Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-08-18, n. 201005879

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-08-18, n. 201005879
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201005879
Data del deposito : 18 agosto 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01943/2009 REG.RIC.

N. 05879/2010 REG.DEC.

N. 01943/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 1943 del 2009, proposto da:
B A in qualità di titolare di Impresa Planet Costruzioni, rappresentato e difeso dagli avv.ti A P, F G S, A S, con domicilio eletto presso F G S in Roma, via G.Paisiello, 55;

contro

Comune di Plati', rappresentato e difeso dall'avv. G C, con domicilio eletto presso Alessandro Fusco in Roma, via Groenlandia 31;
Prefettura di Reggio Calabria, Ministero dell'Interno;

nei confronti di

Impresa Costruzioni Brizzi Ilario;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00740/2008, resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO LAVORI RETE IDRICA - CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Plati';

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2010 il consigliere M C e uditi per le parti gli avvocati Scoca e Callipo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza n. 740 del 2008, il Tar per la Calabria, sezione di Reggio Calabria, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti da Antonio Barbaro, titolare dell’impresa individuale “Planet costruzioni di B A” (già “Impre Edil di Barbaro rag. Antonio”), per l’annullamento:

a) della delibera della Commissione straordinaria n. 25 del 12.3.2008, con la quale il Comune di Platì (RC) ha preso atto del rilascio, da parte della Prefettura di Reggio Calabria, di informativa antimafia interdittiva a carico dell’impresa ricorrente e ha demandato al Dirigente comunale dell’area tecnico-manutentiva “di aggiudicare l’appalto alla ditta seconda classificata”;

b) della determinazione dirigenziale n. 58 del 13.3.2008 con la quale è stata revocata l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto alla ditta ricorrente ed è stata aggiudicata la gara all’impresa seconda classificata “Impresa costruzioni Brizzi Ilario”;

c) dell’informativa antimafia della Prefettura di Reggio Calabria del 6.3.2008 con effetto interdittivo.


Il Tar ha ritenuto infondata la dedotta violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, trattandosi di un unico procedimento (informativa e conseguente revoca dell’aggiudicazione) connotato da esigenze di celerità e riservatezza che consente di escludere la partecipazione del privato.


Quindi ha negato che la Commissione straordinaria avesse travalicato le proprie attribuzioni e invaso le competenze del dirigente, perché l’organo collegiale si è limitato a prendere atto dell’informativa negativa per l’impresa, demandando al dirigente l’adozione dei conseguenti provvedimenti dovuti.


Circa poi le contestazioni sul contenuto dell’informativa prefettizia – censurata per l’ inesistenza di fatti nuovi rispetto ad una vicenda del 2005, la mancata considerazione dell’intervenuto annullamento della misura coercitiva in carcere adottata in un procedimento del 2001 e la presa in esame dei soli rapporti di parentela risultanti dagli accertamenti delle forze di polizia - il Tar ha richiamato la costante giurisprudenza amministrativa nella specifica materia e ha condiviso con la p.a. che il quadro indiziario emerso dagli accertamenti era idoneo a giustificare il “pericolo” della permeabilità dell’impresa rispetto a condizionamenti da parte di organizzazioni criminali, poiché la medesima impresa “è inserita in un contesto familiare gravitante nell’ambito di una nota consorteria mafiosa operante nella locride”.


La sentenza è appellata dall’originaria ricorrente, che insiste sulle originarie censure, integrandole in relazione alla motivazione della decisione del primo giudice.


Si è costituito in giudizio il Comune di Platì che ha diffusamente contestato le censure dell’appellante.

Con successive memorie le parti hanno illustrato le rispettive pretese.

Alla camera di consiglio del 24.3.2009, con ordinanza n. 1532 del 2009 è stata respinta l’istanza cautelare.

All’udienza del 20 aprile 2010 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

La questione posta all’attenzione del Collegio riguarda un’informativa antimafia della Prefettura di Reggio Calabria che il Comune di Platì ha ritenuto ostativa all’aggiudicazione di una gara in favore dell’impresa, in un primo momento prescelta.


L’impresa appellante premette di aver partecipato alla gara indetta dal Comune di Platì nel 2007 per i lavori di adeguamento e rifacimento della rete idrica del capoluogo e di avere avuto l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto con determinazione dirigenziale n. 26 del 7.2.2008 a lei sfavorevole e che, in conseguenza di ciò, la Commissione straordinaria del Comune con la delibera n. 25 del 12.3.2008 aveva demandato al dirigente di aggiudicare l’appalto all’impresa seconda classificata;
è quindi seguita la revoca (atto n. 58 del 13.3.2008) da parte del dirigente comunale della precedente sua determinazione n. 26/2008 di aggiudicazione provvisoria, con conseguente affidamento dei lavori alla seconda ditta.

L’impresa aveva quindi impugnato con ricorso principale gli atti sfavorevoli e con motivi aggiunti la nota della Prefettura recante la presupposta informativa antimafia, della quale ha contestato il contenuto in quanto non emergeva nessun fatto nuovo rispetto ad un recente passato in cui quelle stesse risultanze erano state ritenute non idonee ad integrare un legittimo convincimento circa presunti tentativi di infiltrazione mafiosa, e l’informativa si basava esclusivamente su legami parentali che, ovviamente, esistevano anche nel precedente episodio del 2005.

Il Tar adito aveva respinto il gravame per l’infondatezza delle tre censure che ora vengono riproposte.


L’appello deve essere respinto.


E’ utile premettere che con d.p.r. 7.7.2006 il Consiglio comunale di Platì era stato sciolto per la durata di 18 mesi, con affidamento della gestione ad una Commissione straordinaria incaricata di esercitare, fino all’insediamento degli organi ordinari, le attribuzioni del consiglio comunale, della giunta e del sindaco, “nonché ogni altro potere e incarico connesso alle medesime cariche”. A ciò si era giunti in considerazione che nel comune medesimo “sussistono forme di ingerenza della criminalità organizzata, rilevata dai competenti organi investigativi” l’apposita relazione del Ministero dell’interno aveva infatti rappresentato che “il territorio di Platì insiste in un contesto geografico caratterizzato da una radicale presenza di cosche mafiose che, anche con gravi azioni delittuose, hanno esteso, nel tempo, il proprio controllo sul tessuto economico e sociale.


In seguito con d.p.r. 29.12.2007 si è prorogato di 6 mesi lo scioglimento del consiglio comunale, essendosi riscontrato che non erano state superate le esigenze di recupero della legalità a causa del permanere della malavita organizzata.


Anche se, com’è noto, le diffuse argomentazioni ministeriali erano dirette a comprovare il pericolo di condizionamenti degli organi comunali con la malavita del luogo, la circostanza comporta una particolare attenzione delle autorità di polizia e della Commissione straordinaria, all’uopo nominata, sulle influenze a tutto campo delle infiltrazioni mafiose e specie sugli appalti pubblici.


Conscia della situazione locale la Commissione straordinaria, con i poteri extra ordinem che le sono propri, ha dettato (delibera n. 13 del 30.11.2006) i criteri e le modalità da seguire nei procedimenti relativi all’esecuzione di opere pubbliche e alle forniture di beni e servizi, precisando che sarebbero state escluse dalle gare le ditte oggetto di segnalazione ex art. 1 septies del d.l. n. 619 del 1982 e succ. modif., nonché le ditte che, sulla base di notizie acquisite anche tramite i competenti organi giudiziari e di polizia, fossero “ritenute direttamente o indirettamente legate a organizzazioni delinquenziali”. Il bando della gara alla quale ha partecipato l’appellante fa esplicito riferimento alla predetta delibera della Commissione straordinaria;
né il bando né la delibera anzidetti, quali atti presupposti del provvedimento definitivo, sono stati impugnati.


La censura (secondo motivo), di incompetenza della Commissione straordinaria che avrebbe invaso le competenze del dirigente nella revoca dell’assegnazione, è infondata in punto di fatto, poiché l’organo collegiale si è limitato a devolvere al dirigente l’adozione del provvedimento conclusivo della procedura, che è per di più atto dovuto, una volta avuta l’informazione negativa a carico della ditta.

In ogni caso va considerato che la Commissione straordinaria “nei casi in cui lo scioglimento è disposto anche con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condizionamenti di tipo mafioso, connesse all’aggiudicazione di appalti…pubblici…procede alle necessarie verifiche…” e “a conclusione degli accertamenti….adotta tutti i provvedimenti ritenuti necessari e può disporre d’autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto già concluso” (art. 145, comma 4, del t.u. n. 267 del 2000).

Come interpretata dalla giurisprudenza, tale norma consente quindi anche in via diretta la revoca di un’aggiudicazione già disposta (Cons. di Stato, V, n. 7335 del 2005).


Infondato è anche il primo motivo con il quale si ripropone la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. In proposito la giurisprudenza consolidata, cui il Collegio aderisce, esclude la necessità dell’avviso dell’avvio del procedimento relativamente all’informativa antimafia, atteso che si tratta di procedimento di natura cautelare caratterizzato da celerità e riservatezza (Cons. di Stato, VI, n. 6555 del 2006;
VI, n. 3155 del 2008) nonché per l’effetto interdittivo e vincolante per l’amministrazione, la quale è tenuta doverosamente a procedere al ritiro dell’aggiudicazione (Cons. di Stato, V, n. 851 del 2006).

E’ stato all’uopo precisato che “la deroga all’esigenza di garantire la partecipazione al procedimento fin dal suo avvio deriva dalla delicatezza della materia e non contrasta con alcun principio costituzionale” e che “la tutela è consentita in modo pieno attraverso il sindacato sulla motivazione del provvedimento antimafia” (Cons. di Stato, VI, n. 756 del 2008).


Passando al terzo motivo, che è anch’esso infondato, la questione investe il contenuto dell’informativa antimafia che, nella specie, ha indicato come interdittiva una serie di rapporti di parentela del titolare dell’impresa aggiudicatrice dell’appalto con numerosi soggetti, già segnalati dagli organi di polizia in quanto facenti parte di organizzazioni criminali esistenti nel territorio della locride.

Si tratta del padre, del fratello, della moglie del titolare (questi ultimi direttamente investiti di funzioni all’interno della azienda quale direttore tecnico l’uno e institore l’altra), di molti zii e ulteriori parenti, in una consorteria in cui i rapporti sono strettamente intrecciati e che assumono un particolare rilievo sia per la estrema ramificazione e importanza della famiglia collegata a clan mafiosi (in cui alcuni parenti rivestono addirittura ruoli apicali), sia per la localizzazione del fenomeno in un ambiente ristretto come quello del territorio di Plati, in cui i rapporti di parentela acquistano una peculiare linfa determinata dalla necessaria vicinanza, e sia per la diffusa presenza di clan mafiosi nello stesso territorio, alcuni dei quali riconducibili proprio alla famiglia Barbaro.

Tutti questi elementi sono stati valutati, sia pure con motivazione succinta, dalla Prefettura nell’informativa del 6 marzo 2008, che ha considerato come interdittivi ai fini di cui si tratta gli elementi raccolti ed elencati in precedenza dai Carabinieri nella nota del 12.1.2008, quali “accertamenti preliminari ex art. 12 d.p.r. n. 252 del 1998”.

Ciò spiega perché detti elementi dei Carabinieri in passato non sono stati ritenuti (in altro giudizio) costituire un’informativa antimafia, con asserita contraddittorietà del comportamento dell’Amministrazione denunciata dall’appellante. Nel caso ora in esame, infatti, a fronte dell’elencazione contenuta negli accertamenti preliminari, esiste una precisa valutazione della Prefettura sul contenuto di quegli accertamenti e sulla loro incidenza ai fini interdittivi;
si è avuta, in altre parole, l’espressione del potere discrezionale in proposito riconosciuto dal legislatore alla Prefettura che ha fatto propri gli elementi offerti dagli organi di polizia, rilevando che questi delineano “un quadro di strette e significative relazioni di parentela con diversi soggetti ritenuti appartenenti a consorteria mafiosa”.


Pur se il Collegio è consapevole della giurisprudenza amministrativa che ha escluso la legittimità di un’informativa basata soltanto su rapporti parentali, nondimeno nel caso concreto (e l’esame del giudice va sempre contestualizzato alla specifica fattispecie) la parentela così “ramificata” può giustificare l’adozione del provvedimento che è inteso non a reprimere, ma a prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose;
ed ancora la circostanza che in concreto si tratta di un imprenditore singolo (ditta individuale) può far plausibilmente ritenere che sia più facile un suo condizionamento da parte di esponenti della famiglia malavitosa locale, rispetto a ciò che può avvenire nei confronti di una società, composta di più soggetti.


L’appello non può quindi essere accolto.

Per la peculiare fattispecie si stima equa l’integrale compensazione delle spese di lite.

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