Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-30, n. 202007564

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-30, n. 202007564
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007564
Data del deposito : 30 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/11/2020

N. 07564/2020REG.PROV.COLL.

N. 07246/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7246 del 2019, proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

il sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la richiesta di risarcimento dei danni conseguenti ad infermità in tesi contratta a seguito dello svolgimento di missione all’estero;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Luca Lamberti e udito per la parte resistente l’avvocato A F T, nessuno presente per parte appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il primo caporal maggiore dell’Esercito Italiano -OMISSIS-, premesso di aver partecipato alla missione internazionale “ Althea ” nei territori dell’ex Jugoslavia dal 18 giugno 2007 al 10 dicembre 2007 con mansioni di “ incaricato del Servizio Postale Militare e conduttore di automezzi ” e di avere avuto riconosciuta dall’Amministrazione la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “ -OMISSIS- ”, ha chiesto al T.a.r. Toscana:

- con il ricorso introduttivo del giudizio, l’annullamento del provvedimento recante il diniego della concessione dell’indennizzo quale “ vittima del dovere ”;

- con successivo ricorso per motivi aggiunti, la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno per la patologia de qua , in tesi conseguita all’esposizione, nel corso della missione “ Althea ”, all’uranio impoverito (“ Depleted Uranium ”, di seguito DU) in una condizione di indebolimento delle difese immunitarie indotto dalle numerose vaccinazioni, in tesi somministrate in tesi “ senza il rispetto dei previsti protocolli medici ”.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r. per la Toscana ha così deciso:

a) ha dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda introdotta con il ricorso principale;

b) ha rigettato l’eccezione ministeriale di inammissibilità dei motivi aggiunti per violazione dell’art. 43 c.p.a., sub specie di carenza del vincolo di connessione, giacché tale vincolo dovrebbe essere inteso in senso lato, “ essendo la concentrazione processuale di più domande consentita ogniqualvolta le stesse si ricolleghino alla medesima lesione, come nella specie ”;

c) ha rigettato l’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria, giacché il relativo termine sarebbe decennale, stante la natura contrattuale della responsabilità dell’Amministrazione;

d) ha riscontrato la sussistenza del nesso causale, sostenendo che, pur non potendo “ ritenersi raggiunta una prova scientifica della connessione eziologica fra le patologie tumorali ed il contatto con zone di guerra contaminate da DU ”, cionondimeno potrebbe affermarsi, nella specie, la responsabilità dell’Amministrazione sulla base del noto criterio del “più probabile che non”, poiché:

- all’epoca della missione, “ il rischio della contaminazione era conosciuto o comunque conoscibile in quanto già documentato da numerosi studi e rapporti di istituzioni internazionali ”;

- nei tessuti neoplastici asportati al L sarebbe stato reperito del cromo;

- studi svolti in loco avrebbero accertato l’aumento dei tumori -OMISSIS-nella popolazione residente;

e) ha fissato i criteri per la quantificazione, da parte dell’Amministrazione, dell’importo da risarcire (danno biologico pari al 33%, come riconosciuto dalla CTU disposta in corso di causa;
danni patrimoniali e non patrimoniali quantificati forfettariamente nel 20% del danno biologico, come sopra computato);

f) ha compensato le spese di lite.

3. L’Amministrazione ha interposto appello, sostenendo che:

a) difetterebbe la connessione ex art. 43 c.p.a., posto che l’unicità della lesione dovrebbe intendersi in senso tecnico-giuridico, mentre nella specie ad una domanda afferente alla percezione di una somma a titolo previdenziale-assistenziale si sarebbe aggiunta una domanda risarcitoria collegata ad una condotta in tesi illecita;

b) difetterebbe idonea prova scientifica del nesso di causalità fra l’esposizione al DU e l’insorgenza di determinate patologie, tanto più che:

- il tempo di latenza medio delle patologie oncologiche sarebbe ben più lungo di quello intercorso, nella specie, fra l’ipotetica esposizione al DU e la diagnosi del tumore (circa 12 mesi);

- gli eventi bellici sarebbero avvenuti ben dodici anni prima;

- il CISAM, in una campagna di monitoraggi svolta nel 2001, non avrebbe rilevato evidenze radiologiche nei territori ove operava il personale italiano;

- i metalli pesanti sarebbero ubiquitari in natura.

3.1. Si è costituito in resistenza il ricorrente di prime cure, riproponendo le argomentazioni difensive già formulate dinanzi al T.a.r..

3.2. Il ricorso è stato discusso ed introitato per la decisione alla pubblica udienza del 15 ottobre 2020.

4. Il ricorso in appello dell’Amministrazione non è fondato.

5. Il Collegio, anzitutto, osserva che il thema decidendum del presente grado di giudizio attiene in rito alla questione dell’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti svolto in primo grado e, nel merito, al profilo della sussistenza di un nesso eziologico fra esposizione al DU e neoplasia.

5.1. Invero, da un lato il resistente non ha impugnato la dichiarazione del T.a.r. di difetto di giurisdizione sulla domanda demolitoria avanzata con il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, dall’altro l’Amministrazione non ha impugnato né il capo della sentenza che ha respinto l’eccezione di prescrizione, né quello che ha stabilito i criteri per la quantificazione del risarcimento.

6. Ciò premesso, il Collegio osserva che, nella specie, il ricorso per motivi aggiunti svolto dall’odierno resistente in prime cure era ammissibile.

6.1. Invero, sulla scorta di precedenti di questa stessa Sezione (n. 5596 del 2017, § 13, nonché n. 4971 del 2020, § 5), il Collegio osserva che, allorché il bene della vita richiesto con il ricorso principale sia analogo a quello richiesto con i motivi aggiunti, questi ultimi sono ammissibili.

6.2. Ebbene, nel caso di specie il ricorrente di prime cure anelava ad un unitario bene giuridico, ossia la compensazione monetaria del danno subito: la diversità delle forme giuridiche con cui tale tutela reintegrativa veniva cercata (istituti lato sensu previdenziali da un lato, strumenti propriamente risarcitori dall’altro) non ne elide la sostanziale unitarietà giuridica, specie ove traguardata in chiave remediale e teleologica.

7. Venendo alla questione del nesso di causalità fra esposizione al DU e patologia tumorale, il Collegio prende le mosse da un’affermazione preliminare: allorché, su disposizione dei competenti Organi della Repubblica, invia uomini in missione all’estero, l’Amministrazione della difesa è giuridicamente tenuta:

- ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;

- ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;

- a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica.

7.1. Altrimenti detto, nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “ missioni di pace ”) l’Amministrazione della difesa versa in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile - giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito - ma in cui, viceversa, rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale.

7.2. La diligentia cui è tenuta l’Amministrazione si situa dunque, in tali casi, ad un livello massimo.

8. Conducono a tale affermazione plurimi e convergenti rilievi.

9. È bene, in limine , precisare che è incontestato il dovere giuridico del militare di esporsi al pericolo, ciò che, anzi, ne marca la differenza ontologica rispetto al dipendente civile dello Stato e ne giustifica, da un lato, la sottoposizione ad un rigido vincolo gerarchico, dall’altro, l’acquisizione di uno speciale status positivamente normato (si veda il d.lgs. n. 66 del 2010).

9.1. Tuttavia, l’estensione di tale condizione di agere debere deve essere circoscritta e precisata.

9.2. Il militare, invero, ha il dovere giuridico di esporsi al pericolo:

- recato dalle forze nemiche o, comunque, da formazioni armate irregolari che intendano contrastare, anche con forme di guerra asimmetrica, le Forze Armate della Repubblica;

- riveniente dagli svariati rischi inevitabilmente connessi con l’uso, il maneggio e la conservazione del materiale bellico;

- intrinseco alle attività addestrative;

- conseguente all’ontologica insidia recata dalla permanenza fisica in contesti operativi instabili, in quanto, benché formalmente pacificati, siano ancora percorsi da forti elementi di frattura dell’ordinaria esistenza civile (ragion per cui vengono, appunto, inviati militari e non semplice personale civile).

9.3. Tale dovere, tuttavia, non può essere inteso come base per affermare che sul militare gravi ogni tipo di rischio comunque conseguente alla sua presenza fisica nel teatro di operazioni.

9.4. Al dovere del militare di esporsi al pericolo stricto sensu bellico, infatti, si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto.

9.5. In sostanza, nel caso delle missioni all’estero, il militare ha il dovere di esporsi al rischio bellico (sempre latente in tali contesti), ma l’Amministrazione ha il dovere di circoscrivere al massimo, in un’ottica di precauzione, i diversi ed ulteriori rischi concretamente prevedibili (in quanto non implausibili) ed oggettivamente prevenibili.

9.6. Mentre, dunque, il rischio bellico grava sul militare (salvo il caso di scuola di invio in battaglia con un armamento macroscopicamente inadeguato, sempre che altrimenti non si possa fare per le condizioni dell’apparato produttivo e logistico del Paese), il rischio non stricto sensu bellico, ove non implausibile, può e deve essere previsto, circoscritto e prevenuto, nei limiti del possibile, dall’Amministrazione.

10. Ciò premesso, ed osservato altresì che non è in discussione la conoscenza da parte dell’Amministrazione, all’epoca dei fatti, dell’uso nell’area di munizionamento DU da parte degli Alleati della NATO, il Collegio rileva che il carattere doveroso dell’invio di uomini in loco , stanti le imperative deliberazioni degli Organi costituzionali della Repubblica, non elideva il conseguente e parallelo dovere dell’Amministrazione di individuare le più opportune modalità tecnico-operative per svolgere il compito affidato, affinché il pieno assolvimento della missione (valore di carattere prioritario, quale precipitato non solo del principio di efficacia dell’azione amministrativa, ma, prima ancora, del carattere “ sacro ” della difesa della Patria) non vulnerasse il diritto dei cittadini-soldati a non essere sottoposti a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che sono ex lege tenuti ad affrontare. Né, d’altra parte, risulta che l’Amministrazione della difesa abbia specificamente rappresentato al decisore politico i rischi di una missione non puntualmente preparata e, ciononostante, abbia ricevuto il preciso incarico di inviare senza alcun indugio gli uomini. Tale eccezionale circostanza, che potrebbe ipoteticamente rappresentare un caso di esenzione dalla responsabilità civile, a questo punto non più ascrivibile all’Amministrazione, non risulta tuttavia allegata né, tantomeno, documentata.

11. Si deve, invero, notare che l’Amministrazione della difesa, quale Ente datoriale, è sottoposta agli obblighi di protezione stabiliti dall’art. 2087 c.c., che impone a quanti ricorrano, nell’esercizio di attività imprenditoriale, ad energie lavorative di terzi di adottare, nell’esercizio di tali attività, “ misure ” idonee, secondo un criterio di precauzione e di prevenzione, a “ tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro ”.

11.1. La disposizione, più in particolare, nello stabilire che “ l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro ”, enuclea un dovere di protezione che arricchisce ex lege (cfr. art. 1374 c.c.) il rapporto obbligatorio riveniente dal contratto di lavoro.

11.2. La disposizione – osserva il Collegio – non ha una portata solo settoriale ma, al contrario, delinea un principio generale di tutela del prestatore di lavoro che si proietta prismaticamente in tutto l’ordinamento: come tale, integra un referente normativo e valoriale di impatto sistemico e, pertanto, trova applicazione anche nel caso del rapporto di impiego o, comunque, di servizio fra il militare e l’Amministrazione della difesa.

12. La conclusione sopra esposta trova ulteriore conforto nell’art. 2050 c.c., il quale, pur se dettato in punto di responsabilità extra-contrattuale, ha anch’esso una potenzialità normativa espansiva, in quanto emersione settoriale di un principio generale: le conseguenze dannose delle attività pericolose gravano in capo a colui che le pone in essere, salva la prova dell’adozione di “ tutte le misure idonee ad evitare il danno ”.

13. Tali generali coordinate normative debbono essere calate nella specificità delle funzioni dell’Amministrazione della difesa, in particolare allorquando, in esecuzione di disposizioni delle massime Autorità dello Stato, deve inviare personale militare in teatri operativi esteri.

14. Orbene, giacché le “ misure ” che deve adottare il datore di lavoro militare, strutturalmente impegnato in “ attività pericolose ”, sono normativamente funzione anche della “ particolarità del lavoro ”, ne consegue che, nel caso di invio di militari all’estero, l’Amministrazione è tenuta, prima di procedere all’esecuzione materiale della missione, ad una rigorosa analisi delle condizioni del contesto ambientale, ad una puntuale enucleazione dei possibili fattori di rischio e, quindi, ad una conseguente individuazione delle “ misure ” tecnico-operative concretamente disponibili, ragionevolmente implementabili e potenzialmente idonee ad eliminare o, comunque, ad attenuare il più possibile i rischi non stricto sensu bellici connessi all’impiego di militari nel teatro de quo .

15. Ciò è tanto più vero allorché la missione debba svolgersi in contesti operativi interessati da previ eventi bellici, come tali connotati da una poliedrica, imponderabile e multifattoriale pericolosità.

15.1. In particolare, nell’ex Jugoslavia era stata condotta una campagna di bombardamenti con uso anche di munizionamento pesante, con conseguente presenza, inter alia , di un potenziale e non implausibile rischio chimico/radiologico da inalazione/ingestione umana di particelle finissime di metalli pesanti, rimaste sospese nell’aria a seguito di esplosioni di obiettivi attinti da proiettili DU.

15.2. Tale condizione dei luoghi era, poi, particolarmente pericolosa per l’odierno resistente, che, a quanto consta, percorreva quotidianamente, come autista del Servizio postale militare, i luoghi.

16. Del resto, non solo l’appellante Amministrazione non ha specificamente confutato le conclusioni raggiunte dal CTU nominato in prime cure, ma tali conclusioni sono indirettamente avvalorate sia dal riconoscimento amministrativo della dipendenza dell’infermità neoplastica da causa di servizio, sia, prima ancora, dalle risultanze delle indagini nanodiagnostiche fatte svolgere dal resistente in data 3 giugno 2009, che hanno riscontrato, in un campione del tessuto neoplastico, “ la presenza di corpi estranei in forma micro e nano dimensionate … a base di alluminio, calcio, cromo e ferro ”, sostanze notoriamente connotate da “ tossicità chimica ”, non biocompatibili né biodegradabili: tali “ corpi estranei ”, evidentemente di origine non fisiologica, possono aver innestato reazioni biologiche poi confluite nell’epilogo tumorale.

17. Oltretutto, è noto che i militari inviati in missione all’estero sono sottoposti ad un pesante protocollo di vaccinazioni, ciò che può con ogni ragionevolezza aver contribuito, insieme con il tipo di vita condotto in loco , ad indebolire le difese immunitarie.

18. Più in generale, inoltre, il Collegio osserva che, in tema di illecito civile, il nesso causale ha veste probabilistico-statistica (“ più probabile che non ”) e non richiede, dunque, quella certezza di contro propria dell’accertamento penale.

18.1. Tale strutturale carattere per così dire “attenuato” della prova richiesta in ordine all’elemento eziologico del danno civile è, se possibile, ancor più pregnante e giuridicamente necessario allorché:

- i danni lamentati afferiscano alla dimensione della tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore;

- questi svolga un servizio (la “ difesa della Patria ”) di vitale importanza per la Repubblica (“ sacro dovere del cittadino ”, art. 52 Cost.);

- sia in gioco la preservazione della salute e della stessa vita del militare;

- siano concretamente disponibili e ragionevolmente implementabili mezzi di protezione individuale.

18.2. Quanto a quest’ultimo punto, l’Amministrazione della difesa non ha specificamente contestato quanto affermato ex adverso , circa il fatto che Forze Armate di Paesi Alleati avessero dotato il proprio personale operante in ex Jugoslavia di dispositivi di protezione individuale ed avessero, inoltre, predisposto specifiche procedure volte a minimizzare il rischio da esposizione ad agenti patogeni dispersi nell’ambiente, mediante, in particolare, puntuali indicazioni prescrittive circa le modalità d’uso di tali dispositivi.

18.3. Ciò rileva per due ordini di considerazioni:

- il ricorso a tali dispositivi di protezione ed a tali procedure indica che altri Alleati, coinvolti nella stessa missione, ritenevano concreto o, comunque, astrattamente possibile il rischio alla salute derivante dall’esposizione a residui di combustione di metalli pesanti;

- il ricorso a tali dispositivi ed a tali procedure poteva rappresentare, in una doverosa ottica precauzionale, un elemento di tutela per il personale inviato in missione all’estero, a fronte di un costo economico e di uno sforzo logistico oggettivamente relativi, rispetto a quelli necessari per l’apprestamento e lo svolgimento della missione.

18.4. Ciò è particolarmente evidente per chi, come l’odierno resistente, operava fisicamente sul terreno, esponendosi quotidianamente agli agenti potenzialmente patogeni presenti in loco .

19. A conclusione di questo passaggio motivazionale, il Collegio non può non rilevare:

- da un lato, che difettano spiegazioni eziologiche alternative della patologia tumorale de qua ;

- dall’altro, che difettano dati scientifici che consentano di escludere il rischio per la salute umana da esposizione, chimica o radiologica, a DU (e, in generale, a residui di esplosione di metalli pesanti utilizzati negli armamenti, ad esempio tungsteno).

20. Merita, in proposito, sottolineare che i militari inviati in missione all’estero si collocavano, nell’ambito della popolazione nazionale, nei percentili più alti in punto di integrità e prestanza fisica: il rilievo dell’Amministrazione circa la natura ancora non conosciuta dei fattori oncogenetici, dunque, non può prescindere da tale circostanza.

21. Sotto altro profilo, la questione della natura rischiosa delle condizioni operative nel teatro ex jugoslavo era così evidente all’epoca dei fatti, che era confluita in iniziative istituzionali sia del Legislatore (cfr. art. 4- bis d.l. n. 393 del 2000, introdotto dalla legge di conversione n. 27 del 2001, nonché le numerose Commissioni parlamentari d’inchiesta disposte nel corso del tempo in subiecta materia ), sia della stessa Amministrazione (si ponga mente alla campagna di monitoraggio eseguita nell’ex Jugoslavia dal CISAM nel corso del 2001).

22. Può, quindi, affermarsi, in virtù della considerazione unitaria delle argomentazioni che precedono, che l’assenza, allo stato delle conoscenze, di una piena dimostrazione scientifica circa la valenza oncogenetica dell’esposizione a DU o, comunque, a residui di combustione di metalli pesanti non osta, nel particolare caso di specie, a riconoscere comunque integrato l’elemento eziologico dell’illecito civile.

23. Può, anzi, sostenersi che, alla luce della peculiarità dello specifico contesto operativo, del carattere contrattuale della responsabilità dell’Amministrazione, dei valori primari in gioco, della mancata adozione degli accorgimenti pur apprestati dagli Alleati a beneficio del proprio personale, delle particolari mansioni svolte dall’odierno resistente, gravasse sull’Amministrazione l’onere di fornire, a contrario , un principio di prova circa l’intervento di un fattore oncogenetico alternativo e diverso rispetto all’esposizione al DU ed ai metalli pesanti.

24. Quale estrema considerazione di sistema, il Collegio osserva, infine, che il regime nazionale della responsabilità civile è volto ad allocare le conseguenze dannose dell’illecito in capo al soggetto normativamente “meritevole” di subirle, vuoi (criterio generale) perché ha operato con dolo o colpa (art. 2043 c.c.), vuoi (criteri sussidiari) perché versa in condizioni oggettive (articoli 2047, 2048, 2049, 2050, 2051, 2052, 2053 c.c.) che, comunque, rendono più congruo porre a suo carico l’evento di danno, salva, in talune ipotesi, la residuale facoltà probatoria di dimostrare, in sostanza, di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e salva, in ogni caso, la non imputabilità del danno che si dimostri conseguito al caso fortuito.

25. Come visto supra , nella specie l’Amministrazione della difesa, Ente datoriale strutturalmente impegnato in attività pericolose e tenuto ex lege a garantire la protezione dei sottoposti, non può per tabulas sostenere di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno alla salute ai militari inviati in ex Jugoslavia.

26. L’Amministrazione, inoltre, non può neppure invocare, quale fattore ostativo al riconoscimento della propria responsabilità, la mancanza di una chiara evidenza scientifica circa il carattere oncogenetico dell’esposizione umana a residui di combustione di metalli pesanti, in primis DU.

27. Al lume delle considerazioni sinora esposte, infatti, la prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare convincentemente il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile e, comunque, non prevenibile, che ha provocato l’evento di danno.

27.1. Altrimenti detto, nel quadro di una responsabilità contrattuale posta a garanzia di beni primari, nell’ambito di un ordinamento di settore connotato dall’insindacabilità degli ordini, nel contesto di una missione in teatri operativi interessati da eventi bellici ed ancora pervasi da plurimi, insidiosi e multifattoriali fattori di pericolo, il rischio causale ignoto grava sull’Amministrazione, non sul singolo militare.

27.2. Del resto, la causa ignota, categoria gnoseologica e non ontologica, non è altro che la conseguenza dell’attuale ignoranza scientifica circa i nessi eziologici: è cioè, un dato umano (relativo e dinamico), non una realtà naturale (assoluta e fissa).

28. Deve quindi affermarsi, nell’ an , la responsabilità dell’Amministrazione e, conseguentemente, respingersi l’appello del Ministero.

29. Le spese del presente grado di giudizio possono, comunque, compensarsi, in considerazione della complessità in diritto della controversia.

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