Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-05-02, n. 202304382

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-05-02, n. 202304382
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304382
Data del deposito : 2 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/05/2023

N. 04382/2023REG.PROV.COLL.

N. 08295/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8295 del 2020, proposto dalla Società Edison s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A T e R C, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio della seconda in Roma, via Salaria, n. 103,

contro

il Gestore dei Servizi energetici -GSE - s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A S e A P, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Panama, n. 68 e il Ministero dello Sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore , non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza ter, -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, avente ad oggetto aggiornamento dei dati caratteristici per il computo dei certificati verdi a seguito di rifacimento parziale di impianto idroelettrico.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi energetici - GSE – s.p.a. ;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 12 aprile 2023 il Cons. A M e uditi per le parti l’avvocato A T e l’avvocato A S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’odierno appello la Società Edison s.p.a. (d’ora in avanti, anche solo la Società o Edison) ha impugnato la sentenza segnata in epigrafe con la quale il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il suo ricorso avverso i provvedimenti del GSE che hanno aggiornato in diminuzione i parametri caratteristici del proprio impianto alimentato da fonti rinnovabili a seguito del rifacimento parziale dello stesso (provvedimento del G.S.E. del 13 novembre 2013, comunicato alla ricorrente il 20 novembre 2013, cui ha fatto seguito la liquidazione con nota dell’11 dicembre 2013, pure impugnata). Oggetto di gravame era altresì il sotteso d.m. 24 ottobre 2005 (« Aggiornamento delle direttive per l’incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ai sensi dell'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 »).

1.1. Va premesso in fatto che la Società è titolare di un impianto idroelettrico sul torrente -OMISSIS-, nel territorio di -OMISSIS-, denominato “-OMISSIS-”, oggetto di interventi consistiti in particolare nella sostituzione dei gruppi turbina alternatore e nella realizzazione di altre opere, con un dichiarato significativo incremento della capacità produttiva, essendo stata la potenza efficiente dell’impianto elevata da 30.8 a 36 MW.

1.2. La controversia consegue alla (asserita) riduzione della quota incentivata (e conseguente riduzione dei certificati verdi riconosciuti all’impianto), per un valore stimato pari a circa euro 800.000/00 all’anno, rispetto a quella riveniente dalla diversa individuazione dei parametri utili al relativo computo effettuata in sede di riconoscimento della qualifica IAFR, essendo stata modificata in aumento la produzione storica netta (da 118 a 128 GWh), e ridotto il c.d. “valore k” (che definisce il coefficiente di utilizzazione dell’impianto) da 1,105 a 1,018. Al momento della presentazione del progetto, infatti, il GSE, con atto del 1 agosto 2007, aveva accolto la richiesta qualificazione dello stesso come « rifacimento parziale » ai sensi del d.m. 24 ottobre 2005, aderendo alla proposta della Edison di riduzione della producibilità storica per effetto dell’imminente rilascio del deflusso minimo vitale (DMV) che sarebbe scattato il 1° gennaio 2008.

1.3. In primo grado il ricorrente aveva lamentato l’illegittimità del provvedimento per irragionevolezza, ingiustizia manifesta e contraddittorietà, in quanto occorreva tenere conto anche per il rifacimento parziale degli effetti sulla produzione della centrale della perdita determinata dal deflusso minimo vitale. Anche prescindendo da tale perdita, per il calcolo della “quota di energia incentivata” (ai fini dei certificati verdi), sarebbero stati messi a confronto valori eterogenei, ovvero quelli di produzione precedenti (determinati quando ancora non era operativo l’obbligo del deflusso minimo vitale) e quelli successivi al rifacimento parziale (che scontano invece ridetto deflusso minimo vitale);
l’illegittimità in tal senso del d.m. 24 ottobre 2005 si riverbererebbe necessariamente sul provvedimento del GSE del 13 novembre 2013. Quest’ultimo sarebbe inoltre lesivo del legittimo affidamento e in contrasto con i principi sull’autotutela amministrativa, poiché pur avendo con esso il GSE confermato la qualifica IAFR dell’impianto, ha rideterminato i parametri utili per l’emissione dei certificati verdi, con effetti drasticamente riduttivi, dopo che i lavori erano stati già eseguiti.

2. Il Tribunale adito ha respinto il ricorso condannando la società ricorrente al pagamento delle spese.

2.1. In particolare, il T.a.r. per il Lazio ha dato atto che « la normativa di riferimento prende in considerazione il deflusso minimo vitale, ai fini del calcolo dell’energia incentivabile, nelle ipotesi di potenziamento dell’impianto idroelettrico e non anche in quelle di rifacimento parziale dell’impianto », sussistente nel caso di specie. Quanto alle censure mosse al decreto, esse sarebbero prive di pregio in quanto « la diversità della tipologia di intervento giustifica dunque, sul piano della non irragionevolezza, una diversa modalità di calcolo dell’energia incentivabile ». Da qui anche l’assenza di lesioni al legittimo affidamento della Società ricorrente stante che « il G.S.E. non ha esercitato alcun potere di autotutela rispetto a un precedente provvedimento definitivo già emesso ».

3. Avverso tale pronuncia la Edison ha interposto appello avanzando tre distinti ordini di censure.

3.1. Con il primo motivo di gravame ha riproposto in chiave critica la corrispondente censura del ricorso di primo grado, avuto riguardo al d.m. 24 ottobre 2005, allegato A, § 1.1.2 e 3.1.2. Il T.a.r. avrebbe erroneamente determinato la produzione della centrale senza considerare anche la perdita dovuta al rilascio del deflusso minimo vitale, e ciò dando rilievo al dato testuale contenuto nel decreto ministeriale del 24 ottobre 2005, che consentirebbe di tenerne conto solo con riferimento agli interventi di potenziamento, laddove in una visione più ampia delle finalità degli incentivi occorrerebbe prescindere da tale lettura riduttiva. Inoltre in tal modo si sarebbe consentito di mettere a confronto valori eterogenei, quali quelli di produzione precedenti all’intervento, determinati quando ancora non era operativo l’obbligo del deflusso minimo vitale, e i valori della produzione successivi al rifacimento parziale, che scontano invece oggi il deflusso minimo vitale. Ne conseguirebbe anche un’ingiustizia manifesta, stante che a carico dell’operatore, ai fini della liquidazione dei certificati verdi maturati dopo un rifacimento parziale, verrebbe a gravare un onere – l’obbligo di rilascio delle acque per il deflusso minimo vitale - che invece è irrilevante per gli interventi che non comportano incrementi di producibilità.

3.2. Con il secondo motivo di appello ha censurato la sentenza nella parte in cui non ha valutato, a monte, i lamentati profili di illegittimità del decreto ministeriale del 2005, destinati a ripercuotersi sulla regolarità dei provvedimenti impugnati. Stante che comunque sia per gli interventi di potenziamento che per quelli di rifacimento parziale si sarebbe dato luogo ad un incremento della produzione di energia (nel caso di specie da 30.8 a 36 MW), con conseguente obbligo di rilasciare il minimo deflusso vitale, il diverso regime giuridico perpetrerebbe una irrazionale e ingiustificata disparità di trattamento. Solo per gli interventi di potenziamento, infatti, è pacifico che si debba tener conto « delle eventuali modifiche normative in merito al minimo deflusso costante vitale, eventualmente intervenute successivamente all’intervento di potenziamento, aggiungendo il corrispondente valore di produzione di energia elettrica » (v. art.

3.2.1 dell’allegato A al d.m. 24 ottobre 2005). Da qui la illegittimità del d.m. 24 ottobre 2005 nella parte in cui discrimina, rispetto al deflusso minimo vitale, gli interventi di rifacimento parziale da quelli di potenziamento, con conseguente riverbero del vizio sul provvedimento del G.S.E. che al decreto ha dato attuazione.

3.3. Con un terzo motivo di appello, infine, sono state riproposte le censure inerenti la presunta violazione del principio dell’affidamento e di quelli che sovrintendono l’autotutela decisoria. La Società, infatti, come poc’anzi ricordato, prima di dar corso ai lavori di rifacimento parziale aveva richiesto al GSE il riconoscimento della qualifica IAFR, con l’indicazione dei parametri utili per l’emissione dei certificati verdi, e solo sulla base dei dati comunicatile (con atto del 1 agosto 2007) aveva positivamente valutato la fattibilità economica dell’operazione e proceduto alla sua realizzazione. Da qui la lesione dell’affidamento riposto sull’entità del beneficio, ridotto drasticamente col provvedimento del 13 novembre 2013, ad intervento ormai ultimato.

3.3.1. Né sarebbe sufficiente ad escludere l’applicabilità degli invocati principi in materia di autotutela l’affermazione del primo giudice che nel caso di specie si versi piuttosto nell’ambito del diverso potere di vigilanza e controllo del GSE, stante che ogni qualvolta l’amministrazione intervenga non annullando formalmente un proprio atto, ma adottando comunque, in presenza di una medesima fattispecie, un nuovo provvedimento, incompatibile nei suoi contenuti con quello precedente, gli stessi dovrebbero trovare applicazione. D’altro canto, il mero riferimento a poteri di “controllo e di verifica” del GSE, quale fondamento dell’esclusione dall’applicabilità dei principi sull’autotutela, è già stato smentito dalla giurisprudenza (v. Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2019, n. 5324, la cui portata la sentenza appellata ha inteso minimizzare), e ha per contro trovato conferma nella novella all’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 apportata dall’art.56 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni nella legge 11 settembre 2020, n. 120, che fa ora espresso rinvio ai « presupposti di cui all’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 » con riferimento ai provvedimenti (di decadenza) adottati nell’esercizio dei poteri di controllo del GSE.

4. Il GSE si è costituito in giudizio per resistere all’appello, versando in atti successiva memoria e memoria di replica per controdedurre alle argomentazioni della Società, in difesa della ricostruzione prospettata dal primo giudice.

5. La Società a sua volta ha depositato memoria e memoria di replica. In particolare con quest’ultima a ulteriore sostegno di quanto dedotto con il terzo motivo di appello, ha evidenziato la comunanza contenutistica dei due provvedimenti del GSE, entrambi aventi quale presupposto valutativo la produzione netta di riferimento storico, che il successivo va a “rivisitare”, con ciò confermando trattarsi di un atto per il quale avrebbero dovuto operare le regole che caratterizzano il potere di autotutela. Né varrebbe in senso contrario sostenere che la rettifica di valore effettuata nel provvedimento impugnato sarebbe riconducibile a un potere di vigilanza e di controllo che sfuggirebbe a tali principi, giusta la applicabilità degli stessi ogni qualvolta si torna sul contenuto di un atto precedente, modificandolo, come confermato dallo stesso legislatore.

5.1. Sul punto, il GSE ha ricordato come la modifica all’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, introdotta dall’art. 56, comma 7, del d.l. n. 76 del 2020, non è applicabile alla fattispecie in esame, non avendo esercitato alcun potere in autotutela e, in ogni caso, non avendo l’appellante presentato l’istanza prevista dal comma 8 della medesima disposizione.

6. All’udienza del 12 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Il Collegio ritiene l’appello infondato.

8. Al fine di correttamente perimetrare la fattispecie in controversia, si rende necessaria una breve sintesi dei principi generali operanti nel sistema di incentivazione dei c.d. “certificati verdi” (CV), cui la stessa deve essere ricondotta.

8.1. Ridetto sistema, che prende il nome della documentazione dimostrativa dell’adempimento ai relativi obblighi (ovvero i certificati verdi, appunto), è stato introdotto in Italia con il d.lgs. del 16 marzo 1999, n. 79, di attuazione della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno della stessa. In via del tutto descrittiva e semplificante, si può affermare che si tratta(va) di titoli scambiabili/negoziabili sul mercato, corrispondenti ad una certa quantità di emissioni di CO2, conferiti a titolo gratuito dal GSE al gestore di un impianto (alimentato da fonti rinnovabili). Il relativo criterio di incentivazione, basato su regole di mercato e quindi più confacente al contesto di liberalizzazione nel quale si inseriva, consisteva nell’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il primo aprile 1999. Tale quota, inizialmente fissata al 2%, e applicata sulla produzione e sulle importazioni dell’anno precedente, è stata via via modificata dalla normativa sopravvenuta.

8.2. A monte del rilascio del certificato si colloca(va) la qualificazione dell’impianto come “alimentato da fonti rinnovabili” (qualifica “IAFR”, secondo il relativo acronimo). Essa, cioè, costituiva il riconoscimento tecnico necessario per l’ammissione a ridetti meccanismi di incentivazione, sostanzialmente prodromico alla loro operatività.

8.3. Il sistema peraltro ha evidenziato da subito una serie di criticità che ne hanno imposto modifiche e aggiustamenti, effettuati con una corposa stratificazione normativa. Da ultimo, con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, si è previsto il graduale superamento del meccanismo di mercato basato sui certificati verdi, sostituendolo con altro, di tipo feed in tariff .

8.3.1. Anche la disciplina secondaria - originariamente emanata sulla base dell’art. 11 del d.lgs. n. 79 del 1999- ha necessariamente subito progressivi adeguamenti ai mutamenti della fonte primaria.

Nel caso di specie, essendo stata l’istanza della Società presentata in data 3 maggio 2007, quella applicabile va individuata nel d.m. 24 ottobre 2005, che per la parte di specifico interesse ha grosso modo riprodotto la disciplina contenuta nei provvedimenti precedenti e traslata nei successivi.

8.3.2. Tale decreto ministeriale all’art. 2, rubricato « Definizioni », ha declinato sia la nozione di « potenziamento o ripotenziamento » (lett. f) che quella di « rifacimento parziale » (lett. h), circoscritta, a differenza della prima, agli interventi effettuati su impianti idroelettrici e geotermoelettrici « in conformità all’allegato A ». In maggior dettaglio ridetto allegato dedica l’intero paragrafo 1 alla disciplina dei « Rifacimenti parziali di impianti elettrici », richiedendo per la relativa sussistenza che si verifichino almeno le seguenti due condizioni (§ 1.1.2): « a) l’impianto è entrato in esercizio da almeno 15 anni, qualora abbia una potenza nominale inferiore a 10 MW, ovvero da almeno 30 anni qualora abbia una potenza nominale uguale o superiore a 10 MW;
a tal fine, la data di entrata in esercizio corrisponde al primo parallelo dell’impianto nella rete elettrica, e il periodo di esercizio minimo degli impianti è valutato rispetto alla data di entrata in esercizio dell’impianto a seguito dell’intervento di rifacimento parziale;
b) si prevede la completa sostituzione con nuovo macchinario di tutti i gruppi turbina-alternatori esistenti
». Nelle ipotesi di rifacimento parziale idroelettrico le modalità di calcolo dell’energia incentivabile sono previste dal punto 1.2.1 del medesimo allegato, che con riferimento alla quota di produzione annua qualificata individua una precisa formula matematica: « Ecvi =(Eaj-Es) + K (f+g) x Es » dove « Ecvi » è la produzione annua netta di un generico anno “i” dopo l’intervento, « Eaj » è la producibilità attesa, « Es » la produzione netta di riferimento storica dell’impianto e « K » il coefficiente che tiene conto del grado di utilizzazione relativo dell’impianto stesso.

8.3.3. Sia la producibilità attesa che quella storica sono a loro volta oggetto di autonome definizioni, che pertanto completano il quadro della disciplina, riempiendo di contenuto concreto la astratta formula sopra riportata. In maggior dettaglio la « producibilità attesa dopo l’intervento di rifacimento parziale » (punto 1.1.5) è « la produzione annua netta ottenibile a seguito dell’intervento di rifacimento parziale espressa in MWh, valutata in base alle caratteristiche del progetto di rifacimento parziale e dei dati storici di produzione »;
invece la « produzione storica dell’impianto prima del rifacimento parziale » (punto 1.1.4) è data dalla « media aritmetica della produzione netta effettivamente realizzata annualmente negli ultimi 10 anni espressa in MWh […]», scomputando quelli di fermo eccedenti le normali esigenze manutentive, anche a causa di eventi alluvionali esterni. « In tal caso verranno considerati in sostituzione gli anni precedenti ».

8.4. Il paragrafo 3 del medesimo allegato declina invece la nozione di « potenziamento degli impianti idroelettrici » (laddove, come meglio chiarito nel prosieguo, nel testo del decreto la nozione di « potenziamento » ha portata più generale, non circoscritta, cioè, solo a tale tipologia di impianti), richiedendo che « l’intervento effettuato per consentire l’aumento della producibilità deve comportare un costo specifico minimo […]» (§3.1.2);
perché venga riconosciuto il potenziamento dell’impianto idroelettrico, il valore del suo costo specifico (“p”, dato dal « rapporto tra il costo totale dell’intervento e la potenza nominale dell’impianto dopo il potenziamento » ) deve risultare non inferiore a 0,10 (v. § 3.1.3, relativo al « Costo minimo del potenziamento idroelettrico »). La quota di produzione annua qualificata ai potenziamenti degli impianti idroelettrici, espressa in MWh, è data da una specifica formula (« Ecvj = 0,05 X Eaj »). Solo con riferimento a ridetto potenziamento, nella determinazione del valore della producibilità netta attesa (Eaj) « si tiene conto delle eventuali modifiche normative in merito al minimo deflusso costante vitale, eventualmente intervenute successivamente all’intervento di potenziamento, aggiungendo il corrispondente valore di produzione di energia elettrica » (§ 3.2).

9. Va ora ricordato come il termine “deflusso minimo vitale” (DMV) figuri per la prima volta nella legge 18 maggio 1989, n. 183, recante norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, che ad esso faceva riferimento nel corpo dell’art. 3, lett. h), quale limite da rispettare nella cura del risanamento delle acque superficiali e sotterranee allo scopo di fermarne il degrado. Il relativo contenuto è stato ripreso dall’art. 56 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Testo unico ambientale), che egualmente, nel declinare le « attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione » degli interventi a tutela del suolo, di lotta alla desertificazione e di tutela delle acque dall’inquinamento, prevede che « la razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde » garantisca comunque che « l’insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo deflusso vitale negli alvei sottesi ».

In termini più generali, l’art. 12 bis , introdotto nel r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici) dal d.lgs. 12 luglio 1993, n. 275, poi sostituito dall’art. 96, comma 3, del richiamato d.lgs. n. 152 del 2006, ha subordinato il rilascio del provvedimento di concessione di acque al fatto che esso garantisca « il minimo deflusso vitale […]» (comma 1, lett. b).

9.1. Con tale termine, si intende dunque, come ben ricostruito dal primo giudice e desumibile dalla richiamata cornice normativa, « quel quantitativo di acqua rilasciata da una qualsiasi opera di captazione sull’asta di un lago, fiume, torrente, o qualsiasi corso d’acqua, in grado di garantirne la naturale integrità ecologica, seppure con popolazione ridotta, con particolare riferimento alla tutela della vita acquatica ». Esso deve essere considerato, cioè, come portata residua, in grado di permettere a breve e a lungo termine, la salvaguardia della normale struttura naturale dell’alveo.

10. Chiarito quanto sopra, può ora passarsi allo scrutinio del merito della controversia.

11. Seppure l’appellante articoli distinti motivi di censura, i primi due possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della sostanziale omogeneità giuridica delle argomentazioni addotte. Con esse, cioè, viene censurata la (diversa) modalità di calcolo degli incentivi in relazione all’atto applicativo, ovvero al suo presupposto normativo, id est il d.m. 24 ottobre 2005, e segnatamente la rilevanza - recte , l’omessa rilevanza - attribuita al MDV nei casi di rifacimento parziale rispetto a quelli di potenziamento degli impianti.

12. Al riguardo, il primo giudice ha evidenziato come « la normativa di riferimento prende in considerazione il deflusso minimo vitale, ai fini del calcolo dell’energia incentivabile, nelle ipotesi di potenziamento dell’impianto idroelettrico e non anche in quelle di rifacimento parziale dell’impianto ». Di ciò è pienamente consapevole anche la Società, laddove conclude l’enunciazione del primo motivo di appello ipotizzando di sorvolare sul contenuto letterale -inequivoco- dei §§ 1.1.2 e 3.1.2 dell’allegato A al d.m. 24 ottobre 2005, addivenendo ad una lettura teleologicamente orientata agli obiettivi specifici della disciplina di settore.

13. Il Collegio è pienamente consapevole che la finalità di tutela ambientale sottesa al meccanismo incentivante dei CV non consente una lettura della relativa disciplina in un’ottica puramente economica o meccanica, comunque avulsa dalla cornice delle prescrizioni ambientali che regolano le attività produttive di riferimento, con la quale anzi essa deve necessariamente armonizzarsi. Ritiene tuttavia che proprio che tali esigenze, in quanto poste alla base della diversificazione della disciplina degli incentivi in ipotesi di potenziamento rispetto a quelle di rifacimento parziale degli impianto, conducano a soluzioni di senso diametralmente opposto, nel pieno rispetto peraltro del chiaro enunciato normativo al riguardo.

13.1 Come la Sezione ha già avuto modo di affermare in una controversia che ha peraltro interessato la medesima Società (cfr. Cons. Stato, sez. II, 19 agosto 2021, n. 5933), la distinzione tra « potenziamento » e « rifacimento » non può essere neutralizzata, giusta la sostanziale differenza che ne connota i contenuti, ribadita peraltro in tutti i decreti che si sono succeduti nel tempo, a far data dal primo, del 1999. Ed è su tale differenza “strutturale” che si basa la scelta, proprio per tale ragione tutt’affatto arbitraria o, men che meno, discriminatoria, di utilizzare formule di calcolo completamente diverse, valorizzando elementi che in un caso assumono rilievo, mentre nell’altro, giusta la natura dell’intervento, no.

13.1.2. Elemento costitutivo messo immediatamente in luce a livello definitorio del « potenziamento », infatti, è la necessità che esso miri ad una « producibilità aggiuntiva » dell’impianto (v. ancora art. 2, lett. f), intesa come aumento di produzione annua netta, espresso in MWh, rispetto alla producibilità prima dell’intervento, quale risultato atteso dallo stesso. Esso risponde, cioè, ad una libera scelta dell’operatore che intende incrementare la funzionalità dell’impianto, laddove il rifacimento si concretizza nella mera sostituzione con nuovo macchinario di tutti i gruppi turbina-alternatori esistenti, rispondendo piuttosto ad esigenze di adeguamento tecnologico/ristrutturazione, seppure comprensivo anche di opere di miglioramento dell’inserimento ambientale dell’impianto, la cui producibilità attesa rientra nella formula di calcolo della produzione di energia elettrica degli impianti riconosciuti e qualificati come rifacimenti parziali. La richiesta di rifacimento parziale, peraltro, comporta finanche la non ammissibilità della richiesta di potenziamento nell’ambito dello stesso intervento (§ 1.2.1, ultimo capoverso) a riprova ulteriore della netta distinzione sussistente tra le due tipologie. Sul punto, non può che condividersi la ricostruzione del primo giudice, che ravvisa nella ontologica differenza tra le due tipologie la ratio della diversificazione della scelta di regime giuridico, ferma restando la possibilità per l’azienda, laddove la situazione concreta sia sussumibile ad entrambi i paradigmi definitori, di accedere a quello ritenuto più vantaggioso. Scelta che la Edison non ha evidentemente potuto o voluto effettuare, giusta l’inoltro di un’istanza di qualifica IAFR per un progetto di « rifacimento parziale », salvo lamentare ex post una discriminazione inesistente.

In sintesi, l’obiettivo di un risultato incrementale è parte costitutiva del « potenziamento », pur non potendosi escludere che attenga anche ad un « rifacimento », ma non connotandone l’esistenza. « Ciò non toglie, evidentemente, che si debba comunque tendere ad un miglioramento anche in caso di interventi di rifacimento e che lo stesso si risolva in qualche modo in un potenziamento;
ma la differenza concettuale tra le due nozioni, confermata anche dalla diversità dei presupposti di preesistenza dell’impianto
[…] resta di palpabile percezione, sì da non consentire l’assorbimento dell’una tipologia nell’altra » (v. ancora Cons. Stato, n. 5933/2021). Rispetto al requisito della preesistenza temporale, il d.m. del 2005 prevede 5 anni perché possa parlarsi di potenziamento o ripotenziamento (così come il successivo del 2008, cui fa riferimento la pronuncia poc’anzi richiamata), ma ne richiede addirittura 15, qualora l’impianto abbia una potenza nominale inferiore a 10 MW, ovvero 30, se la potenza è uguale o superiore (che diverranno 10 nel d.m. successivo). Tale vetustà non si palesa neutra rispetto all’esigenza di intervenire, che nel primo caso si prefigge di incrementare la produzione, nel secondo potrebbe conseguire semplicemente ad una necessità di manutenzione, lato sensu intesa.

13.1.3. E ancora: mentre per il « rifacimento parziale » l’asse definitorio è centrato sulla tipologia dell’impianto (idroelettrico e geotermolettrico) prima che sulla natura della modifica, il concetto di « potenziamento e ripotenziamento » è declinato in termini generali, purché, come già detto, si connoti per la finalità di conseguire la producibilità aggiuntiva. Solo l’allegato si concentra sulla specifica ipotesi in cui l’intervento riguardi un impianto idroelettrico, e finisce per introdurre ulteriori elementi di diversificazione che integrano la parte definitoria generale accentuandone la coloritura finalistica e qualitativa: l’intervento effettuato « per consentire l’aumento della producibilità » deve infatti comportare un costo specifico medio corrispondente ad un determinato valore e il suo completamento deve avvenire entro dodici mesi dalla data di inizio dei lavori, comunicata dal produttore al Gestore della Rete.

14. La differenza ontologica - e teleologica- fra le due tipologie di interventi, che si risolve nell’utilizzo di formule di individuazione del regime tariffario completamente diverse e tutt’affatto sovrapponibili, come chiarito, ben giustifica il diverso rilievo attribuito (in un caso e non nell’altro) al DMV, limitandosi peraltro a prevedere l’incidenza sullo stesso (ovvero sul potenziamento) delle sopravvenienze normative.

15. A ciò consegue la infondatezza del primo motivo di appello e, specularmente, anche del secondo, stante che la diversificazione delle scelte di computo dell’incentivo trova giustificazione nella differente natura, consistenza e finalità dell’intervento posto in essere.

16. Resta pertanto da valutare il terzo motivo di gravame, con il quale la Società, volendo comunque ricondurre la scelta di (ri)determinazione degli importi dei CV ad un procedimento di secondo livello, ne invoca anche i principi, in primo luogo la tutela dell’affidamento ingenerato sulla possibilità di attingere a risorse economiche più corpose per l’effettuazione dell’intervento.

17. La ricostruzione non può essere condivisa.

17.1. Come chiarito nei paragrafi precedenti, la qualifica IAFR costituisce momento prodromico e condizionante l’accesso ai certificati verdi, ma non ne esaurisce il contenuto. Ai sensi dell’art. 4, comma 3, del più volte richiamato d.m. 24 ottobre 2005 - ma analoga disposizione è contenuta nei decreti antecedenti e successivi - il produttore presenta apposita domanda al Gestore della Rete per il riconoscimento della qualifica de qua , per quanto di specifico interesse anche in caso di rifacimenti parziali di impianti idroelettrici, con riferimento ai quali la quota di energia ammessa al rilascio dei certificati verdi « a seguito dell’intervento » è quella che verrà determinata dal Gestore della rete secondo i criteri indicati nell’Allegato A. L’emissione dei certificati verdi « è subordinata alla verifica della attendibilità dei dati forniti » (art. 5, comma 8). Il GSE può anche disporre controlli sugli impianti in esercizio o in costruzione.

17.2. Rileva dunque il Collegio come i dati riportati nella qualifica IAFR non hanno alcuna valenza costitutiva del (futuro) credito al rilascio dei certificati verdi, costituendo solo il primo segmento di una fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona al momento delle verifiche sulla attendibilità degli stessi, originariamente anche semplicemente mutuati dalle indicazioni della parte, una volta che l’intervento astrattamente legittimato ad accedere ai certificati sia stato effettuato.

17.3. Tali scansioni procedurali consentono di mutuare anche con riferimento al regime dei certificati verdi i principi consolidati in giurisprudenza in relazione ai successivi sistemi incentivanti, alla stregua dei quali « fino allo svolgimento dell’attività di controllo e al suo positivo superamento nessun legittimo affidamento può crearsi nella parte privata in relazione alla sussistenza e alla debenza degli incentivi, tenuto conto che le verifiche hanno proprio la finalità di appurare tale situazione » (Cons. Stato, sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 9). Nel caso di specie, dunque, l’atto di qualificazione, datato 1 agosto 2007, ha solo indicato « preliminarmente » quale « produzione netta storica » 118.000 MWh e quale coefficiente di utilizzazione dell’impianto 1,105. Ciò presumibilmente in formale adesione preventiva alla prospettazione della parte, che aveva tenuto conto della riduzione della producibilità storica per effetto dell’imminente rilascio del DMV che sarebbe scattato il 1° gennaio 2008, così utilizzando un criterio di calcolo dettato solo per il potenziamento e non estensibile al rifacimento parziale. Solo al momento del rilascio dei certificati, effettuata la verifica della attendibilità dei dati forniti, se ne è quantificato correttamente l’importo, determinandolo in sostanza per la prima volta, e dunque non a rettifica di una precedente scelta.

Si è cioè in una fase di controllo e di verifica addirittura antecedente a quello (che comunque residua in capo al GSE) successivo alla concessione del beneficio, in quanto attinente ancora alla fase dell’istruttoria, giusta la omessa adozione, fino a quel punto, dell’atto costitutivo del credito dei certificati che la Società avrebbe poi potuto richiedere. Solo con il provvedimento impugnato, cioè, del 13 novembre 2013, si è chiuso il ciclo delle interlocuzioni endoprocedimentali e valorizzato l’atto (pregiudiziale e necessario, ma distinto) di qualificazione dell’impianto come incentivabile, determinando l’importo dell’incentivo stesso. Ciò ferme restando le successive verifiche ai sensi degli artt. 23 e 43 del d.lgs. n. 28 del 2011.

18. Né la natura di tale potere istruttorio, prima ancora che di controllo, è mutata ovvero diversamente “colorita” a seguito della modifica all’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, introdotta dall’art. 56, comma 7, del d.l. n. 76 del 2020, che si è limitato a assoggettare l’esercizio del potere di decadenza alla verifica dei presupposti di cui all’articolo 21 novies della l. 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 18 del 2020 e giurisprudenza ivi richiamata), sicché esso pure é accomunato a quello di autotutela limitatamente ai presupposti, senza condividerne l’essenza.

19. Per tutto quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto.

20. La complessità della materia trattata, giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.

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