Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-16, n. 202203807

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-16, n. 202203807
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202203807
Data del deposito : 16 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/05/2022

N. 03807/2022REG.PROV.COLL.

N. 01811/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1811 del 2017, proposto da
BA.LU.MA. s.a.s. di Bassanelli A. &
C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati L G e M O, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L G in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 103;

contro

Comune di Grassobbio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S C in Roma, via Appia Nuova, n. 225;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) n. 1135/2016, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Grassobbio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2022 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso del 2015, la società BA.LU.MA. ha impugnato dinanzi al Tar della Lombardia:

a) il provvedimento del responsabile dell’Area Urbanistica ed Ecologia del Comune di Grassobbio, prot. n. 397, del 13 gennaio 2015, avente ad oggetto “Diniego dell’istanza di permesso di costruire parzialmente in sanatoria depositata in data 3.7.2014, prot. 0008168 p.e. 89/14” (istanza relativa alla “sanatoria per modifiche interne” delle unità immobiliari ubicate in via G. Marconi n. 14, identificate catastalmente al N.C.E.U. al foglio 11, mappale 1432 sub n. 11 e 12);

b) gli atti ad esso preordinati e/o conseguenti, fra cui la comunicazione del 30.9.2014 ex art.10- bis della l. 241/1990.

La società chiedeva anche il risarcimento dei danni patiti.

1.1. La società esponeva:

- di aver acquistato (in via Marconi, a Grassobbio) con due successivi atti, una porzione (e relative pertinenze) del complesso industriale "ex Lovable", realizzato mediante progressivi ampliamenti a partire dall’inizio degli anni '60 del secolo scorso;

- che la porzione di proprietà era costituita: da "un grande vano ufficio, con altri tre più piccoli vani, ripostiglio e accessori, con terrazzo esclusivo in lato nord ed est, al piano primo" del fabbricato principale, unità censita al mappale n. 1432 sub 12 e dall'unità immobiliare censita al mappale n° 1432 sub 11 al medesimo piano primo del fabbricato principale;

- che il complesso immobiliare, avente destinazione produttiva, era stato realizzato in data anteriore al l° settembre 1967, in forza delle licenze edilizie 18.5.1962 n. 104, 11.2.1965 n.62 e 29.7.1966 n. 43;

- che le due porzioni di unità acquistate dalla società erano state oggetto negli anni di vari interventi edilizi;

- che nel luglio 2014 la società (cessato il rapporto locatizio delle due unità immobiliari e rientrata nel pieno possesso delle stesse) aveva rilevato alcune "difformità rispetto alla distribuzione interna, indicata in alcuni elaborati grafici" e, di conseguenza, in vista della loro alienazione, aveva presentato domanda di permesso di costruire in sanatoria per regolarizzare "demolizioni e costruzioni di tavolati e pareti divisorie, realizzate in maniera difforme a quanto indicato nella comunicazione del 30/04/1992 ex art. 26 della l. 47/1995”;

- che l'intervento oggetto della domanda di sanatoria consisteva in opere di manutenzione straordinaria ammesse dall'art. 14 delle norme attuative del Piano delle Regole;

- che il Comune, con nota 30.9.2014 prot. n.1260, rilevata la mancanza di alcuni documenti, comunicava, ex art. 10- bis della l. 241/1990, che la domanda non poteva essere accolta perché l'unità immobiliare censita al mappale n. 1432 sub 12, unitamente alle scale e terrazzi, era stata costruita senza titolo edilizio e configurava un ampliamento e un sopralzo del fabbricato, non ammissibile senza preventivo piano attuativo;

- che il Comune, con provvedimento del 13.1.2015, prot. n. 397, aveva definitivamente respinto la domanda di sanatoria ritenendo gli uffici del subalterno 12 privi di titolo edilizio.

2. A fondamento dell’impugnativa venivano proposti i seguenti motivi di ricorso:

“Difetto di istruttoria. Travisamento dei fatti. Illogicità manifesta. Violazione dell'art. 36 del d.p.r. 380/2001 e dei principi di correttezza, buona fede e ragionevolezza”.

Dopo aver ricordato che gli uffici qualificati come abusivi erano stati costruiti prima del 1° settembre 1967, in forza delle licenze prima richiamate, si sosteneva che:

- il Comune, in tutte le occasioni in cui era stato chiamato a esaminare tanto lo stato di fatto quanto lo stato di progetto del fabbricato, aveva manifestato la volontà chiara e inequivoca di ritenere il corpo degli uffici legittimo tanto da consentirne, con provvedimenti formali, dapprima l'ampliamento e poi una serie di lavori interni;

- l'atto di diniego impugnato era espressione di un comportamento irragionevole e contrario ai principi di correttezza e di buona fede: la società aveva acquistato e disposto dell'unità immobiliare nella ragionevole convinzione della sua regolarità formale, facendo pieno e logico affidamento sui titoli edilizi e sulla condotta del Comune che, anche informato del frazionamento del complesso immobiliare ex Lovable ai fini della vendita, mai nulla aveva opposto o contestato alla società originaria proprietaria e successivamente sciolta.

2.1 La società sosteneva anche che l'illegittimità degli atti impugnati, la condotta comunale contraria ai principi di correttezza e di buona fede e la conseguente ingiustizia del danno arrecato alla ricorrente comportassero la condanna del Comune al risarcimento per equivalente del pregiudizio arrecato tenuto conto del danno emergente e del lucro cessante da connettersi sia al ritardo nella conclusione degli atti di disposizione del bene, impediti dall'asserito carattere abusivo degli uffici, sia alla illecita condotta del Comune che aveva indotto la stessa società ad acquistare un bene nella convinzione della sua conformità alla disciplina urbanistico-edilizia.

3. Con sentenza n. 1135/2016 il Tar per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, ha accolto parzialmente il ricorso e ha respinto le domande di risarcimento. In particolare il primo giudice ha sostenuto:

- (relativamente alla necessità del titolo edilizio) che, alla luce della disciplina rilevante, nell’intera storia dell’edificio in questione ogni ampliamento o modifica avrebbe dovuto basarsi su uno specifico titolo edilizio;

- (relativamente alla tesi della sanatoria implicita) che correttamente il Comune aveva affermato che non era possibile regolarizzare un abuso edilizio minore collocato all’interno di un abuso maggiore non ancora sanato;
e che, in generale, la sanatoria di un abuso edilizio non può derivare come conseguenza automatica dal decorso del tempo;

- (relativamente alla sanatoria degli abusi pregressi) che l’accertamento di un abuso edilizio pregresso non ha come esito inevitabile un ordine di demolizione e l’esecuzione coattiva dello stesso;
e che l’amministrazione è tenuta a risolvere due questioni preliminari: (a) se vi sia un interesse pubblico alla rimessione in pristino;
(b) qualora vi sia effettivamente un interesse pubblico attuale in questo senso, se sia possibile effettuare la rimessione in pristino senza pregiudizio per le opere eseguite in conformità;
che, nello specifico, il Comune aveva già escluso che vi fosse un interesse pubblico alla demolizione della porzione abusiva del complesso immobiliare, con conseguente applicabilità in via analogica della procedura di accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. 380/2001;
che una volta regolarizzate le opere abusive pregresse, avrebbero potuto essere esaminate le nuove domande di rilascio di un titolo edilizio, comprese quelle relative alla sanatoria di opere abusive più recenti inserite nel pregresso abuso edilizio;

- (relativamente ai profili di danno risarcibile) che entrambe le domande risarcitorie andavano respinte.

3.1. Alla luce delle predette considerazioni il primo giudice:

- ha accolto parzialmente il ricorso nel senso che il provvedimento impugnato è stato annullato, ma l’aspettativa della ricorrente a ottenere il titolo edilizio richiesto e a evitare la repressione dell’abuso edilizio pregresso era subordinata alla procedura di regolarizzazione;

- ha sostenuto che l’effetto conformativo della pronuncia vincolava il Comune a fissare un termine alla ricorrente per la presentazione della domanda di accertamento di conformità. Qualora un’istanza con questo contenuto fosse stata tempestivamente presentata, gli uffici comunali erano tenuti a concludere l’esame della stessa, con un provvedimento espresso, entro i successivi 90 giorni;

- ha sostenuto che nel provvedimento di sanatoria avrebbero potuto essere formulate prescrizioni vincolanti, dirette al migliore inserimento della volumetria nel contesto edificato e alla soluzione di problemi di conservazione delle strutture;
nel valutare se vi sia un interesse pubblico alla demolizione dell’abuso edilizio l’amministrazione avrebbe potuto ritenere che l’immobile potesse rimanere al suo posto con qualche modifica o adeguamento, come verosimilmente sarebbe stato imposto al privato fin dall’inizio, se fosse stato preventivamente chiesto il rilascio di un titolo edilizio.

4. Avverso la sentenza del Tar per la Lombardia ha proposto appello la società BA.LU.MA. per i motivi che saranno di seguito esaminati.

5. Il Comune di Grassobbio ha presentato appello incidentale sostenendo che la stessa sentenza deve essere annullata in quanto ha accolto parzialmente il ricorso (invece di respingerlo tout-court ), ed ha altresì tracciato – illegittimamente – l'iter procedimentale che il Comune avrebbe dovuto seguire nell'accertamento e nell'eventuale repressione degli abusi edilizi presenti nell'immobile di proprietà della società BA.LU.MA.

6. All’udienza del 21 aprile 2022 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

7. L’appello è fondato per quanto di ragione.

8. Con il primo motivo di appello si eccepisce la falsa applicazione dell’art. 31 della l. 1150/1942.

In particolare si contesta l’assunto secondo il quale prima del 1° settembre 1967 - e più precisamente dal 1942 - le nuove costruzioni e gli ampliamenti di costruzioni esistenti erano già soggette all’ottenimento del titolo edilizio, se ricadenti all’interno del centro abitato ovvero delle zone di espansione.

Si sostiene che:

- l’art. 31 della l. 1150/1942, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla l. 765/1967, imponeva la licenza edilizia « nei centri abitati ed ove esista il Piano Regolatore Comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7 »;

- nei comuni (come quello di Grassobbio) non soggetti all’obbligo di dotarsi di Piano Regolatore Generale ex art. 8, comma 2, l. 1150/1942, la licenza edilizia era obbligatoria esclusivamente nel “centro abitato” e non nelle “zone di espansione”;

- il Programma di Fabbricazione del 1961 dimostra sia che l’area in cui sorge il fabbricato era collocata in “zona semintensiva”, diversa e distinta dal centro abitato, sia che in Grassobbio non vigeva, all’epoca, alcun Piano Regolatore Generale;

- il fondo per cui è causa ricadeva, all’epoca, nella parte del territorio comunale completamente inedificata, posta ad Est dell’asse autostradale, a considerevole distanza dall’abitato di Grassobbio e che nella “zona semintensiva” non esisteva alcun aggregato di case continue e vicine.

Alla luce di queste considerazioni si censurano gli argomenti addotti dal primo giudice per sostenere che, nella specie, la costruzione necessitasse di licenza edilizia:

- il “centro abitato” che la legge urbanistica ha assoggettato all’obbligo di licenza sin dalla sua entrata in vigore non coincide affatto con le tutte zone regolate dai programmi di fabbricazione, e il fabbricato di cui si discute era fuori dal centro abitato;

- l’obbligo di licenza non esiste in tutte le aree di nuovo impianto, bensì soltanto in quelle ove esista il P.R.G.

Il motivo è fondato.

8.1 In termini generali, è noto che l’art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sul territorio comunale. Prima di allora, l’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 prevedeva tale obbligo limitatamente ai centri abitati, disponendo che: « chiunque intenda eseguire nuove costruzioni ovvero ampliare quelle già esistenti o modificare la struttura nei centri abitati e dove esiste il Piano Regolatore Comunale anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7 deve chiedere apposita licenza edilizia ». La definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci dovendosi fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione (Cons. Stato, Sezione VI, 21 febbraio 2022, n. 1222).

Nel caso di specie è indubbio che all’epoca in cui fu posto in essere l’asserito abuso originario il Comune fosse privo di Piano Regolatore e che, sulla base della documentazione prodotta dall’appellante, l’immobile de qua si trovasse in una zona chiaramente distinta dal centro abitato inteso in senso formale e sostanziale ( a quest’ultimo riguardo nell’accezione accolta da questa Sezione e prima richiamata).

Ne deriva che nessun abuso è configurabile nell’ipotesi in cui siano stati realizzati, senza titolo, interventi edilizi in area posta fuori dal centro abitato, in un momento storico in cui nessuna norma comunale prevedeva la necessità del titolo abilitativo fuori dal centro abitato. Tali opere sono legittime e pertanto il provvedimento di primo grado poggia su un presupposto erroneo.

8.2 Nella memoria prodotta in appello il Comune afferma: « a seguito di più approfondite ricerche in archivio, il Comune è stato in grado di reperire anche le norme tecniche del regolamento edilizio comunale approvato nel 1961. All'art. 1 di tale regolamento si legge: "Coloro che intendono eseguire opere edilizie ed altre opere con queste connesse, sia di nuovi impianti, sia di ampliamento di quelle esistenti e che, comunque, ne modifichino le strutture o l'aspetto, devono chiedere apposita licenza al Sindaco [...] La presente disposizione si applica a tutte le zone del territorio comunale". Il nuovo documento conferma quindi ciò che, invero, emergeva già dalla documentazione in atti: ossia che, nel comparto de qua, è sempre stato necessario il titolo edilizio ».

In proposito si deve considerare quanto segue:

a) il caso di specie è disciplinato dall’art. 31 della legge 1150/1942 nel testo prima richiamato. Tale testo àncora la necessità di dotarsi di licenza edilizia, nel periodo che qui rileva, a due elementi: l’esistenza di un P.R.G. e la localizzazione nel centro abitato. Dell’assenza di un P.R.G. e della localizzazione fuori dal centro abitato si è già detto. L’inciso estratto dal regolamento edilizio non è idoneo a modificare le conclusioni raggiunte. Il fatto che la disposizione del regolamento edilizio all’ultimo comma affermi che essa si applichi a tutte le zone del territorio comunale non fa venir meno quanto detto a proposito dei manufatti collocati fuori dai centri abitati;

b) in ogni caso l’allegazione è inammissibile ex art. 104 cod. proc. amm.. L’esistenza di tale norma (comunque non rilevante) era nota all’amministrazione: avrebbe dovuto essere posta a sostegno del provvedimento impugnato e delle difese svolte in primo grado.

8.3 Il Comune sostiene che cade sul privato e non sull’amministrazione l’onere di provare la data di realizzazione di un edificio, fornendo, quantomeno, elementi presuntivi in tal senso.

Il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale in tema di abusi edilizi, l'onere della prova in ordine all'epoca di realizzazione di un abuso gravi sull'interessato e non sul Comune, il quale, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla secondo la previsione normativa.

Tuttavia questa stessa prevalente opinione giurisprudenziale ammette un temperamento secondo ragionevolezza nel caso in cui il privato, da un lato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell'intervento prima del 1967 elementi non implausibili e, dall'altro, il Comune fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio, o con variazioni essenziali (Cons. Stato, Sezione VI, 19/10/2018, n. 5988).

Nel caso di specie esistono reali margini di dubbio circa il momento in cui i presunti abusi sono stati realizzati (la circostanza è stata rilevata anche dal primo giudice che l’ha superata semplicemente ritenendo che nella specie occorresse comunque un titolo edilizio: quest’ultima conclusione è stata disattesa da questo Collegio, ma resta la considerazione circa i margini di dubbio sulla datazione).

E l’appellante ha fornito elementi presuntivi che dimostrano come la porzione asseritamente abusiva sia stata realizzata contestualmente al sorgere del fabbricato (l’appellante ha fatto notare, ad esempio, che nella relazione del Comune di Grassobbio prot. 13379 del 08/10/2015, depositata nel giudizio di primo grado, si attesta la assoluta mancanza di soluzioni di continuità architettonica e strutturale tra la parte asserita abusiva e la parte restante del fabbricato, elemento che induce fondatamente a credere che le due parti siano state realizzate contestualmente).

L’appellante ha fornito argomenti che rendono quanto meno plausibile ritenere che la costruzione (anche) degli uffici (subalterno 12) debba essere fatta risalire ad epoca anteriore al 01/09/1967: questo, per quanto in precedenza esposto, consente di escludere che per la loro realizzazione fosse necessario il rilascio della licenza edilizia.

9. Con il secondo motivo di appello si eccepisce la falsa applicazione dell’art. 36 e la violazione degli artt. 29 e 34 d.p.r. 380/2001, del generale principio della buona fede e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

In particolare si contesta la conclusione raggiunta dal primo giudice secondo la quale sarebbe applicabile in via analogica la procedura di accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. 380/2001. Tale conclusione eluderebbe, nella sostanza, i motivi di ricorso proposti in primo grado.

Si sostiene che:

a) il primo giudice avrebbe dovuto valutare imparzialmente i provvedimenti che l’amministrazione ha rilasciato alla dante causa dell’odierna appellante. Se ciò fosse stato fatto, avrebbe rilevato che nella fattispecie in esame, è provato che il Comune, in tutte le occasioni in cui è stato chiamato a esaminare tanto lo stato di fatto quanto lo stato di progetto del fabbricato, ha manifestato la volontà chiara e inequivoca di ritenere il corpo degli uffici affatto legittimo tanto da consentire, con provvedimenti formali, dapprima il suo ampliamento e poi una serie di lavori interni;

b) quand’anche si volesse credere alla sussistenza di un abuso, il Comune di Grassobbio avrebbe dovuto rivolgersi esclusivamente all’effettivo responsabile dello stesso e non alla BA.LU.MA. s.a.s. che, avendo acquistato le porzioni del complesso produttivo “ex Lovable” tra il 1995 ed il 1999, è estranea al compimento - trent’anni prima - di lavori in parziale difformità dal titolo edilizio;

c) porre a carico dell’acquirente incolpevole la sanzione pecuniaria d’importo pari al valore del bene se non al suo multiplo per un abuso edilizio risalente ad oltre cinquant’anni fa e dopo avere lasciato trascorrere ogni termine di prescrizione ed ogni possibilità di rivalsa nei confronti dell’effettivo autore dell’illecito, si risolve anche in una violazione dei generali obblighi di correttezza e buona fede e del diritto alla buona amministrazione.

Il motivo resta assorbito in ragione dell’accoglimento del primo motivo di appello.

10. Con il terzo motivo di appello si eccepisce la violazione degli artt. 2043 e 2055 cod. civ..

Per un verso si ribadisce la richiesta di condanna del Comune a risarcire il danno procurato con il rigetto della domanda di sanatoria delle opere interne (perché la porzione di fabbricato non può dirsi abusiva).

Per altro verso (con riferimento all’ipotesi in cui si creda sussistere la parziale difformità ex art. 34, comma 2, d.p.r. 380/2001 e del relativo obbligo di pagare la sanzione pecuniaria), si chiede la condanna del Comune per il danno patito come effetto della inerzia dell’amministrazione nel reprimere l’abuso (danno di cui il Comune è chiamato a rispondere perché la mancanza di conformità non può più essere fatta valere, civilisticamente, nei confronti dei danti causa dell’appellante).

Il motivo è infondato.

Nella specie, alla luce delle conclusioni raggiunte sul primo motivo di appello, deve essere presa in considerazione la prima delle due domande: essa deve essere rigettata.

Ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l'illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell'amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione;
con specifico riferimento all'elemento psicologico, la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione;
pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, sez. IV, 20/08/2021, n. 5963).

Nella specie, la complessità della situazione di fatto ( con riguardo alla mancanza di soluzione di continuità architettonica ed agli indizi di datazione ante 1967 degli abusi contestati ) e le incertezze circa il quadro normativo applicabile ( con riguardo alla normativa applicabile nel Comune in relazione al disposto della legge statale ) portano ad escludere la colpa della pubblica amministrazione. Ne deriva la non accoglibilità della domanda di risarcimento danni per mancanza di tutti i presupposti previsti dall’art. 2043 del codice civile.

11. Il Comune di Grassobbio ha proposto appello incidentale avverso la sentenza di primo grado chiedendo che la stessa sia annullata per aver accolto parzialmente il ricorso (invece di respingerlo tout-court ), ed aver tracciato – illegittimamente – l 'iter procedimentale che il Comune avrebbe dovuto seguire nell'accertamento e nell'eventuale repressione degli abusi edilizi presenti nell'immobile di proprietà dell’appellante , entrando nel merito amministrativo con violazione dell’autonomia dell’amministrazione rispetto al giudice amministrativo.

L’appello incidentale sarebbe in linea di principio fondato solo nella parte in cui rileva che la sentenza di primo grado si è pronunciata su poteri che non sono stati ancora esercitati violando, così, il disposto dell’articolo 34 del cod. proc. amm.

In ogni caso, però, l’appello incidentale è assorbito in ragione dell’accoglimento del primo motivo dell’appello principale che esclude in radice la necessità di regolarizzazione.

Nel riesercizio del potere l’amministrazione terrà conto di quanto statuito in relazione alla non abusività dell’immobile.

12. Per le ragioni esposte, il Collegio:

a) accoglie il primo motivo dell’appello principale e per l’effetto annulla gli atti impugnati in primo grado;

b) respinge la domanda di risarcimento del danno;

c) dichiara assorbito l’appello incidentale.

Sussistono buone ragioni per compensare le spese di giudizio.

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