Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-09-13, n. 202106272

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-09-13, n. 202106272
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106272
Data del deposito : 13 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/09/2021

N. 06272/2021REG.PROV.COLL.

N. 05000/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5000 del 2020, proposto da
Bdo Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F C, M D L, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Istituto per il Credito Sportivo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M C, A B, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M C in Roma, viale Liegi, n. 32;

nei confronti

Pricewaterhousecoopers S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Guido Ajello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ey S.p.A. non costituita in giudizio;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), 20 maggio 2020, n. 5336, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Istituto per il Credito Sportivo e di Pricewaterhousecoopers S.p.A.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

visti gli artt. 105, co. 2 e 87, co. 3, cod. proc. amm.;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall'art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 1, comma 17, come modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti, pure in collegamento da remoto, gli avvocati Ferrero, in sostituzione dell'avv. Coccoli per delega già depositata, Clarich, Botto e Ajello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’Istituto per il Credito Sportivo (di seguito anche solo “ICS” o “l’Istituto” ) è un ente di diritto pubblico con gestione autonoma istituito con legge n. 1295 del 24 dicembre 1957, operante nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali, soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante “Testo unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia” (si veda Statuto di ICS, artt. 1 e 2).

2. L’Istituto avviò, con delibera del Consiglio di amministrazione del 28 giugno 2019, una procedura informale per l’affidamento dei servizi di revisione legale per il periodo 2020- 2028, alla quale, con lettera spedita l’8 luglio 2019, invitò, tra gli altri operatori economici, anche le società di revisione PricewaterhouseCoopers S.p.A. (di seguito “Pricewaterhouse” ) e BDO Italia s.p.a. (di seguito “BDO” ).

2.1. La lettera di invito (a pag. 3, punto c) stabiliva, per quanto di interesse, che le disposizioni del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 ( “Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE” ) e del Regolamento (UE) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, n. 537 ( “Sui requisiti specifici relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico e che abroga la decisione 2005/909/CE della Commissione” ) costituivano la normativa di riferimento per lo svolgimento della procedura di aggiudicazione;
posto quindi che la gara dovesse aggiudicarsi previa “valutazione complessiva tecnico ed economica” delle offerte ricevute, la lex specialis stabiliva altresì che: “Il Collegio dei Sindaci, valutate le risultanze della procedura, approva gli atti di gara e formula una raccomandazione al Consiglio di amministrazione per il conferimento dell’incarico alla Società di revisione contabile. La raccomandazione sarà motivata e farà riferimento ad almeno due possibili operatori economici risultanti dalla procedura. Le due proposte risulteranno alternative e verrà espressa dal Collegio una preferenza debitamente motivata” .

2.2. In applicazione di tale previsione e all’esito delle operazioni di gara il servizio era aggiudicato, per nove esercizi (2020-2028) e per un importo complessivo pari a € 650.250,00, IVA esclusa, alla Pricewaterhouse (pur avendo la stessa conseguito per l’offerta un punteggio complessivo di 87,07 punti, inferiore a quello attribuito all’offerta della BDO, 87,75 punti).

3. Negatole dall’ICS l’accesso agli atti (sull’assunto di non essere l’Istituto soggetto “ né all’applicazione del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016 né alla disciplina del procedimento amministrativo di cui alla L. 241/1990 ”), con ricorso notificato il 3 gennaio 2020 la BDO - premesso di essere una società di revisione di diritto italiano abilitata ad esercitare la revisione legale ai sensi del codice civile e del D.lgs. n. 39/2010, di essere iscritta al Registro dei revisori legali tenuto dal Ministero dell’Economia e della Finanze ai sensi dell’art.1, comma 1, lett. g) del citato decreto, di aver partecipato alla procedura in questione collocandosi al primo posto e di aver fornito alla stazione appaltante anche i chiarimenti richiesti sulla sostenibilità dell’offerta presentata - impugnava innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’avviso di mancata aggiudicazione della procedura di gara, comunicatole con posta elettronica certificata del 5 dicembre 2019, l’aggiudicazione in favore della controinteressata, nonché tutti gli atti della procedura, ivi compresa la lettera di invito, in uno ad ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.

Di tali atti e provvedimenti, sostenendo la natura di “organismo di diritto pubblico” di ICS e l’obbligo di quest’ultimo di applicazione del Codice dei contratti pubblici, assumeva l’illegittimità alla stregua di quattro motivi di gravame, il primo rubricato “Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 50 del 2016, con riferimento al punto c) della lettera di invito in data 8 luglio 2019 e agli atti di gara impugnati. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione” , il secondo, il terzo e il quarto, proposti in via subordinata, rubricati rispettivamente: “II. Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 50/2016 con riferimento integrale alla lettera d’invito in data 8 luglio 2019 e agli atti di gara impugnati. Violazione ed errata applicazione del Regolamento ICS”;
“III. Violazione ed errata applicazione della lettera di invito in data 8 luglio 2019. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e perplessità manifesta”;
“IV. Violazione ed errata applicazione della legge 241/1990 e dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere per carenza di motivazione ed istruttoria, anche in relazione alla lettera di invito”
.

In sintesi la ricorrente contestava che l’affidamento del servizio di revisione legale non fosse stato sottoposto alle regole pubblicistiche di scelta del contraente, ma riservato, quanto alla individuazione dello stesso, alla sola valutazione discrezionale del collegio sindacale dell’ente.

3.1. In particolare, con il primo motivo la ricorrente lamentava la violazione della disciplina di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 Codice dei contratti pubblici ( in primis dell’art. 95 del Codice e del principio dell’aggiudicazione al miglior offerente, sulla base di criteri predefiniti, oggettivi e inderogabili) da parte della lettera di invito, che, con la contestata clausola di cui al punto c), rimetteva all’ICS la facoltà di scegliere il contraente per l’affidamento del servizio, esprimendo “una preferenza debitamente motivata” tra almeno due proposte alternative di operatori economici qualificati risultanti dalla procedura e quindi di disporne l’aggiudicazione anche a prescindere dai suoi esiti;
in ogni caso la indicata facoltà di scelta dell’aggiudicatario non consentiva di prescindere dai criteri di selezione ed aggiudicazione stabiliti dalla stessa legge di gara (alla cui osservanza l’Istituto si era autovincolato), secondo cui le offerte dovevano essere valutate “ secondo il miglior rapporto-qualità prezzo” . Tanto determinava l’illegittimità dell’impugnata clausola della lettera di invito e della conseguente aggiudicazione anche per violazione delle stesse regole di gara che avevano previsto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

3.2. Con il secondo motivo, in via subordinata, la ricorrente deduceva la violazione del Codice dei Contratti Pubblici da parte della lettera di invito, con riferimento all'intera procedura di gara che sarebbe stata esperita in violazione dei principi di par condicio tra i concorrenti, trasparenza e partecipazione al procedimento, relativamente alla nomina della commissione aggiudicatrice, ai lavori della commissione stessa e alla pubblicità delle sedute, nonché alle comunicazioni sulla conclusione della selezione e sulla aggiudicazione, così facendo valere il proprio interesse strumentale all’annullamento e riedizione della procedura e l’illegittimità della disciplina di gara sulla base della quale era stata, di fatto, retrocessa al secondo posto della graduatoria di merito.

3.3. Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, la ricorrente deduceva l’illegittimità della lettera di invito in quanto, sebbene l'Istituto affermasse di non essere soggetto all'applicazione del Codice dei Contratti, il suo stesso Regolamento Acquisti richiamava alcuni principi del detto Codice, tra i quali il principio di trasparenza, di non discriminazione, di efficienza, di economicità, di efficacia, di proporzionalità, di rotazione, correttezza e libera concorrenza. Pertanto, quand’anche l'Istituto per il credito sportivo non fosse stato un organismo di diritto pubblico, esso avrebbe comunque dovuto attenersi, nello svolgimento delle procedure in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture, ai principi contenuti nella normativa sui contratti pubblici, in applicazione del suo stesso regolamento interno.

3.4. Con il quarto motivo, in via subordinata, per l’ipotesi in cui non fosse applicabile il Codice dei Contratti Pubblici, la ricorrente deduceva la violazione del principio di imparzialità che regge qualsiasi procedimento amministrativo, in applicazione della legge n. 241 del 7 agosto 1990 e dei principi generali ivi recati, alla cui osservanza ICS, in quanto soggetto di diritto pubblico, era tenuta. A suo avviso, infatti, l’Istituto avrebbe dovuto pur sempre applicare i principi, di derivazione comunitaria, di non discriminazione, di concorrenza, di parità di trattamento, invece gravemente disattesi nella procedura di gara in ragione della mancata assegnazione del servizio all’offerta economicamente più vantaggiosa e prima in graduatoria;
ciò senza contare che la determinazione di non aggiudicare la gara alla ricorrente non era motivata, come prescritto dall’articolo 3 della legge numero 241 del 1990 e dalla stessa lettera di invito (secondo cui il Collegio dei sindaci doveva esprimere “una preferenza debitamente motivata” ).

3.5. La ricorrente formulava poi con il ricorso, ai sensi dell’art. 116 Cod. proc. amm., anche domanda per la dichiarazione di illegittimità del diniego agli atti della gara oppostole dall’ICS con la nota del 19 dicembre 2019, lamentando “violazione ed errata applicazione della 241/1990” (in particolare della disciplina contenuta negli artt. 22 e seguenti, alla quale sarebbero sottoposti l’Istituto resistente e la sua attività, volta al perseguimento di finalità di pubblico interesse), con accertamento del suo diritto a prendere visione e ad estrarre copia della documentazione richiesta sia con l’istanza che di quella indicata in ricorso (ivi compreso il Regolamento Acquisti), ordinandone l’ostensione all’Istituto.

3.6. La ricorrente domandava il risarcimento in forma specifica (mediante aggiudicazione in suo favore e subentro nel servizio, previa declaratoria di inefficacia del contratto medio tempore stipulato), chiedendo, in subordine, il ristoro dei pregiudizi subiti per equivalente monetario;
in via subordinata, domandava che fosse ordinato all’Istituto di rinnovare le operazioni di gara onde sanarne i profili di illegittimità.

3.7. Si costituivano in giudizio l’Istituto e, a seguito di integrazione del contraddittorio, la società aggiudicataria PricewaterhouseCoopers s.p.a., eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione per essere la stazione appaltante soggetto non tenuto all’applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016, e nel merito contestando la fondatezza del ricorso di cui chiedevano il rigetto.

4. L’adito Tribunale, con la sentenza segnata in epigrafe, in accoglimento dell’eccezione preliminare formulata dalle parti resistenti, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa, ritenendo non riconducibile l’Istituto di credito sportivo al novero degli organismi di diritto pubblico di cui all’art. 3, comma 1, lettera d) del D.Lgs. n. 50 del 2016, e dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario.

5. La BDO ha proposto appello avverso la sentenza, chiedendone la riforma alla stregua di due motivi di ricorso, sostenendo con il primo “la fallacia della conclusione del TAR in ordine al (ritenuto sussistente) requisito del rischio di impresa” e con il secondo la “sussistenza della giurisdizione amministrativa anche tenuto conto dell’applicabilità a ICS dei principi di cui alla legge n. 241/90”, ed invocando la rimessione del giudizio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105 Cod. proc. amm., per la decisione dei motivi dedotti in primo grado .

5.1. Hanno resistito all’appello l’Istituto per il Credito Sportivo e l’aggiudicataria Pricewaterhouse, chiedendone il rigetto.

5.2. All’udienza del 4 marzo 2021, tenuta con collegamento da remoto, udita la rituale discussione dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Come accennato la sentenza appellata ha escluso la natura di organismo di diritto pubblico dell’Istituto per il credito sportivo ed ha declinato la propria giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto l’affidamento dei servizi di revisione legale, ritenendo che essa spetti al giudice ordinario in quanto si verterebbe in materia “di attività contrattuale svolta da un soggetto operante in regime di diritto privato” .

Con riferimento ai primi quattro motivi ha ritenuto inapplicabili i principi asseritamente violati nella procedura di gara dall’Istituto, “ente pubblico economico, che si porrebbe, nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, sullo stesso piano dei comuni imprenditori, non esercitando quindi alcuna funzione pubblicistica disciplinata dalla legge e dai principi sul procedimento amministrativo” ;
ha poi dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse in relazione alla domanda di accesso stante, per un verso, il deposito agli atti processuali della documentazione oggetto di istanza di accesso, per altro verso il nesso di strumentalità tra la domanda principale di annullamento (dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito) e la domanda incidentale di ostensione.

In sintesi, la sentenza, premesso che non sono decisivi ai fini della qualifica di organismo di diritto pubblico “lo status giuridico di un soggetto (…), né lo scopo di lucro, né il tipo di attività svolta o la strumentalità rispetto a interessi generali” e che all’incontro sia determinante la modalità di svolgimento dell’attività e, segnatamente, “l’assunzione di un metodo economico e del rischio (economico) connesso all’attività medesima” , ha ritenuto che fosse perciò dirimente accertare “le modalità con cui l’Istituto persegue l’interesse pubblico al finanziamento delle attività sportive e culturali” .

Al riguardo ha evidenziato come l’attività dell’Istituto di Credito sportivo, banca pubblica residua ai sensi e per gli effetti dell’articolo 151 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 recante “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” (di seguito anche TUB ), consiste nella raccolta del “risparmio tra il pubblico, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma ed esercitando il credito, sotto qualsiasi forma” (art. 2, comma 2, lettera a) dello Statuto) nel peculiare settore del credito per lo sport e per le attività culturali e che, pur in presenza di altri indici (la personalità giuridica e il finanziamento pubblico maggioritario, con assoggettamento della gestione al controllo dello Stato o di altri organismi di diritto pubblico e con un organo d'amministrazione costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato o da altri organismi di diritto pubblico), non sussista qui il c.d. requisito teleologico: ciò sull’assunto che l’Istituto, per un verso, svolgerebbe l’attività bancaria, tipicamente imprenditoriale, degli istituti di credito (ai sensi dell’art. 10 del TUB), per altro verso opererebbe nel mercato con metodo concorrenziale, sopportando interamente il rischio di impresa collegato a tale attività, nell’ambito di un settore (quello bancario e creditizio) aperto alla concorrenza, tant’è che l’ente può essere sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria e, come si evince dall’art. 28 dello Statuto, non può ripianare delle perdite subite col ricorso al finanziamento pubblico.

E’ stato quindi escluso che l’ICS sia annoverabile tra gli organismi di diritto pubblico per difetto del solo requisito teleologico, ritenendo allo scopo irrilevanti sia la speciale disciplina recata dalle leggi istitutive e dallo Statuto (art. 7) per i Fondi speciali, volti all’erogazione di contributi per l’impiantistica sportiva (considerato che la nozione di organismo di diritto pubblico deve potersi inferire in relazione all’ente inteso in senso “unitario e nel suo complesso” e non “essere predicata e attribuita solo con riferimento a quella parte dell’attività dell’ente che sia finanziata con fondi pubblici” ), sia il richiamo operato dalla ricorrente ai più recenti arresti giurisprudenziali (Cons. Stato, sez. V Sezione, 7 febbraio 2020, n. 964).

Pertanto l’Istituto di Credito sportivo, nonostante la presenza di “ evidenti peculiarità, con tratti di anomalia sotto il profilo sistematico” , tali da render quanto meno “dubbia la coerenza sistematica, sul piano del diritto nazionale, dell’attuale assetto organizzativo dell’Istituto” (quali, a tacer d’altro, la definizione dell’Istituto come “banca pubblica, ai sensi dell’articolo 151 del testo unico di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385” e la non avvenuta doverosa trasformazione in società per azioni ai sensi del disposto di cui all’art. 2 della legge 26 novembre 1993, n. 489, entro il termine ivi stabilito del 30 giugno 1994), non avrebbe, secondo il Tribunale, natura organismo di diritto pubblico unicamente per la mancanza di accettazione del rischio di impresa, presenti invece tutti gli altri requisiti che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del D.Lgs n. 50/2016 caratterizzano tale soggetto giuridico: ICS opererebbe infatti “in regime concorrenziale, senza potere godere di privilegi pubblicistici e accettando il metodo economico nella gestione e nell’impiego del risparmio, essendo assoggettato alle regole del mercato, come qualunque impresa operante nel settore bancario” ;
dal che la non spettanza della controversia alla giurisdizione amministrativa.

7. Con l’appello in trattazione BDO critica le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, argomentando invece per la sicura riconducibilità dell’Istituto alla nozione di organismo di diritto pubblico” : a) per essere la conclusione raggiunta dal primo giudice in punto di giurisdizione fondata su uno sviluppo argomentativo “di portata astratta e congetturale” , nonché erronea, anche per mancata considerazione di elementi decisivi; b) per essere infatti tale convincimento fondato solo sulla frammentata e non sistematica lettura di singole clausole del vigente Statuto di ICS (e, segnatamente, quelle di cui agli articoli art. 2, 28, 8 e 9) e su di una interpretazione completamente avulsa dai principi giurisprudenziali in materia (in particolare dalla sentenza del Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2020, n. 964); c) per essere l’Istituto di credito sportivo connotato da indubbi tratti pubblicistici, tali da palesarne l’alterità rispetto al mercato del credito e al conseguente specifico rischio di impresa, inopinatamente trascurati dalla sentenza che ha ritenuto erroneamente di non poterne inferire una connotazione quale organismo di diritto pubblico in senso “unitario e nel suo complesso” ; d) per non aver considerato che il settore sportivo è a tal punto caratterizzato dalla presenza di ICS da giustificarne nella dottrina specialistica la qualifica di “banca dello sport” ; e) per aver dato eccessivo rilievo alla mera (e soprattutto indimostrata) possibilità di intervento nel settore di altri soggetti appartenenti al ceto bancario, come al divieto statutario di ricorso a fonti pubbliche per il ripiano delle perdite (che non solo, siccome esposto in un testo privatistico quale lo Statuto, non vincola affatto il legislatore, ma che, anche e soprattutto, è dato assolutamente neutrale per la fattispecie in esame, attenendo al diverso piano della predisposizione del bilancio, privo di incidenza quanto alle concrete modalità con cui l’Istituto attende alla sua attività caratteristica, che è il thema decidendum del presente giudizio); f) per aver ritenuto irrilevante l’utilizzo da parte di ICS dei Fondi speciali, svalutando le particolari condizioni di accesso al credito praticate dall’Istituto a favore dei soggetti operanti nel mondo dello sport e della cultura che pongono ICS su un piano assolutamente peculiare, facendone un “unicum” all’interno del panorama bancario nazionale; g) per non aver ancora considerato che l’ICS, anche nell’ipotesi in cui l’attività svolta non fosse sottoposta alla disciplina prevista dal Codice dei Contratti pubblici per non essere qualificabile come “organismo di diritto pubblico” ex art. 3, comma 1, lettera d), dello stesso Codice, sarebbe comunque vincolato, in quanto “ente di diritto pubblico economico” , al rispetto dei principi generali previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 1 comma 1 ter e 29 della legge citata, nonché dell’art. 7, comma 2, Cod. proc. amm.); h) per non aver infine rilevato che ICS, “ente di diritto pubblico” e “banca pubblica” (in base alle previsioni statutarie), rientra nella definizione di pubblica amministrazione di cui all’art. 22 della legge n. 241 del 1990 ed è di conseguenza soggetto alla disciplina in materia di accesso agli atti di cui alla stessa legge.

L’appellante aggiunge che la peculiare impronta di carattere pubblicistico risulterebbe vieppiù confermata da vari comunicati ufficiali dell’Ente stesso nel periodo emergenziale, volti a sottolineare “la missione pubblica dell’Istituto di banca sociale per lo sviluppo sostenibile dello Sport e della Cultura al servizio del Paese” (per la sua capacità di assicurare accesso al credito e a risorse finanziarie a condizioni diverse da quelle bancarie, anche sulla base di quanto previsto dall’art. 14 del D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020, disciplinante gli interventi emergenziali dell’Istituto in campo finanziario), dai quali emergerebbe, sotto plurimi profili, la funzione di servizio pubblico di ICS, quale strumento di intervento pubblico nel settore sportivo. Ulteriore conferma della rilevanza e della natura pubblicistica degli interessi perseguiti dall’Istituto e della circostanza che esso non opera in un mercato realmente concorrenziale (essendo il solo ente preposto al sostegno economico finanziario dello sport mediante l’utilizzo dei c.d. Fondi speciali) si trarrebbe anche dalle audizioni svolte il 27 aprile 2020 dalle Commissioni riunite Finanza e Attività Produttive sul Disegno di conversione in legge del D.L. 23 dell’8 aprile 2020, come pure dalle modalità con cui avverrebbe “il flusso contributivo proveniente dallo Stato ad ICS” .

L’appellante deduce pertanto l’erroneità della sentenza impugnata e la spettanza della controversia de qua alla giurisdizione del giudice adito.

8. Le parti appellate sostengono per converso l’infondatezza delle tesi avverse, assumendo che la partecipazione maggioritaria di pubbliche amministrazioni nel capitale dell’Istituto non incide sulla sussistenza del requisito teleologico, che attiene invece all’attività espletata, e che privo di pregio sarebbe anche il riferimento ai fondi speciali, che non rappresentano strumenti nell’esclusiva disponibilità dell’Istituto, ma possono essere richiesti anche dalle altre banche;
rileverebbe poi che l’Istituto per il credito sportivo opera in un mercato concorrenziale in quanto svolge ordinaria attività bancaria (come definita dall’art. 10, comma 1, del TUB, costituita dalla “raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito” ) che, ai sensi del secondo periodo della stessa norma, “ha carattere di impresa” (a differenza di quanto previsto dalla legge bancaria di cui al d.l. 12 marzo 1936 n. 35, secondo la quale “la raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l’esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico” ), è priva di contributi o aiuti pubblici e pertanto soggetta al rischio imprenditoriale.

La qualificazione dell’attività bancaria in termini di attività avente carattere imprenditoriale, in alcun modo assimilabile ad un servizio pubblico, escluderebbe che l’ICS, “banca pubblica residua” ai sensi dell’art. 151 del Testo unico bancario di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (la cui operatività, organizzazione e funzionamento sono disciplinati dallo stesso Testo Unico, dagli statuti e dalle altre norme in questi richiamati), persegua interessi generali: tale attività, sia con riguardo alla provvista di fondi, sia per quanto concerne i finanziamenti, non si differenzierebbe in alcun modo da quella svolta dagli altri istituti bancari che operano in regime di concorrenza nel medesimo settore, comportando difatti il suo svolgimento piena assunzione del rischio di impresa. Non rileverebbe al contrario la gestione a titolo gratuito da parte dell’ICS dei Fondi Speciali di titolarità dello Stato, aventi natura pubblica e preordinati a incentivare la realizzazione delle infrastrutture sportive - attività di gestione peraltro affidata a un apposito comitato in posizione di terzietà rispetto all’Istituto - che, più che un “privilegio” , costituirebbe un onere del quale l’Istituto è gravato nell’interesse dello Stato: a tali risorse e garanzie possono infatti attingere su un piano di parità tutti gli istituti di credito che svolgono attività creditizia nei settori dello sport e della cultura, non costituendo perciò detti Fondi (i quali integrerebbero, a ben vedere, un peculiare modello operativo di quanto previsto dall’art. 47 del TUB per le banche in generale) alcun vantaggio concorrenziale a favore dell’Ente tale da azzerarne il rischio di impresa, non godendo quest’ultimo di finanziamenti o garanzie speciali da parte dello Stato né di altri regimi di favore rispetto agli altri istituti bancari.

Secondo le appellate pertanto sarebbe stata corretta la scelta finale dell’aggiudicatario del servizio, infondatamente contestata dalla ricorrente, nell’ambito di una gara a due fasi (come previsto dalla lex specialis ), di cui solo la prima regolata in coerenza coi principi dell’evidenza pubblica, con conseguente legittimità dell’aggiudicazione alla seconda graduata sulla base di una preferenza “debitamente motivata” ;
ciò in quanto l’Istituto sarebbe soggetto alla disciplina pubblicistica solo con riferimento alla sua sfera organizzativa interna, ma non all’attività contrattuale retta invece dal diritto privato. Né a conclusioni diverse potrebbe condurre la circostanza che l’ICS sia vincolato a operare in uno specifico settore di riferimento (quello dei finanziamenti al settore dello sport e della cultura), potendo un siffatto vincolo ben essere riprodotto su base volontaria nell’oggetto sociale di un ente privatistico che mirasse a specializzarsi in un particolare segmento del mercato;
d’altra parte né la legge, né lo statuto individuano comunque finalità pubblicistiche ulteriori rispetto alla previsione del tutto neutrale della delimitazione del settore di riferimento. Anche le finalità pubblicistiche richiamate dallo Statuto (cfr. in particolare art. 30) coincidono interamente con l’oggetto dell’attività bancaria (sia pure circoscritto ai settori del credito per lo sport e per le attività culturali). Sarebbe dunque l’attività creditizia in sé, svolta secondo criteri imprenditoriali e con metodo economico, a realizzare in definitiva il fine pubblico in relazione al quale la legge ha istituto l’ICS.

Anche le disposizioni di cui all’art. 7 della legge 8 agosto 2019, n. 86 (recante delega al Governo all’adozione di decreti legislativi “per il riordino e la riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi nonché della disciplina relativa alla costruzione di nuovi impianti sportivi, alla ristrutturazione e al ripristino di quelli già esistenti compresi quelli scolastici” ), impropriamente richiamate dall’appellante (posto che si tratterebbe, a dire dell’Istituto appellato, di “disposizione generica, peraltro rimasta inattuata” ), non sovvertirebbe le conclusioni del primo giudice, e cioè che l’ICS risponde soltanto con il suo patrimonio delle eventuali perdite, dovendo totalmente escludersi che gli strumenti economico finanziari a cui fa riferimento la menzionata disposizione siano concepiti come “un flusso contributivo statale” che esclude il rischio di impresa;
correttamente, sempre secondo l’istituto appellato, la sentenza impugnata avrebbe escluso la natura di organismo di diritto pubblico dell’Istituto, ritenendone irrilevante la composizione soggettiva.

Analoghe considerazioni valgono per le altre disposizioni citate nell’appello (quali la legge 30 dicembre 2018, n. 145, comma 653;
la legge 27 dicembre 2017, n. 205, comma 1061), che non attribuirebbero vantaggi patrimoniali all’ICS, né contributi pubblici volti a rafforzarlo patrimonialmente.

Le parti appellate, a conforto della tesi della non riconducibilità dell’Istituto di Credito Sportivo al novero degli “organismi di diritto pubblico” ai sensi del Codice dei contratti pubblici, evidenziano che i poteri di verifica spettanti all’autorità governativa non le attribuirebbero alcuno strumento per influire sull’attività di ICS, salvo il potere di disporne per legge lo scioglimento, e che anche la mancata inclusione di ICS nell’avviato e completato processo di trasformazione in società per azioni degli enti pubblici creditizi sarebbe dipesa da ragioni contingenti, correlate all’incerta titolarità del patrimonio dell’ICS, e non già da una volontà di mantenimento della soggettività pubblica;
risolte quelle incertezze, l’ICS dovrà essere trasformato in società per azioni, come prescrive la legge, e anche dal punto di vista formale sarà parificato agli altri istituti bancari con i quali compete sul mercato. Ad ogni modo tale mero “involucro” di ente pubblico riguarderebbe esclusivamente gli aspetti organizzativi ed interni (attinenti ad esempio alla composizione del capitale e alla struttura degli organi), ma non inciderebbe in alcun modo sull’attività e sulle modalità economiche e gestionali del suo svolgimento.

Infine, anche quanto ai principi giurisprudenziali invocati dall’appellante (Cons. St., Sez. V, 7 febbraio 2020, n. 964), ferma la loro erronea interpretazione, essi non si attaglierebbero affatto alla fattispecie in esame (riferendosi al ben diverso caso di un ente strumentale utilizzato come longa manus di un soggetto pubblico per svolgere i compiti istituzionali propri di questi ultimi, laddove l’Istituto appellato non è uno strumento organizzativo di alcuna pubblica amministrazione, né è compartecipe di alcuna funzione pubblica necessaria, ma mero operatore economico del settore bancario in concorrenza con altri).

In definitiva, secondo le parti appellate, non rileverebbe che l’attività bancaria dell’ICS possa essere effettivamente rivolta ad una generalità di soggetti beneficiari, ma che l’attività in concreto espletata dall’Istituto non sia di interesse pubblico.

In subordine, le parti appellate hanno prospettato la necessità di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea alla Corte di Giustizia dell’Unione sul seguente quesito: se il diritto eurounitario e i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di organismo di diritto pubblico “ostino ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, interpretata nel senso che la natura pubblicistica di un ente, riconosciuta per legge, determini, di per sé, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico” .

9. Così riassunte le posizione delle parti, la Sezione è dell’avviso che, alla stregua delle osservazioni che seguono, l’appello sia fondato e che nella controversia de qua sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, rivestendo l’Istituto di Credito sportivo i caratteri dell’organismo di diritto pubblico.

9.1. Va anzitutto rammentato che le controversie sulle procedure per l’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture rientrano nella giurisdizione amministrativa esclusiva (art. 7 Cod. proc. amm.) al ricorrere delle due condizioni dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), Cod. proc. amm., vale a dire, quanto al profilo soggettivo, che la procedura di scelta del contraente sia espletata da soggetti «comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale» e, quanto al profilo oggettivo, che il contratto da affidare rientri nella tipologia contrattuale per la quale è previsto l’espletamento di una procedura di gara, dunque che abbia ad oggetto «lavori, servizi e forniture» .

Non è pertanto sufficiente un’autonoma determinazione di fare applicazione delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici per la selezione del contraente (c.d. autovincolo), ma è necessario un obbligo oggettivo e di legge (cfr. Cass., SS.UU., 20 settembre 2019, n. 23541;
Cons. Stato, Ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16).

I soggetti tenuti all’applicazione del Codice dei contratti pubblici nella scelta del contraente sono le «amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori» (art. 1, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), la cui definizione è contenuta nell’art. 3, comma 1, dello stesso d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

9.2. Tra le «amministrazioni aggiudicatrici» sono ricompresi anche gli «organismi di diritto pubblico» . La nozione di “organismo di diritto pubblico” deriva dalla disciplina europea degli appalti pubblici, ispirata alla tutela della concorrenza, al fine di dare piena attuazione a quest’ultimo principio e contrastare l’elusione dell’obbligo di gara per l’affidamento degli appalti pubblici (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 28 marzo 2019, n. 8673), in modo da “ escludere sia il rischio che gli offerenti o candidati nazionali siano preferiti nell'attribuzione di appalti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, sia la possibilità che un ente finanziato o controllato dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche” (cfr., da ultimo, Corte giust. Ue, Sez. V, 5 ottobre 2017, causa C-567/15, LitSpecMet UAB c. Vilniaus lokomotyvu remonto depas UAB).

Dando seguito a tali principi la giurisprudenza interna ha rilevato che le regole proprie dell’evidenza pubblica sono finalizzate “ad imporre l’osservanza nell’attività contrattuale di norme di comportamento proprie dell’imprenditore privato a soggetti operanti invece secondo logiche non di mercato, cui la nozione di organismo di diritto pubblico è strumentale” (cfr., tra le altre, Cons. St., Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7031).

Tre sono i requisiti dell’organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 50 del 2016 (che è in ciò conforme alla corrispondente disposizione comunitaria), cumulativamente richiesti: a) che sia istituto per soddisfare specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico); b) che sia dotato di personalità giuridica (c.d. requisito personalistico); c) che l’attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure l’organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

Nella controversia in trattazione per l’Istituto di Credito Sportivo si discute della sola sussistenza del requisito c.d. teleologico, escluso dall’appellata sentenza.

9.3. Partendo da quest’ultimo elemento, va premesso, in linea generale, che il requisito teleologico (o “funzionale” ) è stato oggetto di approfondimenti esegetici della giurisprudenza, specie comunitaria, in quanto di non facile identificazione (cfr. Cons. Stato, V, 7 febbraio 2020, n. 964 e giurisprudenza ivi citata).

La giurisprudenza si è orientata nel senso di considerare la natura dei bisogni che le prestazioni o i servizi resi dall’ente sono diretti a soddisfare: ha così affermato che, affinché si possa dire diretta a soddisfare un bisogno avente carattere «non industriale o commerciale» , l’attività dell’ente deve rispondere a un interesse primario della collettività, come la salute, l’ambiente, la sicurezza e così via (cfr. Corte di Giustizia CE, 10 novembre 1998, nella causa C-360/96 BFI Holding;
in particolare, al riguardo, è stato anche chiarito che si deve trattare di “quei bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall'offerta di beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, d’altro lato, per motivi connessi all'interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere un'influenza determinante” : cfr., tra le altre, Corte giust. Ue, 16 ottobre 2003, causa C-283/00, Commissione c. Regno di Spagna);
ha inoltre precisato che non è esclusa la qualificazione di organismo di diritto pubblico dal fatto che l’ente offra prestazioni o servizi insieme a soggetti privati in un mercato concorrenziale: ma il regime concorrenziale del mercato è un forte indizio del fatto che esso, pur soddisfacendo bisogni collettivi, in realtà cerca specialmente di conseguire un proprio lucro.

Altri indici, oltre al fatto che le prestazioni siano rese in un normale mercato concorrenziale, sono stati poi individuati, in particolare, nel perseguimento dello scopo di lucro e nell’assunzione del rischio imprenditoriale, nel senso di subire le perdite connesse all’esercizio dell’attività (cfr. Corte di Giustizia UE, V, 22 maggio 2003 in causa C-18/01 Taitotalo e, più recentemente, sez. IV, 5 ottobre 2017 in causa C-567/15 LitSpecMet).

In sostanza è stato dato rilievo a un approccio funzionale: dalle concrete modalità con cui si esplica l’attività dell’ente, come emergono da una serie di elementi significativi, si trae convincimento della rispondenza dell’azione a un interesse della collettività non industriale o commerciale (per le pronunce più recenti, cfr. Cass., SS.UU, 28 giugno 2019, n. 17567;
Cass. SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673;
Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3884;
Cons. Stato, V, 19 novembre 2019, n. 6534).

9.3.1. E’ stato così affermato che l’organismo di diritto pubblico svolge attività rivolta a un interesse generale ossia un’attività “necessaria affinché la pubblica amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata” (v., da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 28 giugno 2019, n. 17567);
mentre con specifico riguardo al carattere “non industriale o commerciale” , è necessario che il soggetto “ si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche” , quand'anche parte della sua operatività sia svolta sul mercato (v., tra le altre, Cass. civ., Sez. Un., n. 17567/2019, cit.;
Cons. St., Sez. V 12 dicembre 2018, n. 7031;
Cons. Stato, V, 18 dicembre 2017, n. 5930), dal momento che l’ente, se pure svolge anche altre attività a scopo di lucro, continua comunque a farsi carico dei bisogni d’interesse generale che è specificamente obbligato a soddisfare.

In tale contesto, perché ricorra la figura dell’organismo di diritto pubblico si è detto che occorre che il soggetto non fondi la sua attività principale solo su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento dell’attività (i quali devono ricadere sulla pubblica amministrazione controllante), e che il servizio d’interesse generale, oggetto dell’attività, non possa essere rifiutato per mere ragioni di convenienza economica (da ultimo, Cass. SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673;
Cons. Stato, V, 19 novembre 2018, n. 6534).

9.3.2. È soprattutto da rammentare che la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, 964/2020) ha evidenziato la necessità nell’attività interpretativa sul requisito teleologico di non discostarsi dal dato normativo.

Per l’art. 3, comma 1, lett. d) del Codice dei contratti pubblici, il requisito teologico è presente se l’organismo è «istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale» : con l’evidenziare il dato dell’istituzione, unitariamente alle finalità, la disposizione pone anzitutto l’accento sulle ragioni istitutive del soggetto.

Ricorre pertanto il requisito teleologico se l’organismo è stato costituito da un soggetto pubblico appartenente al perimetro allargato della pubblica amministrazione, per dare esecuzione ad un servizio che è necessario perché è strettamente connesso alla finalità pubblica di quest’ultimo (cfr. Cass. , SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673 sullo scopo per il quale è istituito l’ente e la natura essenziale del servizio rispetto alla realizzazione della funzione pubblica di carattere generale cui è istituzionalmente chiamato l’ente controllante;
sebbene, poi, si dia carico di controllare anche le modalità di svolgimento dell’attività, secondo la richiamata ricostruzione degli indici presuntivi).

In tale prospettiva la caratterizzazione segnata dai compiti assegnati all’organismo, posti a base della sua istituzione, risulta per norma preminente sulle modalità con cui poi l’attività viene svolta. Infatti, “mentre i primi (i compiti, cioè) sono alla base della nuova modalità organizzativa scelta per perseguire finalità amministrative di interesse generale, dunque concretizzano un particolare modo di autoorganizzarsi della pubblica amministrazione in riferimento al perseguimento di finalità che comunque le appartengono, le seconde riflettono il modo di porsi dell’organismo in rapporto al mercato” (in tal senso Cons. Stato, V, n. 964/2020 cit. e più recentemente Cons. Stato, V, 10 maggio 2021, n. 3621);
ne segue che le modalità con le quali l’attività viene svolta cedono rispetto ai compiti assegnati perché le prime: a) non sono espressamente citate dalle disposizioni, neppure quelle eurounitarie; b) sono in realtà inidonee a differenziare con chiarezza l’azione pubblica da quella di un operatore economico privato (la giurisprudenza nega che l’offerta di prestazione in un mercato concorrenziale aperto anche a private imprese escluda la qualificazione come organismo di diritto pubblico: cfr. in tal senso Cons. Stato, V, 12 febbraio 2018, n. 858); c) sono potenzialmente mutevoli nel tempo, perché non si può escludere che de facto un’attività originariamente non remunerativa lo divenga nel tempo;
e viceversa, perda, per l’andamento dei mercati - il cui grado di concorrenzialità buon ben variare - tale effettiva capacità: sicché si tratta di un indicatore in realtà instabile perché soggetto a contingenti circostanze esterne, dunque non preciso e dirimente (così Cons. di Stato, sez. V, 964/2020 cit).

9.4. Alla stregua di tali principi non può essere condivisa la sentenza di prime cure che ha ritenuto insussistente nella fattispecie il requisito teleologico.

Come già evidenziato “la circostanza che simili attività o eventi possano nel territorio essere organizzati anche da soggetti pienamente privati e per loro finalità nulla toglie alla caratterizzazione di cui si verte, una volta che questa è posta in collegamento con i profili strutturali e finanziari di cui tra breve si dirà. Detto carattere di quei soggetti e la ovvia conseguenza di una rispettiva “concorrenza” (concetto che postulerebbe competitori di mercato, finalizzati al lucro) non è certo idonea a escludere che quegli interessi stessi corrispondano all’interesse generale: che è la ragione giustificatrice per cui enti pubblici, pur insieme a soggetti privati, hanno dato vita alla Fondazione medesima, e che giustifica l’altrimenti ingiustificabile concorso di questi medesimi enti pubblici e relativi impegni di spesa. In nulla ciò è scalfito dalla circostanza, del tutto normale, che simile attività sia liberamente svolta, per lucro o per diletto o per altruismo, anche da soggetti privati, nel qual caso è senz’altro libera attività. È radicalmente privo di fondamento, dunque, il contraddittorio assunto dell’appellante Fondazione che – pur costituita e incisivamente partecipata anche da enti locali e dunque avvalentesi di risorse pubbliche – pretenderebbe, grazie a questa veste formale, di autoestraniarsi dalle dovute regole di legge dell’evidenza pubblica, solo perché svolge dal proprio ben diverso lato attività che può corrispondere a un’altrui libera attività” (Cons. Stato, V, 12 febbraio 2018, n. 858;
cfr. Cass. SS.UU. 8 febbraio 2006, n. 2637).

La qualificazione di un ente quale organismo di diritto pubblico deve fondarsi per un verso su un’interpretazione “funzionale” e per altro verso sulla sua essenza di “strumentalità” rispetto ad esigenze di interesse generale, necessarie affinché l’amministrazione partecipante possa esercitare la sua attività, a partire quindi dalla verifica dell’istituzione dell’ente per il soddisfacimento di siffatti bisogni (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione IV, 5 ottobre 2017, n. C-567/155), così che deve ritenersi che l’Istituto di Credito sportivo sia un organismo di diritto pubblico.

9.5. Come evidenziato in fatto, l’ICS è un ente di diritto pubblico con gestione autonoma istituito con la legge n. 1295 del 24 dicembre 1957, operante nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali, ed è soggetto alle disposizioni di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385.

Esso esercita l’attività bancaria, raccogliendo risparmio tra il pubblico ed esercitando il credito a favore di soggetti pubblici e privati che perseguano, anche indirettamente, finalità sportive, ricreative e di sviluppo dei beni e delle attività culturali.

In base allo Statuto per lo svolgimento di tale attività esso dispone principalmente di un “Capitale” , in cui sono confluiti il “Fondo di Dotazione” ex legge n.1295/57, il “Fondo di Garanzia” ex lege n.1295/57, conferito dal CONI, nonché il “Fondo Patrimoniale” ex lege 50/83 conferito dallo Stato. Il predetto capitale è suddiviso in quote del valore unitario pari a un euro ed è ripartito, tra gli attuali partecipanti, tra cui in larghissima parte Pubbliche amministrazioni, quali: il Ministero dell’Economia e delle Finanze (80,438%), Coni Servizi S.p.A. (6,702%), Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (2,214%), cui si aggiungono, con quote minimali, banche e compagnie assicuratrici.

Esso è altresì preposto alla gestione, a titolo gratuito, di due “Fondi Speciali” (disciplinati dagli artt.

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