Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-05-17, n. 202404404

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-05-17, n. 202404404
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404404
Data del deposito : 17 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/05/2024

N. 04404/2024REG.PROV.COLL.

N. 02345/2020 REG.RIC.

N. 02346/2020 REG.RIC.

N. 02348/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2345 del 2020, proposto da
-O-, rappresentato e difeso dall’Avvocato P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, largo Messico n. 7;

contro

Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato E C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Lubriano, non costituito in giudizio;

nei confronti

-O- e -O-, rappresentati e difesi dall’Avvocato Angelo Ranchino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



sul ricorso numero di registro generale 2346 del 2020, proposto da
-O-, rappresentato e difeso dall’Avvocato P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, largo Messico n. 7;

contro

Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato E C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Lubriano, non costituito in giudizio;

nei confronti

-O- e -O-, non costituiti in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 2348 del 2020, proposto da
-O-, rappresentato e difeso dall’Avvocato P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, largo Messico n. 7;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi m. 12;
Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato E C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

-O- e -O-, rappresentati e difesi dall’Avvocato Angelo Ranchino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Lubriano, non costituito in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 2345 del 2020:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione seconda bis n. -O-del 5 agosto 2019, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 2346 del 2020:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione seconda bis n. -O-del 5 agosto 2019, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 2348 del 2020:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione seconda bis n. -O-del 5 agosto 2019, resa tra le parti;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Lazio, di -O- e -O-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024 il Cons. M P e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Signor -O-, proprietario in Lubriano di un lotto edificabile ricadente in Zona C/2 del P.R.G. sottoposto al « vincolo paesistico di cui al D. Lgs. 490/99 (ex legge 1497/39) », nonché, al « vincolo di cui agli artt. 52 e 61 del T.U. 380/2001 », in data 13 ottobre 2001 conseguiva dall’amministrazione comunale la concessione edilizia n. 10/2001 per la « costruzione di un fabbricato di civile abitazione da edificare in lottizzazione Pajme sul lotto n. 8 ».

Il progetto presentato, come da Relazione tecnica allegata al titolo, prevedeva la realizzazione di un « fabbricato a due piani fuori terra adibito ad abitazione familiare ».

Con verbale del 20 settembre 2003 la Polizia Municipale, sollecitata da una segnalazione dei proprietari confinanti, accertava la realizzazione, in difformità del titolo edilizio conseguito, di un piano sottostrada (che il proprietario indica come una palificazione in cemento armato resasi necessaria per conferire stabilità al fabbricato ovviando alle irregolarità del piano di campagna).

L’amministrazione disponeva, quindi, la sospensione dei lavori con ordinanza n. 6/2003 cui seguiva, in data 21 ottobre 2003, l’istanza del proprietario di concessione della variante in sanatoria ex art. 13 della L. n. 47/1985 riferita (come da allegata relazione tecnica):

- alla realizzazione del piano seminterrato;

- alle « maggiori dimensioni del piano terra superiori al 2% rispetto alla concessione edilizia n° 10/2001 »;

- alla « mancanza della denuncia di cui agli art. 64 e seguenti del TU n° 380/2001 ».

Il progetto contemplava la riduzione delle volumetrie fuori terra con conseguente recupero di quelle realizzate in eccesso « diminuendo il piano primo della costruzione » e « togliendo le scale interne e prevedendo una sola scala peraltro esterna e non chiusa » con realizzazione di n. 4 alloggi in luogo dei due originariamente previsti.

Con ordinanza n. 7 del 3 novembre 2003, che richiamava il verbale della Polizia Municipale di contestazione della realizzazione del piano sottostrada , veniva ingiunta la demolizione dell’abuso.

Con atto del 3 luglio 2004, in esito alla citata istanza del 21 ottobre 2003, il Comune comunicava al proprietario il parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale;
disponeva un’integrazione documentale ed imponeva quale unica prescrizione che « l’intercapedine, sul lato rampa di accesso ai garage » dovesse avere « quota all’estradosso complanare con la rampa stessa ».

Contestualmente veniva richiesta la produzione dei nulla osta regionali ex D. Lgs. n. 490/99, L.R. n. 59/1995 e L. n. 64/1974, nonché, l’assenso della USL.

Il Signor -O-richiedeva, quindi, alla Regione Lazio il rilascio del nulla osta ex art. 2 della L. n. 64/1974 (« Abitati da consolidare ») con istanza del 29 ottobre 2004 in esito alla quale, con nota dell’11 novembre successivo, veniva dall’amministrazione richiesta la produzione della determinazione di « ammissibilità a Sanatoria Edilizia » da acquisire « dalla competente Area Tecnica ».

In data 18 gennaio 2005 il Signor -O-chiedeva alla Regione Lazio, alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Artistico e Demoetnoantropologico del Lazio (che si dichiarava incompetente trasmettendo l’istanza alla Regione con nota del 26 aprile 2005) e al Comune (che si dichiarava a sua volta incompetente trasmettendo l’istanza alla Regione con nota del 6 maggio 2005) l’accertamento di compatibilità ambientale ai sensi dell’art. 1, comma 39 della L. n. 308/2004 dichiarando che « i lavori abusivi sono stati compiuti in data anteriore al 30/09/2004 ».

Con atto dell’8 marzo 2005 la Regione comunicava al Comune, alla Soprintendenza e ai proprietari confinanti che la domanda di condono ex L. n. 326/2003 e di accertamento di compatibilità ai sensi della L. n. 308/2004 presentate dal Signor -O-, non potevano trovare accoglimento in quanto relative ad un intervento da eseguirsi in ambito sottoposto a vincolo preesistente alla realizzazione e perché eseguite oltre il termine perentorio del 30 settembre 2004 di cui alla L. n. 308/2004.

Contestualmente l’Ente regionale richiedeva al Comune chiarimenti in merito alla mancata esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 7/2003.

Con atto del 18 maggio 2005, il Comune comunicava al Signor -O-il preavviso di diniego relativo all’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (riferito alla già richiamata istanza del 21 ottobre 2003) e con provvedimento del 18 giugno 2005 successivo la respingeva sul rilievo:

- che l’autorizzazione paesaggistica non potesse essere rilasciata successivamente alla realizzazione anche solo parziale degli interventi;

- che l’istanza di compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’art. 1, comma 39 della legge n. 308 del 2004 non fosse attinente al profilo autorizzatorio amministrativo, ma soltanto a quello penale e riguardasse unicamente opere già completate;

- che era mancante il nulla osta relativo al vincolo di cui all’art. 2 della L. n. 64/1974.

Con atto del 1° luglio 2005, richiamata l’ordinanza n. 7 del 3 novembre 2003 e il rigetto da ultimo citato, l’amministrazione avviava il procedimento teso alla demolizione dell’abuso.

I menzionati atti e provvedimenti (avvio del procedimento demolitorio e diniego di accertamento di conformità) venivano impugnati innanzi al T Lazio con ricorso iscritto al n. 8148/2005 R.R. cui seguiva, con motivi aggiunti proposti nell’ambito del medesimo giudizio, l’impugnazione dell’acquisizione gratuita del fondo interessato all’abuso comunicata con atto del 1° ottobre 2005.

Ricorso e motivi aggiunti venivano accolti con sentenza n. 25707 del 14 luglio 2010 valorizzando le incertezze interpretative sorte a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 42/2004 in merito al rapporto tra nulla osta paesistico e titolo edilizio che imponevano, a parere del T, la necessità di sospendere il procedimento in attesa della pronuncia dell’autorità competente in materia paesistico-ambientale.

Per completezza di esposizione si evidenzia che la sentenza da ultimo richiamata veniva impugnata dal Comune dinanzi al Consiglio di Stato che, con decisione n. 6652 del 21 dicembre 2012 (Sez. IV), « in riforma della sentenza appellata, che annulla [va] senza rinvio, dichiara [va] improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso originario » per essersi l’amministrazione rideterminata nelle more.

Nel frattempo perveniva a definizione il procedimento penale a carico del Signor -O-, iscritto per i medesimi abusi, con condanna dello stesso confermata all’esito dei tre gradi di giudizio dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2629 del 18 dicembre 2008 accertando, fra gli altri profili, che la costruzione non era stata completata alla data del 30 settembre 2004.

Il Signor -O-in data 29 luglio 2009 presentava una nuova richiesta di permesso di costruire avente ad oggetto la riduzione in pristino dei luoghi in conformità al giudicato penale e la sanatoria urbanistica dell’interrato senza modifica dell’aspetto esteriore dei luoghi.

Con nota del 15 giugno 2011 la Regione, in esito alla richiesta avanzata dal Comune tesa ad acquisire il parere circa la compatibilità paesaggistica dell’intervento, forniva una risposta interlocutoria comunicando di essere in attesa della definizione di un protocollo d’intesa con il Ministero circa l’attuazione dei procedimenti ex art. 1, comma 39, della L. n. 308/2004.

Con atto di « accertamento istruttorio » del 16 novembre 2011, emanato a seguito della ricezione di un ulteriore esposto che documentava il permanere delle difformità rispetto al progetto assentito (e quindi la non conformità del ripristino eseguito a quanto ordinato in sede penale), la Regione richiamava il rigetto dell’autorizzazione paesaggistica determinato dalle Direzioni delle Aree Autorizzazioni Paesaggistiche e Legislativo, Contenzioso e Vigilanza disponendo che il Comune concludesse il procedimento ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 avviato dal Signor -O-« con l’emissione di un provvedimento di rigetto », adottando « una nuova Ordinanza di demolizione e di rimessa in pristino dello stato dei luoghi in sostituzione della precedente recante il n. 7/2003, annullata dal T … » ( tale nota interveniva prima dell’annullamento della sentenza da parte del Consiglio di Stato nel 2012 ).

A seguito della richiamata sentenza del T (n. 25707/2010, cit .) e nelle more della definizione del giudizio di appello, il Comune, con provvedimento del 30 maggio 2012, riassunta sinteticamente la vicenda amministrativa e penale, respingeva nuovamente l’istanza di accertamento di conformità presentata dal Signor -O-il 21 ottobre 2003 richiamando la citata nota regionale dell’8 marzo 2005 con la quale si rappresentava che la domanda di condono ex L. n. 326/2003 e di accertamento di compatibilità ai sensi della L. n. 308/2004 presentate dal proprietario non potevano trovare accoglimento.

Si anticipa che avverso le richiamate note regionali veniva proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica notificato il 22 maggio 2012.

Veniva ulteriormente riavviato il procedimento sanzionatorio che si concludeva con l’adozione dell’ordinanza n. 35 del 20 agosto 2012 recante « Nuova ordinanza di rimessa in pristino delle opere eseguite in totale difformità da concessione edilizia in Via -O- » con la quale, richiamato il verbale della Polizia Municipale del 20 settembre 2003 nella parte in cui « è stato accertato un abuso edilizio per aver realizzato il piano sottostrada non previsto negli elaborati progettuali », e preso atto che l’ordinanza di demolizione n. 7/2003 veniva annullata con sentenza del T n. 25707/2010, il Comune disponeva nuovamente il ripristino del piano interrato.

PRIMO RICORSO AL TAR (cui seguiva l’appello n. 2345/2020)

Con ricorso iscritto al n. 6495/2012 R.R., il Signor -O-, impugnava dinanzi al T Lazio il diniego opposto dal Comune di Lubriano all’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 riferita ad interventi edilizi eseguiti in difformità dal permesso di costruire n. 10 del 13 ottobre 2001, unitamente alle note della Regione nell’atto richiamate (n. 23262 dell’8 maggio 2005 e n. 8756 del 15 giugno 2011 già gravate con ricorso straordinario) con le quali l’Ente esprimeva parere negativo sul rilievo che « il fabbricato posto in via -O- n. 4 non… (era) stato ancora completato e i lavori non (erano) stati ultimati entro il 30.09.2004, termine che la legge n. 308 intende come perentorio per poter ottenere il parere di compatibilità paesaggistica ivi previsto ».

Con un primo ricorso per motivi aggiunti impugnava l’ordinanza n. 35 del 20 agosto 2012 con la quale il Comune ingiungeva la demolizione delle opere abusivamente realizzate.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti impugnava la nota regionale del 19 giugno 2012 con la quale, richiamando le precedenti note del 16 novembre 2011 e dell’8 marzo 2005, veniva ribadita l’insanabilità delle opere abusive.

Con ordinanza n. 5250/2014, il T, preso atto che avverso gli atti regionali dell’8 marzo 2005 e 15 giugno 2011, come anticipato, pendeva ricorso straordinario, sospendeva il giudizio.

Con d.P.R. del 14 marzo 2018, sopravveniva la decisione del richiamato ricorso straordinario che veniva dichiarato improcedibile « in ossequio al canone del <<ne bis in idem>>
(perché il ricorrente aveva già proposto innanzi al TAR - nell’ambito di un precedente giudizio, RG 8148/2005- con i secondi motivi aggiunti, l’impugnazione del provvedimento … dell’Area Legislativo, Contenzioso e Vigilanza della Regione Lazio dell’8.03.2005 prot. n. 23262 con il quale… si era esclusa la possibilità di sanatoria per mancato completamento delle opere nel termine del 30 settembre 2004)» e in quanto anche il parere del 2011 era stato «adottato sul presupposto sostanziale di quello del 2005
».

In detta sede, « per ragioni di giustizia » il Consiglio di Stato si pronunciava, altresì, nel merito ritenendo il ricorso « infondato » rilevando come « l’Area Vigilanza Urbanistica e Lotta all’Abusivismo legittimamente » avesse « sottolineato che avendo il ricorrente solo apposto i blocchi tra i plinti di sostegno, non aveva affatto completato le opere entro il termine del 30 settembre 2004, tassativamente richiesto dal decreto-legge 30 settembre 2003 convertito in legge 24 novembre 200 n. 326» evidenziando come il mancato completamento dell’intervento escludesse la «necessità procedimentale di far luogo alla valutazione tecnico-discrezionale dell’incidenza dell’abuso sui valori ambientali e paesaggistici ».

Con sentenza n. -O-del 5 agosto 2019 il T respingeva il ricorso introduttivo evidenziando come « alla luce del suddetto esito del ricorso straordinario, l’impugnativa del diniego di accertamento di conformità, a prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità, deve essere rigettata, stante l’ostatività all’accoglimento della richiesta sig. -O-dei provvedimenti regionali presupposti, validi ed efficaci » riconoscendo nel contempo la perdurante validità ed efficacia delle impugnate note regionali (già oggetto del ricorso straordinario) che ostavano all’accoglimento dell’istanza ex art. 36.

Quanto ai motivi aggiunti:

- respingeva i primi stante la doverosità della misura demolitoria non inibita dalla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001;

- dichiarava inammissibili i secondi poiché le note regionali impugnate erano meramente ripetitive dei contenuti dei precedenti pareri, la cui legittimità non veniva scalfita dall’esito del ricorso straordinario.

La sentenza veniva impugnata con appello depositato il 10 marzo 2020 e iscritto al n. 2345/2020 deducendo con un unico capo d’impugnazione « Erroneità della sentenza appellata n. 10315/2019 per errata od omessa applicazione dell’art. 35 c.p.a., anche in relazione all’art. 34 c.p.a., con difetto di istruttoria, nell’esame e nella valutazione dei documenti di causa, con violazione dell’art. 64 c.p.a., e delle pronunce giurisdizionali già rese nella medesima questione ».

La Regione si costituiva formalmente in giudizio il 12 ottobre 2020.

I confinanti, intervenienti ad opponendum in primo grado, si costituivano con memoria depositata il 4 dicembre 2022 eccependo l’inammissibilità del gravame in quanto afferente profili già definiti in sede di impugnazione straordinaria determinando il carattere vincolato del successivo intervento comunale.

SECONDO RICORSO AL TAR (cui seguiva l’appello n. 2348/2020)

Il 15 giugno 2015 l’appellante presentava una C.I.L. per l’esecuzione di lavori di rispristino che, a seguito di un nuovo esposto dei confinanti, veniva inibita con determinazione comunale del 26 giugno successivo.

Con atto del 14 settembre 2015 la Soprintendenza, in esito alla richiesta della Regione del 25 maggio precedente, sul rilievo che « il piano interrato è stato interamente chiuso e reso inaccessibile », rilasciava « parere positivo nel merito della compatibilità paesaggistica delle opere sopra citate così per come sono rappresentate negli elaborati progettuali allegati limitatamente a quanto già realizzato ».

In detta sede veniva precisato che il Comune non avrebbe potuto rilasciare alcun atto autorizzativo sino a definizione del procedimento di compatibilità paesaggistica di competenza regionale.

Il parere veniva sospeso con atto del 5 ottobre 2015 a seguito della ricezione di un ulteriore esposto dei confinanti che segnalavano la perdurante accessibilità al piano interrato e che il piano terra presentava un incremento di superfici e volumi rispetto a quanto assentito.

Gli esiti del sopralluogo effettuato dalla Regione il 7 ottobre 2015 dall’esterno (il cantiere si presentava chiuso e non accessibile) consentivano di rilevare che « l’opera di rimozione dell’abuso si presenta in forma posticcia e non risolutiva » e che « il dispositivo di sentenza che impone il ripristino dello stato deli luoghi non risulta convenientemente rispettato in quanto il piano sottostrada si presenta soltanto oggetto di un accumulo artificiale di terreno sulle fronti del medesimo » non interessante i locali realizzati a detto livello che venivano solo tamponati con mattoni posti a nido d’ape.

A parere della Regione « lo stato dei luoghi non risulta [va] ripristinato per modifica delle quote di campagna del lotto e della elusione dell’abolizione del piano sottostrada abusivo avvenuta mediante sostanziale parziale occultamento della porzione di edificio abusiva con accumulo di terreno artificiale ».

Le suesposte risultanze venivano compendiate nella nota del 13 ottobre 2015 indirizzata alla Soprintendenza, al Comune e al Signor -O-.

Con nota di pari data il Comune riassumeva, a beneficio della Soprintendenza e della Regione, lo stato della pratica precisando che « lo stato dei luoghi risultante a questo Ufficio è quello precedentemente comunicato e rappresentato nella corrispondenza intercorsa ».

Il parere espresso il 14 settembre 2015 veniva pertanto definitamente annullato dalla Soprintendenza con atto del 15 dicembre 2015.

Nel successivo sviluppo del parallelo procedimento di compatibilità paesaggistica, con atto del 23 dicembre 2015 la Regione comunicava l’avvio del procedimento di annullamento del parere di ammissibilità del 25 giugno 2015 emesso su richiesta del -O-del 12 agosto 2014 ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5 del d. Lgs. n. 42/2004.

Per completezza di esposizione si evidenzia che la citata sospensione del parere del 14 settembre 2015, disposta con atto del 5 ottobre, veniva impugnata dinanzi al T con ricorso iscritto al n. 15930/2015 R.R., dichiarato improcedibile con sentenza n. 7513 del 30 giugno 2016 (non appellata) in ragione dell’intervenuto definitivo annullamento del parere sospeso.

Con ricorso n. 2654/2016 R.R. l’appellante impugnava dinanzi al T:

- la nota della Soprintendenza del 15 dicembre 2015 di annullamento del parere favorevole del 14 settembre 2015 precedentemente espresso;

- la nota della Regione Lazio del 13 ottobre 2015 di accertamento dello stato dei luoghi relativo al suddetto immobile;

- la nota della Regione Lazio del 23 dicembre 2015 di comunicazione dell’avvio del procedimento per l’annullamento del parere di ammissibilità di cui alla nota n. del 25 giugno 2015 relativa all’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica;

- la nota del Comune di Lubriano del 13 ottobre 2015 di comunicazione degli atti depositati e di conferma dello stato dei luoghi in precedenza rappresentato richiamata dalla Regione nella nota del 23 dicembre 2015.

Il ricorrente deduceva, in particolare, l’incompetenza della Regione a verificare la correttezza delle modalità di esecuzione dell’ordine di ripristino emesso in sede penale e, di conseguenza, l’illegittimità del provvedimento della Soprintendenza che lo richiamava.

L’annullamento del precedente parere favorevole sarebbe inoltre avvenuto, a parere del proprietario, in violazione della disciplina in tema di autotutela per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, difetto del requisito dell’illegittimità dell’atto e omessa motivazione in ordine all’affidamento maturato del privato alla conservazione dell’atto.

Il T con sentenza n. 13319 del 5 agosto 2019 in parte respingeva e in parte dichiarava inammissibile il ricorso ritenendo:

- la competenza delle amministrazioni intimate ad esprimersi;

- l’insussistenza delle pretese illegittimità del procedimento di autotutela posto che il precedente parere, oggetto di ritiro, veniva espresso a seguito di una errata rappresentazione dei fatti da parte del proprietario che affermava di aver proceduto al ripristino.

L’impugnazione degli ulteriori atti veniva dichiarata inammissibile in ragione della loro natura endoprocedimentale.

La sentenza veniva impugnata con appello depositato il 10 marzo 2020 e iscritto al n. 2348/2020 R.R. deducendo:

I. « Erroneità della sentenza appellata in relazione alla violazione dell’art. 655 e ss. del c.p.p., anche in relazione all’art. 21 septies della L.n. 241/90, come dedotta con il I motivo del ricorso di primo grado. Erroneità della sentenza appellata per travisamento di elementi probatori, con violazione dell’art. 64 c.p.a. recante i principi sulla disponibilità, onere e valutazione delle prove nel giudizio amministrativo, in relazione alla censura articolata con il II motivo del ricorso di primo grado in ordine all’eccesso di potere per travisamento in fatto ed in diritto e per difetto di istruttoria »;

II. « Erroneità della sentenza con riguardo alla violazione dei principi di autotutela decisoria - come trasfusi nell’art. 21 nonies L.n. 241/90, anche in relazione all’art. 167 D. Lgvo n. 42/2004 ed agli artt. 3, 7 e 10 L.n. 241/90 - dedotta con il III motivo del ricorso di primo grado »

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione si costituivano formalmente in giudizio, rispettivamente, l’8 maggio e il 12 ottobre 2020.

I controinteressati si costituivano in giudizio il 4 febbraio 2022 confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione dell’appello.

TERZO RICORSO AL TAR (cui seguiva l’appello n. 2346/2020)

In data 7 marzo 2016 la Regione comunicava il preavviso di rigetto dell’istanza di compatibilità paesaggistica (come anticipato, impugnato con ricorso iscritto al n. 6086/2016 R.R. dichiarato inammissibile con sentenza n. 10316 del 5 agosto 2019, non impugnata).

In data 4 aprile 2016 la Regione effettuava un nuovo accertamento ispettivo con accesso ai luoghi confermando l’esecuzione dei lavori di ripristino.

Tale accertamento, tuttavia, (si precisa in quanto l’atto è ripetutamente richiamato dall’appellante a sostegno delle proprie tesi) non fugava ogni dubbio circa la conformità di quanto realizzato in sede di ripristino atteso che la rilevata conformazione del lotto, compreso fra due strade poste a quote diverse (con dislivello di circa 4 metri) e la ammessa (nello stesso atto) « alterata morfologia del terreno ante realizzazione dei fabbricati » non consentivano di ricostruire l’originario declivio del terreno e, quindi, la piena conformità del manufatto al titolo edilizio del 2001.

In ogni caso, deve precisarsi sin d’ora, che l’affermazione contenuta nell’atto per la quale il ripristino veniva effettuato « tramite il ristabilimento delle precedenti originarie quote di campagna del lotto ante costruzione » trova smentita negli esiti della Verificazione disposta in questa sede (di seguito illustrati).

Il 20 aprile 2016 la Regione richiedeva notizie circa lo stato del ripristino al Comune che, con atto del 26 maggio successivo, comunicava che non era stato eseguito precisando, tuttavia, con riferimento al terreno esterno al fabbricato, che non era possibile ricostruire lo stato di fatto preesistente e l’eventuale difformità da quanto rappresentato in progetto.

Con determinazione del 7 settembre 2016 (trasmessa con nota del 12 settembre successivo) la Regione:

- negava l’accertamento di compatibilità paesaggistica relativo alla « realizzazione di un piano interrato sottostrada e di un piano terra rialzato allo stato grezzo (pilastri e parte della tamponatura) con marginale debordamento rispetto alla sagoma assentita »;

- annullava il « parere di ammissibilità dell’accertamento di compatibilità paesaggistica di cui alla nota prot. N. 464880 del 25/06/2015 » relativo al medesimo intervento;

- disponeva che il Comune procedesse alla repressione dell’abuso ai sensi della L.R. n. 15/2008.

Le sfavorevoli determinazioni da ultimo richiamate trovavano fondamento nel più volte citato provvedimento del 15 dicembre 2015 della Soprintendenza che annullava il precedente parere del 14 settembre.

Con nota del giorno successivo, il Comune affermava che l’andamento plano-altimetrico originario, come risultante dagli elaborati al piano di lottizzazione approvati, non era congruente con quello rappresentato negli elaborati progettuali di cui alla concessione n. 10/2001.

Il Signor -O-impugnava la determinazione da ultimo citata, unitamente alla nota di trasmissione della stessa, al richiamato parere della Soprintendenza del 15 dicembre 2015, e ad una pluralità di note interlocutorie e lettere di trasmissione comunali (27 giugno 2015, 13 ottobre 2015 e 26 maggio 2016) con ricorso iscritto al n. 13558/2016 R.R., definito con dal T con sentenza n. -O-del 5 agosto 2019 che respingeva l’impugnazione del diniego di accertamento di compatibilità paesaggistica (nota Soprintendenza del 15 dicembre 2015 e nota della Regione del 24 ottobre 2015) e dichiarava inammissibile l’impugnazione degli ulteriori atti gravati.

In particolare, il T (che richiamava i già descritti esiti della CTU disposta in sede penale) rilevava:

- che « nel ricorso contro l’esito negativo del procedimento di compatibilità paesaggistica il sig. -O-ha, inoltre, riproposto le censure già formulate contro precedenti atti quali l’annullamento da parte della Soprintendenza, in data 15.12.2015, del parere favorevole alla compatibilità paesaggistica e la nota della Regione Lazio del 20.04.2016 di richiesta al Comune di Lubriano di pronunciarsi sull’avvenuta esecuzione da parte del ricorrente dell’ordine di demolizione e di rimessione in pristino impartito con ordinanza del 20.08.2012. Tali censure, riguardando direttamente atti che - come espressamente riconosciuto anche dal ricorrente - sono stati autonomamente impugnati in altri precedenti giudizi n. RG 2654/2016 e n. RG 6086/2016 già decisi con sentenza da questo Tribunale, sono inammissibili »;

- che « devono essere, invece, rigettate le suesposte doglianze svolte dal ricorrente contro la determinazione della Regione Lazio del 7.09.2016 di diniego di compatibilità paesaggistica »:

- che « nessun adeguamento è stato previsto per tali difformità che, peraltro, non appaiono essere state neppure prese in considerazione nel progetto inoltrato ai fini della richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica »:

- che « anche la nota dell’Area Vigilanza Urbanistico-edilizia e Contrasto all’abusivismo del 4.04.2016, addotta dal ricorrente come piena dimostrazione del completo ripristino dello stato dei luoghi risulta, in verità, avere riguardo solo ad uno dei profili (anche se al più evidente) di abusività dell’edificio, quello relativo al piano interrato – realizzato in aperta violazione della C.E. 10/2001 - e non agli altri aspetti di aumento della superficie dell’immobile (concernenti il piano terra ed autonomamente ostativi al rilascio della compatibilità paesaggistica) la cui eliminazione non appare in alcun modo, allo stato, provata »;

- che « quanto, infine, all’impugnazione degli ulteriori atti citati nell’epigrafe del ricorso -le note della Direzione Regionale Territorio Urbanistica Mobilità e Rifiuti – Area Autorizzazioni Paesaggistiche e Valutazione Ambientale Strategica del 12.09.2016 (di comunicazione del provvedimento del 7.09.2016), del Comune di Lubriano del 27.06.2015 (di trasmissione dell’ordinanza di sospensione lavori), del 13.10.2015 (di semplice riscontro alla nota MBAC - Soprintendenza del 5.10.2015) e del 26.05.2016 (di comunicazione dell’impossibilità di esprimere un giudizio sull’avvenuto completo ripristino dello stato dei luoghi per mancanza di documentazione sulla situazione preesistente del terreno)- in realtà riconducibili a semplici comunicazioni di altri atti e di aggiornamenti tra Amministrazioni nel corso del procedimento complesso – essa deve essere dichiarata inammissibile per la mancanza in capo ai suddetti atti della natura provvedimentale e di qualsiasi valenza immediatamente lesiva per gli interessi del ricorrente ».

La sentenza veniva impugnata con appello n. 2346/2020 R.R. depositato il 10 marzo 2020 deducendo:

I. « Erroneità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., anche in relazione agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c. » per avere il giudice di prime cure affermato la legittimità del diniego di compatibilità paesaggistica impugnato sulla base di elementi dedotti dalle risultanze del parallelo procedimento penale non oggetto di contestazione da parte dell’amministrazione;

II. « Erroneità della sentenza per travisamento di circostanze di fatto e di elementi processuali. Violazione dell’art. 64 c.p.a. recante i principi sulla disponibilità, onere e valutazione delle prove nel giudizio amministrativo » in ragione del mancato rilievo dell’intervenuta eliminazione della difformità specificata nella modifica delle quote di campagna;

III. « Erroneità della sentenza in relazione alla affermata irrilevanza delle doglianze diverse da quelle sollevate con i motivi I e II del ricorso di primo grado » deducendo, quale effetto del preteso fondamento dei precedenti capi d’impugnazione, l’erroneità della decisione ove afferma il carattere vincolato del diniego di compatibilità paesaggistica gravato sul rilievo del permanere del contrasto delle opere realizzate con la disciplina urbanistica.

La Regione si costituiva formalmente il 12 ottobre 2020.

I confinanti, odierni controinteressati, si costituivano nel giudizio con memoria del 4 febbraio 2022, confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione del ricorso.

La Regione sviluppava le proprie difese con memoria unica per tutti e tre gli appelli depositata il 21 maggio 2023 mentre l’appellante, anch’esso con memoria unica, ribadiva le proprie cesure con memoria del 25 maggio successivo.

All’esito della pubblica udienza del 27 giugno 2023, con ordinanza n. 6728/2023 veniva disposta un’integrazione istruttoria mediante verificazione (i cui questi verranno di seguito illustrati)

Il Verificatore incaricato depositava la relazione istruttoria in data 6 novembre 2023.

Il Ministero depositava sintetica memoria il 21 novembre 2023 nel giudizio n. 2348/2020.

La Regione depositava memoria unica per i tre appelli il 21 marzo 2024.

I controinteressati depositavano memoria nei giudizi nn. 2345/2020 e 2348/2020 il 22 marzo 2024 replicando alle avverse difese il 2 aprile successivo.

Il 22 marzo 2024 depositava memoria unica anche l’appellante replicando alle avverse difese con memoria depositata il 2 aprile 2024 limitatamente ai giudizi n. 2348/2020 e 2345/2020.

All’esito della pubblica udienza del 23 aprile 2024, la causa veniva decisa.

La vicenda oggetto del presente giudizio origina dall’avviata realizzazione, da parte dell’appellante, di un fabbricato destinato ad uso abitativo su un lotto di proprietà facente parte di un più vasto comprensorio, oggetto di un piano di lottizzazione: intervento che si inserisce in un contesto già edificato da altri proprietari di lotto, fra i quali gli odierni controinteressati.

In particolare, la proprietà dell’appellante presenta l’ingresso sulla via -O- (lato sud) e il lato posteriore (lato nord) affaccia su una stradina sterrata che si trova ad una quota inferiore di circa 4 metri.

Le proprietà degli odierni controinteressati si trovano ai lati est e ovest e, precedentemente all’intervento del Signor -O-, erano separate da un piano di campagna non edificato caratterizzato da un pronunciato declivio.

Deve sin d’ora evidenziarsi che il progetto approvato con l’originaria concessione del 2001 prevedeva (e non poteva essere altrimenti) che il manufatto edificando presentasse un piano di calpestio del piano terra orizzontale. Evidenti ragioni logiche, prima ancora che giuridiche, escludono, infatti, che l’irregolare andamento del terreno dovesse imporre l’edificazione dell’edificio perpendicolarmente ad un piano di calpestio inclinato.

Preso atto che il piano di calpestio del piano terra assentito doveva essere posto alla medesima quota del piano strada della via -O- e che il lotto, sull’asse sud-nord, presenta un dislivello di 4 metri, non può che riconoscersi la necessità (pena la realizzazione di un fabbricato obliquo) di una struttura di sostegno tale da garantire, a dispetto dell’andamento del terreno, il posizionamento del manufatto su un piano orizzontale.

Come, invece, si evidenzierà, il proprietario, eccedendo quanto necessario per soddisfare detta esigenza, realizzava al di sotto del progettato fabbricato un piano interrato con caratteristiche (in particolare l’altezza) tali da determinare l’innalzamento della quota del soprastante piano di calpestio del piano terra: intervento che, restando invariate le caratteristiche progettuali dei due piani fuori terra assentiti determinerebbe, altresì, la realizzazione di un fabbricato di altezza e volumi superiori a quanto assentito.

Ai fini di un corretto inquadramento della presente fattispecie deve rilevarsi che oggetto di contestazione, tanto in virtù dell’ordine di ripristino n. 7/2003 quanto che dell’analoga ordinanza n. 35/2012, come già evidenziato, era il solo piano interrato.

Controverso è, pertanto, il ripristino mediante eliminazione del piano interrato che l’appellante ritiene di aver eseguito: circostanza avversata dai resistenti

Circa tale questione, come anticipato, il Collegio riteneva di disporre una verificazione i cui esiti, come si illustrerà, consentivano l’acquisizione degli elementi necessari alla presente decisione.

Sempre ai fini di un corretto inquadramento della presente controversia, e rinviando alle considerazioni che seguiranno, deve prendersi atto che l’edificio residenziale del -O-non è completato essendo stato realizzato (oltre al vano interrato, da valutare se ripristinato o meno) il solo primo piano fuori terra, peraltro al grezzo con la conseguenza che, allo stato, superfici e volumi non eccedono ancora i limiti assentiti.

Come già ampiamente evidenziato, la vicenda edilizia oggetto del presente giudizio determinava un articolato contenzioso che, nei limiti di quanto d’interesse ai presenti fini, sfociava in tre giudizi di impugnazione definiti in primo grado dal T con tre distinte sentenze.

Dapprima (vicenda oggetto dell’appello n. 2345/2020) venivano contestati il rigetto dell’accertamento di conformità richiesto dal -O-per la regolarizzazione delle difformità riscontrate dall’amministrazione in sede di sopralluogo e la conseguente ordinanza di demolizione del piano sottostrada (n. 7/2003).

In un secondo tempo venivano censurati i plurimi provvedimenti che, nel delineato sviluppo procedimentale, determinavano il definitivo diniego della conformità paesaggistica dell’intervento, che seguiva l’espressione di un primo parere favorevole (vicenda oggetto degli appelli n. 2346/2020 e n. 2348/2020).

Sintetizzati nei suesposti sensi i termini della controversia, deve preliminarmente procedersi alla riunione dei tre appelli stante l’unicità della vicenda che ne costituisce oggetto e la parziale identità delle parti.

È, infatti parte di tutti e tre i giudizi, oltre all’appellante, anche la Regione;
i proprietari confinanti sono costituiti nei soli giudizi 2345/2020 e 2348/2020 e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è parte nel solo giudizio n. 2348/2020

Di seguito le molteplici censure formulate dall’appellante verranno scrutinate seguendo lo sviluppo cronologico della vicenda e non l’ordine di proposizione dei tre appelli.

PRIMO APPELLO (n. 23 di ruolo)

Con l’appello n. 2345/2020, come espressamente precisato, la sentenza è contestata nella parte in cui afferma che « parimenti infondati sono i primi motivi aggiunti, proposti contro l’ordinanza n. 35/2012 del 20.08.2012 di riduzione in pristino delle opere abusive sia nella parte relativa all’illegittimità derivata dalle già esaminate censure mosse al diniego di accertamento di conformità (integralmente riproposte) sia nella parte riguardante la formulazione di autonome doglianze in merito alla pretesa impossibilità per il Comune di ingiungere la demolizione dei manufatti abusivi a causa dell’avvenuta presentazione di domanda di sanatoria in data 29.07.2009 ex art. 36 del DPR n. 380/2001 e della mancata pronuncia dell’Amministrazione su di essa ».

Le censure di parte appellante sono sviluppate in un unico capo di impugnazione con il quale è dedotta la « Erroneità della sentenza appellata n. 10315/2019 per errata od omessa applicazione dell’art. 35 c.p.a., anche in relazione all’art. 34 c.p.a., con difetto di istruttoria, nell’esame e nella valutazione dei documenti di causa, con violazione dell’art. 64 c.p.a., e delle pronunce giurisdizionali già rese nella medesima questione ».

A sostegno della pretesa erroneità della sentenza l’appellante espone di aver proceduto al ripristino dei luoghi e di averne fornito prova avendo depositato in giudizio:

a) la nota della Regione Lazio, Direzione Territorio, Area Vigilanza Urbanistico-Edilizia e Contrasto dell’abusivismo del 4 aprile 2016 ove si afferma che si sarebbe perfezionata la riduzione in pristino delle porzioni di manufatto eseguite in difformità dalla C.E. n. 10/2001;

b) l’ordinanza 11 aprile 2017, proc. esec. pen. n. 120/2016, resa dal Giudice dell’Esecuzione Penale del Tribunale di Viterbo con la quale si accerta l’avvenuta rimozione della difformità contestate e viene revocata la precedente ordinanza di demolizione;

c) la sentenza 14 luglio 2017, n. 34548-17, della Terza Sezione Penale della Suprema Corte Cassazione che confermerebbe l’avvenuto ripristino dei luoghi, accertato dal Tribunale Penale di Viterbo, dichiarando, per l’effetto, la sopravvenuta carenza d’interesse all’esecuzione dell’originario ordine penale di rimessione in pristino;

d) la perizia tecnica dell’Ing. -O-, CTU del Tribunale Penale di Viterbo nel giudizio n. 15229/04 che riteneva ripristinabili le difformità contestate all’odierno appellante, secondo il progetto dallo stesso eseguito;

e) la nota dell’Arch. -O-, proprio tecnico di parte.

In sintesi, con il presente appello l’appellante afferma l’interesse a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui, « a fronte del comprovato, avvenuto, totale e fedele ripristino dello stato dei luoghi, in conformità col titolo edilizio ritualmente rilasciato » il T non dichiarava « inammissibile il ricorso, ed in specie i primi motivi aggiunti, stante l’evidente sopravvenuta carenza d’interesse alla delibazione nel merito di un gravame avente ad oggetto difformità in toto già ripristinate ».

Il fondamento del proprio interesse a tale pronuncia viene specificato nella circostanza che il rigetto dell’accertamento di conformità determinerebbe quale conseguenza l’efficacia della misura demolitoria, nella specie dell’ordinanza n. 35/2012 del 20 agosto 2012, « sia pur su un piano solo formale … sebbene già da tempo si fosse, in concreto, proceduto all’integrale riduzione in pristino di quelle difformità ».

Il pregiudizio che sorregge l’interesse viene specificato nel fatto che, gravando sull’immobile un provvedimento sanzionatorio formalmente ineseguito, non sarebbe possibile procedere all’ultimazione dell’edificio né alla futura commercializzazione dello stesso.

Il T avrebbe quindi errato nel non rilevare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione avendo l’appellante provveduto al completo ripristino delle difformità edilizie contestate sicché « finanche ove il suo ricorso fosse stato accolto, egli non ne avrebbe tratto alcuna utilità ».

La sentenza, pertanto, a parere dell’appellante dovrebbe essere « annullata e/o riformata, sia pur al sol fine di dichiarare la sopravvenuta carenza d’interesse dell’appellante alla decisione del ricorso di prime cure ».

Le suesposte contestazioni impongono lo scrutinio della controversa questione riferita all’esecuzione del ripristino.

Ai fini di una più agevole comprensione delle articolate censure formulate dall’appellante anche nei successivi appelli, si rende opportuno effettuare un sintetico richiamo agli esiti della CTU disposta nel parallelo giudizio penale, nonché, alle conclusioni cui perviene il Verificatore in questa sede incaricato (che il Collegio ritiene di recepire).

ESITI DELLA CTU DISPOSTA IN SEDE PENALE

Come anticipato, in parallelo alla descritta vicenda amministrativa, giungeva a definizione anche il contenzioso penale con la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 2629/2008 cui seguiva il procedimento di esecuzione dinanzi al Tribunale di Viterbo.

In detta sede veniva disposta una CTU per accertare la possibilità di procedere alla demolizione dell’abuso con salvezza delle parti legittime del manufatto.

Il perito incaricato, premesso che non era possibile « comprendere » l’andamento altimetrico ante operam del lotto compreso fra due strade poste a quote diverse (per un dislivello pari a 4 metri), evidenziava che:

- l’art. 2 delle N.T.A. del P.R.G. approvato dalla Giunta regionale con delibera n. 1825/1982 e relativa variante generale approvata con delibera n. 835/2005, stabilisce che « qualsiasi costruzione situata sul terreno in pendio non può sviluppare un volume abitabile fuori terra maggiore di quello realizzabile sullo stesso terreno se pianeggiante »;

- il « progetto assentito prevedeva la sistemazione del terreno all’intorno edificio su di un piano orizzontale corrispondente alla quota di calpestio del piano terra e alla quota del marciapiede sulla strada » che esprime l’andamento del terreno nord-sud ma senza indicazioni ulteriori circa la sistemazione del terreno sul piano ortogonale est-ovest;

- l’art. 167, comma 4, lett. a) dispone che « l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati »;

- la circolare n. 33 del 26 giugno 2009 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali stabilisce che costituisce volume « qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto, ad esclusione dei volumi tecnici ».

Il Perito evidenziava, altresì, che il progetto di ripristino presentato il 29 luglio 2009 prevedeva l’interramento del piano sottostrada mediante riporto di terreno tutt’intorno apportando le seguenti modifiche:

- riduzione della larghezza dell’edificio dal m. 16,5 a m. 16,1;

- riduzione della profondità da m. 12,5 a m. 11,7;

- riduzione dell’altezza interna oltre che dell’ingombro in pianta.

Tuttavia, il perito afferma che la riduzione in pianta « sembrerebbe irrealizzabile in quanto: o le modifiche resterebbero solo sulla carta;
oppure si dovrebbe procedere a demolizione almeno parziale della parte fuori terra
».

Il rispetto di quanto prescritto dall’art.

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