Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-01-02, n. 202300016
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Testo completo
Pubblicato il 02/01/2023
N. 00016/2023REG.PROV.COLL.
N. 01949/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1949 del 2022, proposto da Novartis Europharm Ltd, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G F F e C U, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via di Ripetta, 142,
contro
l’AIFA - Agenzia Italiana del Farmaco, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12,
nei confronti
- della Regione Lazio, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Allocca, domiciliataria
ex lege
in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;
- di Daiichi Sankyo Italia S.p.a., non costituita in giudizio;
- della Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Rosaria Russo Valentini e Roberto Bonatti, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, piazza Grazioli n. 5;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 13254/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’AIFA - Agenzia Italiana del Farmaco, del Ministero della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Regione Lazio e della Regione Emilia Romagna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2022, il Pres. Raffaele Greco e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - Con ricorso del 18 febbraio 2022, depositato il 4 marzo 2022, la società Novartis Europharm Ltd propone appello al Consiglio di Stato chiedendo l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 13254/2021, che ha rigettato il suo ricorso proposto avverso gli atti e i provvedimenti del procedimento di attribuzione degli oneri di ripiano della spesa farmaceutica, culminato nell’adozione della Determina AIFA n. 1313/2020.
2 – In particolare, nell’ambito del più vasto contenzioso attivato da molte case farmaceutiche in ordine ai medesimi provvedimenti, con il ricorso in appello in epigrafe vengono dedotte le censure di seguito sintetizzate.
2.1 - Il primo motivo di appello riguarda le parti della sentenza in cui il TAR ha giudicato corretto l’operato dell’AIFA nella conduzione del procedimento amministrativo, limitandosi ad affermare come il medesimo sia stato condotto nel rispetto del dettato dell’art. 7 della legge n. 241/1990 e delle garanzie partecipative, essendo stata inviata comunicazione di avvio del procedimento, essendo stato sollecitato l’invio di osservazioni e a queste ultime essendo stato dato riscontro esaustivo, sebbene sintetico. Inoltre, il giudice di prime cure ha rigettato le doglianze concernenti il mancato rispetto delle disposizioni procedimentali di riferimento dedotte nel giudizio di primo grado, nel corso del quale la ricorrente aveva contestato la violazione delle disposizioni di riferimento nell’ambito dell’iter procedimentale ed in specie la violazione delle indicazioni temporali contenute nell’art. 1, commi 577 e ss., l. n. 145/2018, la mancata distinzione in tre momenti separati ed autonomi degli adempimenti per la determinazione della spesa complessiva, per la determinazione delle quote di mercato e per l’attribuzione delle quote di ripiano e la violazione delle garanzie partecipative sancite dalla l. n. 241/1990, in punto di mancata partecipazione e di mancato accesso ai dati riguardanti le quote di mercato di ciascuna azienda.
Neppure sarebbe stato dato riscontro alle censure concernenti la correzione dei dati di spesa del flusso NSIS e della relativa tempistica, con particolare riguardo alla violazione delle indicazioni temporali contenute nell’art. 1, commi 577 e ss., l. n. 145/2018. Infatti, alla stregua di tali disposizioni l’AIFA avrebbe dovuto sia determinare l’ammontare della spesa complessiva per gli acquisti diretti riferita all’anno 2019, sia effettuare la rilevazione dei fatturati delle aziende farmaceutiche titolari di AIC per i medesimi acquisti diretti rilevanti ai fini dell’individuazione delle rispettive quote di mercato per la partecipazione agli oneri di ripiano, entro il 31 luglio 2020: il rispetto di detto termine da parte dell’Agenzia sarebbe infatti stato solo apparente, ove solo si consideri che i dati di spesa sono stati sì pubblicati entro la predetta data, ma successivamente modificati in termini sostanziali con l’approvazione del nuovo documento di Monitoraggio della spesa 2019 intervenuta ben 5 mesi dopo, che ha ritoccato in aumento la spesa e con essa la misura del disavanzo;lo stesso dicasi per le quote di mercato aziendali che, approvate in una prima versione con la deliberazione del CdA dell’AIFA n. 32 del 23 luglio 2020, sarebbero state modificate con la nuova delibera dello stesso Consiglio n. 46 del 20 novembre 2020 in senso peggiorativo per le aziende.
2.2 - Il secondo motivo di gravame è relativo alla parte della decisione del TAR Lazio in cui il giudice di primo grado, secondo la società, avrebbe esaminato solo apparentemente le censure concernenti la mancata trasparenza dell’AIFA nella gestione del procedimento in punto di mancato riscontro alle osservazioni presentate e di difetto di istruttoria, limitandosi ad affermare che la contestazione circa la mancata messa a disposizione dei dati riguardanti le altre aziende non avrebbe tenuto conto dei limiti imposti dalla protezione intellettuale dei dati e soffermandosi solo su taluni degli aspetti qualificanti le garanzie partecipative di cui alla legge n. 241/1990 senza dare conto delle puntuali doglianze proposte, concernenti invece la non intellegibilità dei numeri prodotti dall’AIFA ed il mancato riscontro alle osservazioni e contestazioni dei privati coinvolti.
2.3 – Il terzo motivo di gravame ripropone il motivo di primo grado che ha contestato la motivazione del rigetto delle richieste di rettifica per violazione delle disposizioni del DM 15 luglio 2004, modificato e integrato con DM Salute 11 maggio 2018. In particolare il TAR, ricostruite le disposizioni del DM 15 luglio 2004 rispetto ad una possibilità di rettifica dei dati inseriti nel sistema e ricostruita la posizione dell’AIFA, avrebbe rilevato inter alia come la modifica anche di un solo dato e di una sola azienda andrebbe a modificare il dato complessivo della spesa e dunque le singole quote di ripiano. Quindi, muovendo dall’esigenza di trovare un equilibrio tra esigenze di rettifica e la necessità di disporre di tempi certi per la finalizzazione del procedimento, il TAR avrebbe inteso coordinare e integrare le disposizioni del DM 15 luglio 2004 con quelle della legge n. 145/2018, individuando in via ermeneutica un termine ultimo entro il quale sarebbe possibile la rettifica dei dati, spirato il quale non potrebbe più procedersi in tal senso, coincidente con il termine indicato dalla legge per la fissazione dell’ammontare complessivo della spesa (31 luglio per l’anno 2019), introducendo però, in tal modo, un illegittimo termine perentorio e decadenziale per la rettifica e l’integrazione dei dati non previsto da alcuna disposizione.
2.4 – Con il quarto motivo d’appello si censura l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto la doglianza relativa alla presunta violazione delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 400 e 401, l. 11 dicembre 2016, n. 232, e del DM 16 febbraio 2018, cui sarebbe conseguito un manifesto errore nella determinazione della misura del disavanzo registrato per la spesa acquisti diretti 2019 e del quantum del correlativo onere di ripiano posto a carico delle aziende farmaceutiche titolari di AIC.
In particolare, l’appellante censura la motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui ha sostenuto che “ nessuna disposizione normativa espressamente autorizza compensazioni tra i due fondi, quali quelle ipotizzate dalla difesa di parte ricorrente, né tanto meno un diverso utilizzo del fondo rispetto a quello legislativamente stabilito. Del resto, si tratterebbe di compensare due poste (oncologica innovativa e spesa farmaceutica ospedaliera generica) tra di loro chiaramente non omogenee ”.
Le richiamate statuizioni sarebbero però errate in quanto contrastanti con il dettato normativo di
cui all’art. 1, comma 580, l. n. 145/2018, per cui lo sfondamento rispetto al tetto di spesa deve
essere posto per il 50% a carico delle aziende farmaceutiche e per il restante 50% a carico
delle Regioni e Province autonome che abbiano contribuito a generarlo. Inoltre, sarebbe lo stesso DM 16 febbraio 2018 a prevedere espressamente che le somme eccedenti i Fondi in questione concorrono a ridurre la spesa complessiva dell’annualità per la quale la spesa è stata inferiore alla dotazione.
2.5 – Con il quinto motivo si ripropone la questione di legittimità costituzionale sollevata in primo grado. Infatti, il ricorso di primo grado ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 579, l. n. 145/2018 in relazione alla cosiddetta “franchigia”. Il TAR ha respinto la censura nel merito per genericità e, in termini di legittimità costituzionale, ha rilevato la finalità di agevolare le società di minori dimensioni in omaggio al principio della capacità contributiva, affermando che eventuali condotte elusive della norma da parte delle aziende devono essere affrontate nelle competenti sedi amministrative e non possono “ mettere nel nulla ” la disposizione normativa e gli obiettivi meritori perseguiti dal legislatore. Anche in relazione a tale profilo il TAR avrebbe dovuto, invece, rimettere la questione alla Corte costituzionale. Si tratterebbe infatti di una norma di indebito favore per una serie di aziende del settore con fatturato inferiore a 3 milioni di Euro che, in astratto, dovrebbero al pari delle altre partecipare agli oneri di ripiano dello sfondamento del tetto di spesa per gli acquisti diretti in quanto titolari di AIC per farmaci di classe A o H non innovativi.
2.6 – Con il sesto motivo di ricorso si deduce l’ulteriore questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 575 e 580, l. n. 145/2018, e dell’art. 1, commi 398 e 399, l. n. 232/2016, per contrasto con i principi di cui agli artt. 2, 3, 11, 32, 41, 42, 53, 97 e 117, comma 1, della Costituzione. La manifesta incostituzionalità delle norme che individuano il tetto di spesa annuale per acquisti diretti inficerebbe la legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, laddove certificano la misura del superamento del tetto di spesa per acquisti diretti per l’anno 2019 e pongono a carico delle aziende farmaceutiche un correlato onere di payback a copertura del disavanzo accertato.
Il tetto programmato annualmente per la spesa farmaceutica, con particolare riguardo alla
spesa per acquisti diretti, sarebbe infatti da anni pacificamente sottostimato, come comprovato dal
fatto che se ne è sistematicamente verificato il superamento, con conseguente costante
applicazione del meccanismo di ripiano.
2.7 – Nell’ipotesi in cui si ritenesse di aderire all’interpretazione delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 400 e 401, l. n. 232/2016 sposata dal TAR Lazio e contestata nel motivo sub IV, si evidenzia infine, con il settimo motivo d’appello, come tali disposizioni, afferenti all’istituzione ed al funzionamento dei due Fondi speciali per i farmaci innovativi, sarebbero illegittime per contrasto con i principi di cui agli artt. 2, 3, 32, 41, 42, 53 e 97 Cost.
Ciò in quanto le eccedenze degli interventi su tali Fondi (500 milioni di Euro per gli oncologici ed altrettanti per gli altri innovativi stanziati per l’anno 2019) non sarebbero state ridistribuite confluendo nel canale della spesa ospedaliera, bensì sarebbero andate a rimpinguare le casse regionali. Nel vagliare la legittimità costituzionale di tali norme non potrebbe pertanto essere tralasciato di considerare che Regioni e Province autonome ottengono un beneficio diretto dall’avanzo delle risorse stanziate per detti fondi speciali, risorse che confluiscono appunto nelle casse regionali riducendo di fatto la partecipazione delle Regioni allo sfondamento senza che sia corrispondentemente ridotto l’onere di ripiano in capo alle aziende farmaceutiche.
3 – L’AIFA premette che il gravame si inserisce in un contezioso “seriale”, che si ripete da molti anni ma in vigenza di una normativa ormai superata dalla nuova disciplina, introdotta con la legge di bilancio per l’anno 2019 n. 145/2018, di cui i provvedimenti impugnati costituiscono la prima applicazione.
3.1 – Secondo l’AIFA, con tale ultima legge è stato realizzato un significativo intervento sul sistema della compartecipazione al ripiano della spesa farmaceutica per acquisti diretti, finalizzato a rendere più semplice il meccanismo di calcolo delle quote di ripiano. A tal fine, è stato introdotto un sistema basato sulla reale porzione di mercato della spesa farmaceutica diretta facente capo ad ogni azienda ( market share ), ovvero fissato sulla base del dato obiettivo dei reali consumi avvenuti nell’anno, rispetto al precedente modello che prevedeva l’assegnazione dei budget in via previsionale, basando i calcoli sui dati di vendita dell’anno precedente. Viene così svincolato il calcolo delle quote di mercato dai dati dei procedimenti degli anni precedenti, garantendo una più lineare compartecipazione all’eventuale sfondamento in caso di fluttuazioni e riducendo l’impatto di eventuali errori.
4 - Quanto alle singole censure, l’AIFA replica che:
4.1 – avrebbe rispettato sia le tempistiche previste dalla normativa di riferimento, sia le garanzie procedimentali generali nei confronti delle aziende farmaceutiche coinvolte. Infatti, sarebbe stato comunicato l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/90 (comunicato del 31 luglio 2020) e fornito congruo termine (fino al 14 settembre 2020) alle aziende per trasmettere osservazioni e documentazione sui dati esposti, ai quali l’Agenzia avrebbe risposto complessivamente, non essendo previsto né dalla vigente normativa sancito né dalla copiosa giurisprudenza in materia che l’Agenzia dovesse riscontrare analiticamente le singole osservazioni ad essa inviate;
4.2 – la pubblicazione da parte dell’Agenzia avrebbe avuto ad oggetto tutti i documenti e i dati in proprio possesso senza alcuna omissione, mentre i dati di maggior dettaglio afferenti alle altrui posizioni aziendali non sarebbero mai stati oggetto di pubblicazione per evidenti ragioni di riservatezza e di tutela del segreto industriale, anche in considerazione delle clausole di riservatezza presenti nei singoli accordi negoziali conclusi dall’Agenzia con le varie aziende farmaceutiche;
4.3 – quanto ai tempi concessi per la correzione dei dati e la conseguente conclusione del procedimento, la sentenza avrebbe esaustivamente esaminato ed escluso la fondatezza della censura sul punto, peraltro senza considerare l’adozione medio tempore del decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 202,1 n. 108, che ha modificato il termine del 30 aprile previsto dalla legge di bilancio 2019 stabilendo il termine del 31 luglio dell’anno successivo all’anno di riferimento quale data entro la quale l’Agenzia deve determinare le quote di mercato e i conseguenti eventuali oneri di ripiano.
Secondo l’Agenzia, il termine del 31 luglio indicato dalla norma sopravvenuta sarebbe chiaramente riferito alla conclusione del procedimento amministrativo, non potendosi certamente ritenere che il medesimo possa riferirsi anche alle eventuali rettifiche effettuate dalle aziende;
4.4 - infatti, il dato usato dall’AIFA sarebbe il flusso NSIS - tracciabilità del farmaco in cui le aziende/terzisti comunicano, come previsto dalla norma, il dato di spesa al lordo IVA, dovendo ciascuna azienda comunicare eventuali errori esclusivamente al predetto sistema NSIS tracciabilità del farmaco, in ottemperanza a quanto disposto dal DM Salute 15 luglio 2004, come aggiornato nel 2018, che non avrebbe tuttavia stabilito una tempistica specifica massima entro cui i dati devono essere caricati ed eventualmente rettificati, di modo che ogni correzione non inserita nel sistema non potrebbe rilevare, dovendo valere in materia il principio di autoresponsabilità in capo alle aziende farmaceutiche, soggetti tenuti a garantire la corretta alimentazione del sistema NSIS con dati corretti e aggiornati (adempimento che, del resto, verrebbe sanzionato in via amministrativa per chi omette di farlo o lo fa tardivamente);
4.5 – quanto alla censura sulla mancata compensazione tra i vari tetti di spesa, si tratterebbe della mera riproposizione di una censura esattamente ritenuta infondata dal giudice amministrativo di primo grado, non potendo l’Agenzia operare in un senso non indicato dalla legge. Il TAR avrebbe quindi esattamente ritenuto di non sollevare questione di legittimità costituzionale, trattandosi di fondi il cui elemento di specialità sarebbe rappresentato dalla natura vincolata, nel senso che le risorse per le terapie oncologiche ed innovative potrebbero essere utilizzate esclusivamente per l’acquisto di medicinali che presentano il requisito della innovatività in tali terapie, così come riconosciuto dalla Commissione tecnico-scientifica alla luce dei criteri indicati nella determina AIFA n. 519 del 2017, di modo che se l’Agenzia avesse operato nel senso indicato dalla ricorrente, e cioè utilizzando le somme per ridurre l’entità complessiva della spesa per gli acquisti diretti e il conseguente sfondamento del relativo tetto, avrebbe violato il disposto normativo.
5 – Le parti hanno ulteriormente articolato le rispettive difese con successive memorie.
6 – All’udienza pubblica del 29 settembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
7 - Ai fini della decisione il Collegio, premesso l’inquadramento della fattispecie controversa nell’ambito del più vasto contenzioso relativo al c.d. pay back farmaceutico (ovvero al ripiano dello sfondamento del tetto di spesa prefissato per legge per gli acquisti diretti dei farmaci da parte degli enti del Servizio Sanitario Nazionale), oggetto di lunghi contenziosi anche in passato ma riformato, proprio a partire dall’anno 2019, dall’art. 1, commi 574 e seguenti, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, con una notevole semplificazione del sistema mediante un meccanismo fondato sulle quote di mercato (c.d. market shares ) possedute dalle singole aziende farmaceutiche, osserva quanto segue.
7.1 – Con il primo motivo di censura, l’appellante argomenta che il TAR avrebbe frettolosamente etichettato come generica la doglianza con cui erano stati denunciate violazioni procedimentali, assumendo che in generale AIFA avrebbe rispettato le regole imposte dalla legge n. 241/1990.
7.2 – A giudizio del Collegio, in linea generale la natura “dinamica” dei dati di mercato inseriti nella piattaforma non significa affatto che vi siano stati errori o carenze istruttorie, ma più semplicemente che la rilevazione e l’inserimento dei dati in questione sono avvenuti in progress , venendo rivisti periodicamente, ad istanza delle imprese interessate, fino al loro consolidarsi nei dati definitivi sulla base dei quali sono stati adottati i provvedimenti impugnati. Il tema coinvolge, dunque, quello – di cui subito appresso – delle tempistiche del procedimento in questione e dell’esistenza o meno di un termine finale entro cui le imprese avrebbero potuto far valere in sede procedimentale eventuali errori (reali o presunti).
7.3 – Ciò premesso, va condiviso il giudizio del TAR in ordine al rispetto da parte dell’AIFA delle garanzie partecipative spettanti alle imprese interessate ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, avuto anche riguardo alla mancanza di un dovere di replicare analiticamente a ciascuna singola osservazione delle tante imprese interessate al procedimento di ripiano, nonché con riguardo all’assenza di termini perentori nella scansione procedurale imposta dalla legge e alla non utilità per i diretti interessati – e quindi alla non necessità alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità - di separare rigidamente le tre fasi funzionali – ma non necessariamente temporali - individuate dal legislatore, prevedendo per ciascuna di esse la mera duplicazione di un autonomo momento partecipativo come perorato dall’odierna appellante.
8 – Neppure il secondo motivo, con cui viene – sostanzialmente - reiterata la doglianza circa la violazione degli obblighi di trasparenza per non avere l’Amministrazione reso conoscibili i dati di mercato relativi a tutte le imprese, può essere accolto.
8.1 – Infatti, la pretesa di instaurare un contraddittorio procedimentale generalizzato tra l’AIFA e tutte le aziende su tutti i dati, forniti da tutte le imprese farmaceutiche risulta infondata non solo in quanto – come pure il Tribunale ha correttamente ritenuto - non prevista dall’ordinamento settoriale e dalle leggi speciali applicabili – come del resto dalle norme generali in materia di partecipazione procedimentale dettate dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, che restano quelle cui fare riferimento anche nella specie in assenza di diverse indicazioni normative – e contraria al principio di efficienza dell’azione amministrativa, appesantendone notevolmente e inutilmente l’ iter istruttorio, ma anche e soprattutto in quanto non necessaria, per la corretta determinazione del pay back, e confliggente con le meritevoli esigenze di riservatezza delle altre aziende, per evidenti ragioni di tutela del segreto commerciale/industriale.
8.2 - Più nel dettaglio, il livello di specificità della pubblicazione dei dati aziendali preteso dall’appellante è anche tale da disvelare il contenuto di singoli accordi negoziali conclusi dall’Agenzia con le varie aziende farmaceutiche, nei quali sono presenti clausole di riservatezza che non consentono di comunicare a terzi le informazioni contenute in tali accordi. La giurisprudenza di questo Consiglio – v., ex plurimis , Cons. St., sez. III, 17 marzo 2017, n. 1213 e, più di recente e in senso conforme, Cons. St., sez. III, 31 dicembre 2020, n. 8543 – ritiene legittimo il diniego di accesso all’accordo sulla rimborsabilità e il prezzo relativo ad un farmaco stipulato tra l’industria produttrice e l’AIFA quando è prevista una clausola di riservatezza.
La pattuizione di sconti “confidenziali” e, cioè, coperti da apposite clausole di riservatezza rappresenta infatti non solo un dato riservato in quanto afferente interessi commerciali delle aziende coinvolte, ma anche un cruciale strumento di interesse pubblico, in grado di realizzare un risparmio di spesa per il pagatore pubblico. Anche questo Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1213 del 17 marzo 2017, ha ritenuto che la riservatezza degli esiti della negoziazione del prezzo del medicinale è utile sia al pubblico pagatore, per “ l’ottenimento di risparmi ” (consentendo al negoziatore pubblico di « tenere celati i risultati economici raggiunti nella negoziazione – che ovviamente rimangono sempre utilizzabili quale parametro interno – e di “spuntare” tutti gli sconti che il produttore sia oggettivamente e soggettivamente in grado di concedere in base ai suoi costi ed alle sue aspettative di profitto »), sia alle aziende, al fine di soddisfare proprio l’esigenza di riservatezza.
8.3 – Inoltre, l’appellante sovrappone indebitamente i diversi piani degli obblighi partecipativi incombenti all’Amministrazione nel momento della formazione dei provvedimenti di ripiano, laddove non può predicarsi l’esistenza di un obbligo di informazione o comunicazione generalizzata del tipo di quello preteso dall’istante, e dell’eventuale ostensione dei dati e calcoli che l’AIFA abbia impiegato per giungere alla determinazione del dato complessivo della spesa farmaceutica per acquisti ospedalieri o diretti nonché delle quote di mercato di ciascuna impresa, in quanto ciò può avvenire solo ex post e non è presupposto di legittimità delle delibere impugnate ma soltanto strumentale a far emergere eventuali errori o illegittimità per farli valere nelle sedi opportune.
8.4 – Considera infine il Collegio che il tema del bilanciamento tra esigenze di informazione degli operatori interessate ed esigenze di tutela del segreto commerciale può porsi in sede di accesso, ma è del tutto inconferente laddove si lamenti l’illegittimità dei provvedimenti de quibus , con il conseguente onere di chi ricorre di fornire quanto meno un principio di prova della loro illegittimità: orbene, nel caso di specie l’odierna appellante non solo non ha mai esercitato il diritto di accesso ai documenti, neanche in sede processuale con lo strumento di cui all’articolo 116, comma 2, c.p.a., ma sul punto articola le proprie doglianze in via ipotetica ed “esplorativa”, senza indicare i vizi o errori che sarebbero presenti nelle delibere impugnate, donde la conclusione del TAR secondo cui la pretesa di dilatare oltre misura la partecipazione procedimentale, rispetto a quella imposta all’Amministrazione dalla legge, sarebbe un ulteriore sintomo del più generale desiderio delle imprese farmaceutiche di ottenere in questo settore una vera e propria “ co-amministrazione ”, con la conseguente (ma non accoglibile) richiesta che il giudice amministrativo non si limiti a valutare la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, ma al contrario vi si sovrapponga con un proprio nuovo percorso decisionale volto a valutare l’opportunità delle sottostanti scelte di politica sanitaria.
9 - La ricostruzione ermeneutica del TAR appare immune dai denunciati profili di illegittimità anche con riguardo alle censure dedotte con il terzo motivo, in quanto, piuttosto che individuare pretesi termini perentori al di fuori di un’espressa previsione normativa, fornisce una lettura del meccanismo procedimentale improntata a ragionevolezza, tale da individuare un momento in cui i dati a disposizione dell’Amministrazione (che altrimenti resterebbero perennemente “fluidi” e modificabili su impulso delle imprese interessate) si consolidano in modo da consentire l’adozione delle determinazioni in materia di ripiano nel rispetto dei termini di legge: in sostanza, pur non essendoci termini a carico delle parti, vi è certamente un termine a carico dell’AIFA per la pubblicazione dei propri provvedimenti, rispondente a esigenze di correntezza, buon andamento ed imparzialità ai sensi dell’art. 97 della Costituzione, e da ciò non possono non discendere profili di “responsabilità” a carico degli operatori del settore in caso di inadempimento entro termini ragionevoli dei propri adempimenti procedimentali, secondo il generalissimo principio di tutela dell’affidamento e di buona fede cui deve necessariamente attenersi non solo il soggetto pubblico, ma anche il soggetto privato nel rapporto fra l’Amministrazione e la singola impresa, i cui interessi possono anche essere diversi o confliggenti con quelli (non dell’Amministrazione bensì) delle altre imprese concorrenti e dei cittadini intesi quali contribuenti e quali pazienti del Servizio sanitario pubblico nazionale.
10 - In relazione al quarto motivo di appello, afferente alla mancata compensazione tra il disavanzo registrato rispetto al tetto per la spesa farmaceutica diretta e l’avanzo avutosi invece per la spesa convenzionata, considera il Collegio che la censura verte sulla questione dell’irragionevole quantificazione dei tetti relativi alle due componenti della spesa farmaceutica (spesa per gli acquisti diretti e spesa convenzionata) e alla mancata utilizzazione dell’avanzo di spesa registratosi per l’anno 2019 in relazione al tetto dedicato alla spesa convenzionata per mitigare le conseguenze derivanti dall’enorme sforamento registratosi, invece, in relazione al tetto per gli acquisti diretti, palesandosi gravemente erronea la motivazione della sentenza impugnata, che ha respinto la censura affermando, innanzitutto, che nessuna disposizione normativa espressamente autorizza compensazioni tra i due fondi né tanto meno un diverso utilizzo del fondo rispetto a quello legislativamente stabilito.
10.1 - Una tale mancata utilizzazione viene però contestata dall’odierna appellante in quanto, in assenza di argomenti di tipo letterale in contrario, la normativa avrebbe dovuto essere interpretata in via sistematica e costituzionalmente orientata, sì da giungere alla corretta conclusione che i due “sotto-tetti” di spesa possano comunicare tra loro al fine di compensarsi reciprocamente, essendo vero che la norma di legge di riferimento non prevede espressamente un meccanismo di compensazione, ma anche vero che essa non dice neppure il contrario.
Anche sul piano costituzionale, del resto, sarebbe più coerente con una ragionevole interpretazione della norma ai sensi dell’art. 3 Cost., rispettosa del principio di proporzionalità del sacrificio imposto ai privati, una conclusione per la quale gli oneri di ripiano a carico delle imprese private vengano in essere solo quando sono esaurite le risorse pubbliche che lo Stato ha potuto mettere a disposizione dell’acquisto di specialità medicinali.
Inoltre, l’applicazione di un meccanismo di compensazione tra i due tetti non rallenterebbe in ogni caso il processo di deospedalizzazione, visto che non si tratterebbe di sottrarre risorse alla spesa convenzionata per destinarle alla copertura della spesa per gli acquisti diretti ma, semplicemente, di utilizzare l’avanzo registratosi sulla prima per diminuire l’entità dello sfondamento del tetto dedicato alla seconda.
10.3 - Anche questo motivo, tuttavia, deve essere disatteso perché, come bene ha rilevato la sentenza impugnata, la compensazione “ in via amministrativa ” delle due voci di spesa, appositamente dedicate agli acquisti diretti e alla spesa convenzionata, non è una soluzione percorribile, sulla base della legislazione vigente, e contraddice la necessità di tenere separati, invece, i due canali della spesa diretta e di quella convenzionata, che soddisfano due esigenze, entrambe prioritarie, ma certo diverse del S.S.N. e in nessun modo sono assimilabili o compensabili.
10.4 - Differente è, infatti, la natura dei soggetti che compongono la filiera distributiva del farmaco poiché da un lato vi sono i privati e, dall’altro, i soggetti pubblici, ivi comprese le strutture ospedaliere, ed è diversa la portata delle esigenze di cura e di fabbisogno proprie delle due categorie di spesa, che possono essere anche molto elevati, ove si tratti di farmaci destinati all’utilizzo presso le strutture ospedaliere. Queste ultime, infatti, svolgono un ruolo preminente e fondamentale rispetto alla tutela della salute, che richiede un continuo approvvigionamento di farmaci al fine di garantire l’erogazione delle essenziali prestazioni di assistenza, anche farmaceutica.
Basti pensare, a tacer d’altro, che nella distribuzione diretta rientrano i farmaci di area H, ovvero i farmaci della terapia ospedaliera i cui medicinali sono distribuiti esclusivamente dalla farmacia ospedaliera o dal servizio farmaceutico territoriale delle AA.SS.LL. ai pazienti ospedalizzati in regime ordinario o di day hospital , in ospedalizzazione domiciliare o in setting ambulatoriali dedicati, e i farmaci di Area H-T, ovvero della presa in carico e della continuità terapeutica, tra l’Ospedale e il Territorio il cui strumento è il PHT (Prontuario della Distribuzione Diretta), essendo l’erogazione diretta dei farmaci, nelle sue diverse forme organizzative descritte dal d.l. 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, una modalità di erogazione dei farmaci, per la somministrazione al domicilio dell’assistito, acquistati direttamente dal S.S.M. tramite le procedure ad evidenza pubblica che consentono l’acquisto al prezzo più conveniente a fronte di quantitativi predeterminati derivanti da una idonea programmazione dei fabbisogni.
10.5 - In disparte le peculiarità della dispensazione dei farmaci in ambito ospedaliero, è innegabile che l’erogazione diretta sia una forma di erogazione che consente di assistere con maggiore qualità il paziente in termini di conoscenza complessiva dei farmaci, di farmacovigilanza, di controllo della capacità del paziente di seguire la terapia prescritta e di un rapporto – tendenzialmente e, comunque, auspicabilmente – continuo tra il farmacista che eroga e il paziente che ritira il farmaco, mentre nella distribuzione convenzionata, ottenuta dal medico a ciò abilitato la prescrizione del farmaco a carico del S.S.N., il paziente è libero di recarsi presso qualsiasi farmacia e quindi viene meno – anche per legge – la possibilità di creare un rapporto di continuità dell’erogazione dei farmaci tra una farmacia e lo stesso cittadino, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di destinazione dei fondi quanto alla diversa forma di distribuzione.
10.6 - La scelta del legislatore di non mescolare la spesa effettuata dalla pubbliche amministrazioni sanitarie, mediante le procedure pubbliche di acquisto, e la spesa determinata dalle ricette “rosse” dei medici convenzionati è anche finalizzata ad assicurare un controllo esterno sull’appropriatezza e correttezza di tale ultima spesa, anche segnalando e chiedendo ai singoli medici chiarimenti ove si presentino andamenti che appaiano anomali, e non è un caso che è proprio nelle Regioni ove tradizionalmente l’amministrazione sanitaria viene ritenuta più completamente e consapevolmente organizzata che il tetto della spesa convenzionata non venga normalmente consumato tutto, mentre è nelle Regioni tradizionalmente ritenute meno attente ed attrezzate che viene sfondato.
Pertanto, unificare i tetti significherebbe togliere uno degli strumenti essenziali voluti dal legislatore per il monitoraggio dell’appropriatezza – in termini anche di c.d. appropriatezza prescrittiva – della spesa farmaceutica, sia nei confronti delle amministrazioni pubbliche, che dei medici convenzionati, mescolandone le rispettive responsabilità.
10.7 – Neppure si può giungere a diverse conclusioni in quanto le Regioni – in base agli artt. 4 e 8 del d.l. n. 347 del 2001 – hanno comunque la possibilità di spostare la spesa da un canale all’altro (v., Cons. St., sez. V, 1° marzo 2003, n. 1156), e, cioè, dalla convenzionata agli acquisti diretti, avviando alla distribuzione diretta e per conto le specialità medicinali di fascia A. Infatti,
fermo restando che ciò deve avvenire – anche a livello regionale – secondo i dettami della scienza medica, a tutela della salute, il citato d.l. n. 347 del 2001, come convertito con modifiche con l. n. 405 del 2001, all’art. 8 stabilisce, infatti, che le Regioni hanno facoltà di « assicurare l’erogazione diretta da parte delle aziende sanitarie dei medicinali necessari al trattamento dei pazienti in assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale », nonché « disporre, al fine di garantire la continuità assistenziale, che la struttura pubblica fornisca direttamente i farmaci, limitatamente al primo ciclo terapeutico completo, sulla base di direttive regionali, per il periodo immediatamente successivo alla dimissione dal ricovero ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale ».
10.8 - È chiaro dunque, che la distribuzione diretta non può rappresentare un canale alternativo a quella convenzionata e ciò trova puntuale riscontro e conferma nei dati forniti dal Rapporto annuale 2021 sull’uso dei farmaci in Italia (cd rapporto