Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-03-26, n. 202402867
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Pubblicato il 26/03/2024
N. 02867/2024REG.PROV.COLL.
N. 06560/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6560 del 2021, proposto da
M S e L S, rappresentati e difesi dagli avvocati M C, M N e M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M C in Roma, via Giovanni Antonelli, n. 49;
contro
Comune di Braies, non costituito in giudizio;
Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati J S e L G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Susanna Masetti, Nicola Todaro Marescotti, Karl Putzer e Maurizio Lorenzon, rappresentati e difesi dagli avvocati Andrea Manzi, Dieter Schramm e Franz Complojer, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Manzi in Roma, via Alberico II, n. 33;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - SEZIONE AUTONOMA DI BOLZANO n. 00128/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Bolzano e di Susanna Masetti, Nicola Todaro Marescotti, Karl Putzer e Maurizio Lorenzon;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. S L V e uditi per le parti gli avvocati Lorenzo Coleine in sostituzione dell'avv. M C, L G e Gaia Stivali in sostituzione degli avvocati Andrea Manzi e Dieter Schramm;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La presente controversia ha ad oggetto l’impugnazione del permesso di costruire rilasciato a favore degli odierni appellanti dal Comune di Braies con provvedimento 4.9.2020 n. 1.
Con tale titolo abilitativo, rilasciato a seguito di parere positivo con prescrizioni della Commissione comunale per il territorio ed il paesaggio, è stato autorizzato il progetto di demolizione di un edificio esistente, di proprietà dei medesimi appellanti, situato sulla p.ed. 340 CC Braies, nonché la sua ricostruzione, con volumetria ampliata, sulla p.f. 881/2 CC Braies situata a circa 2 km di distanza.
Il permesso è stato adottato sulla base dell’art. 17, comma 4, terzo periodo, della Legge provinciale n. 9/2018, nella versione ratione temporis vigente, che dispone che “[l]a ricostruzione in posizione diversa nello stesso Comune e nella posizione adatta più vicina è ammissibile soltanto se la posizione originaria è oggetto di un divieto di edificazione per motivi di tutela del paesaggio o per la presenza di pericoli naturali o per ovviare a situazioni di pericolo lungo infrastrutture pubbliche ed è subordinata al previo parere vincolante della Commissione comunale per il territorio e il paesaggio”.
Nel caso di specie, l’amministrazione comunale, in accoglimento dell’istanza dei privati e sulla scorta di un parere reso dal Servizio strade della provincia autonoma di Bolzano, ha ravvisato la sussistenza di una situazione di pericolo “lungo le infrastrutture pubbliche”.
2. Con il ricorso introduttivo di primo grado i privati odierni appellati, proprietari di immobili posti in situazione limitrofa al fondo in cui è stata autorizzata la ricostruzione dell’edificio, hanno impugnato il titolo abilitativo, ed i relativi atti presupposti, lamentando l’incidenza negativa sul paesaggio che avrebbe la nuova costruzione e, di conseguenza, la conseguente sensibile svalutazione dei propri immobili.
Con il ricorso di primo grado, successivamente integrato da un ricorso per motivi aggiunti, i ricorrenti hanno articolato complessivamente diciassette motivi di censura, chiedendo l’annullamento degli atti impugnati nonché il risarcimento del danno asseritamene subito quantificato in 1.000.000 di euro.
Il T.R.G.A. di Bolzano, con la sentenza oggetto dell’odierno appello, ha parzialmente accolto il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti ed ha annullato i provvedimenti impugnati e rigettato la domanda di risarcimento dei danni per mancanza di prova.
3. Con il gravame proposto gli odierni appellanti hanno articolato dieci motivi di censura avverso la sentenza di primo grado chiedendone l’integrale riforma.
I motivi sono rubricati come segue:
1. “Rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e di interesse, capi della sentenza da n. 55 fino a 77. Travisamento dei fatti, difetto di motivazione, violazione/falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., violazione/falsa applicazione dell’art. 832 c.c.”.
2. “Accoglimento del motivo di ricorso 1, l’asserita insussistenza della situazione di pericolo, capi della sentenza da 79 fino a 106, violazione/falsa applicazione dell’art. 17 legge provinciale n. 9 del 10.07.2018, violazione/falsa applicazione dell’art. 26 DPR 16.12.1992, n. 495 (codice della strada), travisamento dei fatti”.
3. “Accoglimento del motivo di impugnazione 2, asserita incompetenza del servizio strade a valutare la situazione di pericolo, asserita mancanza di valutazione del pericolo da parte della commissione comunale per il territorio e il passaggio, capi della sentenza da 107 fino a 119. Travisamento dei fatti, violazione/falsa applicazione dell’art. 17, comma 4 L.P. n. 9/2018”.
4. “Accoglimento del motivo d’impugnazione 3 in merito alla posizione più adatta alla ricostruzione, capi della sentenza da 120 a 132. Violazione/falsa applicazione dell’art. 17, comma 4, L.P. 9/2018, travisamento di fatti”.
5. “Accoglimento dei motivi d’impugnazione 4 e 5 in merito alla questione sull’aumento del numero di edifici, capi della sentenza da 133 a 143. Violazione/falsa applicazione dell’art. 17, comma 4 e comma 5, L.P. 9/2018, travisamento di fatti”.
6. “Accoglimento del motivo di impugnazione 5 come integrato dal motivo di impugnazione 15 sulla effettiva destinazione d’uso dell’edificio esistente sulla p.ed. 340 e sull’istruttoria del comune a riguardo, capi della sentenza n. 144 fino a 166, violazione/falsa applicazione dell’art. 17, comma 4 L.P. 9/2018, travisamento di fatti”.
7. “Accoglimento del motivo di impugnazione 6 (spostamento con ampliamento), 8 (in materia di accertamento sul mantenimento della destinazione d’uso) e 16 (sulla preesistenza nel demolendo edificio di almeno 300 m3 con destinazione abitativo e l’applicazione cumulativa del comma 4 e del comma 5 art. 17 L.P. 9/2018), capi della sentenza n. 167 fino a 182, violazione/falsa applicazione dell’art. 17, comma 4 e comma 5 L.P. 9/2018, travisamento di fatti”.
8. “Accoglimento del motivo di impugnazione 9 sul bonus cubatura, capi della sentenza da n. 183 fino a 189, violazione/falsa applicazione della delibera della giunta provinciale n. 964/2014, in particolare del punto 2”.
9. “Accoglimento del motivo di impugnazione 14 sull’incarico di progettista conferito ad un geometra, capi della sentenza da 212 fino a 226, violazione/falsa applicazione dell’art. 16 RD 11.02.1929, n. 274, violazione/falsa applicazione dell’art. 64 DPR 06.06.2001, n. 380, travisamento di fatti, difetto di motivazione”.
10. “Condanna alla rifusione delle spese di lite, capo 250 della sentenza, error in iudicando, violazione/falsa applicazione dell’art. 26 D.Lgs. 02.07.2010, n. 104, difetto di motivazione”.
Si sono costituiti, al fine di resistere all’appello, le parti private vittoriose in primo grado nonché la provincia autonoma di Bolzano. Il comune di Braies non si è costituito in giudizio.
All’udienza pubblica del 21 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo gli appellanti censurano la sentenza laddove ha rigettato l’eccezione, dai medesimi proposta, con cui si lamentava il difetto di legittimazione e di interesse al ricorso dei ricorrenti in primo grado.
Sostengono gli appellanti che:
- non sarebbe dimostrata la riduzione di appetibilità commerciale degli immobili delle controparti e, comunque, non sarebbe provata la loro volontà di vendere detti beni;
- l’erigendo edificio degli odierni appellanti non toglie né aria né luce ai ricorrenti di primo grado e non viola in alcun modo le distanze tra edifici;
- la semplice circostanza di una riduzione della visuale non può, laddove siano rispettate le norme pubblicistiche sulle distanze, costituire un pregiudizio giuridicamente rilevante per fondare l’interesse a ricorrere.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti di primo grado, odierni appellati, erano legittimati a proporre il ricorso essendo proprietari di immobili situati in posizione limitrofa rispetto al fondo ove dovrebbe sorgere l’immobile degli odierni appellanti e, pertanto, correttamente il primo giudice ha ritenuto sussistente il requisito della vicinitas , inteso quale stabile collegamento dei ricorrenti con l’area oggetto dell’intervento ed idoneo a differenziare la loro posizione rispetto alla generalità dei consociati.
Correttamente, inoltre, il primo giudice ha ritenuto sussistente anche l’interesse al ricorso dal momento che, come emerge dal progetto approvato dall’amministrazione comunale nonché dalle simulazioni grafiche prodotte in giudizio (doc. 10 prodotto dai ricorrenti in primo grado) – e, comunque, la circostanza non è contestata dagli odierni appellanti – l’opera da realizzare avrà un impatto negativo sulla visuale del panorama paesaggistico godibile dagli immobili degli odierni appellati. Ne consegue il deprezzamento del valore di tali proprietà desumibile sulla base di massime di esperienza in ordine al funzionamento del mercato immobiliare.
La circostanza per cui la nuova costruzione rispetti le distanze minime previste dalla normativa vigente non elide l’interesse al ricorso dei ricorrenti di primo grado, i quali possono tutelare la propria situazione di interesse legittimo facendo valere l’illegittimità dei provvedimenti impugnati sotto profili diversi e ulteriori rispetto a quelli relativi alle distanze di legge tra edifici.
Sussistono, quindi, entrambe le condizioni dell’azione della legittimazione e dell’interesse al ricorso (sulla necessità di entrambi tali requisiti in materia di impugnazione dei titoli edilizi cfr. Cons. St., Ad Plen., 9 dicembre 2021, n. 22) e, pertanto, il primo motivo deve essere rigettato con conferma sul punto della sentenza del T.R.G.A.
2. Con il secondo ed il terzo mezzo, che possono esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, gli appellanti censurano la sentenza laddove ha ravvisato un difetto di istruttoria in ordine alla situazione di pericolo che giustifica la demo-ricostruzione assentita dal Comune nonché laddove avrebbe ravvisato un difetto di competenza del Servizio strade dell’amministrazione provinciale nel condurre tale valutazione.
Sostengono gli appellanti che:
- la situazione di pericolo è dimostrata dalla stessa circostanza per cui l’edificio preesistente si trova sul ciglio di una strada;
- non vi è un obbligo normativo che imponga lo svolgimento di un formale sopralluogo in quanto le istanze di rilascio di concessione edilizia vengono trattate e decise in base alla documentazione a corredo della istanza di parte;
- l’amministrazione ha comunque chiesto e ricevuto un parere al Servizio strade dell’amministrazione provinciale in ordine alla situazione di pericolo e, anche se la nuova legge provinciale non prevede più l’obbligatorietà di detto parere, lo stesso costituisce una valida fonte valutativa.
Il motivo è infondato.
Come esposto nella parte in fatto, il progetto impugnato si fonda sul presupposto per cui sussisterebbe una “situazione di pericolo lungo infrastrutture pubbliche” che rappresenta uno dei casi in presenza dei quali l’art. 17, comma 4, terzo periodo, della L.p. n. 9/2018 consente la demo-ricostruzione degli edifici in posizione diversa rispetto a quella preesistente, in deroga alle regole generali volte al contenimento del consumo di suolo. La medesima disposizione subordina il rilascio del titolo abilitativo al parere vincolante della Commissione comunale per il territorio e il paesaggio.
Correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto che, nel caso di specie, non emerge alcuna effettiva istruttoria svolta al fine di accertare la sussistenza della situazione di pericolo. Nel parere reso dal Servizio strade si legge che la richiesta formulata al medesimo ufficio in materia “è stata esaminata dai direttori tecnici del servizio strade della Provincia Autonoma di Bolzano il 20.04.2020” e che “[s]entita la relazione e la proposta del direttore d’ufficio territorialmente competente, in detta conferenza è stata confermata unanimemente la situazione di pericolo”. Il successivo parere della Commissione edilizia, avente natura obbligatoria e vincolate, nonché il provvedimento dell’amministrazione comunale con cui si è assentito l’intervento non contengono alcuna motivazione sul punto.
L’istruttoria svolta in ordine alla sussistenza di una situazione di pericolo e, di conseguenza, la motivazione degli atti impugnati appaiono carenti. Non emerge dagli atti quale sia il pericolo che l’amministrazione ha ritenuto sussistente (se, ad esempio, riguardi l’edifico o le persone che vi abitano ovvero le persone e i mezzi coinvolti nella circolazione stradale) e attraverso quali attività istruttorie e quali metodologie di indagine sia stato accertato. Correttamente il primo giudice ha osservato che l’istruttoria sarebbe dovuta partire dal circostanziato accertamento delle reali caratteristiche dell’edificio, per poi procedere secondo le regole tecnico-scientifiche all’esame e alla valutazione dell’incidenza dello stesso in correlazione con le specificità e peculiarità del luogo sulla sicurezza stradale, tenuto conto dei dati del traffico, della frequenza di pedoni e di eventuali incidenti già verificatesi. Si tratta, difatti, di una valutazione connotata da discrezionalità tecnica e che, pertanto, deve essere condotta dall’amministrazione nel rispetto delle regole scientifiche rilevanti e dando adeguatamente conto del percorso logico-motivazionale seguito.
La mera circostanza, attestata dalle fotografie allegate dai privati all’istanza presentata, per cui il fabbricato si trova sul ciglio della strada non può di per sé dimostrare l’esistenza di una situazione di pericolo. Né può prendersi in considerazione la documentazione prodotta dall’appellante in ordine ad un episodio di sinistro stradale verificatosi lungo il tratto di strada, dal momento che non è possibile sopperire in sede processuale ad una carenza dell’istruttoria che l’amministrazione avrebbe dovuto condurre.
Giova precisare, con riguardo al terzo motivo di appello, che il giudice di primo grado non ha ritenuto che il parere del Servizio strade sia illegittimo per un difetto di competenza di tale ufficio;difatti, può ritenersi che tale parere, sebbene non più obbligatorio, possa comunque essere acquisito dall’amministrazione procedente quale parere facoltativo. La sentenza del T.R.G.A., invece, motiva con riguardo al difetto di istruttoria e al difetto di motivazione degli atti in ordine all’accertamento della situazione di pericolo, evidenziando come, essendo previsto il parere vincolante della Commissione comunale territorio e paesaggio, tale parere deve necessariamente motivare anche in ordine alla sussistenza della situazione di pericolo. Né nel caso di specie può ritenersi che tale parere sia motivato per relationem sulla scorta delle valutazioni rese dal Servizio strade della provincia, dal momento che anche quest’ultimo parere è del tutto privo di motivazione.
In conclusione, stante il difetto di istruttoria e di motivazione degli atti impugnati in ordine all’accertamento della situazione di pericolo, e fatto salvo il riesercizio del potere da parte dell’amministrazione, il secondo ed il terzo motivo di appello devono essere rigettati, con conferma sul punto della sentenza del T.R.G.A.
3. Con il quarto motivo gli appellanti contestano la sentenza del T.R.G.A. laddove ha ritenuto gli atti illegittimi in ragione di un difetto di istruttoria circa l’individuazione della “posizione adatta più vicina”.
Sul punto il T.R.G.A., accogliendo la censura di difetto di istruttoria sollevata con il ricorso di primo grado, ha ritenuto che la disposizione di cui all’art. 17, comma 4, L. p. n. 9/2018, che consente la demo-ricostruzione nella “posizione adatta più vicina”, debba interpretarsi nel senso che “deve trattarsi di una vicinanza di livello oggettivo e urbanistico che prescinda dalla situazione soggettiva della disponibilità di terreni non soggetti al pericolo riscontrato”.
Gli appellanti contestano la sentenza ritenendo che la disposizione legislativa vada interpretata nel senso che si debba scegliere la posizione adatta più vicina considerando anche la disponibilità dell’area di atterraggio.
La censura è infondata e deve sul punto confermarsi la sentenza del T.R.G.A., sebbene con diversa motivazione.
Ritiene il Collegio che l’amministrazione chiamata a pronunciarsi sulle istanze dirette a realizzare una demo-ricostruzione, nel valutare l’idoneità del fondo “di atterraggio” individuato dagli istanti, sia chiamata a compiere una valutazione connotata da discrezionalità sia di natura tecnica che discrezionale. Difatti, l’espressione “posizione adatta più vicina” utilizzata dalla disposizione citata deve intendersi nel senso che l’amministrazione comunale deve anzitutto valutare, sulla base di regole tecniche, l’idoneità della posizione individuata ad ovviare alla specifica situazione di pericolo - nel caso di specie il ravvisato pericolo “lungo le infrastrutture pubbliche” - che giustifica l’intervento. È quindi corretta l’affermazione della sentenza di primo grado secondo cui la posizione adatta più vicina deve rapportarsi alla situazione di pericolo riscontrata.
Al tempo stesso, tuttavia, l’amministrazione è chiamata a valutare e bilanciare tra loro anche gli altri interessi coinvolti, tra cui quello dell’istante sotto il profilo della disponibilità, in capo al medesimo, del fondo ove si prevede la ricostruzione del bene. Da un punto di vista dell’interpretazione letterale, può osservarsi che la disposizione utilizza due aggettivi per definire la posizione da individuare, che deve essere “adatta” e “più vicina”, ed i due termini devono essere utilizzati congiuntamente al fine di ricavare la corretta esegesi della disposizione: il termine “adatto”, in particolare, rinvia a criteri di idoneità che l’amministrazione deve vagliare non solo con riguardo alla finalità, sopra menzionata, di rimozione del pericolo presente sul terreno originario ma anche con riguardo agli altri interessi coinvolti e, quindi, anche alla disponibilità soggettiva del fondo di atterraggio. Ragionando diversamente - e qui l’interpretazione letterale si salda a quella teleologica - si giungerebbe alla conclusione per cui l’unica posizione idonea per la ricostruzione sarebbe quella che consente di rimuovere il pericolo e in assoluto “più vicina”, senza possibilità per l’amministrazione di valutare se la stessa rientri nella disponibilità degli istanti o possa agevolmente essere acquisita dai medesimi. Una tale interpretazione vanificherebbe la finalità della norma, rendendo oltremodo stringenti i presupposti per effettuare la demo-ricostruzione e imponendo all’amministrazione di rigettare l’istanza del privato ogni volta in cui esista nel territorio comunale un qualsiasi fondo in assoluto più vicino a quello originario e ugualmente idoneo a rimuovere il pericolo. Del resto, anche l’evoluzione legislativa indica un margine di flessibilità nell’individuazione del fondo di “atterraggio”: mentre la previgente legge provinciale n. 13/1997, all’art. 107, comma 13-bis, prevedeva che la demo-ricostruzione potesse avvenire unicamente nello “stesso ambito territoriale”, l’art. 17, comma 4, della successiva legge provinciale n. 9/2018 stabilisce che la nuova posizione debba essere situata “nello stesso comune”.
In conclusione, a parziale correzione della motivazione della sentenza del T.R.G.A., deve affermarsi che, nell’individuazione della “posizione adatta più vicina”, l’amministrazione deve compiere una valutazione, connotata da discrezionalità tecnica e amministrativa, al fine di stabilire l’idoneità della posizione individuata dagli istanti ad ovviare alla situazione di pericolo riscontrata contemperando, al tempo stesso, i vari interessi coinvolti dall’intervento, anche sotto il profilo della disponibilità soggettiva del terreno “di atterraggio”.
Tanto chiarito in ordine all’interpretazione del dato legislativo, è infondato il motivo di appello dal momento che, nel caso di specie, dall’esame del parere della Commissione comunale per il territorio e il paesaggio e del provvedimento del comune, non si rinviene lo svolgimento di un’istruttoria in ordine alla individuazione della “posizione adatta più vicina” e, di conseguenza, gli atti nemmeno risultano motivati sul punto. Tale attività istruttoria e tale motivazione, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, risultano necessarie alla luce del dato legislativo che, come si è sopra detto, impone di compiere tali valutazioni nonché in considerazione delle regole generali in ordine alla motivazione dei provvedimenti amministrativi.
In conclusione, il quarto motivo di appello è infondato e deve sul punto confermarsi, con diversa motivazione, la sentenza del T.R.G.A., rimanendo salva l’eventuale successiva riedizione del potere amministrativo.
4. Con il quinto motivo la sentenza gravata viene censurata nella parte in cui ha ritenuto che il progetto presentato dagli odierni appellanti preveda la costruzione di due edifici distinti, in violazione del divieto - previsto dall’art. 17, comma 4, L. p. n. 9/2018 - di ampliare il numero di edifici nel caso di demo-ricostruzione.
Gli appellanti sostengono che il progetto dai medesimi presentato preveda la realizzazione di un unico edificio composto da due unità abitative dotate di un piano interrato unico, in cui si trova un unico locale per l’impianto di riscaldamento comune, nonché la realizzazione fuori terra di un c.d. carport coperto che collega le due unità e di un unico accesso per i veicoli.
Il motivo è infondato.
Come evidenziato dal T.R.G.A., il progettato intervento consiste nella realizzazione di due unità immobiliari strutturalmente autonome, aventi in comune nel piano interrato unicamente un vano per il riscaldamento, con deposito pellet, rimanendo le cantine accessibili distintamente per ciascuna unità. Le due abitazioni, con separate entrate e separati giroscale, sono costituite poi ciascuna da due piani abitativi (giorno e notte), un piano sotterraneo adibito a cantine e un piano sottotetto adibito a stanza degli hobby/studio. L’unico collegamento fuori terra è una tettoia a copertura di due posti auto all’aperto.
Occorre, dunque, verificare se le due unità abitative rappresentino anche due distinti edifici ai fini di cui all’art. 17, comma 4, L. p. n. 9/2018.
La nozione di “edificio” può essere rinvenuta alla voce 32, dell'allegato A, del regolamento edilizio-tipo di cui al D.P.C.M. 20 ottobre 2016, id est "[c]ostruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo".
Nel caso di specie ricorrono tali caratteristiche per ciascuna delle due unità abitative di cui è prevista la costruzione e che, pertanto, rappresentano distinti edifici.
In particolare, non è in discussione che entrambe le costruzioni siano tra loro separate da strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto. Né l’indipendenza funzionale viene meno in considerazione delle strutture che le due unità hanno in comune (locale interrato, impianto di riscaldamento, carport destinato al ricovero delle macchine, entrate carrabili comuni), dal momento che si tratta di strutture aventi carattere ancillare e che non condizionano significativamente la possibilità di godimento autonomo di ciascuna delle due strutture. Tale conclusione si raggiunge anche alla luce della ratio della norma di cui all’art. 17, comma 4, L. p. n. 9/2018, volta a limitare il consumo di suolo e a consentire la demo-ricostruzione solo in casi eccezionali, che impone di interpretare in modo stringente il divieto di aumentare il numero di edifici.
In conclusione, il quinto motivo di appello deve essere rigettato con conferma sul punto della sentenza impugnata.
5. Con il sesto motivo gli appellanti censurano la sentenza laddove ha ravvisato un difetto di istruttoria ed una violazione di legge in ordine alla destinazione d’uso dell’edificio preesistente.
Sul punto, il T.R.G.A. ha ritenuto, sulla base di documentazione depositata in giudizio (planimetria catastale e certificato di abitabilità), che una parte dell’edificio esistente fosse destinata a laboratorio e, pertanto, dal momento che per il nuovo edificio è stata prevista esclusivamente la destinazione residenziale, ricorrerebbe una violazione dell’art. 17, comma 4, L. p. n. 9/2018 che, in caso di demo-ricostruzione, impone che il nuovo edificio abbia la medesima destinazione d’uso del preesistente.
Gli odierni appellanti censurano la sentenza ritenendo che non abbia considerato ulteriori decisivi elementi probatori, quali il libro maestro del libro fondiario nonché dichiarazioni di parte dai medesimi depositate nel giudizio di primo grado, che militerebbero per la destinazione ad abitazione dell’intero edificio da demolire.
Il motivo di appello è infondato e la sentenza del T.R.G.A. deve sul punto essere confermata con diversa motivazione.
Anche con riferimento alla presente censura, gli atti dell’amministrazione comunale nonché il parere della Commissione edilizia provinciale non riportano alcuna istruttoria e alcuna motivazione in ordine alla individuazione della destinazione d’uso dell’edificio da demolire.
Dal momento che la legge provinciale di cui si fa applicazione prevede espressamente che la demo-ricostruzione possa avvenire con la medesima destinazione d’uso, anche in questo caso l’amministrazione, nell’assentire il progetto presentato dai privati, avrebbe dovuto verificare la correttezza della destinazione d’uso che i medesimi hanno inteso assegnare all’edificio da costruire.
Stante l’assenza di tale istruttoria e la complessità degli accertamenti da svolgere, ritiene il Collegio preferibile che detta istruttoria venga svolta in primo luogo dall’amministrazione a ciò preposta. Pertanto, a correzione della motivazione della sentenza di primo grado, questo giudice intende limitarsi a confermare l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, con salvezza del riesercizio del potere, senza stabilire fin d’ora, in sede processuale, quale sia la destinazione d’uso della preesistenza.
In conclusione, il sesto motivo viene respinto con conferma sul punto, con diversa motivazione, della sentenza impugnata e con salvezza del riesercizio del potere.
6. Con la settima censura gli appellanti ritengono erronea la sentenza di prime cure laddove ha escluso che l’immobile da realizzare possa avere una volumetria maggiore rispetto alla preesistenza sulla base di quanto previsto dall’art. 17 L.p. n. 9/2018.
Gli appellanti ritengono che, dal momento che la legge provinciale prevede la possibilità di ampliamento nelle ipotesi in cui la demo-ricostruzione è consentita nel raggio di 40 mt, questa soluzione, alla luce del principio di uguaglianza, dovrebbe essere possibile anche nel caso in cui la demo-ricostruzione avvenga a maggiore distanza.
Il motivo di appello è infondato.
La normativa rilevante in materia si rinviene sempre all’art. 17 della l.p. n. 9/2018 che pone una serie di previsioni in materia di contenimento del consumo di suolo. Il comma 4 di tale art. 17 disciplina le ipotesi in cui è ammissibile la demo-ricostruzione mentre il successivo comma 5 del medesimo articolo disciplina le ipotesi in cui è possibile ampliare il volume degli edifici.
L’art. 17, comma 4, secondo e terzo periodo, della l.p. n. 9/2018, nella versione ratione temporis vigente, prevede che “[l]a demolizione di edifici esistenti e la loro ricostruzione sono ammesse nella stessa posizione o ad una distanza non superiore a 40 metri e con la stessa destinazione d'uso e, a meno che non sussistano motivi igienico-sanitari, senza aumento del numero di edifici. La ricostruzione in posizione diversa nello stesso Comune e nella posizione adatta più vicina è ammissibile soltanto se la posizione originaria è oggetto di un divieto di edificazione per motivi di tutela del paesaggio o per la presenza di pericoli naturali o per ovviare a situazioni di pericolo lungo infrastrutture pubbliche ed è subordinata al previo parere vincolante della Commissione comunale per il territorio e il paesaggio”.
L’art. 17, comma 5, terzo periodo, nella versione ratione temporis vigente, stabilisce che “[l]’ampliamento può anche essere eseguito in sede di demolizione e ricostruzione nella stessa posizione e con la stessa destinazione d’uso, senza aumento del numero di edifici”.
Come si vede, la disposizione ammette l’ampliamento di volumetria solo in caso di demo-ricostruzione “nella stessa posizione”. Nessuna possibilità di ampliamento è quindi ammessa in caso di ricostruzione in posizione diversa.
Tale previsione non è irragionevole e non viola il principio di uguaglianza, dal momento che la demo-ricostruzione in posizione diversa è consentita in ipotesi tassative – nel caso di specie per ovviare a “pericoli lungo le infrastrutture pubbliche” – al ricorrere delle quali il legislatore provinciale, al fine di perseguire la finalità di contenimento del consumo di suolo, esclude un ampliamento del volume che andrebbe ad aumentare il carico urbanistico di una zona diversa.
Deve precisarsi che l’art. 17, comma 5, terzo periodo, cit., a seguito dell’adozione del provvedimento oggetto del presente giudizio, ha subito successive novelle - che, comunque, limitano le possibilità di ampliamento in caso di demo-ricostruzione a distanza maggiore di 40 mt - che non rilevano ratione temporis nel presente giudizio stante il principio tempus regit actum .
In conclusione il settimo motivo è infondato dovendosi sul punto confermare la sentenza del T.R.G.A.
7. Con l’ottavo motivo gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittima l’attribuzione a loro favore del “bonus cubatura” di cui alla delibera della Giunta provinciale n. 964/2014.
La sentenza del T.R.G.A. fa discendere tale esclusione dalle previsioni di cui all’art. 2 di detta delibera che esclude il “bonus cubatura” nei casi di demo-ricostruzione realizzata per ovviare a pericoli lungo le infrastrutture rinviando a tal fine alla disciplina della previgente l.p. n. 13/1997. Gli appellanti ritengono errata l’interpretazione del primo giudice dal momento che tale legge è stata abrogata.
Il motivo è infondato.
La delibera provinciale n. 964/2014 all’art. 2 disciplina la possibilità di aumento di cubatura nel caso in cui i nuovi edifici rispettino determinate classi climatiche. Detto articolo 2, dopo aver previsto in generale l’applicazione di tale bonus ai nuovi edifici, all’ultimo paragrafo prevede che “[s]i può usufruire del bonus energia anche nel caso di ricostruzione in altra sede nel verde agricolo per motivi di pericolo ai sensi dell’articolo 107, comma 13/bis, lettera a), della legge urbanistica provinciale, qualora nel piano delle zone di pericolo sia documentata la sussistenza di un pericolo elevato o molto elevato nella sede originaria. Anche in questo caso è richiesta l’esistenza legale dal 12 gennaio 2005 di almeno 300 m³ di cubatura fuori terra destinata già da tale data prevalentemente ad uso abitativo”.
Pertanto, la delibera prevede la possibilità di usufruire del bonus nel solo caso di cui all’art. 107, comma 13/bis, lettera a), della previgente legge urbanistica provinciale n. 13/1997 ( id est nei casi “di costruzioni esistenti su aree sottoposte a divieto di edificazione per la tutela del paesaggio o per le ragioni di cui al comma 3 dell'articolo 66”) e, peraltro, la delibera provinciale restringe l’applicabilità del bonus ai soli casi di “pericolo elevato o molto elevato nella sede originaria”. Diversamente, sono escluse dal bonus energia le ipotesi di cui alla successiva lett. b) del medesimo comma 13/bis cit., id est nel caso in cui la demo-ricostruzione avvenga “per eliminare situazioni di pericolo lungo infrastrutture pubbliche”, fattispecie in cui ricade l’intervento oggetto del presente scrutinio che, pertanto, non presenta le caratteristiche per fruire del bonus.
Rimane irrilevante la circostanza per cui la delibera n. 964/2014 faccia riferimento all’art. 107 della l.p. n. 13/1997 successivamente abrogata. Le ipotesi di demo-ricostruzione di cui all’art. 107 cit. sono state trasfuse, difatti, all’art. 17 della successiva l.p. n. 9/2018 ed il rinvio operato dalla delibera del 2014 deve intendersi come mobile e non fisso. Difatti, la ratio della delibera provinciale era quella di escludere aumenti di cubatura in caso di demo-ricostruzione operata per ovviare a pericoli lungo le infrastrutture pubbliche, non potendosi in tal caso aumentare il carico urbanistico ma dovendosi limitare l’intervento a quanto necessario per eliminare il pericolo.
In conclusione il motivo n. 8 deve essere rigettato con conferma sul punto della sentenza impugnata.
8. Con il nono motivo gli appellanti contestano la sentenza del T.R.G.A. laddove ha accolto la censura avanzata con il ricorso di primo grado secondo cui il progetto sarebbe stato redatto da un geometra e non da un tecnico abilitato alla progettazione di opere in conglomerato cementizio.
Alla luce dell’esito del presente giudizio che comporta, quale effetto finale, l’annullamento degli atti impugnati con il ricorso di primo grado, la questione non ha più rilevanza dal momento che sarà onere degli odierni appellanti presentare eventualmente un nuovo progetto.
Di conseguenza, a modifica della motivazione della sentenza impugnata, la questione sollevata con il ricorso di primo grado relativa al soggetto che ha eseguito la progettazione delle opere può essere assorbita.
9. Con il decimo motivo gli appellanti censurano la sentenza laddove ha liquidato le spese di lite a carico delle parti resistenti in giudizio secondo la regola della soccombenza, mentre avrebbe dovuto procedere alla compensazione delle stesse in ragione della soccombenza reciproca e della novità della questione.
Il motivo è infondato.
Il primo giudice ha posto a carico delle parti resistenti le spese di lite complessivamente quantificate in euro 6.000,00 oltre accessori, di cui euro 2.000,00, oltre accessori, a carico degli odierni appellanti.
Tale decisione è ragionevole e conforme a legge.
Gli odierni appellanti, difatti, nel giudizio di primo grado sono risultati soccombenti con riguardo alla domanda di annullamento degli atti formulata dalle controparti, mentre sono risultati vittoriosi con riguardo alla domanda risarcitoria.