Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-06-25, n. 201904372
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Pubblicato il 25/06/2019
N. 04372/2019REG.PROV.COLL.
N. 08900/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8900 del 2018, proposto da M O, rappresentato e difeso dall’Avvocato Alfredo Zaza D’Aulisio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato F C in Roma, via G.P. da Palestrina, n. 47;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza n. 2934 del 14 marzo 2018 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I, resa tra le parti, concernente il decreto prot. n. K.10.74747 datato 8 ottobre 2010 del Ministro dell’Interno, con il quale è stata respinta la richiesta di concessione della cittadinanza italiana in favore dell’odierno appellante, M O.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e udito per l’odierno appellante, M O, l’Avvocato Jessica Quatrale su delega dell’Avvocato Alfredo Zaza D’Aulisio e per l’odierno appellato, il Ministero dell’Interno, l’Avvocato dello Stato Wally Ferrante;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno appellante, M O, nato in Marocco il 1° gennaio 1956, risiede nel territorio italiano dall’ormai lontano 1983 ed è titolare della carta di soggiorno per stranieri permanente rilasciata dal Ministero dell’Interno il 19 giugno 2003.
1.1. Con l’istanza depositata il 20 maggio 2004, egli ha chiesto al Ministero dell’Interno la concessione della cittadinanza italiana ai sensi e per gli effetti dell’art. 9, comma 1, lett. f), della l. n. 91 del 1992.
1.2. Il Ministero dell’Interno, con la nota del 3 novembre 2009, ha comunicato all’odierno appellante il preavviso di diniego per l’insufficienza del reddito e, con la memoria del 30 novembre 2009, l’interessato ha insistito nella propria richiesta, rappresentando di vivere per buona parte dell’anno con i propri figli, che dispongono di un reddito pari ad € 50.031,00.
1.3. Il Ministero dell’Interno, con il decreto prot. n. K.10.74747 dell’8 ottobre 2010, ha denegato il beneficio richiesto, ritenendo insussistenti le condizioni reddituali minime previste per la concessione del beneficio.
1.4. In tale provvedimento il Ministero, infatti, ha osservato che:
a) i redditi prodotti direttamente dall’appellante sarebbero insufficienti;
b) dalla documentazione allegata alla domanda si evincerebbe che il richiedente non fa parte del nucleo familiare dei figli e non sarebbe noto se i figli, comunque obbligati alla prestazione degli alimenti ai sensi degli artt. 433 e ss. c.c., vi provvedano e in quale misura;
c) con l’attribuzione della cittadinanza il richiedente potrebbe usufruire di eventuali provvidenze previste per i cittadini in stato di indigenza, che graverebbero ulteriormente sul bilancio dello Stato.
2. L’interessato ha quindi proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, per chiedere l’annullamento del decreto ministeriale.
2.1. Nel primo grado del giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno per resistere al ricorso, di cui ha chiesto la reiezione.
2.2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 2934 del 14 marzo 2018, ha respinto il ricorso e ha compensato le spese di lite tra le parti.
3. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato, con un unico articolato motivo che di seguito sarà esaminato, e ne ha chiesto la riforma, con il conseguente annullamento del decreto impugnato in primo grado.
3.1. Si è costituito il Ministero dell’Interno, appellato, per chiedere la reiezione del ricorso.
3.2. Nella pubblica udienza del 6 giugno 2019 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello merita accoglimento.
5. Il primo giudice ha inteso respingere il ricorso sulla scorta del rilievo per il quale i figli dell’odierno appellante non costituirebbero anagraficamente parte del suo nucleo familiare e non sarebbe stato dedotto e documentato che i figli provvedano effettivamente alla prestazione dell’obbligo alimentare nei confronti del padre.
5.1. Si tratta di una motivazione non condivisibile.
5.2. Evidente è infatti, sotto tale profilo, il difetto di istruttoria che affligge il provvedimento ministeriale, oggetto del presente giudizio, poiché la pubblica amministrazione, a fronte della documentazione prodotta dall’interessato in sede procedimentale con la memoria del 30 novembre 2009, avrebbe dovuto approfondire tale fondamentale aspetto, inerente alla capacità reddituale del soggetto che aspira all’ottenimento della cittadinanza, per quanto risultata non del tutto adeguata, come si evince dal provvedimento ministeriale, negli anni 2001, 2002, 2005 e 2008, e in particolare avrebbe dovuto verificare l’eventuale, effettivo, contributo offerto dai figli a tale capacità secondo la nozione di solidarietà familiare, che qui viene in rilievo.
5.3. Al riguardo si deve osservare che lo stesso Ministero dell’Interno, nella circolare prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007, ha ritenuto necessario, « nel rispetto del concetto di solidarietà familiare cui sono tenuti i membri della famiglia, valutare la consistenza economica dell’intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene quando, dalla documentazione prodotta e/o dalla istruttoria esperita, si può evincere che esistono altre risorse che concorrono a formare il reddito ».
5.4. La stessa circolare ha altresì precisato che, essendo autocertificabili solo i redditi propri, per i redditi degli altri componenti il nucleo familiare andrà necessariamente prodotta la documentazione (mod. CUD, mod. 730 e mod. Unico) atta a dimostrare la disponibilità dei mezzi di sostentamento adeguati.
5.5. Ebbene, nel caso di specie l’odierno appellante ha prodotto in sede procedimentale tale documentazione, atta a dimostrare che i figli hanno una capacità economica in grado di contribuire al suo sostentamento e, a fronte di tale elemento, il Ministero dell’Interno, anche mediante il solo esercizio del soccorso istruttorio, ha omesso di accertare se e in che misura essi contribuiscano ad integrare la situazione reddituale del genitore.
5.6. Né in senso contrario giova rilevare che il padre non costituisca parte del medesimo nucleo familiare anagrafico, in quanto il concetto di solidarietà familiare, che qui viene in rilievo, prescinde dal mero ancoraggio del nucleo familiare alla residenza anagrafica, non senza rilevare, del resto, che l’odierno appellante ha dedotto, in sede procedimentale e ancora in questa sede, di vivere per buona parte dell’anno insieme con i figli, circostanza, questa, che non risulta essere stata in alcun modo contestata o smentita dal Ministero appellato.
5.7. L’assunto del primo giudice, secondo cui i redditi dei figli sarebbero destinati al sostentamento del loro autonomo nucleo familiare, è del resto sfornito di prova e inidoneo a dimostrare che essi non possano servire anche in parte ad integrare quello del padre, in quanto lo stessa prestazione dell’obbligo alimentare, ai sensi dell’art. 433 c.c., prescinde dalla esistenza, o meno, di un medesimo nucleo familiare anagrafico.
5.8. La pubblica amministrazione, pertanto, provvederà ad accertare se effettivamente il vincolo di solidarietà familiare tra padre e figli, nel caso di specie, si sostanzi in un effettivo e idoneo contributo di questi alla capacità reddituale del padre, dotato di autonomo, per quanto discontinuo, reddito, in modo da aiutarlo ad attingere la soglia reddituale orientativa di riferimento in questa materia, pari ad € 8.263,31, desunta dall’art. 3 del d.l. n. 382 del 25 novembre 1989, conv. in l. 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall’art. 2, comma 15, della l. n. 549 del 1995.
5.9. Sempre tenendo presenti i principî fissati nella già citata circolare del 5 febbraio 2007, inoltre, « ove si riscontri il decorso di un considerevole lasso di tempo tra la data di presentazione dell’istanza e quella di perfezionamento del relativo iter , sarà possibile procedere, prima dell’eventuale diniego, ad una “attualizzazione” dei redditi dichiarati, dando modo al richiedente di indicare gli eventuali miglioramenti della propria posizione economica, intervenuti nel frattempo, in linea con i principi di cui alle leggi 11.2.2005, n. 15 e 14.5.2005, n. 80 di riforma della legge sul procedimento amministrativo, in particolare in materia di partecipazione dei cittadini al procedimento ».
6. In conclusione, per i motivi sin qui esposti, l’appello deve essere accolto, sicché, in riforma della sentenza impugnata, deve essere annullato il decreto prot. n. K.10.74747 dell’8 ottobre 2010 del Ministero dell’Interno, emesso nei confronti di M O, per difetto di istruttoria, con il conseguente obbligo di rideterminarsi, in capo al Ministero, secondo i principî e i criterî sopra enunciati.
7. Le spese del doppio grado del giudizio, attesa la peculiare, complessa, tuttora incerta, situazione reddituale dell’appellante che necessita di attento riesame, da parte della competente amministrazione, finalizzato ad indagare l’effettiva incidenza dei legami familiari sulla sua capacità reddituale per l’ottenimento della cittadinanza, possono essere interamente compensate tra le parti.
7.1. Il Ministero dell’Interno, comunque soccombente nel merito, deve essere condannato a rimborsare il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.