Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-01, n. 202106181
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Testo completo
Pubblicato il 01/09/2021
N. 06181/2021REG.PROV.COLL.
N. 03201/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3201 del 2014, proposto dalla signora M C S, rappresentata e difesa dall’avvocato V S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A C in Roma, piazza San Bernardo, n.101
contro
il Comune di Pignola, in persona del Sindaco
pro tempore
e la Regione Basilicata, in persona del Presidente
pro tempore
, non costituiti in giudizio
nei confronti
dei signori N D B e Assunta F T, non costituiti in giudizio
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, Sezione Prima, n. 140/2014, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere edilizie abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70, come da ultimo modificato dall’art. 6, comma 1, lett. e), del decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con l. 28 maggio 2021, n. 76;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 6 luglio 2021, il Cons. Antonella Manzione in collegamento da remoto in videoconferenza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’odierno appello la signora M C S impugna la sentenza del T.A.R. per la Basilicata n. 140 del 2014 con la quale è stato respinto il ricorso n.r.g. 164 del 2012 dalla stessa promosso per l’annullamento dell’ordinanza n. 2 del 7 febbraio 2012 di demolizione di opere edilizie abusive realizzate sul fondo censito al catasto n. 3, particelle nn. 349 e 351, di cui essa è comproprietaria unitamente ai signori N D B e Assunta F T. Nello specifico, trattavasi di una serie di opere (tettoia, gazebo, recinzione, ecc.), analiticamente descritte in atti, funzionali all’attività del pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande all’insegna “Il Gazebo” insistente sull’area e gestito dalla Società omonima, di Rosa V. e Dolce G.
L’appellante articola un unico motivo di gravame ritenendo la sentenza errata per non avere attribuito rilievo al legittimo affidamento nella conservazione della strutture, nel caso di specie riveniente dalla concordanza di distinti fattori, ovvero la risalenza nel tempo di gran parte dei manufatti, la riconosciuta possibilità di un loro ampliamento volumetrico nelle N.T.A. del P.P.E. relativo alla zona denominata “Pantano di Pignola” e il fatto che erano già state oggetto almeno in parte di analoga sanzione oltre 10 anni or sono, senza che ne fosse conseguita la prevista demolizione. Ha quindi trascritto pedissequamente “per tuziorismo” il contenuto del ricorso di primo grado, comunque incentrato sulle medesime motivazioni, salvo rivendicare la applicabilità delle disposizioni sull’avvio del procedimento, che nel caso di specie non era stato preventivamente inoltrato e dettagliare meglio l’asserito vizio di motivazione del provvedimento, avuto riguardo al già invocato affidamento e al lasso di tempo trascorso dalla costruzione delle opere.
Con successive memorie depositate nell’imminenza dell’odierna udienza, ha infine richiesto l’annullamento, ovvero, in subordine, la sospensione del provvedimento impugnato in primo grado sostenendo di aver presentato istanza di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma versando in atti solo una nota di riscontro (datata luglio 2015) a una richiesta degli uffici comunali dal contenuto tutt’affatto intellegibile, avulsa dal procedimento nel quale si inserisce, nonché un attestato a firma del responsabile dei medesimi uffici in data 19 dicembre 2019 ove si dà atto della complessità della pratica (senza chiarire di quale pratica si tratti) di ristrutturazione edilizia con ampliamento di immobile a destinazione commerciale.
Il Comune appellato, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 6 luglio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
2. L’intera ricostruzione della vicenda avanzata dall’appellante verte sulla rilevanza da attribuire alla ricaduta del lungo tempo trascorso dall’esecuzione delle opere sulla permanenza dell’interesse pubblico all’irrogazione della sanzione, atteso che la precedente ingiunzione demolitoria non aveva avuto seguito esecutivo e la disciplina urbanistica sopravvenuta contempla incrementi di volumetria per le preesistenze, tra le quali rientrerebbe il locale destinato a pubblico esercizio di somministrazione in controversia.
Costituisce tuttavia ius receptum il principio in forza del quale, a prescindere da ogni altra considerazione, le sanzioni edilizie, quale quella in questione, non risentono del tempo trascorso dalla commissione dell’abuso, come ribadito dall’Adunanza plenaria. L’ordinanza di demolizione non deve infatti essere accompagnata dalla motivazione circa l’interesse pubblico, in quanto il lasso di tempo intercorso fra il momento della realizzazione dell’abuso e la sua adozione non è idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento in capo al privato interessato, né impone all’Amministrazione uno specifico onere di esplicitazione delle ragioni dell’atto. Il decorso del tempo, infatti, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento, anche perché non ci si può fondatamente dolere del ritardo con cui l’Amministrazione ripristina la legalità. Ciò a maggior ragione laddove la nuova verifica dello stato dei luoghi si innesti su altra precedente, sovrapponibile per oggetto, cui il Comune di Pignola indebitamente non ha dato seguito. L’omessa adozione dei provvedimenti correlati all’accertamento di inottemperanza (quale sostanzialmente diviene un nuovo rilievo ispettivo in occasione del quale si constata l’inerzia del privato rispetto all’intimazione originaria), si è di fatto risolta in una rimessione in termini degli interessati per scongiurare il successivo effetto acquisitivo al patrimonio comunale, di certo non in un implicito avallo della legittimità delle opere, non potendo la tolleranza essere confusa con qualsivoglia anomala forma di sanatoria. Come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza di questo Consiglio (in particolare Adunanza plenaria 17 ottobre 2017, n. 9;sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5595;sez. VI, 11 gennaio 2021, n. 347), « l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso. In sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore ». In ragione della sua natura vincolata, non è pertanto neppure necessario che venga preceduto da comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 5198).
Né una qualche rilevanza può essere attribuita alle previsioni dei Piani particolareggiati sopravvenuti, approvati con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 141 del 6 luglio 2006 e n. 154 del 3 giugno 2010. Quand’anche, infatti, la destinazione di zona a strutture ricettive -terminologia peraltro pure impropria avuto riguardo alla pizzeria in essere- prendendo atto delle preesistenze e delle loro pertinenze si fosse risolta in una fotografia degli abusi (il che non è, data la -opportuna-genericità delle previsioni), essa non potrebbe mai risolversi in una sanatoria per via urbanistica dei sottesi illeciti edilizi.
3. Infine, ed esclusivamente per completezza, trattandosi di argomento introdotto solo nell’odierno grado di giudizio e non documentato adeguatamente quale sopravvenienza alla decisione (manca in particolare la domanda di sanatoria che si asserisce di aver presentato, che non può semplicemente desumersi dalle successive e neppure chiare interlocuzioni con gli uffici comunali): la domanda di accertamento di conformità, quale parrebbe doversi qualificare quella in questione, giusta il richiamo all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non impatta sulla legittimità dell’ordinanza ingiunzione a demolire, ma, al più, ne condiziona l’efficacia. Sicché sarà il Comune di Pignola, ammesso e non concesso vi fossero ancora i tempi per la relativa presentazione, a doverne valutare la ponderabilità, fermo restando l’obbligo di procedere in caso di esito negativo, anche ex silentio , giusta la normativa vigente, sì da evitare con il proprio comportamento (nuovamente) omissivo non solo di incorrere nelle conseguenti responsabilità, ma altresì di rafforzare strumentali letture indebite della propria illegittima tolleranza.
4. Per tutto quanto sopra detto l’appello deve essere respinto.
Nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione in giudizio del Comune di Pignolo.