Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-04, n. 202101045

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-04, n. 202101045
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101045
Data del deposito : 4 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2021

N. 01045/2021REG.PROV.COLL.

N. 01803/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1803 del 2014, proposto dal Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco in carica pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M C C e G C S, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato G C S in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6,

contro

le signore -OMISSIS- e -OMISSIS-, in qualità di eredi del signor -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati F T ed I R, elettivamente domiciliate presso lo studio dell’avvocato I R in Roma, via Livio Andronico, n. 24,

nei confronti

dell’-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituitasi in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano (Sezione III), -OMISSIS- del 19 luglio 2013, resa inter partes , concernente la partecipazione al costo dei servizi socio-sanitari integrati.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle signore -OMISSIS- e -OMISSIS-;

Visto il ricorso incidentale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2020 il consigliere Giovanni Sabbato (l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, decreto legge 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2, del decreto legge 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “ Microsoft Teams ” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. -OMISSIS-, proposto innanzi al T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, il signor -OMISSIS- aveva chiesto l’annullamento dei seguenti atti:

a ) della nota del 5 luglio 2011, con la quale il Comune di -OMISSIS- gli aveva comunicato che per la spesa di sostentamento della -OMISSIS-, persona con disabilità grave non autosufficiente, il contributo comunale è subordinato alla contribuzione da parte dell’interessata e dei suoi familiari;

b ) del previo regolamento comunale approvato con D.C.C. n. 50 del 24 luglio 2008.

2. A sostegno dell’impugnativa il ricorrente aveva dedotto - invocando l’applicazione dell’art. 3, comma 2 ter del d.lgs. 109/1998 - che la contribuzione avrebbe dovuto essere determinata sul reddito della sola persona assistita (che peraltro sarebbe stato preso in considerazione in applicazione di una disciplina comunale in contrasto con la normativa ISEE), la violazione del principio di proporzionalità in relazione al reddito individuale e familiare, il mancato coinvolgimento delle famiglie e delle associazioni esponenziali in sede di approvazione delle deliberazioni comunali in materia di contribuzione ai servizi assistenziali.

3. Costituitasi l’Amministrazione comunale al fine di resistere, il T.a.r. adìto (Sezione III) ha accolto il ricorso e condannato parte resistente al rimborso delle spese di lite (€ 1.000,00).

4. In particolare, il giudice di prime cure ha ritenuto che:

- “ debbono essere annullati i regolamenti comunali nella parte in cui si discostano dal principio stabilito dalla legge regionale 3/2008, così come modificata dalla Legge Regionale 24 febbraio 2012, n. 2, secondo il quale la partecipazione alla spesa avviene mediante valutazione della situazione reddituale e patrimoniale solo della persona assistita nel caso di accesso ad unità d’offerta residenziali o semiresidenziali per disabili gravi ”;

- ha disapplicato la Deliberazione di Giunta regionale n. IX/3779/2012 in quanto “ illegittima nella parte in cui prevede i Comuni in cui la legge sarà applicata in via sperimentale ”;

- ha ritenuto sussistente il deficit di partecipazione procedimentale in sede di elaborazione dei regolamenti comunali in tema di contribuzioni ai servizi sociali e socio-sanitari.

5. Avverso tale pronuncia il Comune di -OMISSIS- ha interposto appello, notificato il 27 febbraio 2014 e depositato il 4 marzo 2014, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 11-27), quanto di seguito sintetizzato:

I) erroneità della sentenza, in quanto il T.a.r. avrebbe dovuto dichiarare il ricorso irricevibile per avere il ricorrente impugnato un atto meramente confermativo di altro precedente (nota dell’11 febbraio 2010), tale da consentirgli di percepire la lesività del regolamento in oggetto;

II) il T.a.r. avrebbe applicato la disciplina regionale così come modificata in corso di giudizio (con la l.reg. n. 2/2012) e quindi successiva all’adozione dell’atto impugnato, pertanto incorrendo nella violazione del principio tempus regit actum in base al quale la controversia andava decisa alla luce delle disposizioni della legge regionale n.3/2008;

III) nell’applicare la legge regionale n. 2/2012 il T.a.r. avrebbe trascurato che, proprio in base a tali disposizioni, il riferimento alla situazione patrimoniale del solo assistito può essere applicato, per il primo anno in via sperimentale, solo alle Amministrazione individuate con apposito provvedimento della Giunta regionale contestualmente stabilendo la sopravvivenza dei provvedimenti comunali in materia;

IV) nell’accogliere il motivo relativo al deficit di partecipazione procedimentale in favore delle associazioni esponenziali, il T.a.r. non si sarebbe avveduto che la censura non era assistita dal necessario profilo d’interesse.

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto del ricorso di primo grado.

7. In data 28 maggio 2014, il signor -OMISSIS- si è costituito con memoria di controdeduzioni, evidenziando, ad infringendum , che questo Consiglio si sarebbe già espresso sulla questione controversa, con la sentenza n. -OMISSIS-, in senso favorevole alla tesi sostenuta col ricorso originario e, eccepita la inammissibilità del primo motivo d’appello, proponendo gravame incidentale avverso i capi della sentenza reiettivi delle censure di primo grado, per le seguenti ragioni:

i) il T.a.r. avrebbe erroneamente ritenuto non applicabile la norma statale, corroborata peraltro dai principi europei, norma che vuole il solo assistito, e non anche i suoi familiari, gravato dagli oneri connessi all’assistenza dei disabili;

ii) il T.a.r. avrebbe errato nel respingere la censura relativa al riconoscimento di € 75 mensili per le spese personali essendo peraltro il Comune a dimostrare la ragionevolezza di tale importo rispetto all’esigenze del ricoverato;

iii) il T.a.r. avrebbe errato anche nel respingere la censura con la quale si deduceva che, per il regolamento comunale, la dichiarazione ISEE era intesa solo come incameramento del patrimonio dell’assistito invece che come misuratore della ricchezza.

7.1. L’appellato ha poi riproposto la censura, non esaminata dal T.a.r., con la quale aveva dedotto l’irrilevanza della sua condizione di familiare chiamato ex lege ad assicurare gli alimenti all’assistito e la violazione del principio di proporzionalità.

8. In data 29 ottobre 2020, le signore -OMISSIS- e -OMISSIS-, quali eredi del signor -OMISSIS-, hanno riassunto il giudizio chiedendo il rigetto dell’appello principale, l’accoglimento dell’appello incidentale e, se necessario, il rinvio alla Corte costituzionale delle norme applicate se interpretate nel senso auspicato dall’Amministrazione.

9. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno svolto difese scritte insistendo per le rispettive conclusioni.

10. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica svoltasi con modalità telematica dell’11 dicembre 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.

11. L’appello è fondato e va accolto mentre l’appello incidentale è da respingere.

11.1 Col primo motivo parte appellante lamenta la tardività del ricorso di primo grado (la questione, non posta in primo grado, è comunque rilevabile d’ufficio) evidenziando che la nota del 5 luglio 2011 era meramente confermativa di quella dell’11 febbraio 2010, rimasta inoppugnata;
peraltro, si osserva, tali atti non assumono carattere discrezionale in quanto costituiscono applicazione del previo regolamento comunale di cui ben poteva il ricorrente percepire la lesività già con la prima delle due note emesse dall’Amministrazione.

12. Ritiene il Collegio che si può soprassedere alla disamina di tale pregiudiziale questione di rito, in considerazione della fondatezza dei rilievi afferenti al merito della controversia.

12.1 In particolare, l’appellante, col primo mezzo, deduce che il T.a.r. avrebbe posto a fondamento della sua decisione una normativa regionale sopravvenuta (l.r. 2/2012) in violazione del principio tempus regit actum .

Il motivo è fondato.

Invero, “ la legittimità di un atto amministrativo va accertata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711) cosicché non possono sorreggere l’invocato scrutinio quei mutamenti intervenuti successivamente alla piattaforma giuridica e fattuale su cui si fonda l’atto oggetto di impugnativa. A fronte di tale regola “ aurea ” il T.a.r. ha posto a fondamento delle sue considerazioni, ai fini dell’accoglimento del ricorso di prime cure, il “ principio stabilito dalla legge regionale 3/2008, così come modificata dalla Legge Regionale 24 febbraio 2012, n. 2, secondo il quale la partecipazione alla spesa avviene mediante valutazione della situazione reddituale e patrimoniale solo della persona assistita nel caso di accesso ad unità d’offerta residenziali o semiresidenziali per disabili gravi ”. Il giudice di prime cure non si è però avveduto che la nota impugnata risale al 5 luglio 2011 ed è così antecedente all’intervento della succitata riforma, in quanto, essendo questa pubblicata sul bollettino regionale il 29 febbraio 2012, è entrata in vigore soltanto dopo l’adozione dell’atto.

La vicenda di causa è pertanto attratta alla disciplina ante riforma, dalla seguente formulazione: “ Le persone che accedono alla rete partecipano, in rapporto alle proprie condizioni economiche, così come definite dalle normative in materia di Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e nel rispetto della disciplina in materia di definizione dei livelli essenziali di assistenza, alla copertura del costo delle prestazioni mediante il pagamento di rette determinate secondo modalità stabilite dalla Giunta regionale, previa consultazione dei soggetti di cui all'articolo 3 e sentita la competente commissione consiliare. Partecipano altresì i soggetti civilmente obbligati secondo le modalità stabilite dalle normative vigenti ”. Assume particolare rilievo proprio l’ultimo periodo dell’articolo in esame, in quanto attribuisce anche ai soggetti civilmente obbligati il compito di partecipare alla copertura del costo delle prestazioni assistenziali, novero nel quale rientra appunto l’odierno appellato nella sua condizione di figlio dell’assistita. Ne consegue che la nota impugnata in prime cure risulta coerente con la normativa all’epoca vigente e pertanto, contrariamente a quanto opinato dal T.a.r., è da reputare legittima laddove individua i soggetti tenuti alla contribuzione sulla base del regolamento comunale, risultando questo conforme con la disciplina regionale ratione temporis vigente.

12.2. Il secondo motivo, col quale si lamenta l’erronea lettura che il T.a.r. avrebbe fatto della suddetta legge n. 2/2012, è da ritenere assorbito dalle considerazioni di cui al capo che precede, essendosi rilevata l’inapplicabilità al caso di specie di tale disciplina.

12.3 Fondato è anche il terzo motivo, col quale si avversa il capo 2.4 della sentenza impugnata, accoglitivo della censura del difetto di partecipazione procedimentale, in quanto, come dedotto dall’appellante, alcun interesse poteva serbare il ricorrente di primo grado nel contestare tale mancanza in favore delle “ famiglie e delle Associazioni esponenziali ” (cfr. pagina 17 del ricorso di primo grado) ovverosia soggetti diversi, titolari di un interesse partecipativo da far valere con autonoma iniziativa giurisdizionale.

L’appello è da reputarsi, per le ragioni anzidette, fondato.

13. Venendo all’esame delle deduzioni sollevate con l’appello incidentale se ne deve ravvisare l’infondatezza, per le seguenti ragioni:

- come correttamente rilevato dal T.a.r., la norma statale di cui all’art. 3, comma 2 ter del d. lgs. n. 109/1998 (secondo cui “ Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito […]”) non è suscettibile di applicazione diretta, in quanto “ una legge regionale che eventualmente disponga in senso contrario prevale sulla norma statale, derogandola ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 novembre 2013, n. 5355);

- la Corte delle Leggi ha, infatti, ritenuto che “ deve escludersi che la norma di cui all’art. 3, comma 2 ter, del decreto legislativo n. 109 del 1998, costituisca un livello essenziale delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, idoneo a vincolare le Regioni ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., nella materia di competenza legislativa residuale relativa ai servizi sociali ” (cfr. Corte Cost., sentenza n. 297 del 19 dicembre 2012);

- l’appellante incidentale sostiene che l’estensione degli oneri contributivi ai familiari dell’assistito sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione e con la Convenzione di New York del 25 agosto 2006 sui diritti delle persone con disabilità, evidenziando che tale questione di legittimità costituzionale era stata sollevata, al momento della proposizione del gravame, in relazione all’art. 18 della l.p. n. 13 del 2007 della Provincia Autonoma di Trento con ordinanza del 25 giugno 2013 del Tribunale ordinario di Trento, sezione distaccata di Tione, questione, che però, nelle more del presente giudizio, è stata dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 2/2016;

- ha ritenuto, in particolare la Corte delle leggi che appare del tutto erroneo l’argomento del giudice a quo secondo cui la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, sottoscritta a New York il 13 dicembre 2006, conterrebbe, in forma “ autoapplicativa ”, l’impedimento di tenere conto del reddito dei familiari della persona disabile, al fine di stabilire le prestazioni assistenziali da erogare, a fronte di obblighi civilisticamente regolati;

- secondo la Corte “ si può semmai cogliere, fin dal preambolo della Convenzione, una indicazione di segno opposto, essendo, alla lettera (x), formulato l’esplicito richiamo alla famiglia come “nucleo naturale e fondamentale della società” insieme all’espresso convincimento che tanto le persone con disabilità quanto i “membri delle loro famiglie dovrebbero ricevere la protezione ed assistenza necessarie a permettere alle famiglie di contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità”. Il che sembra presupporre, ai fini delle discipline in tema di sostegno alle persone disabili, la tendenza a prevedere l’intervento dei pubblici poteri, con l’onere per l’intera collettività, in funzione prevalentemente sussidiaria e in presenza di condizioni di difficoltà economiche anche delle relative famiglie;
richiedendosi, nel contempo, primariamente a queste ultime, in relazione alle proprie capacità, l’adempimento di un naturale e diretto dovere di solidarietà, oltre che dei correlativi obblighi giuridici
”;

- per quanto attiene alla violazione dell’art. 38, primo comma, della Costituzione, pure richiamato nelle deduzioni di parte appellante, secondo la Corte, “ l’ordinanza di rimessione, oltre che apparire fortemente carente in punto di motivazione, finisce per rivelarsi incoerente rispetto all’oggetto stesso della censura che propone, sostenuta esclusivamente dall’assunto, del tutto apodittico, secondo cui, nel parametro evocato, la persona inabile “assume rilievo di per se stessa, senza alcun riferimento al suo nucleo familiare” ”;

- parte appellante richiama altresì la sentenza di questo Consiglio n. 297/2012, evidenziando che con tale pronuncia si è escluso che la discrezionalità degli enti locali possa derogare ai principi fissati dalla legge statale o regionale;

- tale principio di diritto però non si attaglia alla presente causa in quanto l’art. 17 del regolamento comunale, richiamato dalla nota impugnata in prime cure, risulta coerente con le menzionate disposizioni della legge regionale nella versione ratione temporis vigente nel prevedere che sia il soggetto disabile sia i suoi prossimi congiunti devono contribuire alle spese di assistenza;

- nessuna prova è stata fornita dalla parte in ordine alla inadeguatezza della somma di € 75 mensili per spese personali, dimostrazione che, contrariamente a quanto opinato dall’appellato, incombe su colui che deduce tale circostanza dovendo essere rapportata, invece che ad un astratto canone di ragionevolezza, alle peculiari esigenze della persona assistita, di cui l’Amministrazione ben può non essere a conoscenza;

- l’appellante incidentale, altresì, avversa il capo della sentenza - che si deduce essere non calibrato rispetto alla censura - con il quale è stata respinta la deduzione relativa alla trasformazione dell’ISEE, come previsto dal d.lgs. n. 109/1998, da parametro di valutazione della situazione economica del richiedente a “ strumento per scovare ogni bene dell’assistito per incamerarlo ” (cfr. appello incidentale, pagina 21), in relazione sia al patrimonio mobiliare che immobiliare (tanto da nemmeno prevedere per il secondo la franchigia);

- per vero la Sezione ha in più occasioni ribadito che “ l’ISEE resta, dunque, l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati e deve scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate, non essendo consentita la pretesa del Comune di creare criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria ovvero finanche sostitutiva ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 13 novembre 2018 n. 6371; id ., 2 marzo 2020, n. 1505)

- si è altresì osservato dalla Sezione che “ non è quindi consentito all’Amministrazione Comunale introdurre un sistema che, surrettiziamente, ponga nel nulla i principi che regolano la materia, arrivando ad azzerare il contributo per un soggetto che - in base all’ISEE - ne aveva diritto ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2020, n. 1505);

- orbene, le deduzioni dell’appellante si fondano su un serrato confronto tra le disposizioni del regolamento comunale e la normativa statale in materia di indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) senza tuttavia specificare quale concreta ricaduta abbia avuto nel caso in esame la disciplina locale sulla determinazione della contribuzione a carico dell’assistita secondo la sua esatta situazione patrimoniale;
ne consegue che tali deduzioni non sono in grado di inficiare la legittimità dell’atto impugnato in prime cure.

14. Infondate sono anche le censure non esaminate dal T.a.r. e riproposte in questa sede, in quanto:

- secondo l’appellante incidentale non sarebbe consentito evadere dai confini del nucleo familiare di appartenenza dell’assistita per individuare i soggetti obbligati al pagamento delle rette o a soggiacere al diritto di rivalsa dei Comuni, stante la previsione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 109/1998 secondo cui “ le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell'art. 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all'articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata ”;

- la Sezione ha invero rilevato che “ ai fini della determinazione della partecipazione ai costi della degenza, nell’ambito del riconoscimento di prestazioni sociali agevolate, anche nel caso dei disabili gravi o di anziani non autosufficienti, gli enti erogatori possono legittimamente estendere l’ambito previsto dalla normativa di cui al D.Lgs. n. 109/1998 ai familiari civilmente obbligati con la precisazione che tale estensione è finalizzata esclusivamente a definire la situazione economica di ciascun assistito in relazione a tutte le risorse alle quali può potenzialmente attingere ”;

- tuttavia, come sopra rimarcato, la rilevanza della condizione dell’appellato di prossimo congiunto chiamato ad assicurare gli alimenti all’assistito ex art. 433, comma 1, n. 2), si fonda su una autonoma disposizione di legge regionale nella formulazione vigente all’epoca dei fatti;

- l’appellante incidentale, infine, ripropone la censura di cui al ricorso di primo grado, con la quale lamenta la violazione del principio di proporzionalità in considerazione dell’importo della retta, ammontante a circa 24.000 euro, rispetto al reddito ISEE -OMISSIS-;

- premesso che la posizione economica di quest’ultimo non può assumere alcun rilievo, non assumendo la veste di parte processuale, denota l’infondatezza di quanto dedotto il fatto che la disciplina regolamentare prevede il concorso dell’Amministrazione comunale alle spese di ricovero presso la RSA, tant’è che in sede di ricorso si rammenta che la contribuzione al pagamento delle rette a carico dei parenti è prevista “ nella misura del 30 % se ascendenti o discendenti non conviventi ”, condizione nella quale giustappunto versava il figlio dell’assistita;
ne consegue, infatti, che la stessa disciplina applicata dall’Amministrazione contemplava forme di contribuzione pubblica ai costi derivanti dall’assistenza fornita alla disabile in maniera da alleviare gli oneri a carico dei soggetti privati.

15. Non ricorrono, infine, i presupposti per la richiesta trasmissione degli atti alla Corte costituzionale già solo per il fatto che la normativa di riferimento è già stata sottoposta al relativo controllo di conformità mediante la citata pronuncia, con la quale, individuate le due finalità ricavabili dall’art. 3 comma 2 ter del d.lgs. n. 109/1998 (da un lato, l’evidenziazione della situazione economica del solo assistito e, dall’altro, la finalità di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza), la Corte ha peraltro evidenziato che “ le due descritte finalità possono, almeno parzialmente, divergere tra loro, dal momento che la previsione di una compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il proprio nucleo familiare ”.

16. In conclusione, l’appello principale è fondato e va accolto con conseguente reiezione, in riforma dell’impugnata sentenza, del ricorso di prime cure;
l’appello incidentale va invece respinto siccome infondato.

17. Sussistono nondimeno giusti motivi, attesa l’assoluta peculiarità della vicenda e la natura degli interessi in gioco, per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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