quanto rilevato in precedenza, denegando l’accoglimento delle istanze presentate dalla società.

Con successivi motivi aggiunti, la SAV s.p.a. ha ulteriormente impugnato, chiedendone l’annullamento, la nota- provvedimento 22.9.2015, prot. 9691 e la nota provvedimento 2.10.2015, prot. 10162;
con le suddette note –provvedimento, l’ente concedente ha ribadito ‘il continuato superamento dei limiti previsti dalle disposizioni normative e convenzionali vigenti’ in quanto risulterebbe che ‘la nuova programmazione’ dei lavori di manutenzione ordinaria sull’autostrada non prevederebbe il completo recupero dell’esubero infragruppo ed il rientro delle percentuali infragruppo/terzi nei limiti di legge entro il 31.12.2018. Con una seconda serie di motivi aggiunti, la SAV s.p.a. ha inoltre impugnato, chiedendone l’annullamento, la nota – provvedimento 28.12.2015 prot. 16198, con cui l’ente concedente, dopo aver richiamato i precedenti atti già impugnati con il ricorso e con la prima serie di motivi aggiunti, ha sostanzialmente reiterato l’illegittima richiesta di una ‘nuova programmazione finalizzata al rientro nei limiti di legge, entro il 31.12.2018, che preveda il completo recupero della quota infragruppo eccedente registrata al 31.12.2013’, richiedendo la trasmissione, entro il 15.1.2016, unitamente alle schede semestrali ‘del piano di rientro che garantisca il completo recupero della quota infragruppo eccedente (registrata al 31.12.2013) entro la fine del quinquennio in corso’, con l’ulteriore precisazione che le richieste avanzate dall’ente concedente rientrerebbero nelle misure correttive finalizzate a garantire il rispetto dei limiti in tema di affidamenti di lavori infragruppo e ad evitare situazioni sanzionabili.

Va richiamato, a tale riguardo, quanto affermato in plurimi pareri resi da questo Consiglio di Stato su ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica presentati da altra società autostradale (A.T.I.V.A. S.p.a.) avverso atti di identico tenore, secondo cui siffatte note ministeriali sono “ deliberazioni di carattere preliminare informativo-collaborativo, idonei solo a preannunciare la futura ed eventuale apertura di un procedimento sanzionatorio qualora il privato concessionario non ponga rimedio alla situazione di criticità oggetto di allarme ” ( ex multis Cons. St., sez. I, 27 gennaio 2021, n. 1444;
Cons. St., sez. I, 1 dicembre 2021, n. 912). In altri termini, non si tratta di atti di diniego, ma di strumenti informativi-collaborativi. Le suddette note mancano di contenuto conformativo, assumendo finalità di dialogo procedimentale, potendo il concessionario liberamente scegliere se proseguire nell’affidamento infragruppo, rischiando di rendere definitivo lo sforamento e, quindi, di incorrere nella sanzione, oppure conformare la sua condotta alle indicazioni del Ministero. Da quanto detto sopra deriva che la legittimità di tali note (e più in generale, la condotta del Ministero come soggetto vigilante al rispetto degli obblighi a carico del concessionario) dovrà essere vagliata unitamente alla condotta del concessionario in uno specifico giudizio, che abbia ad oggetto il provvedimento per avvenuto sforamento delle soglie di affidamento ai terzi (o, comunque, ove si discuta del rispetto degli obblighi posti dalla concessione e delle eventuali determinazioni a tale ragione assunte dal Ministero), poiché, per quanto precedentemente esposto, solo a consuntivo potrà dirsi se in relazione all’intero stock dei lavori affidati nel corso di durata della concessione siano state rispettate o meno le soglie percentuali degli affidamenti a terzi previste dalla legge.

Ne consegue che i motivi aggiunti non erano fondati e andavano dunque respinti.

14.1. La domanda di condanna al risarcimento del danno va respinta. La società sostiene che gli atti ministeriali impugnati avrebbero causato un danno derivante dalla perentoria preclusione, contenuta nei provvedimenti impugnati, di affidare lavori a imprese collegate o controllate. Ciò che è sufficiente a dire infondata, anche solo nella prospettazione, la domanda risarcitoria, è il fatto che nessun pregiudizio concreto di natura patrimoniale viene allegato quale conseguenza immediata e diretta del provvedimento illegittimo adottato dal Ministero, con la conseguenza che non risulta integrato uno degli elementi costitutivi (il danno – conseguenza) della fattispecie risarcitoria. Si aggiunga, inoltre, che la paventata inibizione rispetto a ulteriori affidamenti infragruppo può aver inciso sul solo patrimonio delle società cui si sarebbe voluto affidare i lavori – queste essendo le uniche legittimate ad agire in via risarcitoria – non potendosi immaginare alcun danno per la società concessionaria. La richiesta di risarcimento del danno si sostanzia in tal caso in un’azione a beneficio di terzi, incompatibile con il regime del risarcimento del danno e con la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa.

15. In conclusione, l’appello va accolto in parte e, per l’effetto, va riformata la sentenza di primo grado con accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio nei sensi di cui in motivazione, respinti i motivi aggiunti ed ogni altra domanda.

16. La peculiarità della vicenda processuale e la parziale soccombenza giustificano la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio.

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