Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-28, n. 202306289

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-28, n. 202306289
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202306289
Data del deposito : 28 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/06/2023

N. 06289/2023REG.PROV.COLL.

N. 03341/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3341 del 2021, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato R B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F I in Roma, via Giovanni Battista De Rossi, n. 10;

contro

MINISTERO DELL’INTERNO-QUESTURA DI FIRENZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 maggio 2023 il Cons. Dario Simeoli e udito per la parte appellante l’avvocato Innocenti, in sostituzione dell’avvocato R B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, sono così riassumibili:

- all’esito del procedimento disciplinare n. 4/2013, il Consiglio Provinciale di Disciplina della Questura di -OMISSIS-, in data 7 febbraio 2020, proponeva a maggioranza dei 4/5 la sanzione disciplinare della destituzione del signor -OMISSIS- odierno appellante, per le seguenti motivazioni: «per aver gravemente abusato della qualifica rivestita esercitando, in varie occasioni, poteri e prerogative non proprie, per un vantaggio personale ed assumendo un atteggiamento minaccioso nei confronti di privati cittadini;
con ciò denotando una persistente riprovevole condotta inosservante dei doveri e principi dell’appartenente alla Polizia di Stato, stante le precedenti trasgressioni che hanno comportato l’adozione di numerosi provvedimenti disciplinari»;

- la proposta di destituzione seguiva alla «sentenza emessa il 10 aprile 2019, divenuta irrevocabile il 27 aprile 2019 con cui il Tribunale di -OMISSIS- […] ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del dipendente in ordine al reato a lui ascritto, perché estinto per intervenuta prescrizione» (in particolare, il rinvio al giudizio era stato disposto per il reato di «usurpazione di funzioni pubbliche», previsto e punito dall’art. 347 c.p.);

- in accoglimento della proposta del Consiglio Provinciale di Disciplina, l’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, con decreto ministeriale del 19 marzo 2020, irrogava la sanzione disciplinare della destituzione, ai sensi dell’art 7 comma 2, punti 2, 3, 4 e 6 seconda ipotesi del d.P.R. n. 737 del 1981;

- il signor -OMISSIS-impugnava la sanzione disciplinare davanti al T.a.r., adducendo i seguenti motivi:

i) violazione dell’art. 9 del d.P.R. n. 737 del 1981 e dell’art. 9, comma 2, della legge n.19 del 1990;

ii) violazione dell’art. 13, comma 3, del d.P.R. n. 737 del 1981 e degli articoli 68 del d.P.R. n. 3 del 1957 e 30 del d.P.R. n. 686 del 1957;

iii) violazione degli articoli 103 e 120 del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 31 del d.P.R. n. 737 del 1981;

iv) violazione dell’art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981;

unitamente a vari profili di eccesso di potere (per difetto motivazione, illogicità e contraddittorietà).

2.– Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, con sentenza n. -OMISSIS- ha respinto il ricorso.

3.– Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il -OMISSIS- sostenendone l’erroneità per i seguenti motivi:

a) il comma 6 dell’art. 9 del d.P.R. n. 737 del 1981 individuerebbe il dies a quo entro cui deve essere riattivato il procedimento disciplinare in giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza (oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione);
nel caso di specie, la sentenza penale n. 820 del 2019 emessa dal Tribunale Penale di -OMISSIS- era stata pubblicata il giorno 10 aprile 2019 mentre l’azione disciplinare sarebbe stata tardivamente avviata in data 28 novembre 2019, ovvero dopo 232 giorni decorrenti dal 10 di aprile 2019;
ove l’azione disciplinare s'intendesse avviata dalla data di notificazione del documento contenente la contestazione degli addebiti (10 ottobre 2019), il termine di 120 giorni non sarebbe comunque stato rispettato;
anche volendo accedere alla tesi secondo cui il termine di cui all’art. 9, comma 6 citato, non decorrerebbe dalla pubblicazione della sentenza intesa come deposito della motivazione in cancelleria, bensì dalla conoscenza della pronuncia penale, nel caso in esame l’Amministrazione sarebbe venuta a conoscenza della pronuncia giurisdizionale prima dell’invio della PEC da parte della Cancelleria del Tribunale Penale (ciò si desumerebbe dal fatto che tale comunicazione riscontrava una precedente richiesta di informazioni dell’Amministrazione in relazione alla data del passaggio in giudicato della sentenza penale, di cui evidentemente era già a conoscenza);
per gli stessi motivi, la sentenza impugnata sarebbe erronea anche laddove ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso fondato sulla violazione dell’art. 9, comma 2 della legge n. 19 del 1990, in quanto il termine entro il quale portare a conclusione il procedimento disciplinare ivi previsto di 270 giorni, avrebbe dovuto farsi da una data antecedente a quella del 19 agosto 2020;

b) contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, la normativa di cui al D.P.R n. 737 del 1981 dovrebbe essere integrata con la disciplina generale di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e, segnatamente, con gli artt. 120 e 103 del testo unico, ciò in quanto la contestazione dell’illecito e lo stesso procedimento dovrebbero seguire con immediatezza la commissione del fatto, a tutela del diritto di difesa dell’incolpato;
su queste basi, sarebbe indubbia, nel caso in esame, la violazione delle norme richiamate, atteso che i provvedimenti ivi impugnati hanno avuto riguardo ad un procedimento disciplinare avviato nell’anno 2013 avente ad oggetto fatti verificatisi tra il mese di dicembre 2010 e il gennaio 2011, in esito ai quali l’appellante era stato rinviato a giudizio con decreto depositato il giorno 27 aprile 2015 (dall’avvio del procedimento disciplinare nell’anno 2013 sino alla data del decreto di citazione a giudizio dell’aprile 2015, l’Amministrazione non avrebbe adottato alcun atto proprio, nemmeno di carattere interno);

c) sarebbe stato violato il principio del contraddittorio fissato dall’art. 13 del d.P.R. n. 737 del 1981, in quanto il Consiglio Provinciale di Disciplina aveva dato seguito al procedimento disciplinare in assenza dell’odierno appellante, nonostante lo stesso avesse fatto pervenire all’Amministrazione di appartenenza una certificazione medica per giorni 20 dal 18 gennaio 2020 sino al 6 febbraio 2020 e successivamente dal 7 febbraio 2020 al 26 febbraio 2020;
non sarebbe dato comprendere la ragione per cui la certificazione medica sia stata ritenuta idonea a differire le prime due sedute (fissate per i giorni 2 dicembre 2020 e 16 gennaio 2020), ma non per quella successiva del 4 febbraio 2020, sul solo assunto per cui la documentazione attestante il legittimo impedimento avrebbe dovuto essere fatta pervenire direttamente al Consiglio di Disciplina e non all’Ufficio di appartenenza (ciò a fronte del fatto che l’art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 non prescriva le modalità attraverso le quali ciò debba avvenire);

d) il fatto di aver preso in considerazione una serie di precedenti successivi all’avvio del procedimento disciplinare in oggetto, costituirebbe un’ulteriore causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio;
l’art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 (secondo cui la destituzione è inflitta, tra l’altro: «6) per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari») non potrebbe, infatti, che fare riferimento ai provvedimenti adottati prima dell’attivazione del procedimento disciplinare di cui si discute;
sotto altro profilo, il provvedimento sanzionatorio non avrebbe tenuto in debita considerazione alcuni elementi utili al ricorrente (ovvero: lo svolgimento nell’ultimo anno solare con profitto ottimo di n. 93 servizi di ordine pubblico, n. 53 servizi esterni e di avere effettuato n. 325 ore di straordinario emergente per le esigenze dell’Ufficio;
l’avere riportato, nel 2017, il giudizio di ottimo con la valutazione di 43 su 45);
il provvedimento impugnato sarebbe altresì illegittimo in quanto il Consiglio di Disciplina si sarebbe limitato nella sostanza a recepire gli esiti delle indagini preliminari condotte in sede penale, sebbene l’ipotesi accusatoria risultasse non pienamente concludente e il processo penale si fosse concluso con la dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione e, dunque, senza una valutazione di merito.

4.– Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente, insistendo per il rigetto del gravame.

5.– All’esito dell’odierna udienza pubblica del 30 maggio 2023, la causa è stata discussa e trattenuta una decisione.

DIRITTO

1.‒ Il primo motivo di censura, relativo all’asserita violazione dei termini per l’istaurazione del procedimento disciplinare, è infondato.

1.1.‒ Secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, i termini di cui all’art. 9, comma 6, del d.P.R. n. 737 del 1981, decorrono non dalla pubblicazione o passaggio in giudicato della sentenza, bensì dalla conoscenza qualificata da parte dell’Amministrazione, derivante dall’acquisizione della copia conforme della sentenza irrevocabile di condanna o dalla notificazione della sentenza ad opera dell’interessato (cfr., ex plurimis , Consiglio di Stato, sentenze n. 6726 del 2022;
n. 1465 del 2021;
n. 3956 del 2020;
n. 3869 del 2020;
n. 1499 del 2020;
n. 4940 del 2019).

Diversamente opinando, si perverrebbe all’illogica conclusione di sottoporre l’esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l’Amministrazione competente abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio, e costringendola a interrogare, in continuazione, le varie Cancellerie dei diversi Tribunali, per ogni procedimento penale collegato ad un procedimento disciplinare.

Detto approdo ermeneutico è, del resto, coerente con le affermazioni contenute nella decisione della Corte costituzionale n. 186 del 2004, che ha ritenuto «irragionevole e contraria al buon andamento» la disposizione transitoria dell’art. 10, comma 3, della legge 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui fa decorrere il termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare dal momento della conclusione del giudizio penale, anziché dalla comunicazione della relativa sentenza all’amministrazione. Pertanto, il dies a quo per il computo dei termini che decorrono dalla sentenza penale, da qualunque norma siano previsti, non può che coincidere con la comunicazione della stessa alla amministrazione, essendo una diversa interpretazione del tutto irragionevole e contraria al buon andamento.

Nell’ambito del parallelo ordinamento militare, la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 14 del 2022, ha recentemente statuito che, ai fini della instaurazione o ripresa del procedimento disciplinare, ai sensi degli artt. 1392, comma 3, e 1393, comma 4, d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, «la conoscenza della sentenza conclusiva del processo penale deve essere integrale, non essendo sufficiente la mera conoscenza del dispositivo o di estratti della stessa, e legalmente certa, dovendo la stessa irrevocabilità risultare formalmente, secondo le modalità previste dalla legge».

1.2.‒ Nel caso in esame, l’Amministrazione ha avuto notizia dell’irrevocabilità della sentenza del Tribunale di -OMISSIS- (del 10 aprile 2019, divenuta irrevocabile il 27 aprile 2019) soltanto in data 19 agosto 2019, a seguito di richiesta formulata al Tribunale di -OMISSIS- in data 18 luglio 2019 e sollecitata il 18 agosto 2019.

1.3.‒ Correttamente il giudice di primo grado ha quindi ritenuto infondata anche la prospettata violazione dell’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, trattandosi, anche in questo caso, di un termine complessivo di 270 giorni decorrente «dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna», e non dalla data di pubblicazione o dalla data del passaggio in giudicato.

2.‒ Il secondo motivo di appello ‒ relativo alla asserita violazione degli articoli 103 e 120 del d.P.R. n. 3 del 1957, sul presupposto che, essendosi i fatti verificati tra il mese di dicembre 2010 e il gennaio 2011, il procedimento disciplinare avrebbe dovuto essere avviato prima del decreto di citazione a giudizio dell’aprile 2015 ‒ non può essere accolto.

2.1.‒ Le disposizioni di cui agli articoli 9 e 11 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante la disciplina delle sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) prevedono che, dal momento in cui viene esercitata l’azione penale (con gli atti tipizzati dal vigente codice di procedura penale), sussiste il dovere dell’Amministrazione di non dare inizio al procedimento disciplinare o di sospendere il procedimento già avviato (in particolare, l’art. 11 del d.P.R. citato prevede che «[q]uando l’appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento

Disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato»). In questo senso vanno anche le norme dell’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, in forza del quale il procedimento disciplinare «deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna» (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 gennaio 2009, n. 1;
più recentemente, Sez. IV, n. 3647 del 2020;
sez. III, n. n. 1574 del 2015).

Per completezza, va ricordato che, nell’ambito del parallelo ordinamento militare «non ricorre più la cd. pregiudiziale penale al procedimento disciplinare, ma trova, al contrario, applicazione il diverso principio dell’autonomia, sia pur “temperata”, dei giudizi, ben potendo (ed anzi dovendo) l’amministrazione avviare il procedimento disciplinare nei termini prescritti» (cfr. l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 14 del 2022).

2.2.‒ Nel caso in esame, la particolare complessità dell’istruttoria e l’assenza di elementi conoscitivi autonomi per avviare il procedimento disciplinare, hanno comportato per l’Amministrazione la necessità di attendere la definitiva conclusione del procedimento penale al fine di acquisire una conoscenza certa e completa dei fatti. Si tratta di una sospensione legale che ha finalità garantistiche e non si vede come possa avere inciso sul diritto di difesa dell’incolpato.

La stessa regola di ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti deve essere intesa, non nel senso che l’avvio debba avvenire immediatamente, bensì secondo la ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti, da valutarsi considerando la gravità della violazione e la complessità degli accertamenti preliminari e dell'intera procedura.

L’invocato articolo 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) ‒ secondo cui «[i]l procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che, nessun ulteriore atto sia stato compiuto» ‒ non è espressivo di un principio generale che ne giustifichi la perdurante applicazione nel contesto di un plesso organizzativo (quello dell’Amministrazione di pubblica sicurezza) autonomamente disciplinato da una normativa di settore sopravvenuta.

3.‒ L’ulteriore censura di violazione del principio del contraddittorio è destituita di fondamento.

3.1.‒ L’art. 20 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, lascia all’Amministrazione un ampio margine nella valutazione della causa che legittima il differimento della seduta disciplinare, con la conseguenza che: da un lato, l’impedimento deve consistere in una vera e propria impossibilità oggettiva a partecipare alla seduta, non potendosi ritenere sufficiente un qualsiasi stato di infermità;
dall’altro, l’incolpato è onerato della prova della sussistenza di un impedimento di tal fatta, essendo insufficiente allo scopo, l’esibizione di un certificato da cui non risulti in modo univoco, qualora ciò non sia evidente secondo comuni regole di esperienza, che l’infermità stessa comporti l'impossibilità di partecipare alla seduta disciplinare.

Nella specie, la documentazione addotta ‒ in cui si attestava che l’inquisito «non è ancora guarito da cervicalgia cronica da causa di servizio per cui necessita di ulteriori giorni […] di prognosi» ‒ non integrava gli estremi sopra citati.

Il Collegio ritiene, infatti, del tutto corretta la motivazione della sentenza appellata secondo cui «non si presenta suscettibile di accoglimento la prospettazione posta a base del secondo motivo di ricorso, tendente ad identificare stato di malattia e legittimo impedimento a comparire avanti al Consiglio di disciplina di cui all’art. 20 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, apparendo del tutto evidente come si tratti di situazioni che possono differenziarsi sotto il profilo fattuale (apparendo ben possibile che alcune infermità idonee a giustificare la mancata prestazione del servizio, possano risultare compatibili con l’esercizio delle proprie facoltà difensive avanti al Consiglio di disciplina) e come l’accertamento del legittimo impedimento spetti in via autonoma al Consiglio di disciplina (cui deve essere espressamente indirizzata la relativa richiesta di rinvio), non potendo attribuirsi automatica rilevanza, anche ai fini del legittimo impedimento, al riconoscimento dello stato di inidoneità al servizio» (così il quinto alinea del considerato in diritto della sentenza appellata).

La circostanza che, in precedenza, la seduta del Consiglio provinciale di disciplina fosse stata rinviata a seguito della presentazione di certificati medici prodotti dall’inquisito, non impediva, di per sé, all’organo collegiale di procedere alla seduta (del 4 febbraio 2020) nonostante l’assenza dell’inquisito.

3.2.‒ Alla luce di quanto appena rilevato, le considerazioni svolte sulle modalità di comunicazione del legittimo impedimento (all’ufficio di appartenenza piuttosto che al Consiglio di disciplina) appaiono del tutto irrilevanti.

4. ̶ Anche l’ultimo motivo di gravame ‒ secondo cui il tardivo esercizio dell’azione disciplinare non avrebbe consentito di tenere conto di sanzioni disciplinari irrogategli successivamente alla data in cui l’azione disciplinare avrebbe dovuto essere intrapresa ‒ va respinto.

4.1.‒ Una volta acclarata l’infondatezza del vizio di mancata tempestività dell’azione disciplinare, non è contestabile la doverosa considerazione da parte dell’Amministrazione dei numerosi precedenti disciplinari collezionati dall’appellante, il quale «arruolatosi nella Polizia di Stato nell’anno 1983, è stato destinatario di n. 17 sanzioni disciplinari, di cui n. 3 richiami scritti, n. 8 pene pecuniarie, n. 2 deplorazioni e n. 4 sospensioni dal servizio».

Questi dati non possono di certo ritenersi ‘neutralizzati’ dall’avere l’appellante nell’ultimo anno solare svolto «con profitto ottimo n. 93 servizi di ordine pubblico, n. 53 servizi esterni ed effettuato n. 325 ore di straordinario emergente per le esigenze dell’Ufficio»;
così come non può avere portata attenuante l’avere riportato nel 2017 il «giudizio di ottimo di 43».

L’applicazione della sanzione espulsiva risulta quindi pienamente motivata e congrua.

4.2. ̶ Sotto altro profilo, gli accertamenti effettuati in sede di procedimento penale sfociato nel proscioglimento dell’imputato per prescrizione del reato possono senz’altro essere utilizzati in sede disciplinare. In tali casi, la sanzione disciplinare è legittimamente irrogata all’esito di una autonoma e necessaria rivalutazione, al fine di accertarne il rilievo disciplinare, dei fatti che hanno costituito oggetto del giudizio penale (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sentenze n. 1163 del 2022;
n. 1689 del 2020;
n. 3125 del 2019).

Nel caso in esame, gli atti del procedimento sanzionatorio rilevano come l’Amministrazione abbia proceduto ad un’attenta valutazione dei fatti emersi in sede penale unitamente ai riscontri offerti dalle informazioni rese da privati cittadini (come descritti dal funzionario istruttore).

5.‒ Per tutte le ragioni sopra esposte, l’appello è infondato e va respinto.

5.1.‒ Le spese di lite del secondo grado di giudizio, in considerazione della particolarità della vicenda, vanno interamente compensate tra le parti.

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