Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-18, n. 202003909

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-18, n. 202003909
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003909
Data del deposito : 18 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/06/2020

N. 03909/2020REG.PROV.COLL.

N. 09295/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9295 del 2009, proposto da
R A, rappresentato e difeso dall’avv. M A R P, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cicerone n. 49, presso l’avv. P B (studio dell’avv. R G);

contro

- Comune di Pagani, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. S M, per il presente giudizio domiciliato presso l’Ufficio di Segreteria di questo Consiglio;
- Dirigente del Settore Sviluppo ed Investimenti del Comune di Pagani;
- Dirigente del Settore Qualità Urbana del Comune di Pagani;
- Sportello Unico per l’Edilizia (S.U.E.) del Comune di Pagani, in persona del responsabile pro tempore;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Sezione staccata di Salerno, n. 2283 del 22 settembre 2008, resa inter partes nel giudizio promosso dall’odierno appellante con ricorso N.R.G. 1739/2006.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pagani;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27), il Cons. Roberto Politi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Espone l’appellante di essere proprietario di fondo, distinto in Catasto al foglio n. 6, particelle n. 465 e 1890, sito in Comune di Pagani, alla Via Mangioni, avente vocazione edificatoria e rientrante nella perimetrazione del P.I.P. approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 128 del 19 dicembre 1989.

Divenuto inefficace il predetto strumento urbanistico attuativo per decorso del termine decennale, il sig. R presentava (15 dicembre 2005) domanda per il rilascio di permesso di costruire, finalizzato alla realizzazione di un complesso immobiliare di n. 2 unità, con destinazione artigianale.

2. Avverso il diniego opposto dal Comune di Pagani, il sig. R adiva, con ricorso distinto al R.G. dell’anno 2006 con il n. 1739, la Sezione staccata di Salerno del T.A.R. della Campania, dinanzi alla quale impugnava:

- il diniego di rilascio di permesso di costruire, reso dal Comune di Pagani – Ufficio Tecnico con atto in data 20 giugno 2006 (prot. Gen. 27851/2006 Pratica Edilizia n. 140/2006, rectius 140/2005);

- la relazione istruttoria redatta dal tecnico istruttore in data 16 febbraio 2006, prot. 495/06 con la quale si esprimeva parere sfavorevole;

- il parere espresso dal Responsabile dell'Ufficio Legale dell'Ente con nota 327/06 del 10 maggio 2006 e la nota del 27 marzo 2006 prot. UTC n. 731/06 a firma del Tecnico Ing. G P che richiede espressione del detto parere;

- il parere negativo espresso dalla Commissione Edilizia Comunale in data 14 giugno 2006, verbale n. 463;

- la relazione del tecnico istruttore del 20 giugno 2006, prot. 1393/06, contenente proposta negativa per il rilascio del permesso di costruire.

3. Costituitosi il Comune di Pagani, il giudizio veniva in prime cure definito con l’appellata sentenza n. 2283 del 22 settembre 2008, con la quale il T.A.R. adito respingeva il ricorso e compensava tra le parti spese ed onorari di lite.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- la scadenza del piano ha comportato il venir meno dei vincoli preordinati all'esproprio, mentre hanno conservato efficacia i vincoli derivanti dagli allineamenti e dalle prescrizioni di zona;

- il P.I.P. di Pagani ha perduto la sua efficacia per decorrenza del termine di legge;

- la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, l'omessa comunicazione del preavviso di rigetto di cui art. 10-bis della legge 241 del 1990, nonché l’omessa indicazione del responsabile del procedimento non abbiano assunto rilevanza ai fini dell’illegittimità dell’adozione delle conclusive determinazioni.

4. Avverso tale pronuncia il signor R ha interposto appello, notificato il 6 novembre 2009 e depositato il successivo 19 novembre;
ed ha articolato i motivi di gravame di seguito sintetizzati:

4.1) Errores in judicando ed in procedendo. Infrapetizione ed omessa pronuncia. Motivazione omessa o insufficiente, infrapetizione. Omessa pronuncia sulle ulteriori ragioni di fondatezza del ricorso. Appello ed anche riproposizione di ragioni eventualmente assorbite e qui espressamente reiterate. Erroneità dell'interpretazione ed applicazione del materiale cognitivo e della normativa e dei principi di diritto e giurisprudenziali in tema di durata, effetti dei piani insediamenti produttivi violazione di legge (art. 17 legge 1150/1942). Errores in judicando ed in procedendo ed eccesso di potere per erronea ed omessa considerazione dei presupposti di fatto, giuridici, normativi e per omessa ed insufficiente considerazione ed erronea qualificazione degli atti, dei principi normativi e giurisprudenziali, delle norme nella stessa materia. Divieto di eterointegrazione della motivazione degli atti amministrativi. Violazione di legge. Violazione degli artt. 10, 11, 12, 13 del D.P.R. 380/2001. Eccesso di potere per travisata, omessa od insufficiente considerazione dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria e di motivazione (violazione art. 3 legge 241/1990 ed eccesso di potere). Motivazione generica ed insufficiente. Illogicità ed irrazionalità manifesta. Eccesso di potere per genericità, perplessità e motivazione perplessa e contraddittorietà. Eccesso di potere per travisamento ed omessa considerazione dei presupposti, di fatto ed anche normativi e giurisprudenziali in materia di rilascio di concessione individuale (permesso di costruire). Lesione del principio di semplificazione e non aggravamento. Eccesso di potere e violazione di legge e dei principi generali in materia di durata e validità delle prescrizioni vincolistiche di piano particolareggiato. Travisamento. Violazione di legge (art. 17 legge 1150/1942;
art. 27 legge 865/1971).

Nell’osservare come il diniego dal Comune di Pagani opposto alla richiesta di rilascio di permesso di costruire sia fondato:

- sul mancato rispetto, da parte del presentato progetto edilizio, della lottizzazione del P.I.P. approvato nel 1989;

- sulla estensione del progetto stesso a parte di area stralciata dal piano con diversa destinazione;

- sull’omessa considerazione dell'allargamento della strada Fluminale, che rientra nel progetto provinciale dell'alternativa alla S.S. 18;

parte appellante rileva che:

- il mero disegno dei lotti del P.I.P. è condizione estranea alla nozione di allineamenti e prescrizioni di zona di cui all'art. 17 della legge 1150/1942;

- quand’anche, nella variante P.I.P. 34/2003, risulti essere stata stralciata, dalla dotazione destinata a zona artigianale, un’area destinata a pertinenza di fabbricato preesistente, passibile di interventi consentiti dal piano stesso, la stessa variante 34/2003 è stata dichiarata illegittima dal T.A.R. Salerno con sentenza 1558/2004;

- il progetto edificatorio non prevedeva occupazione ed espropri delle particelle n. 465-1890 del foglio 6 in agro di Pagani – Via Fiuminale.

Sostiene la parte che l’appellata sentenza non abbia correttamente applicato l’art. 17 della legge 1150/1942, in forza del quale “decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”.

Ne consegue che, una volta consumatosi il potere espropriativo, con conseguente riespansione della potenzialità edificativa in capo ai proprietari, esigere la ricomposizione del disegno dei lotti contemplato per assegnatari destinatari di espropriazione comporterebbe una interpretazione penalizzante, ripropositiva della componente espropriativa del P.I.P.

Nel denunciare l’inadeguatezza degli accertamenti istruttori che hanno condotto all’adozione della gravata determinazione (che non avrebbe, inoltre, tenuto conto delle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 10-bis della legge 241 del 1990), ribadisce parte ricorrente la denunciata illegittimità del provvedimento gravato – e l’errore nel quale sarebbe incorso il Giudice di primo grado – con riferimento all’affermata violazione dell’art. 17 della legge 1150/1942, in base al quale la persistente efficacia regolatrice dello strumento attuativo decaduto è circoscritta all’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.

4.2) Invalidità derivata

L’illegittimità degli atti endoprocedimentali (o la loro omissione) esplicherebbe effetti invalidanti (ove non caducatori) in via derivata sull'atto terminale del procedimento, peraltro affetto dai lamentati vizi anche a titolo proprio.

4.3) In via subordinata: violazione dell'art. 97 Cost., dell'art. 20, comma 2, del D.P.R. 380/2001, della legge 241/1990;
eccesso di potere per violazione del giusto procedimento

L’appellata sentenza sarebbe ingiusta, anche laddove assume che siano ininfluenti la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e l’indicazione del responsabile del procedimento stesso.

4.4) In via subordinata: illegittimità per violazione di legge (D.P.R. 380/2001, art. 4, comma 2, ed art. 20) ed eccesso di potere. Violazione delle disposizioni, normative e del R.E. comunale che definiscono l'obbligatorietà del parere della C.E. comunale. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto dl presupposto essenziale, difetto assoluto di motivazione. Incompetenza. Errores in judicando e in procedendo. Motivazione omessa o insufficiente, infrapetizione, omessa pronuncia sulle ulteriori ragioni di fondatezza del ricorso. Appello ed anche riproposizione di ragioni eventualmente assorbite e qui espressamente reiterate.

Nell’osservare come l’avversato provvedimento di diniego trovi fondamento in una relazione del tecnico istruttore del 20 giugno 2006, contenente proposta negativa per il rilascio del permesso di costruire e resa successivamente all'acquisizione del parere della Commissione Edilizia comunale, lamenta l’appellante la consumazione di una “inversione procedimentale”, dal momento che l’intervento di quest’ultima avrebbe dovuto seguire – e non precedere – l’apporto consultivo anzidetto.

L’appellata sentenza avrebbe, inoltre, errato nell’assumere l’ininfluenza dell’omessa comunicazione del preavviso di rigetto, di cui art. 10-bis della legge 241/1990: in proposito sostenendosi la lesione delle prerogative partecipative, il cui esercizio viene dalla predetta disposizione consentito.

4.5) In via subordinata: ingiustizia dell’omesso esperimento di mezzi istruttori

Lamenta, da ultimo, parte appellante che il giudice di primo grado avrebbe omesso di prendere in esame le istanze istruttorie dalla stessa formulate, senza fornire alcuna motivazione in proposito.

5. L’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio in data 2 marzo 2020.

6. In vista della trattazione nel merito del ricorso, parte appellante ha depositato, in data 16 maggio 2020, memoria con la quale, nel replicare al deposito documentale di controparte, ha ribadito le censure esposte con l’atto introduttivo ed insistito per l’accoglimento del mezzo di tutela.

7. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 16 giugno 2020.

DIRITTO

1. Va, in primo luogo, osservato come questa Sezione, con ordinanza collegiale n. 162 del 9 gennaio 2020, abbia rilevato l’esigenza di acquisire, presso l’Amministrazione comunale di Pagani (solo successivamente costituitasi nel presente giudizio) documentati chiarimenti volti ad illustrare:

- la presenza di eventuali sopravvenienze riguardanti la strumentazione urbanistica disciplinante gli insediamenti nell’area de qua, successivamente al venir meno dell’efficacia delle prescrizioni dettate dal P.I.P.;
e (ove esistenti) la portata delle relative prescrizioni, con riferimento alla vocazione edificatoria dell’area stessa ed alle limitazioni alla stessa imposte;

- l’esatta individuazione della diversa configurazione – rispetto all’originario disegno dei lotti e degli allineamenti contemplati nel P.I.P. – del progetto edilizio presentato dall’appellante ed oggetto di diniego di rilascio di permesso di costruire, in prime cure impugnato dinanzi alla Sezione staccata di Salerno del T.A.R. della Campania.

1.1 A fronte dell’incombente, come sopra disposto, il Comune, all’atto della costituzione (2 marzo 2020), ha depositato una relazione del Settore Pianificazione – S.U.A.P., nella quale sono state evidenziate:

- l’insussistenza di “modifiche alla strumentazione urbanistica rispetto alla data del 15/12/2005, di presentazione di richiesta di permesso di costruire da parte del sig. R A”;

- l’approvazione, con deliberazione consiliare n. 34 dell’11 giugno 2003, di una variante al P.I.P., non avente valenza ablatoria, né modificativa della vocazione edificatoria dell’area interessata, ma incidente “solo sugli allineamenti e quindi sulla conformazione del disegno dei lotti”;

- la mancata osservanza, rilevabile dall’esame della richiesta di rilascio di permesso di costruire presentata dall’odierno appellante, del disegno dei lotti, in quanto “rispetto all’originario P.I.P. approvato con D.C.C. n. 128 del 19/12/1989 l’intervento coincide con i lotti 74, 75 e 76 rispettando il disegno dei lotti ma in contrasto con l’art. 12 delle norme di attuazione dello stesso che prevede, per la zona artigianale, l’accorpamento massimo di due lotti e non tre lotti come nel progetto proposto”.

Unitamente al profilo da ultimo indicato, nella summenzionata relazione viene, inoltre, ribadito il mancato rispetto “ degli allineamenti della variante al P.I.P. (lotto 1 e 2)”.

1.2 Con memoria depositata il 16 maggio 2020, il sig. R ha denunciato l’inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione del provvedimento dal medesimo in prime cure gravato, atteso che la questione relativa all'accorpabilità di due lotti (e non tre, come nel progetto proposto), riferita ai lotti nn. 74, 75 e 76, non è stata indicata dall’Amministrazione nella determinazione recante rigetto della richiesta di rilascio di permesso di costruire.

Osserva, inoltre, l’appellato che la deliberazione consiliare n. 34 del 2003 (alla quale si fa riferimento nella suindicata relazione) ha formato oggetto di annullamento da parte del T.A.R. di Salerno: per l’effetto, contestando che tale atto sia produttivo di effetti giuridicamente rilevanti.

2. Va, in primo luogo, sottolineato come il provvedimento del Comune di Pagani, dall’odierno appellante gravato dinanzi alla Sezione staccata di Salerno del T.A.R. della Campania, abbia respinto la richiesta di rilascio di titolo edificatorio, in quanto:

“- il progetto edilizio non rispetta la lottizzazione del PIP approvato con DCC n. 128/89 e s.m.i.;

- il progetto interessa una parte di area stralciata dallo stesso Piano con diversa destinazione;

- il progetto non tiene conto dell'allargamento della strada via Fiuminale che rientra nel progetto provinciale dell'alternativa alla SS 18”.

Tale determinazione è stata assunta sulla base delle indicazioni rassegnate con relazione del tecnico istruttore in data 20 giugno 2006 (prot. 1393/06), nella quale si dà conto che “l'intervento non rispetta la lottizzazione del PIP, infatti interessa porzione dei lotti nn. 1 e 2, porzione di un’area stralciata e non tiene conto dell'allargamento della via Fiuminale, che rientra nel progetto provinciale dell'alternativa alla SS. 18”.

Va, quindi, rilevato che – come fondatamente osservato dall’appellante con la memoria da ultimo depositata – effettivamente nel perimetro motivazionale dell’atto in prime cure avversato non trova menzione la questione riguardante l’accorpamento di tre lotti (a fronte di un numero massimo di unità accorpabili, pari a due), posta in luce nella relazione depositata dal Comune in adempimento al disposto incombente istruttorio, quale ostativa al rilascio del permesso di costruire richiesto dal sig. R.

Viene, al riguardo, in considerazione la presenza di una motivazione postuma, ampliativa dell’originario fondamento giustificativo dell’avversato diniego;
nella quale, lungi dallo svilupparsi, sotto un profilo argomentativo, i profili ostativi al rilascio del richiesto titolo edificatorio già contenuti nella determinazione avversata, è stato introdotto un nuovo (e precedentemente, non considerato) elemento avente rilievo preclusivo ai fini di cui sopra.

È appena il caso di rammentare il costante insegnamento della giurisprudenza di questo Consiglio ( ex plurimis, Sez. VI, 11 maggio 2018, n. 2843) per cui “nel processo amministrativo l’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento, nella misura in cui i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta, oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990)”; rivelandosi, diversamente, “inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi. La motivazione costituisce infatti il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti”.

Il profilo di inammissibilità, come sopra rilevato in sede interpretativa, va necessariamente esteso anche ad atti che, sebbene non identificabili quali scritti difensivi, nondimeno refluiscano nel giudizio (come, appunto, nella vicenda in esame specie) quali apporti valutativi resi, a fronte dell’esercizio giudiziale del potere acquisitivo (nella fattispecie sostanziatosi nell’ordine istruttorio come sopra impartito), dall’Amministrazione a ciò onerata.

Va, conseguentemente, escluso che l’originario thema decidendum – per come definito dall’esperita azione impugnatoria a fronte della determinazione comunale del 20 giugno 2006, avente ad oggetto diniego di rilascio di permesso di costruire – sia ammissibilmente suscettibile di implementazione con gli ulteriori elementi valutativi addotti nella relazione comunale depositata il 2 marzo 2020.

3. Come sopra perimetrata la quaestio juris rimessa all’attenzione del Collegio, va rilevato come il Tribunale in prime cure adito, abbia ritenuto che:

“- la scadenza del piano comporta il venir meno dei vincoli preordinati all'esproprio, mentre conservano efficacia i vincoli derivanti dagli allineamenti e dalle prescrizioni di zona;

- il PIP di Pagani ha perduto la sua efficacia per decorrenza del termine di legge;

- sono ininfluenti la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento ed indicazione del responsabile del procedimento;

- è ininfluente l'omessa comunicazione del preavviso di rigetto di cui art. 10 bis della L. n. 241/1990”.

4. Quanto sopra osservato, si rammenta che l’art. 27, comma 1, della legge n. 865 del 1971 stabilisce che i Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione approvati possono formare, previa autorizzazione della Regione, un Piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi (P.I.P.).

Il successivo comma 3 prevede che il piano approvato ha efficacia per dieci anni dalla data del decreto di approvazione ed ha valore di piano particolareggiato d’esecuzione ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;
mentre il comma 5 dispone che le aree comprese nel piano approvato sono espropriate dai comuni o loro consorzi secondo quanto previsto dalle stessa legge in materia di espropriazione per pubblica utilità.

Il P.I.P., dunque, è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione, la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione: il piano per gli insediamenti produttivi, quindi, non è soltanto uno strumento di pianificazione urbanistica nel senso tradizionale, ma è anche uno strumento di politica economica, perché ha la funzione di incentivare le imprese, che possono ottenere, ad un prezzo molto più basso del mercato, previa espropriazione ed urbanizzazione, le aree occorrenti per il loro impianto o la loro espansione.

5. La fondamentale questione di diritto posta dal ricorso in appello afferisce all’interpretazione delle conseguenze rivenienti dalla scadenza del termine di efficacia decennale del P.I.P. approvato: ciò, segnatamente, con riferimento alla perduranza di effetti, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 17 della legge 1150 del 1942.

Il Collegio ritiene che, avendo il P.I.P. approvato, per espressa disposizione di legge, valore di piano particolareggiato di esecuzione ai sensi della legge anzidetta, allo scadere del termine decennale il Comune consumi il proprio potere espropriativo, mentre la destinazione d’uso delle aree già impressa dallo strumento urbanistico attuativo permane fino a nuova disciplina.

La giurisprudenza di questo Consiglio, anche recentemente, ha avuto modo di chiarire (in una fattispecie in cui si è affermata l’applicabilità del termine decennale di efficacia dei piani particolareggiati anche ai piani di lottizzazione), che, alla scadenza del termine di efficacia, sopravvivono la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 maggio 2018, n. 3002, che richiama Cons. Stato, Sez. IV, n. 4036 del 2017;
Sez. V, n. 6823 del 2013;
Sez. IV, n. 2045 del 2012;
nonché Cons. Stato, Sez. IV, 22 ottobre 2018, n. 5994).

La limitazione decennale dell’efficacia prevista per i piani particolareggiati, in sostanza, trova applicazione alle sole disposizioni di contenuto espropriativo;
e non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano, che rimangono pienamente operanti e vincolanti sino all’approvazione di un nuovo piano attuativo.

Tali coordinate ermeneutiche si applicano anche al Piano di Insediamenti Produttivi (Cons. Stato, Sez. III, 24 agosto 2010, n. 3904), avente per legge valore di piano particolareggiato di esecuzione, sebbene quest’ultimo abbia la particolarità di non concretarsi nella realizzazione di una specifica opera pubblica, in quanto, come già evidenziato, costituisce uno strumento di politica economica con funzione incentivante.

6. Questo Consiglio (cfr. Sez. V, 30 aprile 2009, n. 2768), soffermatosi sul significato del principio generale contenuto nell’art. 17, comma 1, della legge n. 1150 del 1942 (per il quale, “decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”), ha ribadito l’orientamento (per il quale, ex plurimis , cfr. Sez. IV, 4 dicembre 2007, n. 6170 e 28 luglio 2005, n. 4018) secondo cui, fino all’approvazione di un nuovo strumento attuativo che disciplini le aree in essi incluse, deve riconoscersi efficacia “ultrattiva” ai piani attuativi scaduti.

Nella sopra citata pronunzia è stato osservato, con riferimento alle convenzioni di lottizzazione (assimilate ai piani particolareggiati disciplinati dalla c.d. legge urbanistica), che l’imposizione del termine di attuazione va inteso nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova convenzione di lottizzazione.

Ma, fino al momento in cui tale potere non viene esercitato, l’assetto urbanistico dell’area rimane definito nei termini di cui alla convenzione di lottizzazione o del diverso strumento attuativo.

E ciò, in quanto il richiamato art. 17 si ispira al principio secondo cui:

- mentre le previsioni del piano regolatore rientrano in una prospettiva dinamica della utilizzazione dei suoli (e determinano ciò che è consentito e ciò che è vietato nel territorio comunale sotto il profilo urbanistico ed edilizio, con la devoluzione al piano attuativo delle determinazioni sulle specifiche conformazioni delle proprietà),

- le previsioni dello strumento attuativo hanno carattere di tendenziale stabilità (perché specificano in dettaglio le consentite modifiche del territorio, in una prospettiva in cui l’attuazione del piano esecutivo esaurisce la fase della pianificazione, determina l’assetto definitivo della parte del territorio in considerazione e inserisce gli edifici in un contesto compiutamente definito).

Ne consegue che il termine di efficacia degli strumenti di pianificazione attuativa opera rispetto alle (eventuali) sole disposizioni di contenuto espropriativo;
e non anche con riferimento alle prescrizioni urbanistiche di piano, che rimangono pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino all'eventuale approvazione di un nuovo strumento urbanistico attuativo.

7. Se è vero che, come in precedenza indicato, la norma ex art. 17 prevede, nel caso di inutile spirare del termine di validità del P.I.P., la sola decadenza dei vincoli e degli speciali poteri che la legge urbanistica attribuisce all’Amministrazione per consentire la realizzazione del programma urbanistico, deve allora ritenersi che le disposizioni del piano scaduto caratterizzate da ultrattività siano quelle relative alle prescrizioni di zona ed agli allineamenti: e ciò al fine di evitare che, a fronte di un programma urbanistico in parte già realizzato, i nuovi interventi edilizi non si coordinino con il disegno urbanistico sino ad allora seguito, così alterandolo, mentre è impedito l’esercizio dell’attività espropriativa.

Siffatta considerazione consente di apprezzare la fondatezza della prospettazione di parte appellante.

Con essa, infatti, viene argomentato che – pur nella constatata perduranza di efficacia delle prescrizioni e degli allineamenti dello strumento attuativo – nondimeno, non sarebbe evocabile, al fine di denegare l’espansione dello jus aedificandi, il “mero disegno dei lotti del P.I.P.”: il quale integrerebbe “condizione estranea alla nozione di allineamenti e prescrizioni di zona di cui all'art. 17 l. 1150/1942”, introducendo una asseritamente inesistente “relazione di identità o equazione tra allineamenti e prescrizioni di zona e disegno dei lotti di PIP” .

Invero, se la nozione di “allineamento” ha riguardo alla collocazione di un manufatto frontistante un tratto viario (con funzione di evitare disarmonie di posizionamento fra più corpi di fabbrica, parimenti insistenti sul medesimo fronte stradale), diversamente nelle prescrizioni di zona rientrano quelle relative ai rapporti di copertura, alle distanze ed ai distacchi, alle volumetrie realizzabili, alle altezze massime.

Non il “disegno dei lotti”, evocato nel provvedimento gravato in prime cure, per il quale le Norme tecniche di attuazione del P.I.P. del Comune di Pagani si limitano ad individuare un limite massimo di accorpabilità pari a due lotti (questione, questa, estranea al thema decidendum, in quanto non rappresentata nell’avversato diniego di rilascio di titolo edilizio quale elemento ostativo, ma introdotta ex post nella relazione di cui sopra).

Se va, dunque, ribadito che alla scadenza del termine di efficacia, sopravvivono la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio (trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura: cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 2 gennaio 2019, n. 22), va escluso che l’ultrattività all’esame possa estendersi (anche) al disegno dei lotti.

Quanto alla vicenda all’esame, va posto in evidenza che:

- il P.I.P. del Comune di Pagani risale al 1989;

- è stata introdotta, a distanza di circa dieci anni (deliberazione consiliare 51 del 1999) una variante allo stesso Piano, che il T.A.R. di Salerno, con una pluralità di sentenze rese nel 2004 (nn. 1553, 1554, 1555, 1556, 1557, 1558, 1560, 1561, 1562, 1656, 1657, 1658, 1659, 1660, 1661, 1662, 1663, 1664, 1665, 1666, 1667, 1672, 1673, 1674, 1675, 1668, 1669, 1670, 1671, 1692, 1693, 1694, 1695, 1696, 1697, 1689, 1690, 1691, 1698, 1699, 1770, 1701, 1702, 1703, 1704, 1705, 1706, 1716, 1718, 1719, 1764, 1876;
tutte non appellate e, quindi, assistite da forza di giudicato) ha escluso possa configurare “adozione di un nuovo P.I.P.”, non avendo “essa … arrecato modificazioni o rinnovazioni dell’originario termine di efficacia decennale del Piano, il quale, come sopra detto, risulta scaduto alla fine dell’anno 2000”;

- omogenea illegittimità è stata, dallo stesso giudice di primo grado, ripetutamente rilevata con le pronunzie sopra indicate, anche con riferimento agli “ulteriori atti di variante posti in essere dall’amministrazione successivamente alla avvenuta scadenza del Piano (in particolare, … la c. d. “variante interna” di cui alla delibera di C. C. n. 34/2003), considerato che questi, in quanto mera modifica di una realtà giuridica preesistente (il P.I.P.) e non nuovo ed autonomo strumento urbanistico, ne presuppongono la vigenza e la perdurante efficacia;
elementi che nella specie … mancano”.

8. Viene, quindi, in considerazione uno strumento di pianificazione attuativa, privo di efficacia fin dalla fine del 1999 per decorso del termine decennale di validità del P.I.P., la cui perdurante idoneità alla produzione di effetti giuridicamente rilevanti viene a protrarsi (in difetto di successiva introduzione di strumentazione urbanistica, come rappresentato nella sopra riportata relazione di chiarimenti depositata dall’Amministrazione) fino alla data odierna (a distanza di oltre un ventennio).

Se l’evidente inerzia della competente Amministrazione nel ridisciplinare, sotto il profilo urbanistico, l’area (già) compresa nel P.I.P. non può essere ignorata, si rivela affatto incondivisibile la pretesa di estenderne la protratta efficacia al di fuori del perimetro (allineamenti;
prescrizioni di zona) di consentita ultrattività del Piano stesso: con riferimento (per come risulta motivato il diniego opposto alla richiesta di rilascio di titolo ad aedificandum presentata dall’odierno appellante) ad un non meglio chiarito “disegno dei lotti”.

Né il mancato chiarimento sul punto fornito dall’appellata Amministrazione alla richiesta istruttoria formulata dalla Sezione, unitamente al già analizzato “ampliamento” dell’apparato motivazionale dell’atto avversato in prime cure, consentono di pervenire ad un positivo apprezzamento delle ragioni sottese all’adozione della determinazione gravata.

9. In accoglimento del proposto appello, va dunque riformata la sentenza n. 2283 del 22 settembre 2008, resa dalla Sezione staccata di Salerno del T.A.R. della Campania;
e, per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado, devono essere annullati gli atti con tale mezzo di tutela avversati.

Le spese del doppio grado, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico della soccombente Amministrazione comunale.

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