Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-03-01, n. 202402000

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-03-01, n. 202402000
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202402000
Data del deposito : 1 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/03/2024

N. 02000/2024REG.PROV.COLL.

N. 04170/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4170 del 2022, proposto da
Energia 4.0 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G R e A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Aurelio Giunchi in Roma, V. C. Alberto n. 8;

contro

Regione Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato C M S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Dirigente della P.F. credito, cooperative, commercio e tutela dei consumatori, Responsabile del procedimento, Servizio attività produttive, lavoro e istruzione, P.F. Credito, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 816/2021, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Marche;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2024 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e udito per le parti l’avvocato Giunchi, in dichiarata delega dell'Avv. Ranci Alessandra;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La controversia riguarda la revoca del contributo concesso della Regione Marche con decreto n. 122 del 2020, di cui al decreto n. 193 del 14 novembre 2020.

2. Il provvedimento è stato impugnato, insieme con la comunicazione 11 dicembre 2020 e gli atti precedenti e presupposti, compresa la nota 7 aprile e la nota 22 settembre 2020, contenente il preavviso di revoca e decadenza del contributo, davanti al Tar Marche da Energia 4.0 s.r.l.

3. Il Tar, con sentenza 22 novembre 2021 n. 816, ha respinto il ricorso.

4. La società ha appellato la sentenza con ricorso n. 4170 del 2022.

5. Nel corso del presente grado di giudizio si è costituita la Regione Marche, che ha segnalato, con nota depositata in giudizio il 2 gennaio 2024, “ l’evento interruttivo, rappresentato dalle dimissioni dell’avv. C M S, del giudizio ai sensi dell’art. 79 co.2 c.p.a. ”.

6. All’udienza del 15 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Il Collegio affronta prioritariamente la questione pregiudiziale che origina dal fatto che l’unico avvocato costituito nel presente giudizio per rappresentare e difendere la Regione Marche, iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo di Ancona, si è dimesso dalla suddetta Regione e ha chiesto la cancellazione dall’elenco speciale annesso all’albo di Ancona per trasferimento presso l’Avvocatura del Comune di Campobasso e iscrizione nell’elenco speciale annesso all’albo di Campobasso.

A seguito di detta evenienza l’avvocato dirigente presso l’Avvocatura della Regione Marche, ha segnalato, con nota depositata in giudizio il 2 gennaio 2024, “ l’evento interruttivo, rappresentato dalle dimissioni dell’avv. C M S, del giudizio ai sensi dell’art. 79 co.2 c.p.a. ”.

Con ordinanza presidenziale 8 gennaio 2024 n. 7 è stato disposto un incombente istruttorio al fine di acquisire informazioni circa le dimissioni dell’avvocato S e l’organico dell’ufficio legale della Regione Marche.

Sono state quindi acquisite le seguenti informazioni:

- in data 29 novembre 2023 l’avvocato S ha comunicato le dimissioni a far data dal primo gennaio 2024;

- con nota 7 dicembre 2023 l’Amministrazione regionale, e precisamente la Direzione risorse umane, ha preso atto delle dimissioni;

- l’Avvocatura regionale consta di cinque avvocati abilitati al patrocinio innanzi alle magistrature superiori, di cui due dirigenti, quattro avvocati non abilitati alle magistrature superiori e un organico di trentuno dipendenti appartenenti al personale amministrativo, di cui un dirigente.

Con nota depositata il 25 gennaio 2024 la controparte appellante ha chiesto di proseguire il giudizio non ravvisando i presupposti della relativa interruzione.

7.1. In via pregiudiziale, occorre individuare le conseguenze processuali della comunicazione depositata il 2 gennaio 2024 da parte della Regione Marche e valutare se vi sono i presupposti per l’interruzione del processo.

7.2. Le vicende che interessano il rappresentante tecnico della parte nel corso del processo sono disciplinate in modo espresso da due disposizioni del codice di procedura civile, applicabili al processo amministrativo in base all’art. 79 comma 2 c.p.a. Le due disposizioni sono l’art. 85 e l’art. 301 c.p.c.

Ai sensi dell’art. 301 comma 1 c.p.c. “ Se la parte è costituita a mezzo di procuratore, il processo è interrotto dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore stesso ”: la fattispecie presuppone la morte, radiazione o sospensione del procuratore e produce l’effetto dell’interruzione del processo. A dette ipotesi sono state equiparate la cancellazione d’ufficio dall’albo (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2012 n. 1355), almeno nel caso in cui sia originata da motivi disciplinari (Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2009 n. 10112), e la cancellazione volontaria nei casi in cui l’avvocato versi in una delle situazioni che dà luogo alla cancellazione d’ufficio (Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2001 n. 12294).

Con il comma 3 dell’art. 301 è precisato che “ Non sono cause d'interruzione la revoca della procura o la rinuncia ad essa ”, così rimandando all’art. 85 c.p.c. (nei termini illustrati infra ). In base all’art. 85 La procura può essere sempre revocata e il difensore può sempre rinunciarvi, ma la revoca e la rinuncia non hanno effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore ”: la fattispecie presuppone la rinuncia al mandato o la revoca del mandato e produce quale effetto l’ultrattività del mandato fino al subentro del nuovo difensore.

I presupposti di entrambe le fattispecie (delineate dagli artt. 85 e 301 comma 1 c.p.c.) non coprono l’intero novero delle possibili vicende che possono interessare il difensore nel corso del processo. In particolare non rientra nell’ambito letterale di applicazione di alcuna delle due disposizioni la cancellazione volontaria dall’albo degli avvocati.

7.3. Il trattamento processuale riservato dalla giurisprudenza alla cancellazione volontaria dall’albo è indicativa dell’esegesi compiuta delle suddette due disposizioni normative, oltre al fatto che il caso di specie presenta elementi di similitudine con l’ipotesi della cancellazione volontaria dall’albo dell’avvocato libero professionista (oltre a elementi che lo distinguono, come si vedrà infra ).

Secondo una prima impostazione, il difensore che si cancella volontariamente dall’albo perde lo ius postulandi ed è quindi impossibilitato all’ulteriore esercizio della professione forense.

È quindi inapplicabile il principio di ultrattività del mandato di cui al combinato disposto dell’art. 301 comma 3 c.p.c. e dell’art. 85 c.p.c.

La conseguenza sarebbe l’applicazione dell’art. 301 comma 1 c.p.c. in base a una interpretazione costituzionalmente orientata, e quindi “ in funzione di garanzia del diritto di difesa della parte rappresentata dal difensore cancellatosi dall'albo, tale da ricomprendere tra le cause di interruzione del processo, in via estensiva o analogica, anche l'ipotesi di cancellazione volontaria dall'albo ” (Sez. un. 21 novembre 1996 n. 10284 e Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2016 n. 925).

Nella diversa prospettiva ermeneutica di cui ad altre sentenze della Corte di cassazione (Cons. St., sez. IV, 19 gennaio 2018 n. 334 e Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2012 n. 10301) in caso di cancellazione volontaria dall’albo:

- non si verte in ipotesi di applicazione dell'art. 301 comma 1 c.p.c., che riguarda ipotesi diverse, tutte accomunate dall'essere la perdita dello ius postulandi per effetto non di un'azione volontaria, ma d’un evento esterno alla volontà dell'avvocato e da lui non controllabile;

- la cancellazione volontaria dall'albo produce, quale effetto indiretto, la rinuncia da parte dell'avvocato allo ius postulandi di cui dispone, in concreto, per tutti i propri clienti e, dunque, in ultima analisi, la rinuncia a tutti i mandati conferitigli;

- “ ciò consente l'applicazione, sia pure sotto il solo lato passivo del potere di rappresentanza (vale a dire sotto il profilo della ricezione degli atti indirizzati alla parte rappresentata), del combinato disposto dell'art. 85 c.p.c., e art. 301 c.p.c., comma 3 ”;

- non si pone una questione di tutela del diritto di difesa del destinatario della notifica o del contraddittorio, considerate le regole che disciplinano, sul piano privatistico, il rapporto di mandato e la possibilità, sempre riconosciuta al cliente, di sostituire il difensore.

Secondo le sezioni unite del 2017 l’art. 85 c.p.c. in combinato disposto con l'art. 301 c.p.c., comma 3, per cui la rinuncia al mandato non ha effetto sino alla sostituzione del difensore ” è inapplicabile alla cancellazione volontaria dall’albo mentre “ deve darsi continuità alla giurisprudenza di queste S.U. nella parte in cui si afferma la necessità d'una interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 301 c.p.c., comma 1, in funzione di garanzia del diritto di difesa, tale da ricomprendere tra le cause di interruzione del processo anche l'ipotesi di cancellazione volontaria dall'albo ” (Sez. un. 13 febbraio 2017 n. 3702 e Cass. civ., sez. VI - 3, ordinanza 6 ottobre 2020 n. 21359, nonché, fra le altre, Cons. St., sez. IV, 11 marzo 2022 n.1734).

7.4. Il Collegio ritiene di dover approfondire, per scrutinare la questione pregiudiziale all’esame di questo Giudice, l’esegesi delle due disposizioni di legge, l’art. 85 e l’art. 301 comma 1 c.p.c., nel cui ambito di applicazione sono state ricondotte vicende del difensore non ricomprese in modo espresso nel relativo ambito di applicazione al fine di applicare i relativi effetti processuali.

Rileva in particolare, anche per comprendere la prospettiva attraverso la quale interpretare la disciplina processuale de quo , il bene giuridico che sta alla base di detta disciplina.

Quest’ultima costituisce il risultato del bilanciamento fra due beni di rilievo costituzionale, il diritto di difesa e il giusto processo nella particolare declinazione riguardante la ragionevole durata del processo.

La disciplina delle conseguenze processuali di eventi che possono incidere sullo ius postulandi serve infatti a garantire il diritto di difesa e l’effettività del contraddittorio, evitando alle parti che hanno l’astratta possibilità di compiere atti del processo di trovarsi nella situazione di non avere la concreta possibilità di farlo.

Allorquando intervengono, nel corso del processo, eventi che colpiscono, in qualche misura, il difensore, le ragioni della difesa imporrebbero di evitare che il processo prosegua fino alla definizione della controversia: ciò in effetti disponeva il codice del 1865, che prevedeva l’interruzione in tutti i casi di cessazione della rappresentanza tecnica. L’art. 334 di detto codice faceva infatti riferimento alla cessazione dalle funzioni del procuratore tra le fattispecie interruttive del processo, laddove il lemma “cessazione” “ oggettivamente evocava qualsiasi ipotesi di cessazione volontaria o coatta dall'esercizio della professione e, quindi, qualsiasi caso di cancellazione dall'albo ”, arrivando a ritenere che “ vi fosse compresa la rinuncia o la revoca della procura ” (Sez. un. 13 febbraio 2017 n. 3702).

La disciplina delle vicende che interessano il difensore nel corso del processo è quindi potenzialmente idonea a incidere sullo stesso arrestandolo fino al momento nel quale è ripristinato lo ius postulandi , sollecitando il profilo temporale del processo in senso opposto alla garanzia della durata più breve possibile dello stesso.

L’art. 111 comma 2 Cost., in quanto prevede la garanzia della ragionevole durata del processo (così come l’art. 6 Cedu), rappresenta, in detta prospettiva, il contraltare del diritto di difesa.

Gli istituti de quo si pongono quindi al crocevia fra dette esigenze e costituiscono il risultato del bilanciamento fra il diritto di difesa e la garanzia di ragionevole durata del processo, così assicurando il primo nei limiti strettamente necessari e nel modo meno gravoso possibile per il secondo.

7.5. In termini generali può affermarsi che il diritto di difesa:

- è diritto inviolabile ai sensi dell’art. 24 Cost. ed è funzionale all’attuazione del contraddittorio di cui all’art. 111 comma 2 Cost.;

- non si può svolgere “ senza la conoscenza delle situazioni di fatto obbiettive o subiettive cui la legge ricollega, condiziona o subordina, in virtù di oneri, preclusioni e decadenze, il concreto esercizio del diritto di difesa ” (Corte cost. 15 dicembre 1967 n. 139);

- presuppone “ l'effettiva assistenza tecnica e professionale, così da consentire alle parti di far valere, attraverso un regolare contraddittorio, le proprie ragioni ” (Corte cost. 2 dicembre 1970 n. 178), sempre che l’assistenza professionale sia prevista come necessaria;

- comporta che la difesa tecnica sia garantita in tutti i casi nei quali (la maggior parte) non è consentita la difesa personale, sia assicurata in ogni stato e grado del processo e sia assicurata a vantaggio di tutti i contendenti.

La rappresentanza tecnica è funzionale a consentire alla parte di affidare la cura dei propri interessi a un soggetto che, per le cognizioni specialistiche e per il rapporto di fiducia intercorrente con la parte, sia in grado di difendere la stessa.

Laddove, come nel processo de quo , la rappresentanza tecnica è necessaria, la ratio è l’esigenza di garantire che gli atti del processo siano compiuti da soggetti il quali sappiano utilizzare gli strumenti processuali e di difesa in modo adeguato sia alle esigenze difensive, sia al buon funzionamento del processo: l'esercizio del ministero del difensore, in giudizi nei quali il ministero medesimo è necessario, “ deve essere assicurato in modo effettivo ed adeguato, indipendentemente dal fatto che la parte voglia valersene ” (Corte cost. 15 dicembre 1967 n. 139 e 6 luglio 1971 n. 159).

È coerente con detto contesto costituzionale la configurazione della disposizione che stabilisce l’obbligo di assistenza tecnica, così come le norme che disciplinano l'esercizio della professione di avvocato e procuratore e quelle che riguardano la perdita di ius postulandi , come norme di diritto pubblico (così come in genere le norme processuali).

L’assistenza tecnica presuppone l’iscrizione del difensore all’albo. La perdita di un munus publicum infatti “ è indissolubilmente connesso con il dato formale della iscrizione all'albo ” (Sez. un. 21 novembre 1996 n. 10284), che è presidiata sul fronte pubblicistico dall’esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato di cui all’art. 46 della legge n. 247 del 2012, al fine di garantire un adeguato ius postulandi .

Laddove viene meno l’iscrizione del difensore all’albo, questi non può assistere la parte e l’impedimento deriva da una norma di diritto pubblico cogente.

L’esercizio della professione da parte dell'avvocato non iscritto all'albo è infatti vietato dalla legge professionale (in precedenza art. 1 del r.d. n. 1578 del 1933 e attualmente art. 2 comma 3 della legge n. 247 del 2012), oltre ad integrare il delitto di cui all'art. 348 c.p.

A fianco del versante pubblicistico si pone il rapporto (privatistico) che intercorre fra il patrocinante legale e la parte: esso si configura come un mandato con rappresentanza, così come attestato dall’art. 83 comma 1 c.p.c., che richiede che il patrocinante sia munito di procura, e dall’art. 84 comma 1 c.p.c., che stabilisce il potere del patrocinante di compiere e ricevere atti del giudizio nell’interesse della parte stessa (salvo quelli riservati). Il mandato è soggetto alla disciplina civilistica, derogata dall’art. 85 c.p.c., che stabilisce un regime particolare per la revoca e la rinuncia alla procura, basato su una fattispecie complessa, che comprende la nomina del nuovo difensore, e dalla non estinzione automatica del mandato in caso di morte del mandante.

Sul fronte processuale la rappresentanza tecnica, coerentemente con il rilievo pubblicistico (e cogente) della stessa, è una condizione per la decisione del merito prevista dagli artt. 82 e ss. c.p.c., il cui regime processuale prevede la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del processo e si colloca in un sistema nel quale di norma la mancanza di una condizione dell’azione conduce a una pronuncia in rito.

Va premesso che non è applicabile al difetto di rappresentanza tecnica l’art. 182 c.p.c., che nell’attuale formulazione recita che “ Quando rileva la mancanza della procura al difensore oppure un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione che ne determina la nullità, il giudice assegna alle parti un termine perentorio ” per il superamento del vizio.

E ciò in quanto la disposizione non trova applicazione nel processo amministrativo, quantomeno allo scopo del rilascio della procura alle liti, in quanto implicherebbe la sanatoria di una decadenza specificamente comminata dall'art. 40 comma 1 lett. g. del c.p.a. (Cons. St., sez. IV, 19 maggio 2021 n. 3887) e quindi non supera il vaglio di compatibilità di cui all’art. 39 c.p.a.

Nella dinamica del processo (e delle condizioni dell’azione) il difetto di rappresentanza tecnica, quando essa è obbligatoria e non è superata in base alle regole di avvicendamento nel rapporto privatistico di cui all’art. 85 c.p.c. (su cui infra), determina effetti diversi a seconda che si manifesti al momento della domanda o che si manifesti successivamente.

Nel primo caso, se riguarda l’attore, si verifica il vizio di un presupposto processuale che impedisce la pronuncia di merito, dando luogo a una pronuncia di rito, mentre nel caso riguardi il convenuto si ha la contumacia della parte (Sez. un., 21 dicembre 2022 n. 37434, sulla mancanza di procura prime della riforma di cui al d. lgs. n. 149 del 2022).

Nel caso in cui il difetto di rappresentanza tecnica si verifichi nel corso del processo, esso, nei termini in cui rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 301 comma 1 c.p.c. (su cui infra ), non vede l’applicazione del regime processuale che, quale regola generale, si applica alla mancanza delle condizioni dell’azione, che conducono a un arresto del processo in rito (difetto della capacità di essere parte e della legittimazione ad agire).

Il difetto di rappresentanza tecnica determina piuttosto l’interruzione del processo, che è proseguito o riassunto ai sensi dell’art. 79 commi 2 e 3 c.p.a., pena la declaratoria di estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 35 comma 2 c.p.a.

Pertanto, ai sensi e nei limiti di cui all’art. 301 comma 1 c.p.a. la mancanza di un’adeguata assistenza tecnica costituisce una condizione dell’azione di cui il legislatore compulsa il superamento, essendo ostativa rispetto a ogni altra decisione, potenzialmente falsata dall’assenza del soggetto che è in grado di evidenziare adeguatamente la posizione della parte.

7.6. Delineati il diritto di difesa e la rappresentanza tecnica, gli artt. 85 e 301 c.p.c. devono essere interpretati come volti a tutelare il diritto di difesa tecnica, ma pur sempre compatibilmente con la garanzia di ragionevole durata del processo.

Risulta perciò anzitutto recessiva la prospettiva del difensore, così dovendosi dequotare la rilevanza della volontarietà, o meno, dell’atto che ha interessato il difensore nel corso del processo (contrariamente a Sez. un. 21 novembre 1996 n. 10284, secondo la quale “ la ratio di questa diversità e generalmente individuata, concordemente da dottrina e giurisprudenza, nell'avere il legislatore voluto escludere l'effetto interruttivo per fatti volontari del procuratore o della parte (tali la revoca e la rinunzia), suscettibili, con opportuna regia, di determinare una vera e propria paralisi processuale con lesione della effettività del diritto di difesa dell'altra parte ”).

Nella prospettiva del diritto di difesa la differenza fra i presupposti delle due fattispecie, quella dell’art. 85 c.p.c. (che evita che si verifichi un vulnus alla rappresentanza tecnica) e quella dell’art. 301 comma 1 c.p.c. (che individua un rimedio all’intervenuto vizio di rappresentanza tecnica), è data dalla diversa modalità di incidenza degli stessi sul rapporto di mandato tecnico.

Presupposti della fattispecie di cui all’art. 85 c.p.c. sono la rinuncia al mandato e la revoca dello stesso, cioè atti che incidono sul rapporto privatistico di mandato intercorrente fra la parte sostanziale e il difensore, in costanza del mantenimento, da parte di quest’ultimo, della propria qualificazione e attitudine defensionale, derivante dall’iscrizione all’albo (con l'ulteriore differenza che, nel caso della revoca, la parte è consapevole della necessità di sostituire il proprio difensore potendo soppesare le conseguenze anche prima che produca effetti e, invece, nel caso della rinuncia, la parte è inconsapevole fino a che non la riceve).

Presupposti della fattispecie di cui all’art. 301 comma 1 c.p.c. è la rilevanza degli eventi ivi indicati, cioè morte, radiazione o sospensione del procuratore, sul già richiamato aspetto pubblicistico dello ius postulandi (laddove la conseguente interruzione del rapporto privatistico di mandato rappresenta un elemento connesso e secondario).

È in tali casi, che rendono insuperabile l’impedimento all’esercizio del mandato professionale e quindi creano un vulnus nello ius postulandi , che il codice prevede l’interruzione del processo.

Nella prospettiva del diritto di difesa delle parti l'art. 301 comma 1 c.p.c. non distingue pertanto le ipotesi aventi portata interruttiva, cioè quelle contenute nel comma 1, in relazione alle cause del venir meno dello ius postulandi (se connesse o non al loro verificarsi entro la sfera di dominio del difensore), ma alla perdita dello status di avvocato e procuratore legalmente esercente, non importa per quale causa (che sia volontaria o non lo sia).

In tal senso si giustifica l’orientamento delle Sezioni unite nella parte in cui ha richiamato la necessità d'una interpretazione dell'art. 301 comma 1 c.p.c. in funzione di garanzia del diritto di difesa, tale da ricomprendere tra le cause di interruzione del processo anche l'ipotesi di cancellazione volontaria dall'albo, così come previsto nel progetto S.

Diversamente dal comma 1 il successivo comma 3 dell’art. 301 c.p.c. (“ Non sono cause d'interruzione la revoca della procura o la rinuncia ad essa ”) prevede, quali presupposti di fattispecie, la rinuncia al mandato e la revoca dello stesso, così come il disposto dell’art. 85 c.p.c., di cui richiama i lemmi e le nozioni, ed è quindi funzionale a presidiare eventi che si riverberano, contrariamente ai presupposti stabiliti nel primo comma, sul solo profilo privatistico del rapporto di mandato.

A ciò consegue la previsione della mancanza di effetti interruttivi al verificarsi di detti eventi, al fine di evidenziare la differenza con il disposto del comma 1, che prevede invece l’interruzione in seguito al verificarsi di fatti aventi rilievo sull’aspetto pubblicistico dell’iscrizione all’albo.

Gli effetti che conseguono alla rinuncia al mandato e alla revoca dello stesso, che non producono effetti interruttivi ai sensi dell’art. 301 comma 3 c.p.c., sono poi indicati dall’art. 85 c.p.c., cioè l’ultrattività del mandato, reso possibile dalla permanenza delle facoltà di rappresentanza tecnica per il fatto che detti eventi non producono riflessi sull’iscrizione all’albo, che assicura la continuità della rappresentanza tecnica.

La giurisprudenza si riferisce al “ combinato disposto dell'art. 85 c.p.c., e art. 301 c.p.c., comma 3 ” (Sez. un. 13 febbraio 2017 n. 3702).

La precisazione (in negativo) del mancato prodursi dell’effetto interruttivo di cui all’art. 301 comma 3 c.p.c., oltre alla previsione (in positivo) degli effetti di ultramandato di cui all’art. 85 c.p.c., si spiega anche in ragione del fatto che il previgente codice di procedura civile, quello del 1865, nell’art. 334 “ includeva espressamente (la cessazione dalle funzioni del procuratore includeva la cancellazione) questa fattispecie tra quelle interruttive del processo, tanto che dottrina e giurisprudenza concordavano nel ritenere che, indipendentemente dalla volontarietà, in caso di cancellazione - e di morte - del procuratore, che privavano la parte del patrocinio, la parte doveva essere citata in riassunzione ” (Sez. un. 21 novembre 1996 n. 10284).

Anche i lavori preparatori (prefetto S) del vigente codice di rito “ forniscono diversi argomenti per affermare il disegno di comprendere la cancellazione tra gli eventi interruttivi”, mentre “non danno alcun chiarimento - muta, al riguardo, la relazione al testo definitivo -, in ordine alle ragioni per le quali si addivenne ad un testo finale che escludeva l'ipotesi della cancellazione del procuratore dall'albo dalle ipotesi di interruzione ” (Sez. un. 21 novembre 1996 n. 10284).

In particolare, nei lavori preparatori all’attuale codice, la regola posta dall’art. 301 comma 3 c.p.c. sulla non interruzione del processo è stata formulata, nel progetto definitivo S, nell’art. 296 (che distingue la rinuncia, per la quale è prevista l’ultrattività del mandato, dalla revoca, che determina la continuazione del procedimento in contumacia). Detto articolo segue la previsione dell’effetto estintivo a seguito di “ morte, decadenza e sospensione dall’ufficio del procuratore ”, contenuta nell’art. 295, intitolato “ cessazione della procura ”, e nel quale è ricompresa anche l’ipotesi della cancellazione volontaria dall’albo, dando così il segno di come la precisazione della non interruzione del processo in caso di rinuncia o revoca del mandato, oltre a marcare la differenza con il precedente codice, si inserisse in un sistema compiuto, le cui ipotesi sono distinte in ragione degli effetti sull’iscrizione all’albo e quindi anche della possibilità di esercitare la professione.

7.7. In tale contesto si inserisce il caso che connota, dal punto di vista processuale, il presente giudizio.

Esso, come detto, riguarda un’ipotesi di avvocato iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo che si è dimesso dalla Regione Marche, presso la quale ha svolto la professione, e ha chiesto la cancellazione dall’elenco speciale annesso all’albo professionale di Ancona per trasferimento presso l’Avvocatura del Comune di Campobasso e iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo di Campobasso.

Detta ipotesi presenta elementi di similitudine con la cancellazione volontaria dall’albo dell’avvocato libero professionista: origina infatti da un atto di volontà del difensore e comporta conseguenze sulla possibilità del difensore di continuare a esercitare la professione nell’interesse dell’Ente dal quale si è dimesso.

Ciò che rileva, nella prospettiva sopra delineata del diritto di difesa, è quest’ultimo aspetto, che si connota in un duplice versante, quello dell’ordinamento pubblicistico dell’Ente di appartenenza e del relativo personale e quello della professione forense, nei termini peculiari che caratterizzano l’iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo.

Quanto al primo profilo la cessazione del rapporto di impiego e l’instaurazione di altro rapporto, con diverso Ente pubblico, è incompatibile con il dovere di fedeltà che caratterizza il rapporto di pubblico impiego. Sicché l’avvocato che, preso servizio presso un Ente pubblico, continui a esercitare la professione a vantaggio della precedente Amministrazione viola i doveri di fedeltà del dipendente all’ente pubblico di appartenenza, essendo quindi passibile di conseguenze disciplinari, che possono essere fatte valere dall’Amministrazione ad quem .

Nella prospettiva processuale assume una maggiore rilevanza il profilo professionale, derivante dal fatto che gli avvocati e procuratori dipendenti di enti pubblici e iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo professionale sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell'Ente presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego e la conseguente cancellazione dall’elenco speciale annesso all’albo, nei termini di seguito illustrati, determinano il venir meno dello ius postulandi .

Il mandato tecnico professionale esercitato dall’avvocato iscritto all’elenco speciale annesso all’albo si connota per due aspetti, fra loro connessi, uno relativo all’iscrizione e uno relativo al vincolo di mandato.

Ai sensi dell’art. 23 della legge n. 247 del 2012 “ gli avvocati degli uffici legali specificamente istituiti presso gli enti pubblici […] sono iscritti in un elenco speciale annesso all'albo. L'iscrizione nell'elenco è obbligatoria per compiere le prestazioni indicate nell'articolo 2 ” (comma 1), cioè per l’esercizio della funzione di avvocato.

Per l'iscrizione nell'elenco gli interessati presentano la deliberazione dell'ente dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell'ente stesso e l'appartenenza a tale ufficio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni;
la responsabilità dell'ufficio è affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale che esercita i suoi poteri in conformità con i principi della legge professionale
” (comma 2).

L’iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo, che abilita quindi il professionista a svolgere il relativo mandato tecnico professionale, può avvenire solo a seguito, e in quanto, egli sia assunto presso l’Ente pubblico e sia inquadrato nell’ambito dell’ufficio competente alla trattazione degli affari legali, sempre che la relativa responsabilità sia affidata a un avvocato iscritto nell’elenco speciale e che esercita i suoi poteri in conformità con la legge professionale.

Ne deriva che l’iscrizione nell’elenco speciale annesso all’albo è intrinsecamente connessa con il rapporto di impiego con l’Amministrazione di appartenenza e l’inquadramento nell’ambito dell’ufficio legale avente le suddette caratteristiche.

Ciò si riflette anche sul vincolo di mandato, che si connota per il rapporto di esclusiva che si instaura tra detto professionista e l’Ente di appartenenza. Detto rapporto di esclusiva è proprio anche di altri casi di rapporti di lavoro instaurati con soggetti privati e indicati nell’art. 2 comma 6 della legge n. 247 del 2012 (rispetto al quale si differenzia per altri aspetti, evidenziati infra ).

Il mandato viene infatti esercitato nell'esclusivo interesse del datore di lavoro e rispetto al datore di lavoro pubblico si connota per costituire la concretizzazione del dovere di fedeltà (“ trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente ”, così l’art. 23 comma 1 della legge n. 247 del 2012), in costanza di una necessaria autonomia e indipendenza (“ nel contratto di lavoro è garantita l'autonomia e l'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica dell'avvocato ”, così l’ultimo periodo della medesima disposizione), che esonera il professionista pubblico dai vincoli del rapporto di gerarchia nell’espletamento del mandato.

7.8. Le dimissioni dall’ente pubblico del difensore iscritto all’elenco speciale annesso all’albo incidono quindi su detta iscrizione (e quindi sullo ius postulandi ), in quanto intrinsecamente connessa allo specifico Ente pubblico di appartenenza e alle caratteristiche organizzative dello stesso, che deve comprendere la sussistenza di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell'ente stesso, la cui la responsabilità è affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale che esercita i suoi poteri in conformità con i principi della legge professionale.

In tal senso deve quindi concordarsi con quella giurisprudenza che ritiene non determinante, in senso opposto, l’eventuale permanenza nell’elenco speciale annesso all’albo (“ a nulla rilevando l'eventuale formale permanenza dell'iscrizione nell'albo speciale ”, così Cass. civ., sez. VI - 1, ordinanza 14 dicembre 2016 n. 25638). E ciò anche in ragione del fatto che la permanenza, nei termini in cui non costituisce un’anomalia formale, non può che essere collegata all’intervenuto rapporto di lavoro con altro Ente pubblico avente un ufficio legale con i requisiti di cui all’art. 23 della legge n. 247 del 2012, con le conseguenze già sopra delineate.

Il caso di specie pertanto, nel quale l’avvocato patrocinante la Regione Marche si è dimesso e ha chiesto la cancellazione dall’elenco speciale annesso all’albo di Ancona per assumere le funzioni presso il Comune di Campobasso ed essere iscritto all’elenco speciale annesso all’albo di Campobasso, determina la perdita dello ius postulandi della parte appellata, la Regione Marche.

7.9. In tale contesto l’ultrattività del mandato non è compatibile con la legge professionale, al pari di quanto avviene per la cancellazione volontaria dall’albo.

Il caso non è quindi sussumibile nell’ambito di applicazione dell’art. 85 c.p.c.

Pertanto, non può ritenersi applicabile, al caso di specie, la giurisprudenza sulla soppressione per legge della difesa erariale dell’Ente pubblico Ferrovie dello Stato, che ha ritenuto applicabile l’ultrattività di cui all’art. 85 c.p.c. in quanto “ l'Avvocatura dello Stato continua a sussistere e ad operare e perde solo lo ius postulandi dell'ente privatizzato per il grado successivo ” (Cass. civ., sez. lavoro, 5 marzo 2004 n. 4562): difetta, nel caso di specie, la permanenza dello ius postulandi , disposta per legge in capo all’Avvocatura dello Stato, e la conoscibilità del domicilio di quest’ultima al fine di notificare gli atti.

Del resto, più in generale, le peculiarità dell’Avvocatura dello Stato, che assume la difesa erariale per legge e in quanto istituto, non nelle persone fisiche dei professionisti che ne fanno parte, non rende assimilabile alla stessa la casistica qui in esame.

Né può ritenersi che l’art. 85 c.p.c. sia estensibile a ogni ipotesi di rinuncia, anche a quella complessivamente e implicitamente attuata riguardo a tutti i mandati in corso da parte dell'avvocato che si dimette dall’Ente, così dando luogo a una fictio iuris , basata sulla considerazione che scopo della cancellazione sia quello di rinunciare allo ius postulandi riguardo a tutti i mandati in corso, dando prevalenza all’aspetto privatistico rispetto a quello pubblicistico.

Al contrario tale rinuncia è solo l'effetto indiretto delle dimissioni e della conseguente cancellazione dall’elenco speciale, che assume valore preminente in quanto è condizione della prima, mentre “ il venir meno dello ius postulandi consegue all'applicazione dell'art. 82 c.p.c., comma 3, il quale prescrive che, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, le parti devono stare in giudizio con il ministero d'un procuratore legalmente esercente ” (Sez. un. 13 febbraio 2017 n. 3702).

In ogni caso, anche a voler supporre che le dimissioni dall’ente e la cancellazione dall’elenco speciale equivalgano a una generale e complessiva rinuncia a tutti i mandati in corso, l'applicabilità dell’art. 85 c.p.c. non è sostenibile in quanto la rinuncia al mandato da parte del procuratore - al pari della revoca da parte del conferente - è dichiarazione recettizia e ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti non sono la revoca o la rinuncia di per sé, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore.

Invece le dimissioni dall’Ente e la cancellazione dall'elenco speciale producono i propri effetti di perdita dello (quanto meno nel lato attivo) prima e a prescindere dalla relativa comunicazione ius postulandi ai mandanti ad opera del procuratore cancellatosi.

Né il caso de quo può essere assimilato alla previsione dell’art. art. 85 c.p.c., distinguendo tra effetti che si producono nel lato attivo (i poteri) ed altri che si producono in quello passivo (i doveri) dello ius postulandi , nel presupposto che la perdita dello status di avvocato esercente la professione non necessariamente debba estendersi anche al lato passivo, ove vi sarebbe una perpetuatio della rappresentanza tecnica, non ammissibile sul lato attivo ai sensi dell'art. 82 c.p.c. e dell’art. 2 comma 3 legge n. 247 del 2002.

L’impostazione non è ammissibile in quanto un’applicazione siffatta dell’art. 85 c.p.c. alla cancellazione volontaria dall'albo tutela soltanto la parte avversa a quella il cui procuratore si sia cancellato dall'albo ” (Sez. un. 13 febbraio 2017 n. 3702).

7.10. Detto ciò in punto di inapplicabilità dell’art. 85 c.p.c., il caso di specie neppure è sussumibile nell’ambito dell’art. 301 comma 1 c.p.c.

E non solo dal punto di vista letterale, atteso che l’art. 301 comma 1 c.p.c., come già detto, si riferisce ai casi di morte, radiazione o sospensione dall’albo del procuratore ad litem , ma anche quanto alla ratio .

Non si ritiene infatti di poter far perno su quest’ultima per interpretare l’art. 301 comma 1 c.p.c. in modo estensivo o analogico e così applicare la regola ivi dettata al caso de quo , contrariamente a quanto ritenuto per la cancellazione volontaria dall’albo dell’avvocato libero professionista.

E ciò nonostante, secondo la giurisprudenza maggioritaria, l'avvenuta interruzione del rapporto d'impiego del difensore dell’Ente pubblico e la cancellazione dall'elenco speciale annesso all’albo “ comporta il totale venir meno dello ius postulandi , per una causa equiparabile a quelle elencate dall'art. 301 c.p.c., con conseguente interruzione dei processi in cui gli stessi siano costituiti ” (Cass. civ., sez. VI - 1, ordinanza 14 dicembre 2016 n. 25638 e sez. I, ordinanza 26 ottobre 2018 n. 27308, nonché Cons. St., sez. IV, ordinanza 18 dicembre 2023 n. 10926, sez. VI, 22 novembre 2023 n. 10032, sez. VI, 6 ottobre 2023 n. 8691). Né, per i motivi già esposti sopra, può applicarsi la giurisprudenza minoritaria, che ritiene che l’avvocato dimissionario possa “ proseguire l’attività difensiva finché la parte difesa non provveda alla sostituzione, come avviene per i casi di revoca e di rinuncia al mandato” , applicando quindi l’art. 85 c.p.c. (Cgars 16 gennaio 2024 n. 26).

Nondimeno si osserva quanto segue in senso contrario a ritenere estensibili anche al caso de quo le conseguenze (interruttive del processo) che le Sezioni unite e la giurisprudenza maggioritaria riconnettono alla cancellazione volontaria dall’albo del libero professionista (e dell’avvocato di ente pubblico).

Si premette che:

- il diritto di difesa comporta che la difesa tecnica sia garantita in tutti i casi nei quali (la maggior parte) non è consentita la difesa personale, sia assicurata in ogni stato e grado del processo e sia assicurata a vantaggio di tutti i contendenti;

- la perdita dello ius postulandi determina il rischio, per la parte rappresentata dal difensore cancellatosi dall'albo, di trovarsi esposta ad eventuali decadenze rispetto ad attività processuali il cui termine di compimento sia in corso e di non poter difendersi nell’ambito della fisiologica dinamica del contraddittorio e in capo all’altra parte determina la conseguenza che questa non può continuare a fare affidamento sul procuratore al quale notificare gli atti;

- al fine di ovviare a detti inconvenienti il codice prevede che la perdita dello ius postulandi determini l’interruzione del processo;

- i rimedi alla perdita dello ius postulandi vedono come contraltare la garanzia della ragionevole durata del processo, rispetto alla quale costituiscono un bilanciamento.

7.11. Nel caso di specie il primo dato rilevante è costituito dal fatto che la parte rappresentata dal difensore che ha perso lo ius postulandi è un Ente pubblico, la Regione Marche.

Due profili, connessi alla qualità pubblica della parte, rendono il caso peculiare.

Innanzitutto rileva il carattere necessitato della comunicazione da parte dell’avvocato dimissionario all’Ente di appartenenza, al fine di rendere efficaci le dimissioni e poter assumere l’altro incarico: in ciò la posizione dell’avvocato di Ente pubblico si differenzia da quella dell’avvocato libero professionista, in quanto quest’ultimo ha sì un obbligo di informare il cliente-mandante di tale evento (art. 1710 comma 2 c.c.) ma tale obbligo non è presidiato da una regola di proprietà ma solo da una regola di responsabilità. Laddove invece l’avvocato dimissionario dell’Ente pubblico deve necessariamente recapitare le proprie dimissioni perché queste possano produrre effetti.

In secondo luogo, allorquando l’avvocato comunica le proprie dimissioni informa non solo la parte sostanziale (che ha preso atto delle dimissioni e quindi le ha conosciute) ma anche l’Avvocatura pubblica, che è organo interno della prima, nella quale è incardinata, così mettendo nelle condizioni non solo l’Ente in sé ma anche gli avvocati dell’Ente iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo di decidere come organizzare la difesa tecnica nel futuro.

L’Ente pubblico ha quindi a disposizione un ufficio preposto a gestire in esclusiva le controversie, che costituisce un organo interno, sul quale esercita un pieno controllo nell’affidamento delle cause (la sopra richiamata autonomia e indipendenza si esplica nell’espletamento del mandato, non nell’assegnazione delle cause).

Specularmente l’avvocato incardinato nell’ufficio legale ha l’obbligo di trattare le cause allo stesso assegnate ma anche di valutare qualsiasi evento che gli sia sottoposto che possa coinvolgere l’Ente nell’ambito delle controversie in corso. Nell’ambito del dovere di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina e onore di cui all’art. 54 Cost., il dipendente pubblico è tenuto infatti a osservare la Costituzione, rispettare la legge e perseguire l’interesse pubblico e deve farlo “orientando l'azione amministrativa alla massima economicità, efficienza ed efficacia” (art. 3 del d.P.R. n. 62 del 2013). Il dirigente inoltre non solo “ svolge con diligenza le funzioni ad esso spettanti ” ma “ adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico ”. Egli “ assegna l'istruttoria delle pratiche sulla base di un'equa ripartizione del carico di lavoro ” e “ affida gli incarichi aggiuntivi in base alla professionalità e, per quanto possibile, secondo criteri di rotazione ”. Il dirigente è espressamente tenuto a rispettare “ le indicazioni ed i tempi prescritti, misurando il raggiungimento dei risultati ed il comportamento organizzativo ” (art. 13 del d.P.R. n. 62 del 2013). Sicché non vi è spazio perché l’avvocato dipendente pubblico non assicuri la propria assistenza laddove l’Amministrazione sia coinvolta in una controversia.

Il particolare vincolo che lega l’avvocato di Ente pubblico a quest’ultimo, connotato non solo dal rapporto di esclusiva ma anche dalla stabilità nella cura degli interessi dell’Ente, impone dunque a tutti i componenti dell’ufficio legale e al responsabile dell'ufficio, la cui presenza è presupposto per l’iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo ai sensi dell’art. 23 della legge n. 247 del 2012, di curare gli interessi dell’Ente anche nel senso di non lasciare lo stesso privo di assistenza tecnica nei processi dove questa è necessaria.

7.12. Il fatto che nell’ente pubblico dell’avvocato che ha presentato le dimissioni sussista un ufficio legale che è competente ad assicurare la difesa tecnica dell’Ente non costituisce, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza (nei termini esposti infra) un elemento di fatto meramente accidentale, assumendo piuttosto rilevanza giuridica esterna, quindi anche nell’ambito del processo.

Ai sensi dell’art. 97 Cost. infatti l’organizzazione degli uffici pubblici, essendo presidiata dal principio di legalità, è disciplinata dalla legge e da atti normativi secondari che su di essa si basano, rilevando sul buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione: è la stessa Costituzione a presidiare il rapporto fra organizzazione delle competenze interne a funzioni (autoritative) svolte, in quanto queste ultime costituiscono espressione del ruolo che proprio l’ordinamento giuridico generale assegna all’Amministrazione.

La rilevanza esterna delle regole organizzative interne delle amministrazioni pubbliche è testimoniata dal fatto che la loro violazione determina conseguenze sui provvedimenti amministrativi adottati: nei casi più gravi di difetto assoluto di attribuzione si profila il vizio di nullità ai sensi dell’art. 21- septies della legge n. 241 del 1990 e negli altri casi l’incompetenza è causa di annullabilità del provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 21- octies della legge n. 241 del 1990, ricevendo, proprio in ragione del ruolo attribuito al medesimo nell’ambito dell’ordinamento giuridico generale, un trattamento processuale particolare, che si compendia nel duplice dovere del giudice di conoscerlo comunque per primo e, trovatolo fondato, di astenersi dalla disamina degli altri motivi prospettati dal ricorrente (Ad. plen. 27 aprile 2015, n. 5).

L’organizzazione interna del soggetto pubblico, cioè il suo ordinamento particolare, si riverbera quindi sull’ordinamento giuridico generale, superando l’autonomia che lo connota, in ragione del rilievo di essa sulle funzioni amministrative.

Ciò comporta che anche l’ufficio legale di un Ente pubblico, e quindi l’appartenenza dell’avvocato che lo patrocina nella specifica causa, acquisiscono un rilievo sull’ordinamento giuridico generale e quindi anche su quello processuale.

Non così avviene nelle organizzazioni private. Rientra nell’autonomia imprenditoriale l’organizzazione della struttura, l’assunzione del personale, il riconoscimento della qualifica e del livello stipendiale, la progressione di carriera e, in genere, tutto ciò che attiene all’organizzazione del lavoro.

Pertanto l’organizzazione interna della struttura aziendale di un ente privato non si riverbera nell’ordinamento giuridico generale determinando conseguenze invalidanti sugli atti adottati dal soggetto privato.

Perciò risulta diversa la posizione dell’avvocato di Ente pubblico iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo professionale rispetto all’avvocato dipendente di una società, anche se quest’ultimo può condividere con il primo, ai sensi dell’art. 2 comma 6 legge n. 247 del 2012, la tipologia di rapporto di lavoro e l’esclusività del mandato.

E ciò in quanto non solo l’organizzazione interna degli Enti pubblici, e quindi la presenza di un ufficio legale, ha rilevanza esterna ma detta presenza è altresì oggetto di forme di pubblicità, rendendo conoscibile la circostanza.

Ai sensi dell’art. 13 del d. lgs. n. 33 del 2013 le Amministrazioni pubblicano e aggiornano le informazioni e i dati concernenti la propria organizzazione, compresi i dati relativi:

- agli organi di indirizzo politico e di amministrazione e gestione, con l'indicazione delle rispettive competenze;

- all'articolazione degli uffici, le competenze di ciascun ufficio, anche di livello dirigenziale non generale, con i nomi dei dirigenti responsabili dei singoli uffici;

- all'elenco dei numeri di telefono nonché delle caselle di posta elettronica istituzionali e delle caselle di posta elettronica certificata dedicate, cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta inerente i compiti istituzionali.

7.12. Pertanto la presenza, all’interno dell’organizzazione dell’Ente, di un ufficio legale non solo ha rilevanza esterna per l’ordinamento giuridico ma è anche rivelata all’esterno, con l’annessa notizia della presenza del responsabile del medesimo, in base a uno specifico dovere di pubblicità istituzionale.

Non può quindi convenirsi con l’affermazione in base alla quale la “ mera coincidenza tra sede legale o uffici dell'avvocatura non assicura che l'atto, a maggior ragione in enti od organismi di grandi dimensioni, pervenga idoneamente al suo destinatario istituzionale (Cass. 08/07/2016, n. 14054), o comunque poiché la domiciliazione è riferibile solo al procuratore e non all'organo […] , restando detta coincidenza un elemento accidentale o sostanzialmente estrinseco ” (Sez. un. 30 settembre 2020 n. 20866).

Si premette che la suddetta pronuncia attiene a un caso diverso da quello qui in esame, connotato da un procuratore costituito a rappresentare la parte pubblica e da una notifica, pur recapitata nella sede dell’Ente, priva dell’indicazione del procuratore ad litem , al quale pertanto in alcun modo può applicarsi la presente pronuncia, connotata dal fatto che è venuto meno lo ius postulandi per dimissioni del procuratore nominalmente costituito.

In ogni caso l’ufficio legale è organo interno della persona giuridica pubblica che riceve la notifica dell’atto, e ciò non solo quale considerazione di fatto ma in ragione di una valenza ordinamentale in tal senso, che ha fonte nella stessa Costituzione e pervade l’ordinamento pubblicistico, sicché non può affermarsi che sia soggetto esterno all’Ente, che può non essere a conoscenza della notifica, atteso che il luogo di notifica è, e non per una circostanza accidentale ma per un preciso connotato dell’organizzazione degli Enti pubblici, al contempo sede di un’Amministrazione, sede dell’avvocatura interna e domicilio eletto per il giudizio. Del resto un più risalente orientamento della giurisprudenza ha rinvenuto al riguardo “ una presunzione assoluta di irredimibile collegamento tra la parte, il suo procuratore costituito e il domicilio di quest'ultimo ” (Cass. civ., sez. III, 12 settembre 2011 n. 18640).

7.13. Così connotata la situazione che si verifica nel caso nel quale l’avvocato si dimetta dall’Ente pubblico da cui dipende e si verifichino le conseguenze sopra illustrate circa la cancellazione dall’elenco professionale annesso all’albo professionale, può essere valutata la posizione delle parti della controversia, al fine di verificare se si verifichino le condizioni che integrano la ratio dell’interruzione di cui all’art. 301 comma 1 c.p.c.

7.14. Dal punto di vista della parte pubblica, in caso di dimissioni dell’avvocato e di cancellazione dall’elenco speciale annesso all’albo, non si verifica il rischio che la medesima non possa valutare, con le necessarie competenze tecniche, la propria posizione processuale, il sopravvenuto difetto di una delle condizioni dell’azione, la condotta processuale da tenere al fine di difendere l’Ente, le conseguenze delle scelte processuali, l’esposizione a eventuali decadenze e le modalità con le quali difendersi nell’ambito della fisiologica dinamica del contraddittorio.

Le suddette conclusioni trovano un (coerente) presupposto nell’ordinamento che caratterizza gli enti pubblici, che attribuisce rilevanza esterna all’organizzazione interna degli stessi, che è caratterizzato da forme di pubblicità, e nel quale i doveri che incombono sui pubblici dipendenti sono disciplinati dalla legge.

Il sopra descritto ordinamento degli enti pubblici supporta anche un’ulteriore conclusione: l’Amministrazione ha infatti gli strumenti giuridici e la possibilità di evitare la vacatio , non solo perché può sempre rifiutare le dimissioni dell’avvocato o differirne l’accettazione, ma anche perché può, ex ante, farsi rappresentare da più di un difensore e può, ex post , provvedere immediatamente alla nomina di un nuovo difensore, non dovendo neppure provvedere a scegliere un professionista nel quale può riporre fiducia, avendolo a disposizione nell’ufficio legale di cui è munito o potendo conferire mandato ad altro avvocato, senza che l’avvicendamento fra legali costituisca causa di allungamento dei tempi del processo. Diversamente ragionando, sarebbe poco giustificabile l’impiego di risorse pubbliche per avere uno stabile ufficio legale, se lo stesso non è in grado di far fronte a fisiologiche vicende di avvicendamento dei dipendenti pubblici.

Del resto, in termini generali, le tempistiche di avvicendamento fra avvocati non rilevano in ambito processuale. Sia la rimessione in termini per causa non imputabile sia il rinvio dell’udienza, ammissibile solo in casi eccezionali ai sensi dell’art. 73 comma 1 bis c.p.a., postulano un fatto impeditivo rispettivamente estraneo alla volontà della parte, che presenti i caratteri dell'assolutezza e non della mera difficoltà e si ponga in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza, e la cui straordinarietà si misuri con l’interesse sostanziale delle parti e non con la posizione professionale dell’avvocato circa i tempi necessari per la relativa preparazione dell’udienza.

In tale contesto costituisce una conseguenza non eccessivamente gravosa quella di esigere dall’amministrazione pubblica, nel tempo dell’eventuale (e superabile) vacatio , una maggiore attenzione in caso di ricezione delle notifiche da parte dell’Ente personalmente, comunque gestibile in ragione del potere e dovere di organizzazione interna degli uffici, anche in ragione del fatto che costituisce una spinta a evitare l’evenienza.

Se si considera che le dimissioni debbono essere ricevute dall’Ente per produrre effetti, si rinviene la ragione per la quale è solo l’Ente stesso che può pregiudicare la continuità del proprio diritto di difesa.

Emblematico è il caso di specie: dimissioni comunicate in data 29 novembre 2023 a far data dal primo gennaio 2024, oggetto di presa d’atto regionale il 7 dicembre 2023, con udienza fissata il 15 febbraio 2024. Il termine per eventuale deposito di documenti scadeva il 5 gennaio 2024 e quello per memorie il 15 gennaio 2024, ampiamente osservabile dal difensore dimissionario o dal suo sostituto se tempestivamente designato.

In un tale contesto gli ordinari canoni relazionali dell’autoresponsabilità e della buona fede e il dovere delle parti di comportarsi in giudizio con lealtà e probità (art. 88 c.p.c.) depongono nel senso che il Collegio non può acconsentire che le dimissioni di un avvocato dipendente pubblico sortiscano effetti sulla durata del processo, addirittura con effetti interruttivi del medesimo. Consentire a ciò, significherebbe legittimare un abuso del processo avente finalità emulative.

La decisione di non interrompere il processo non solo non risulta lesiva per la parte pubblica ma essa produce un effetto positivo rispetto al buon andamento dell’Amministrazione in quanto compulsa la stessa a provvedere per tempo all’avvicendamento dei propri difensori, così non ritardando la risoluzione della situazione sostanziale sottesa alla controversia.

Pertanto, non solo viene meno la funzione dell'interruzione di “ consentire alla parte - nonostante sia stata colpita da un evento che ne pregiudica, per così dire, l'integrità - di difendersi in giudizio usufruendo di tutti i poteri e facoltà che la legge le riconosce ” (Corte cost. 18 marzo 2005 n. 109) ma, nella prospettiva della parte pubblica, disporre l’interruzione dà adito a conseguenze non in linea con i principi costituzionali che governano l’attività amministrativa.

7.15. Detto ciò in ordine alla mancata lesione del diritto di difesa della parte pubblica che ha visto venir meno lo ius postulandi , neppure la controparte vede pregiudicato il proprio diritto di difesa, potendo continuare a notificare gli atti a controparte.

In caso di dimissioni dell’avvocato dell’ente pubblico e fino a che detto avvocato non venga sostituito, e sempre che il mandato non sia stato conferito a più di un difensore, la controparte può continuare a notificare gli atti presso l’Ente, così venendo tutelata nelle proprie esigenze difensive. Del resto la giurisprudenza considera decisivo, ai fini della notifica, non il dato formale del destinatario, ma il raggiungimento dello scopo voluto dalla legge (“ la verifica della invalidità dell'atto di notificazione va compiuta alla stregua del risultato pratico conseguito dall'atto, dovendo lo stesso ritenersi affetto da nullità le volte in cui sia dimostrata la mancanza dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo ”, così Cass. civ., sez. III, ordinanza 3 febbraio 2020 n. 2396). E in tal caso lo scopo del raggiungimento del destinatario è raggiunto in quanto comunicando l’atto all’Ente, si comunica, per le ragioni già sopra illustrate, anche all’organo interno allo stesso.

Rimane alla controparte, in caso di dimissioni dell’avvocato munito di mandato, l’onere di verificare se l’Ente ha una propria avvocatura, così potendo procedere alla notifica alla parte personalmente.

La particolarità di detta notifica è rappresentata dal dato mancante dell’omessa indicazione del nominativo del procuratore ad litem ma “ la omissione di tale indicazione non è elemento formale espressamente richiesto dalla legge la cui mancanza è sanzionata a pena di nullità ” (Cass. civ., sez. III, ordinanza 3 febbraio 2020 n. 2396), e pertanto può essere superato nei casi nei quali l’alternativa è costituita dall’istituto dell’interruzione del processo, rispetto al quale non si ravvisano i presupposti applicativi in termini di ratio, oltre che di formulazione letterale.

L'essenzialità del riferimento nominativo al procuratore della parte nella notificazione discende infatti dalla forma legale prevista dall’art. 170 c.p.c., che si fonda sul rapporto di rappresentanza tecnica che lega la parte al procuratore suo domiciliatario, così assicurando, attraverso un vincolo giuridico tra le parti, che l’atto sia portato a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato a vagliare l'opportunità di eventuali strategie difensive e di impugnazione.

Nel caso di specie il vulnus creato allo ius postulandi dalle dimissioni dell’avvocato dell’Ente pubblico può essere superato da quest’ultimo senza soluzione di continuità. Sicché, in detto caso, a differenza di quello sul quale si sono pronunciate le sezioni unite del 30 settembre 2020 n. 20866 (notifica di sentenza senza indicazione specifica dell’avvocato destinatario, pur in presenza di procuratore ad litem ritualmente costituito) si può esigere un onere di diligenza interpretativa da parte del destinatario dell'atto, in mancanza di univoca indicazione del difensore, nell’evenienza nella quale è lo stesso destinatario ad avere impedito tale indicazione non assicurando un tempestivo avvicendamento.

Al contrario, anche in ragione della mancanza di compiute forme di pubblicità, non si può invece richiedere alla controparte di seguire le sorti dello specifico avvocato che si è dimesso dall’Ente, che ha perso lo ius postulandi e di cui non è dato conoscere le sorti.

Pertanto, la controparte (rispetto alla parte pubblica che ha perso lo ius postulandi ) può procedere con le notifiche che ritenga necessarie presso l’Amministrazione pubblica.

Anche nella prospettiva della controparte non si verifica quindi quel vulnus alle esigenze difensive che costituisce la ratio dell’interruzione disposto dall’art. 301 comma 1 c.p.c., condivisa dal diverso caso della cancellazione volontaria dall’albo.

Non si rinviene quindi il motivo per il quale il processo dovrebbe essere interrotto, così allungandone la tempistica a svantaggio di tutte le parti, non solo della parte pubblica, e della stessa (scarsa) risorsa giustizia, impegnata inutilmente per un tempo maggiore.

A tale ultimo riguardo si rileva che il processo amministrativo è informato alla massima celerità, non solo nella prospettiva della risoluzione delle controversie che accomuna qualunque sistema processuale ma anche in un’ottica peculiare in base alla quale la certezza dell’agire pubblico costituisce un valore in sé, da assicurare al fine di garantire la continuità dell’azione e il principio di buon andamento 8così rilevanti anche al fine di soddisfare i diritti fondamentali della persona). Ciò emerge dallo stesso termine di decadenza di sessanta giorni stabilito per i ricorsi davanti al Giudice amministrativo, che è abbreviato in alcuni casi (fra quali i trenta giorni ai sensi dell’art. 120 c.p.c., i tre giorni di cui all’art. 129 c.p.c. e i tre giorni di cui all’art. 130 c.p.a.), dalla tempistica di avvicendamento della tutela cautelare e di quella di merito (ulteriormente accelerate nei casi di cui agli artt. 87, 119 e 120 c.p.c.), dalle regole fissazione dell’udienza (fra le quali la possibilità di fissare con priorità l’udienza di discussione nel caso di unica questione di diritto di cui all’art. 72 c.p.a. e la possibilità, quando i ricorsi siano suscettibili di immediata definizione, di fissare la trattazione alla prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento dell’ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso di cui all’art. 72 bis c.p.a.), dalla previsione dell’istanza di prelievo per segnalare l’urgenza, dalla possibilità di definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata (art. 71 c.p.a.) e dalla facoltà di rinviare la trattazione della causa solo per casi eccezionali (art. 73 comma 1 bis c.p.a.).

Nell’ordinamento attuale del processo amministrativo, di cui si è potuto fare cenno per sommi capi ma che si evince essere disciplinato e organizzato al fine di pervenire all’obiettivo di certezza con tempistiche accelerate, non si rinviene, considerate le guarentigie a tutela delle parti, la ragione per la quale dovrebbero allungarsi i tempi della risposta di giustizia e di impegno della risorsa stessa.

Del resto il processo “ deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell’azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, né deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, e per evitare che ciò si verifichi si deve adoperare il giudice ” (Corte cost. 16 ottobre 1986 n. 220).

7.16. Il caso de quo , pertanto, non integra i presupposti, né è connotato dall’ eadem ratio , della fattispecie di cui all’art. 301 c.p.c.

7.17. In ragione di quanto sopra, della posizione della parte pubblica il cui avvocato difensore si è dimesso, parte resistente in primo grado e parte appellata in questo grado di giudizio, delle tempistiche che connotano il caso de quo e della volontà espressa da controparte di non interrompere il giudizio, il processo non può che proseguire, nel rispetto del diritto di difesa delle parti e del principio del contraddittorio.

Del resto è principio immanente al processo la sua celebrazione fino alla definizione, al fine di salvaguardare, per quanto più possibile, il diritto ad ottenere una pronuncia di merito, restringendo il novero delle cause che conducono alla chiusura in rito e, a loro volta, comprimono quel valore di “ giusto processo ”, che “ vien celebrato non già per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipano – siano esse attori o convenuti – ma per rendere pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e chi ha torto ” (Corte cost. 16 ottobre 1986 n. 220).

8. Superata la questione pregiudiziale, può essere affrontato il merito della controversia.

9. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha rinvenuto le ragioni della revoca non solo nell’operazione societaria, già oggetto delle precedenti interlocuzioni procedimentali, ma anche nel mancato rispetto del termine di 30 giorni nella comunicazione alla Regione dell’intervenuta operazione.

In particolare la società appellante ha censurato il provvedimento di revoca:

- per non avere dato conto del mancato accoglimento delle osservazioni, che anzi l’utilizzo del lemma “tuttavia” lascerebbe intendere il relativo accoglimento;

- per essere basato sulla fattispecie di cui all’art. 15 comma 8 lett. a), diversa, in tesi, da quella comunicata con il preavviso;

- per essere stato adottato sulla base di un procedimento connotato da aspetti di contraddittorietà e comunque sulla base di atti non depositati.

9.1. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha affermato che l’avviso non è stato impugnato.

Al riguardo l’appellante ha dedotto di non avere interesse a impugnare l’avviso, chiedendone piuttosto l’applicazione.

L’appellante ha poi dedotto in ordine alla mancata integrazione delle fattispecie di cui all’art. 15 comma 8 lett. a), all’art. 15 comma 9 e all’art. 16 comma 1.m dell’avviso, con conseguente illegittimità della revoca.

9.2. Le censure, che si esaminano congiuntamente in ragione dei plurimi richiami che intercorrono fra le stesse, sono infondate.

9.3. I principali fatti rilevanti per la risoluzione della controversia sono i seguenti.

In data 28 giugno 2019, la ditta individuale Energia 4.0 di Breccia Linda ha presentato istanza alla Regione per partecipare all’avviso pubblico per la concessione di contributi in conto capitale alle imprese che realizzino o abbiano realizzato dal 24 agosto 2016 investimenti produttivi nei Comuni delle Marche, ai sensi dell’art. 20 del d.l. n. 189 del 2016, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016.

La ditta individuale Energia 4.0 di Breccia Linda ha cessato l’attività in data 31 dicembre 2019, con cancellazione dal Registro delle Imprese prima della concessione del contributo.

Con PEC del 20 gennaio 2020, l’appellante Energia 4.0 s.r.l. unipersonale ha comunicato alla Regione che, a partire dal precedente 5 dicembre 2019, la ditta individuale Energia 4.0 di Breccia Linda è stata conferita in essa, società di nuova costituzione.

La Regione, con nota 7 aprile 2020, ha comunicato ex art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 il preavviso di rigetto dell’istanza di contributo trattandosi di impresa cessata in data 31 dicembre 2019.

La società appellante ha dato riscontro con comunicazione 23 aprile 2020, con la quale ha evidenziato che la ditta individuale Energia 4.0 di Breccia Linda non ha cessato la propria attività ma ha assunto una nuova veste giuridica essendo stata conferita nella società, di nuova costituzione, denominata Energia 4.0 s.r.l. unipersonale.

Con nota 8 settembre 2020 la Regione ha comunicato la concessione di un contributo per l’importo di € 97.784,91.

A seguito di supplemento istruttorio, in data 22 settembre 2020, è stato comunicato un preavviso di revoca e decadenza dal contributo.

Parte appellante ha presentato controdeduzioni, a seguito delle quali la Regione, con il qui impugnato decreto n. 193 del 14 novembre 2020, ha revocato il contributo nei confronti delle ditte richiedenti indicate nel relativo allegato “A” (tra cui Energia 4.0 s.r.l.).

9.4. Riassunti i fatti si rileva che nel preambolo del decreto di revoca n. 193 del 2020 si legge che:

- l’operazione societaria concernente il “ conferimento della società “Energia 4.0 di Breccia Linda” nella nuova società “Energia 4.0 S.r.l. unipersonale” di cui Breccia Linda è unica socia risulta in contrasto ed in violazione con quanto previsto all'art. 16 comma l.m, cioè per mancato rispetto degli obblighi previsti in capo al Beneficiario dal presente Decreto o dall'Atto d'Impegno ”;

- nello specifico, in relazione a quanto previsto all'art. 15 comma 9, “ Qualora l'operazione societaria intervenga tra la data di presentazione della richiesta di contributo e la Concessione, le domande di subentro non sono ammesse con conseguente decadenza della Richiesta di Contributo ”;

- rispetto a detto aspetto la società ha rilevato che l'operazione societaria non ha comportato la modifica del beneficiario in quanto la ditta individuale Energia 4.0 di Breccia Linda si è trasformata in s.r.l. Energia 4.0, di cui socia unica è la Sig.ra Breccia Linda.

- in base all'art. 15 comma 8 lett. a), nelle operazioni aziendali che non comportano l'estinzione del beneficiario originario e che trasferiscono la responsabilità delta realizzazione del progetto a un soggetto giuridico terzo, intercorse prima dell'erogazione del saldo, gli aiuti concessi o erogati possono essere confermati in capo al subentrante a condizione che quest'ultimo “ presenti specifica richiesta di subentro;
la domanda di modifica del Beneficiario deve essere presentata entro i 30 giorni successivi alla data dell'atto di modifica
”;

- il caso di specie integra la fattispecie di cui all'art. 15 comma 8 lett. a) dell'avviso pubblico, in quanto trattasi di operazione societaria che non comporta l'estinzione del beneficiario originario ma che trasferisce la responsabilità della realizzazione del progetto in capo ad un soggetto giuridico diverso (Energia 4.0. s.r.l. unipersonale);

- solo a mezzo nota prot.115047-18875215 inviata dalla beneficiaria in data 28 gennaio 2020 e quindi oltre il termine (30 giorni) indicato dall'art. 15 comma 8 lett. a) dell'avviso pubblico, l'Amministrazione regionale ha appreso dell'operazione societaria.

Nell’allegato A al suddetto decreto, riferito alle società alle quali è stato revocato il contributo, si legge che la revoca e decadenza dal contributo della società appellante è stata disposta “ ai sensi dell’art. 16 comma 1.m – operazione societaria intercorsa prima dell’erogazione del saldo che non comporta l’estinzione del beneficiario – comunicazione domanda modifica del beneficiario inviata fuori termine – inviato preavviso esclusione, presentate osservazioni nei termini previsti – rimangono confermati motivi ostativi riguardo la revoca del contributo ”.

Ciò comporta che la revoca sia plurimotivata e che le ragioni che la supportano non siano solo quelli relativi alla violazione del termine di trenta giorni stabilito dal bando per la comunicazione dell’operazione societaria, che, secondo l’appellante, sarebbe stata introdotta solo con il decreto n. 193 del 2020 e non sarebbe quindi ricompresa nel preavviso di rigetto.

Nel preavviso la prospettiva della revoca e decadenza dal contributo è stata argomentata in ragione della ritenuta violazione dell’art. 16 comma 1.m e dell’art. 15 comma 9 del bando, per rispettivamente mancato rispetto degli obblighi da parte del beneficiario e inammissibilità delle domande di subentro a seguito di operazioni societarie intervenute tra la data di presentazione della richiesta di contributo e la concessione.

Detti due motivi. violazione dell’art. 16 comma 1.m e dell’art. 15 comma 9 del bando, sono presenti anche nel provvedimento conclusivo.

Infatti, in quest’ultimo, vi è un espresso richiamo, nel preambolo del decreto n. 193 del 2020, all’art. 16 comma l.m e all’art. 15 comma 9 del bando.

E nell’Allegato A al decreto n. 193 del 2020, che contiene la sintesi delle ragioni e il riepilogo delle società alle quali è stato revocato il contributo, si fa riferimento, oltre all’art. 16 comma 1.m in modo espresso, anche al fatto che “rimangono confermati motivi ostativi riguardo la revoca del contributo”.

Sicché non si pone un problema di omessa anticipazione, nel preavviso, delle ragioni della decisione di revocare il contributo.

Né si pone un tema di contraddittorietà fra atti, anche considerando il decreto n. 20 del 28 febbraio 2020, riguardante una decisione di provvisoria adozione delle graduatorie, seguito da una successiva verifica istruttoria di quanto dichiarato dalle richiedenti.

L’acquisizione, in una sequenza di atti, della conoscenza di un fatto che ha ricevuto una iniziale valutazione positiva per poi essere ritenuto ostativo al provvedimento favorevole non è di per sé indice di una contraddittorietà censurabile (e quindi foriera di un giudizio di illegittimità).

L’eventuale sottovalutazione di una circostanza non impedisce infatti che essa sia valorizzata in seguito: detto impedimento potendo derivare solo dall’inconferenza del fatto. Pertanto non è l’evoluzione della decisione, con le contraddizioni in essa insite, a essere rilevante, ma l’illegittima considerazione di circostanze ininfluenti.

Il provvedimento non è censurabile laddove prima pone un dato critico e poi lo supera, o il contrario, mentre sarebbe attaccabile se non rilevasse in fatto un problema esistente o se, dopo averlo accertato, non lo considerasse.

Del resto la funzione del principio di trasparenza è proprio quella di mostrare (e rendere quindi controllabile) tutto l’andamento della scelta pubblica, che viene assunta (come ogni decisione) in modo meditato, accertando i fatti e soppesando le varie soluzioni.

Il provvedimento è illegittimo non se presente profili di diversità da quanto in precedenza deciso ma solo nel caso in cui essi non trovino nel provvedimento (e nel procedimento) una modalità di rilevamento e considerazione.

Altrimenti, la trasparenza del procedimento si trasformerebbe in uno strumento di precarizzazione del medesimo, così ponendosi in contrasto con quel principio di buon andamento che, insieme al principio di imparzialità, ne costituisce la ragione giustificatrice.

Detto ciò in relazione alla sequenza degli atti, nel caso di specie non si pone un tema di mancata integrazione delle circostanze che impediscono l’ottenimento del contributo previste nelle due richiamate disposizioni dell’avviso.

Ai sensi dell’art. 15 comma 9 dell’avviso “ Qualora l’operazione societaria intervenga tra la data di presentazione della richiesta di Contributo e la Concessione, le domande di subentro non sono ammesse con conseguente decadenza della Richiesta di Contributo ”.

Ai sensi dell’art. 16 comma 1.m dell’avviso il contributo concesso può essere revocato in tutto o in parte nel caso di “ mancato rispetto degli obblighi previsti in capo al Beneficiario dal presente Decreto o dall’Atto d’Impegno ”.

L’avviso non è stato impugnato, con la conseguenza che costituisce il parametro della procedura.

Nel caso di specie la società Energia 4.0 di Breccia Linda ha presentato domanda per ottenere il contributo in data 28 giugno 2019.

In data 20 gennaio 2020 l’appellante Energia 4.0 s.r.l. unipersonale ha comunicato alla Regione che, a partire dal precedente 5 dicembre 2019, la ditta individuale Energia 4.0 di Breccia Linda è stata conferita in essa, società di nuova costituzione.

Il primo atto di adozione delle graduatorie (provvisorie) è il decreto 28 febbraio 2020 n. 20.

Pertanto l’operazione societaria ha avuto luogo tra la data di presentazione della richiesta di contributo e la concessione, così integrando la fattispecie di non ammissibilità del contributo di cui all’art. 15 comma 9 dell’avviso (operazione societaria che intervenga tra la data di presentazione della richiesta di contributo e la concessione).

Né può ritenersi, in uno con parte appellante, che “ la ditta ha sostanzialmente assunto una nuova veste giuridica con sostanziale continuità soggettiva ”, con la conseguenza (implicita) di non dare luogo a vicende che possano incidere sull’erogazione del contributo in base all’art. 15 comma 9 dell’avviso.

Infatti, da un lato, anche a ritenere che l’operazione de quo abbia avuto ad oggetto la cessione di ramo d’azienda o dell’intera azienda (come potrebbe desumersi dal fatto che la ditta individuale è sopravvissuta all’operazione, per poi venire meno il 31 dicembre 2019), in ogni caso il fatto che sia intervenuta fra l’istanza di contributo e la relativa erogazione è comunque ostativa in base all’art. 15 comma 9 dell’avviso.

Non può infatti ritenersi che le operazioni alle quali si riferisce detta disposizione (ostative rispetto al contributo) non comprendano la cessione d’azienda. E ciò in quanto l’art. 15 comma 9 non può che riferirsi alle operazioni che, richiamate nel comma precedente, non siano ostative in ogni caso all’erogazione del contributo, fra le quali le cessioni d’azienda e di ramo d’azienda. Che, altrimenti, se fossero impedite di per sé, non vi sarebbe ragione per precisare che solo quelle intervenute in un determinato arco temporale sono ostative all’erogazione del contributo.

E in ogni caso, anche a ritenere che l’operazione de quo sia assimilabile a un’incorporazione, la Corte di cassazione ha ritenuto che con essa si “ estingue la società incorporata ” (Sez. un., 30 luglio 2021 n. 21970, confermata da Cass. civ., sez. I, ordinanza 18 maggio 2023 n. 13685), dando cioè luogo ad un fenomeno (non evolutivo-modificativo, ma, appunto) estintivo-successorio e quindi rilevante ai fini dell’art. 15 comma 9 dell’avviso.

Pertanto risulta integrata la fattispecie di cui all’art. 15 comma 9 dell’avviso.

Ne deriva che almeno uno dei motivi addotti dall’Amministrazione per revocare il contributo non è censurabile.

Tanto basta per respingere l’appello e non procedere all’annullamento del provvedimento di revoca impugnato e plurimotivato.

A ciò si aggiunge che risulta altresì integrata l’altra fattispecie ostativa, quella prevista dall’art. 16 comma 1.m dell’avviso, che fa generico riferimento al “mancato rispetto degli obblighi previsti in capo al Beneficiario dal presente Decreto o dall’Atto d’Impegno”, costituendo una norma residuale di chiusura, atta a comprendere le ipotesi di devianza rispetto alla regolazione contenuta nell’avviso. Sicché risulta integrata da tutte le circostanze che ostano all’erogazione del contributo in base a quest’ultimo.

Pertanto la regola dettata in positivo dall’art. 15 comma 8 lett. a), se violata, determina, in negativo, la revoca del contributo ai sensi dell’art. 16 comma 1.m, così trovando in quest’ultimo la previsione di quella conseguenza negativa che consente di qualificare il termine come perentorio.

Non si pongono quindi problemi di difformità fra quanto comunicato nel preavviso e quanto rilevato con decreto n. 193 del 2020, atteso che comunque, in entrambi i casi, è richiamato l’art. 16 comma 1.m.

Né, a tale ultimo proposito, può ravvisarsi la supposta alterità fra il contenuto del preavviso e il contenuto del decreto n. 193 del 2020 nel fatto che sia stata utilizzata la congiunzione “ tuttavia ”, che dimostrerebbe, in tesi, l’accoglimento delle osservazioni della parte. Piuttosto l’utilizzo di quella congiunzione, appunto avversativa, è volto a evidenziare che l’osservazione seguente (riguardante appunto l’art. 15 comma 8 lett. a) si contrappone, e supera, le osservazioni di parte.

In base all'art. 15 comma 8 lett. a), nelle operazioni aziendali che non comportano l'estinzione del beneficiario originario e che trasferiscono la responsabilità delta realizzazione del progetto a un soggetto giuridico terzo, intercorse prima dell'erogazione del saldo, gli aiuti concessi o erogati possono essere confermati in capo al subentrante a condizione che quest'ultimo “ presenti specifica richiesta di subentro;
la domanda di modifica del Beneficiario deve essere presentata entro i 30 giorni successivi alla data dell'atto di modifica
”. Nel caso di specie la comunicazione è intervenuta il 28 gennaio 2020, oltre il termine di trenta giorni dal compimento della stessa, realizzata il 5 dicembre 2019.

10. In conclusione, l’appello va respinto.

La novità e la particolarità delle questioni sottese alla presente controversia giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

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