Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-05-26, n. 202003338

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-05-26, n. 202003338
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003338
Data del deposito : 26 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/05/2020

N. 03338/2020REG.PROV.COLL.

N. 06041/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 6041 del 2019, proposto da
Consorzio Stabile Europeo Multiservice, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G M e F I, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Letizia Napolitano in Roma, via Poggio Moiano, n. 34 c;

contro

Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

nei confronti

Organo Straordinario di Liquidazione, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Seconda, n. 01936/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2020, tenuta con le modalità di cui all’art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020, come da verbale, il Cons. Giuseppina Luciana Barreca, e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Premesso che:

- con ricorso per ottemperanza, notificato il 23 luglio 2018 e depositato il 1° agosto 2018, il Consorzio Stabile Europeo Multiservice ha adito il giudice amministrativo affinché fosse ordinato al Comune di Caserta di dare esecuzione al decreto ingiuntivo n. 848/2011 di condanna al pagamento in favore del ricorrente di euro 477.611,86 – oltre interessi e spese legali per la fase monitoria - per servizi di pulizia degli ambienti del Comune;

-il Comune di Caserta, costituendosi nel giudizio di primo grado, ha opposto che alla procedura di dissesto avviata con deliberazione del Consiglio Comunale n. 24 del 24 ottobre 2011 -conclusasi soltanto con l’approvazione del rendiconto della gestione con delibera dell’organo straordinario di liquidazione n. 47 del 5 luglio 2018- si era accavallata una nuova procedura di liquidazione, vista la sopravvenuta dichiarazione di dissesto finanziario con delibera del Consiglio Comunale n. 28 del 23 aprile 2018, sicché era inammissibile il ricorso per ottemperanza proposto dopo tale seconda dichiarazione di dissesto;

- la sentenza del Tribunale amministrativo per la Campania – Napoli, indicata in epigrafe, ha condiviso l’eccezione dell’amministrazione comunale ed ha dichiarato il ricorso inammissibile, compensando le spese processuali in considerazione della “ complessiva vicenda, connotata dal susseguirsi di due dichiarazioni di dissesto ”.

Rilevato che:

- per ottenere la riforma della sentenza il Consorzio Stabile Europeo Multiservice ha proposto appello con due motivi;

- si è costituito in giudizio il Comune di Caserta per resistere all’appello, formulando anche eccezione preliminare concernente la regolarità del ricorso in appello, perché redatto senza rispettare le disposizioni vigenti in tema di processo amministrativo telematico (PAT);

- le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche ex art. 73 c.p.a.;

- quindi, entrambe hanno depositato, nella stessa data dell’11 maggio 2020, note di udienza ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020;

- in data 14 maggio 2020 la causa è passata in decisione, ai sensi di tale ultima norma, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ed è stata deliberata in camera di consiglio ai sensi del comma 6 della stessa disposizione.

Ritenuto, in rito, che:

- il Comune di Caserta ha eccepito la nullità dell’atto di appello, per inosservanza della forma di redazione degli atti telematici, perché manca la sottoscrizione con firma digitale (in quanto il ricorso risulta notificato a mezzo posta ordinaria e redatto non come atto nativo digitale) e perché l’asseverazione di conformità sarebbe riferita soltanto alla procura alle liti e non al contenuto dell’atto;

- l’eccezione è infondata e va respinta, atteso che il ricorso, depositato in giudizio in forma telematica e sottoscritto con firma digitale (con regolare asseverazione di conformità), è stato effettivamente notificato al Comune di Caserta soltanto in formato cartaceo, con sottoscrizione autografa e a mezzo servizio postale ordinario con raccomandata a.r., ma tale modalità di redazione e di notificazione dell’atto non ne comporta la nullità, atteso che l’atto non manca dei requisiti formali indispensabili allo scopo;
anche a voler diversamente ritenere, si tratterebbe di nullità sanata per raggiungimento dello scopo, dato che vi è stata regolare e tempestiva costituzione in giudizio del suo destinatario;

Ritenuto, nel merito, quanto al primo motivo ( Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione dell’art. 248 del TUEL ), che:

- l’appellante sostiene che la particolare situazione venutasi a determinare per il susseguirsi di due procedure di dissesto non potrebbe essere risolta applicando l’art. 248 T.U.E.L. perché si tratterebbe di “ una norma formulata all’evidenza con riferimento alla situazione per c.d. ordinaria nella quale all’esito del dissesto il Comune riprenda la sua normale attività e non a una situazione del tutto anomala in cui appena chiusa una procedura di dissesto se ne apre un’altra in quanto evidentemente il Comune non ha saputo utilizzare lo strumento previsto dalla normativa per liberarsi dei debiti pregressi in funzione di una successiva gestione equilibrata della spesa ”;

- il motivo è infondato;

- in primo luogo, è corretta la puntualizzazione del Comune di Caserta, secondo cui non si è avuta una successione di due procedure di dissesto, bensì una sovrapposizione della seconda alla prima;

- infatti, l’art. 248, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000 dispone che il divieto di azioni esecutive individuali per i debiti che rientrano nella competenza dell’o.s.l. sia vigente “ dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'articolo 256 ”: quest’ultimo è il rendiconto di chiusura della procedura di liquidazione concorsuale, previsto dal comma 11 dell’art. 256 (“ Entro il termine di sessanta giorni dall'ultimazione delle operazioni di pagamento, l'organo straordinario della liquidazione è tenuto ad approvare il rendiconto della gestione ed a trasmetterlo all'organo regionale di controllo ed all'organo di revisione contabile dell'ente, il quale è competente sul riscontro della liquidazione e verifica la rispondenza tra il piano di estinzione e l'effettiva liquidazione ”) e non va confuso con il piano di estinzione delle passività, che invece è previsto dal comma 7 della stessa disposizione;
nella procedura di dissesto del Comune di Caserta, aperta con la deliberazione di dissesto del 2011, il piano di estinzione è stato definitivamente adottato, a seguito di rettifica, con deliberazione della Commissione straordinaria n. 12 del 1° marzo 2018 ed approvato con decreto ministeriale n. 56557 del 24 aprile 2018, ma dopo tale approvazione la prima procedura di dissesto è rimasta pendente fino al 5 luglio 2018, data di approvazione del rendiconto della gestione, con delibera n. 47 della Commissione straordinaria;

- pertanto, quando venne adottata la seconda deliberazione di dissesto, il 23 aprile 2018, la prima procedura di liquidazione straordinaria non si era ancora conclusa;

- dato ciò, come già ritenuto dal primo giudice, l’art. 248 del d.lgs. n. 267 del 2000 è norma applicabile sulla base del solo presupposto della dichiarazione di dissesto e non consente di distinguere gli effetti di tale dichiarazione, in particolare ai fini del divieto di azioni esecutive individuali, a seconda che vi siano state altre precedenti dichiarazioni di dissesto del medesimo ente locale;

- in sintesi, non esiste nella disciplina del dissesto delineata dal T.U.E.L. una fattispecie “ordinaria”, che, alla stregua di quanto sostenuto dal ricorrente, si differenzi da altra, da reputarsi “straordinaria” o eccezionale, per l’ipotesi in cui l’esito di una prima procedura di dissesto non abbia consentito il risanamento delle finanze dell’ente locale;

- il dato letterale è inequivocabile e non è consentita alcuna estensione alla fattispecie del dissesto degli enti locali della disciplina fallimentare, operante nel diverso ambito privatistico, ed in specie dell’art. 111 bis della legge fallimentare, richiamata dall’appellante anche come tertium comparationis della questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza (su cui infra );

- in tutti i casi di dichiarazione di dissesto trova applicazione l’art. 252 dello stesso T.U.E.L., che va interpretato alla luce dell'art. 5, comma 2, del decreto legge n. 80 del 2004, ai sensi del quale " Ai fini dell'applicazione degli articoli 252, comma 4, e 254, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si intendono compresi nelle fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all'articolo 256, comma 11, del medesimo testo unico " (Consiglio di Stato sez. V, 30 giugno 2017, n.3184);

- il debito di cui al decreto ingiuntivo in favore del Consorzio, rimasto insoddisfatto all’esito del primo dissesto (per mancata accettazione, come si dirà, della proposta transattiva avanzata dall’o.s.l. ai sensi dell’art. 258 T.U.E.L.) e relativo a fatti di gestione precedenti il 31 dicembre 2017, era perciò sussistente alla data di dichiarazione del secondo dissesto del Comune di Caserta il 23 aprile 2018, quindi da inserire, ai sensi dell’art. 254 T.U.E.L., nella massa passiva della seconda procedura di dissesto;

- il ricorso per ottemperanza, presentato dopo tale dichiarazione di dissesto, è inammissibile, in applicazione delle norme del d.lgs. n. 267 del 2000 già richiamate nella sentenza di primo grado;

- attesa tale inammissibilità, sono irrilevanti le considerazioni del Consorzio ricorrente riguardo ai rilievi mossi dalla Corte dei Conti a proposito del piano di riequilibrio pluriennale cui il Comune di Caserta non ha avuto accesso e riguardo al contenzioso insorto dinanzi alla magistratura contabile, nonché riguardo all’uso che il Comune avrebbe fatto degli accantonamenti del primo dissesto, all’asserito fine di ripianare debiti contratti tra il 2011 e il 2017, in quanto si tratta di dati e circostanze tutt’al più significativi di gestione economica non conforme ai principi della finanza degli enti locali, ma privi di incidenza nella presente sede giurisdizionale di ottemperanza;

- il primo motivo d’appello va respinto;

Ritenuto, inoltre, quanto al secondo motivo ( Error in iudicando: violazione dell’art. 258 del D. Lgs. 267 del 2000 (TUOEL), in combinato disposto con l'art. 33 del Decreto Legge 24/04/2014, n. 66 violazione dell’art. 41 Cost.;
violazione dei principi comunitari in particolare dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU. Omessa pronuncia
), che:

-con questo mezzo, proposto in via subordinata al primo ed al fine di ottenere almeno l’accoglimento parziale della domanda di ottemperanza (limitatamente cioè all’importo del 50% del credito portato dal decreto ingiuntivo), l’appellante sostiene che l’o.s.l. ed il Comune di Caserta avrebbero agito in violazione dell’art. 258 del d.lgs. n. 267 del 2000, perché, non avendo il Consorzio prestato adesione alla proposta transattiva, avanzata in occasione del primo dissesto, le somme accantonate, ai sensi dell’art. 258, comma 7, sono state restituite al Comune di Caserta;
ad avviso dell’appellante, “ Tali somme sono vincolate però a soddisfare i creditori dell’ente che non hanno accettato la decurtazione del proprio credito e quindi, in caso di ritorno ad una gestione ordinaria tali somme avrebbero dovuto essere destinate, dopo anni di attesa in questo caso, a soddisfare il credito del ricorrente Consorzio, o meglio essere oggetto di un diritto specifico del medesimo ricorrente ”, mentre così non è stato;

- il motivo è infondato;

- nel caso in cui si seguano le modalità semplificate di accertamento e liquidazione dei debiti di cui all’art. 258 T.U.E.L. e l’organo straordinario di liquidazione avanzi ai creditori ammessi le proposte transattive di cui al comma 3 (come accaduto in occasione del primo dissesto del Comune di Caserta), l’o.s.l. è tenuto, ai sensi del comma 4, all’accantonamento dell’importo del 50 per cento dei debiti per i quali non è stata accettata la transazione;

- tuttavia dopo la chiusura della procedura, gli importi accantonati sono stati restituiti all’ente locale, così come previsto per le quote di risorse finanziarie liquide esuberanti di cui al comma 7;

- contrariamente a quanto assume il Consorzio appellante, le somme restituite all’ente locale per la gestione ordinaria non sono vincolate al soddisfacimento dei creditori che, nel contesto della procedura di liquidazione straordinaria, non abbiano accettato la transazione;

- l’art. 258, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 si limita infatti ad individuare l’importo dei crediti non soddisfatti per via transattiva soltanto come parametro di riferimento cui commisurare l’accantonamento;

- né detta disposizione, né altre della disciplina attualmente vigente in tema di dissesto degli enti locali, impongono sulle somme accantonate, e poi restituite, un vincolo di destinazione da iscrivere nel bilancio dell’ente tornato al regime di gestione ordinaria;

- il precedente giurisprudenziale richiamato dall’appellante (T.a.r. Sicilia -Catania n. 1761/2018) ricostruisce la disciplina che risulta dal d.lgs. n. 267 del 2000, ritenendo che l’art. 258, comma 7 (letto in combinato disposto con l’art. 33 del d.l. 24 aprile 2014, n. 66), condizioni la restituzione all'ente locale dissestato della quota di risorse finanziarie esuberanti rispetto alle necessità della liquidazione al pagamento di tutti debiti e che tra questi vi siano compresi anche i debiti per i quali non sia stata accettata la transazione;
rispetto a questi ultimi, pertanto, assumerebbe carattere dirimente l'art. 256, comma 9, ove stabilisce che " a seguito dell'approvazione del piano di estinzione l'organo straordinario di liquidazione provvede, entro 20 giorni dalla notifica del decreto, al pagamento delle residue passività, sino alla concorrenza della massa attiva realizzata ”, sicché la massa attiva, nei limiti della capienza, andrebbe a soddisfare anche i crediti per i quali la proposta transattiva non sia stata accettata;

- premesso che tale interpretazione è dovuta all’applicazione della disposizione speciale dell’art. 33 del d.l. n. 66 del 2014, in combinato disposto con la disciplina generale delle modalità semplificate di liquidazione quale risulta dall’art. 258 –la quale ultima limita la liquidazione nell’ambito della gestione straordinaria ai soli crediti per cui sia stata accettata la proposta transattiva, rimettendo la liquidazione degli altri al Comune, una volta tornato in regime di gestione contabile ordinaria- essa tuttavia non comporta come conseguenza necessaria che, una volta restituite al Comune , le somme risultate esuberanti (a torto o ragione) rispetto alle esigenze della procedura di dissesto, restino vincolate a soddisfare i creditori pregressi;

- si tratta infatti di somme che, come da rendiconto di gestione ex art. 256, comma 11, T.U.E.L. (non impugnato dal ricorrente, così come non è stato impugnato nemmeno il piano delle passività), sono state oramai accreditate all’ente locale, come eccedenze, quindi a titolo di provvista di fondi, commisurata ai crediti rimasti insoddisfatti, per prevenire la formazione di ulteriori ragioni di squilibrio finanziario (come detto anche nel parere del Ministero dell’Interno del 2 agosto 2019, prodotto in atti, coerente col quadro normativo, perciò immune dalle critiche mosse dall’appellante);
d’altronde, diversamente opinando, verrebbe mortificata la ratio della procedura semplificata di liquidazione (volta a conseguire la più celere definizione dei debiti inseriti nella massa passiva mediante la conclusione degli accordi transattivi previsti dall’art. 258, comma 3), in quanto la lettura propugnata dall’appellante disincentiva l’accoglimento delle proposte transattive;

- in senso contrario non vale citare la nota n. 28628 del 7 aprile 2016 inviata dal Ministero dell’Interno al Comune di Caserta (prodotta in atti), che si limita a segnalare la misura dell’accantonamento, in pendenza di procedura di dissesto ex art. 258 T.U.E.L.;
misura, peraltro, determinata nella detta nota in senso sfavorevole all’appellante, in quanto commisurata non al 50% del credito, bensì alla somma (che, nel caso di specie, ammonta al 40% del credito) oggetto della proposta transattiva;
a tale nota si è riferita la delibera dell’o.s.l. della prima procedura di dissesto, adottata il 5 luglio 2018, n. 46, di accredito in favore del Comune di Caserta delle somme residue disponibili dopo la chiusura della procedura;

- in conclusione, quando la procedura di dissesto si sia chiusa con restituzione di un attivo all’ente locale dissestato, come accaduto nel caso di specie, non è possibile configurare un vincolo di destinazione diretta, a favore dei creditori non soddisfatti, delle somme accantonate (ovvero delle somme per le quali il Comune abbia chiesto anticipazioni da parte dello Stato, in disparte eventuali obblighi restitutori nei rapporti tra quest’ultimo e l’ente locale, cui, tra l’altro, è riferito il precedente di merito citato dall’appellante, su richiamato);

- in particolare, l’esistenza di detto vincolo di destinazione non è desumibile dall’art. 258, comma 4 e 7, T.U.E.L., sul quale il Consorzio appellante ha basato la domanda subordinata di esecuzione della condanna del Comune di Caserta per la metà delle somme portate dal decreto ingiuntivo;

- soltanto un vincolo di destinazione diretto consentirebbe di soddisfare il credito del Consorzio sottraendolo alla nuova procedura di liquidazione;
in mancanza di tale vincolo, come argomentato dalla difesa comunale, la sopravvenuta dichiarazione di dissesto impedisce, ex art. 248, comma 2, T.U.E.L., che il Consorzio creditore possa agire con procedura esecutiva individuale, quindi col ricorso per ottemperanza, anche per la minor somma richiesta in via subordinata;

- l’inammissibilità del ricorso per ottemperanza comporta che esulino dall’oggetto del presente giudizio (sì da rendere superflui accertamenti istruttori in punto di fatto) le argomentazioni dell’appellante circa il mancato versamento delle somme accantonate (o di altre comunque dovute perché restituite dalla precedente gestione liquidatoria straordinaria) dal Comune di Caserta alla nuova gestione liquidatoria attivata a seguito della seconda dichiarazione di dissesto del 23 aprile 2018 ed, a maggior ragione, circa l’operato della Commissione straordinaria di liquidazione nominata il 9 agosto 2018 per gli adempimenti di cui agli artt. 252 e seg. del d.lgs. n. 267 del 2000;

- il secondo motivo d’appello va respinto nel merito;

- risultano perciò assorbite, per un verso, l’eccezione di tardività delle censure che ne sono oggetto (e della relativa produzione documentale in primo grado) avanzata dal Comune di Caserta e, per altro verso, la questione dell’omessa pronuncia su tali censure da parte del primo giudice posta dal Consorzio appellante;

Considerato che:

- col ricorso in appello sono state sollevate due questioni di legittimità costituzionale della disciplina in tema di dissesto degli enti locali;

- in riferimento al primo motivo, si sostiene che “ La disparità di trattamento generata dall’equiparare attraverso la pedissequa l’applicazione della norma in questione il diritto di credito sorto nel 2009 e quelli sorti successivamente al 2016 impone di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 248 del TUEL per contrasto con l’art. 3 della Costituzione perché parificherebbe il diritto di credito del ricorrente a quello dei crediti sorti successivamente, e del medesimo art. 3 della Cost. letto in combinato disposto con l’art. 1 del Protocollo della CEDU che è norma direttamente operante nel nostro ordinamento e con l’art. 41 della Costituzione perché mortificherebbe e comprimerebbe ad libitum l’attività di impresa e quindi il diritto di credito dell’appellante ”;

- in riferimento al secondo motivo, si sostiene, in subordine, che “ ove l’interpretazione dell’art. 258 del D. Lgs. 267 del 2000 inducesse a negare all’accantonamento carattere di effettività e quindi a negare al creditore il diritto al pagamento ineludibile di parte del credito accantonato si ripropone la questione di legittimità costituzionale, già sollevata nel giudizio di primo grado, della norma per contrasto con l’art. 3 della Costituzione perché parificherebbe il diritto di credito del ricorrente a quello dei crediti sorti successivamente, e del medesimo art. 3 della Cost. letto in combinato disposto con l’art. 1 del Protocollo della CEDU che è norma direttamente operante nel nostro ordinamento, con l’art. 41 della Costituzione perché mortificherebbe e comprimerebbe ad libitum l’attività di impresa ”;

Ritenuto che:

- la questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata con riferimento sia all’art. 248 che all’art. 258 del d.lgs. n. 267 del 2000, atteso che:

- a) per quanto concerne il contrasto con l’art. 3 della Costituzione, non è consentito individuare come normativa di comparazione quella dettata dalla legge fallimentare -che riconosce, agli artt. 111 e 111 bis, la prededuzione per i crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla stessa legge fallimentare- atteso che, come in precedenza accennato, è disciplina settoriale, che regola la materia dell’insolvenza nell’ambito del diritto privato;
non è irragionevole che il legislatore detti una disciplina differenziata per il caso differente dell’insolvenza, meglio del dissesto, degli enti locali, in quanto se è vero che la normativa sul dissesto degli enti locali, per un verso risponde alle finalità tipiche di ogni procedura concorsuale (cioè di determinare in modo certo la massa passiva per consentire il pagamento, parziale o totale, dei debiti con la massa attiva, nel rispetto del principio della par condicio creditorum ), per altro verso mira al risanamento finanziario dei comuni in stato di dissesto, avvalendosi anche di risorse aggiuntive fornite dallo Stato, e comunque non comporta affatto la definitiva estinzione dei crediti, o di parte di essi, rimasti insoddisfatti (cfr. Corte Costituzionale, 17 luglio 1998, n. 269, anche per i richiami alle precedenti sentenze della Corte Costituzionale n. 149, n.155 e n. 242 del 1994 e n. 361 del 1995);

- b) i creditori degli enti locali sono infatti abilitati ad agire per la soddisfazione dei propri crediti, che siano rimasti insoddisfatti dopo la chiusura della procedura straordinaria di liquidazione, nei confronti della gestione ordinaria dell’ente locale, che, a differenza del debitore privato, non viene mai meno per la dichiarazione di dissesto;
tale possibilità di azione nei confronti della gestione ordinaria -dovuta alla constatazione che la procedura di dissesto non riduce l’ammontare, né estingue di per sé i diritti di credito che ne siano fatti oggetto- non può mai ritenersi impedita nei confronti dell’ente risanato, sicché non è manifesto il contrasto della disciplina sul dissesto con l’art. 41 della Costituzione, né con la tutela del diritto di credito, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione letto in combinato disposto con l’art. 1 del Protocollo della C.e.d.u;

Ritenuto in conclusione che,

- l’appello vada respinto;

- sussistano giusti motivi di compensazione delle spese processuali per la novità delle questioni poste dal ricorso relativamente alla sovrapposizione di due dichiarazioni di dissesto da parte del medesimo ente locale.

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