Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-04-05, n. 202403158
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Pubblicato il 05/04/2024
N. 03158/2024REG.PROV.COLL.
N. 08535/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8535 del 2021, proposto da
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia;
contro
Romana Scavi s.r.l. ed ACER - Associazione Costruttori Edili di Roma e Provincia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentate e difese dagli avvocati A L e L L, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Costabella, 23;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del Presidente
pro tempore
, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 8795/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Romana Scavi S.r.l. e di Acer - Associazione Costruttori Edili di Roma e Provincia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2024 il Cons. V P e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, la società Romana Scavi s.r.l., concessionaria del diritto di superficie su aree all’interno del PdZ B48 “Colle Fiorito”, nel comparto A/P, ex Convenzione 18 giugno 2009, ai fini della realizzazione del PEEP “20.000 abitazioni in affitto”, impugnava la determina di Roma Capitale n. 389 del 3 marzo 2020, con la quale erano stati formalizzati i criteri per l’univoca applicazione delle norme vigenti in materia di determinazione del canone di locazione da valere per gli interventi costruttivi realizzati su aree ex lege n.167 del 1962, a regime di edilizia residenziale pubblica convenzionata, ex art.35 l. n.865 del 1971.
La società rilevava, in particolare, come già nel bando per l’affidamento della concessione fosse stato stabilito che il canone non avrebbe potuto essere superiore a quello determinato ex art. 2, comma 3 l. n. 431 del 1998 e che pure il disciplinare di gara, all’art. 12, aveva previsto che il canone avrebbe dovuto rispettare anche i limiti di cui all’art. 18, comma 1c del d.P.R. n.380 del 2001: sulla base di tali presupposti erano stati pertanto sottoscritti i singoli contratti di locazione.
Ad avviso della ricorrente, però, l’impugnata determina n. 389 del 2020 modificava sostanzialmente ed in senso peggiorativo i criteri convenzionali, ragion per cui la stessa si era determinata ad impugnarla nella denegata ipotesi di una sua applicazione ex tunc , ossia anche a fronte di Convenzioni già stipulate.
Deduceva, a fondamento del gravame, i vizi di incompetenza e di violazione dell’art. 42, comma 2l del d.lgs. n. 267 del 2000, dell’art. 35 l. n. 865 del 1971, del principio del contrarius actus e della plurilateralità della Convenzione, nonché l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto dei
presupposti, del travisamento dei fatti e dello sviamento.
La ricorrente in particolare obiettava che, in tema di edilizia residenziale pubblica convenzionata ex lege n. 167 del 1962 era intervenuta la delibera consiliare n.173 del 23 luglio 2005, recante approvazione dello schema di Convenzione, cui aveva fatto seguito la stipula di quest’ultima in data 18 giugno 2009;la competenza del Consiglio comunale in materia era inoltre fissata dall’art. 35, commi 7 ed 8 della l. n. 865 del 1971, di talché i predetti criteri non avrebbero potuto essere modificati mediante adozione di un semplice provvedimento dirigenziale, fermo in ogni caso l’obbligo di rivedere anche le Convenzioni nel frattempo stipulate dall’amministrazione con i vari operatori economici privati.
Sempre secondo la ricorrente, sarebbe stato inoltre irrazionale pretendere di imporre un regime unitario in materia, a fronte di una pluralità di fattispecie.
Costituitasi in giudizio, Roma Capitale chiedeva la reiezione del gravame, in quanto infondato.
Interveniva invece ad adiuvandum l’Associazione dei costruttori edili di Roma e Provincia, cui aderiva la ricorrente.
Nel frattempo, con autonomo ricorso iscritto al n. r.g. 5207 del 2020, anche l’Immobiliare Castel Giubileo s.r.l., titolare di analoghi contratti di locazione nel comparto 3 del PdZ1 “Castel Giubileo”, impugnava la medesima determina n. 389 del 2020, contestando tra l’altro la violazione delle Convenzioni del 20 dicembre 1983 e del 4 ottobre 1988, stipulate ex art. 35 l. n. 865 del 1971, degli accordi territoriali sottoscritti ex art. 2, comma 3 l. n.431 del 1998, degli artt. 3 e 21- nonies l. n. 241 del 1990, dell’art. 1, comma 136 l. n. 311 del 2004, dell’art. 31, comma 49- bis l. n. 448 del 1998 e dell’art. 97 Cost.
Veniva in ultimo richiesta la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno per la perdita subita ed il mancato guadagno.
Roma Capitale si costituiva anche in questa sede, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendo che fosse respinto.
Con sentenza 22 luglio 2021, n. 8795, il giudice adito, previa riunione dei ricorsi, accoglieva quello iscritto a n.r.g. 5393 del 2020 e dichiarava improcedibile quello proposto da Immobiliare Castel Giubileo s.r.l.
Avverso tale decisione, nella parte in cui accoglieva il gravame proposto da Romana Scavi s.r.l., Roma Capitale interponeva appello, affidato ai seguenti motivi di impugnazione:
1) Sul difetto di giurisdizione .
2) Sulla presunta incompetenza del Dirigente del Dipartimento PAU .
Costituitasi in giudizio, la società Romana Scavi s.r.l. concludeva per l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.
Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza dell’11 gennaio 2024 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello viene ribadita l’eccezione, già formulata da Roma Capitale nel precedente grado di giudizio, di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, dovendosi ritenere che la controversia rientri nell’ambito di “ indennità, canoni o altri corrispettivi ”, riservato alla giurisdizione del giudice ordinario già dall’art. 5, comma 2, l. n. 1034 del 1971 e, quindi, dall’art. 133, comma primo, lett. c) Cod. proc. amm., essendo la stessa delineata “ in termini di contenuto meramente patrimoniale ”.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Come bene rilevato dal primo giudice, nel caso in esame non si verte su una questione di carattere meramente patrimoniale (quale i corrispettivi dovuti dal concessionario all’ente concedente), bensì su portata e cogenza di convenzioni intervenute tra le parti, vertenza quindi riconducibile all’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma primo lett. a2) Cod. proc. amm. (“ formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo […] ”). Nella specie, Romana Scavi s.r.l. aveva agito in giudizio per veder rispettato, a fronte della sopravvenuta adozione della determina n. 389 del 2020, quanto in precedenza previsto (anche relativamente ai criteri per la determinazione dei canoni di locazione) da una convenzione ad hoc (in data 18 giugno 2009) intercorsa tra Roma Capitale e la ricorrente medesima, relativamente ad una concessione del diritto di superficie nell’ambito di un procedimento di pianificazione urbanistica.
Non si trattava quindi di banalmente contestare il quantum debeatur , bensì di affermare la perdurante validità di una convenzione e la sua prevalenza su sopravvenute determinazioni (dirigenziali) amministrative, ancorché di carattere generale, in tutto o in parte volte a disciplinare la medesima materia.
Con il secondo motivo di appello la sentenza impugnata viene invece censurata nella parte in cui ha altresì ritenuto l’incompetenza del dirigente preposto al Dipartimento PAU ad adottare modifiche del regime convenzionale precedentemente fissato: invero, risulta dagli atti che lo schema della convenzione urbanistica – poi stipulata tra Roma Capitale e la ricorrente, in data 18 giugno 2009 – era stato ritualmente approvato con delibera del Consiglio comunale n.173 del 23 luglio 2005, in esecuzione di quanto previsto dagli artt. 35, commi 7 ed 8 l. n. 865 del 1971.
In estrema sintesi, a fronte di una disposizione di legge che attribuisce espressamente al Consiglio comunale (e non ad altri) la competenza a determinare il contenuto della Convenzione da stipularsi tra amministrazione e concessionario, non può non rilevarsi l’incompetenza di un dirigente interno ad intervenire (in modo in tutto o in parte novativo) in tale materia.
L’appello va dunque respinto. La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.