Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-04-06, n. 202002301

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-04-06, n. 202002301
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002301
Data del deposito : 6 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/04/2020

N. 02301/2020REG.PROV.COLL.

N. 03079/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3079 del 2019, proposto dalla E s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati R V, A D E e W F T, con domicilio eletto presso lo studio dei primi due in Roma, via Giulio Caccini n. 1;

contro

la Provincia di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato M D T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato V C I, in Roma, via Dora n. 1;

nei confronti

il Comune di Bussi sul Tirino (Pescara), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Elena Vita e Annamaria Bello, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maria Cristina Bello, in Roma, viale Parioli, n. 79/H;
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Regione Abruzzo e l’Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente –

ARTA

Abruzzo, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Solvay Specialty Polymers Italy s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Cintioli e Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;
la Azienda Usl di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, n.86 del 20 marzo 2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pescara, del Comune di Bussi sul Tirino, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, della Regione Abruzzo, dell’Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente - Arta Abruzzo e della Solvay Specialty Polymers Italy S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato Riccardo Villata, l’avvocato M D T, per sé e su delega dell’avvocato Elena Vita, l’avvocato Fabio Cintioli e l'avvocato dello Stato Cristina Gerardis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il T.a.r. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, con la sentenza 20 marzo 2019, n. 86, ha respinto il ricorso proposto dalla E s.p.a. avverso l’ordinanza del 26 agosto 2018, con cui la Provincia di Pescara, ai sensi dell’articolo 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha ordinato al gruppo societario E s.p.a. “di provvedere a continuare ed eventualmente integrare le misure di prevenzione in atto ai sensi dell' articolo 242 del titolo V della Parte Quarta del Dlgs 152/2006 nelle aree discariche 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell'Allegato 1) e nelle acque di falda sottostanti nel termine di 30 giorni dal ricevimento della presente ordinanza;
di adottare tempestivamente le misure di messa in sicurezza ai sensi e nei termini del Titolo V della Parte Quarta del d.lgs. 152/2006 nelle aree discariche 2A e 2B, aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell'Allegato 1), nelle e per le acque di falda sottostanti;
di rimuovere tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle discariche realizzate nelle aree 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell'Allegato 1) e rimuovere altre eventuali fonti di contaminazione sulle medesime aree ai sensi e termini del titolo V del d.lgs.152/2006;
di provvedere alle ulteriori operazioni di bonifica e di ripristino ambientale che comunque si rendessero necessarie nelle aree discariche 2A e 2B e aree limitrofe (estremi catastali dettagliati nell'Allegato 1) nel rispetto dei termini e delle condizioni stabilite dalle disposizioni del Titolo V della Parte Quarta del d.lgs 152/2006”.

2. L’appello è articolato nei seguenti motivi di impugnativa:

2.1. Per quanto riguarda l’individuazione di E quale presunto soggetto responsabile dell’inquinamento (motivi I, II, IV, VI del ricorso di primo grado).

Incompetenza. Violazione dell’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006.

L’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuisce alla competenza del Ministero dell’Ambiente la gestione dell’intero procedimento di bonifica concernente i Siti di Interesse Nazionale, a partire dall’individuazione del responsabile.

La competenza della Provincia, con riferimento ai SIN, rimarrebbe al più circoscritta ai provvedimenti che impongono misure emergenziali.

La giurisprudenza ha chiarito che la competenza provinciale ex art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, quanto alle aree inserite in un SIN, non sarebbe affatto esclusiva, in quanto l’art. 252 conferirebbe per dette aree al Ministero dell’Ambiente tutte le misure, comprese quelle di prevenzione, necessarie per tutelare l’ambiente.

Pertanto, in alcun modo sarebbe dato riconoscere alla Provincia il potere di sostituirsi in toto al Ministero nella conduzione dell’istruttoria per l’accertamento della responsabilità o, peggio, nella imposizione di misure di vera e propria bonifica.

L’ordinanza gravata in primo grado non mirerebbe soltanto all’imposizione alla E, comunque illegittima, di attività del MISE, ma pretenderebbe di individuare il responsabile della contaminazione e, addirittura, di contemplare la rimozione integrale di tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato e di altre eventuali fonti di contaminazione, attività che si inserirebbero nella più ampia nozione di “procedimento di bonifica”, di pacifica attribuzione ministeriale.

La sistematica normativa intenderebbe attribuire, in presenza di siti di particolare rilevanza per dimensioni e complessità, la competenza relativa alla gestione dell’intero procedimento di bonifica, non essendo consentito suddividere il medesimo in “subfasi” sotto l’egida di enti distinti, pena lo svuotamento della ratio dell’attrazione verticale delle attribuzioni al livello amministrativo superiore.

2.2. Violazione dei principi di certezza del diritto e legittimo affidamento. Violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Falsa applicazione del principio “chi inquina paga” e dell’art. 3 ter d.lgs. n. 152 del 2006. Violazione dell’art. 1 del protocollo 1 alla CEDU. Violazione e falsa applicazione degli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152 del 2006.

Fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. decreto Ronchi), nessuna disposizione di legge avrebbe imposto ai titolari di impianti industriali obblighi di carattere rimediale volti ad assicurare il ripristino ambientale dei siti gestiti, sicché non sarebbe lecito ricondurre una condotta cessata “prima del 1981” nell’alveo delle ipotesi di responsabilità tratteggiate dall’art. 17 del decreto Ronchi in virtù del carattere irretroattivo della norma in esso contenuta.

Fino a tutto il 2006, nessuna disposizione di legge avrebbe obbligato il proprietario di un sito industriale a porre rimedio ad eventuali contaminazioni o inquinamenti derivanti da fatti verificatisi prima del 1997, se non addirittura del 1999.

La direttiva 2004/35/CE non si applicherebbe al danno causato da un evento che si sia verificato prima del 30 aprile 2007 o che, pur verificandosi dopo tale ultima data, derivi da un’attività posta in essere antecedentemente alla stessa.

La tutela assicurata dall’ordinamento sovranazionale al diritto di proprietà osterebbe a che, in base ad un parametro normativo non previamente conoscibile da parte del privato, sia lesa l’integrità patrimoniale del soggetto inciso.

La corretta applicazione dei principi che regolano la materia patrimoniale del soggetto inciso, in una prospettiva che tenga in debito conto la dimensione temporale del fenomeno di contaminazione in esame, condurrebbe ad escludere la legittimità dell’addebito di responsabilità nei confronti di E.

L’inquinamento rappresenterebbe una compressione del bene ambiente tutelato e la responsabilità andrebbe individuata in relazione alla condotta in base alla normativa vigente in quel momento, risultando inapplicabili disposizioni sopravvenute, anche ove si dovesse constatare ancora la presenza di effetti riconducibili a quella condotta. Una condotta lecita non diventerebbe illecita perché produce effetti analoghi a quelli di una condotta che è illecita in forza di una norma in quel momento vigente.

Solo un’applicazione retroattiva del decreto Ronchi consentirebbe di giustificare l’affermazione secondo cui una normativa sopraggiunta può qualificare come illecita la condotta omissiva in relazione al sopravvenuto obbligo di bonifica. Viceversa, non potrebbe dar luogo a responsabilità una condotta che, all’epoca, non costituiva inquinamento.

2.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per violazione del principio del contraddittorio procedimentale. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2325 c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2504-bis c.c. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto. Difetto di istruttoria.

L’Amministrazione, in forza dei principi giurisprudenziali dalla medesima richiamati, avrebbe dovuto rivolgersi a Montefluos s.p.a., poi incorporata in Ausimont s.p.a., a sua volta incorporata dalla Solvay e, quindi, alla stessa Solvay. In sostanza, l’Amministrazione avrebbe dovuto concludere per la responsabilità di Solvay.

L’ambito di applicazione della concezione “sostanzialistica di impresa” sarebbe limitato alla materia della tutela della concorrenza.

L’Amministrazione non avrebbe in alcun modo dimostrato o tentato di dimostrare l’ingerenza della capogruppo Montedison s.p.a. nelle scelte contingenti effettuate dalla controllata Ausimont s.p.a.

Nella vigenza dell’art. 2325 c.c., secondo cui “per le obbligazione sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio”, non potrebbe sussistere alcuna responsabilità in capo alla holding Montedison in relazione alle obbligazioni contratte dalla propria controllata società operativa.

Un’interpretazione estensiva che conducesse a ritenere responsabile la controllante per un preteso illecito di natura amministrativa posto in essere dalla controllata si tradurrebbe in un palese disequilibrio nella razionale distribuzione del rischio, come codificata dal legislatore.

2.4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 242, 240, comma 1, lett. m), e t), d.lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e carenza di istruttoria.

La normativa in materia di misure di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza (art. 240, lett. i) ed m) richiede il previo accertamento di presupposti che non si rinverrebbero nella vicenda in esame.

2.5. Per quanto riguarda il presunto obbligo di E di procedere alla rimozione dei rifiuti (motivi III, V e VII del ricorso di primo grado).

La sentenza di primo grado ha dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui investe l’obbligo di rimuovere i rifiuti, stante l’inesistenza di tale obbligo.

In vista di futuri provvedimenti che pretendano di imporre tale obbligo, la E s.p.a. ha riproposto pure tali motivi.

3. L’Avvocatura generale dello Stato, la Provincia di Pescara, il Comune di Bussi sul Tirino e la Solvay Specialty Polymers Italy s.p.a., con articolate memorie, hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte, concludendo per il rigetto del gravame.

4. Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive difese.

5. All’udienza pubblica del 5 marzo 2002, la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto.

6.1. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con la nota del 23 febbraio 2017, indirizzata alla Provincia di Pescara e, per conoscenza, alla Regione Abruzzo e all’

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