Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-05-08, n. 201202651
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N. 02651/2012REG.PROV.COLL.
N. 01850/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1850 del 2008, proposto da:
Fallimento Sartori Escavazioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pt, rappresentato e difeso dall'avvocato E B, con domicilio eletto presso Salvatore Di Mattia in Roma, via F. Confalonieri, 5;
contro
Regione Veneto, in persona del presidente della Giunta rappresentante regionale
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati F L, E Z e A C, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, via del Viminale, 43;
nei confronti di
Il Comune di S. Giovanni Ilarione, in persona del sindaco rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Biondaro e Marcello Clarich, con domicilio eletto presso lo studio legale di quest’ultimo in Roma, piazza del Popolo, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 17/2007, resa tra le parti, concernente DINIEGO RINNOVO CONCESSIONE MINERARIA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2012 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti gli avvocati Roberto Ciociola, per delega dell'avvocato Bergamin, l'avvocato Lorenzoni e l'avvocato Clarich;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.La curatela fallimentare della Sartori escavazioni s.r.l. impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto 10 gennaio 2007 n. 17 che ha respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso la delibera della Giunta regionale del Veneto n. 750 del 21 marzo 2006 recante il diniego di rinnovo della concessione mineraria denominata “Luvi” posta nel Comune di S.Giovanni Ilarione (Verona).
2. L’appellante reitera in questo grado le censure di illegittimità dell’avversato diniego, evidenziando come la concessione mineraria costituisse ormai un vero e proprio “diritto” entrato a far parte della massa fallimentare, di guisa che correttamente la curatela della fallita società Sartori escavazioni s.r.l. ne aveva disposto la dismissione onerosa con asta pubblica, per acquisire all’attivo fallimentare il controvalore monetario del titolo;assume la curatela appellante che il pagamento del prezzo di vendita era stato sospensivamente condizionato al rilascio dell’autorizzazione regionale al trasferimento del titolo in favore del nuovo aggiudicatario, donde l’interesse dell’appellante al rilascio di detta autorizzazione, ingiustamente denegata sull’assunto dell’inadempimento del concessionario all’obbligo di continuità nella coltivazione della cava, inadempimento peraltro non imputabile a carico di essa deducente.
3. Lamenta in definitiva l’appellante l’erroneità della gravata sentenza nella parte in cui ha ritenuto la legittimità dell’avversato diniego in considerazione della non irragionevolezza delle valutazioni compiute dall’ente regionale in ordine all’inadempimento ascritto al concessionario, nonché del carattere fiduciario del rapporto concessorio e della conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni compiute dall’ente regionale. Conclude l’appellante curatela fallimentare per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado, con consequenziale annullamento dell’avversato diniego, in riforma della impugnata sentenza.
Si sono costituiti in giudizio la Regione Veneto nonché il Comune di S. Giovanni Ilarione per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione
All’udienza del 27 marzo 2012 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
4.L’appello è infondato e va respinto.
L‘impugnazione verte sulla legittimità del diniego opposto dalla Regione Veneto alla richiesta della curatela qui appellante, finalizzata al rinnovo della concessione mineraria già in testa alla società fallita Sartori Escavazioni s.r.l.. A base del diniego l’autorità emanante ha posto sostanzialmente la questione della protratta inattività della cava, costituente inadempimento dell’obbligo di coltivazione imposto al concessionario dall’art. r.d. 29 luglio 1927 n. 1443 ( norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere ).
L’impugnata sentenza ha ritenuto incensurabili le valutazioni della Regione Veneto, anche sulla scorta dei rilievi negativi della Commissione tecnica regionale per le attività estrattive riguardo alla assentibilità del rinnovo. Il giudice di primo grado ha peraltro evidenziato l’anomalia del comportamento dell’odierna curatela appellante, che ha dismesso il titolo concessorio prima ancora di ottenere l’autorizzazione al suo rinnovo.
5.Ritiene il Collegio che le considerazioni della sentenza di primo grado siano da condividere e resistano alle censure d’appello.
L’appellante insiste nel sostenere il carattere vincolato del rinnovo del titolo, tenuto conto del fatto che nessuna inadempienza era mai stata contestata al concessionario fallito, né alcun addebito avrebbe potuto esser mosso, per l’evidente difetto di imputabilità soggettiva dei fatti, alla deducente amministrazione fallimentare. Deduce altresì che il rilascio dell’autorizzazione è previsto dalla legge (art. 15 r.d. n. 1443 del 1927) in funzione di controllo riguardo alla sussistenza delle capacità tecniche ed economiche del concessionario, di guisa che si tratterebbe nella specie di controllo da esercitare ex post sul soggetto risultato aggiudicatario. Inoltre l’appellante afferma che il principio dell’espropriazione del diritto del concessionario della miniera, previsto espressamente in favore dei creditori ipotecari dall’art. 30 r.d. 29 luglio 1927 n. 1443, ha portata generale e che, pertanto, pienamente legittima avrebbe dovuto considerarsi l’iniziativa di dismissione della cava, già in titolarità alla società fallita, assunta dalla curatela fallimentare nell’interesse di tutti i creditori.
Le censure d’appello non appaiono meritevoli di accoglimento.
6.Non è inutile riportare brevemente le disposizioni normative costituenti il quadro normativo essenziale di riferimento. Le miniere – che per natura la legge vuole testualmente appartenere al patrimonio indisponibile pubblico (cfr. art. 826 Cod. civ.) - possono essere coltivate soltanto da chi ne abbia ottenuto la concessione: questa può essere rilasciata a chi abbia, a giudizio insindacabile dell’amministrazione, l’idoneità tecnica ed economica a condurre l’impresa (artt. 14 e 15 r.d. n. 1443 del 1927). Inoltre (art. 27 cit.), “qualunque trasferimento, per atto tra vivi, della concessione deve essere preventivamente autorizzato dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato” (oggi dalla Regione).
Da queste disposizioni si evince che la concessione mineraria concreta un’attribuzione connotata da significativi elementi di fiduciarietà, per l’affidamento che l’amministrazione concedente deve riporre nel concessionario(specie in ordine alla capacità e all’effettività della coltivazione): di tal che non appare condivisibile la tesi dell’appellante in ordine all’ammissibilità della disposizione inter vivos del titolo concessorio in assenza della preventiva autorizzazione regionale.
La disciplina richiamata impone piuttosto di considerare detto assenso preventivo come un prerequisito dell’atto di trasferimento, che ne condiziona l’efficacia: ben può infatti l’amministrazione concedente determinarsi, in occasione della scadenza del titolo, a non rinnovarlo sulla scorta di valutazioni di natura diversa, non escluse quelle afferenti le esigenze di tutela della integrità del territorio ovvero sulla base di ancor più specifiche valutazioni di ordine paesaggistico-ambientale. Con il trasferimento tra vivi, infatti, il mutamento soggettivo dà luogo ad una modificazione essenziale del rapporto concessorio e questo è sottoposto ex novo a tutte le relative valutazioni, non solo circa l’idoneità tecnica ed economica del nuovo soggetto, ma anche circa la sussistenza attuale dell’interesse pubblico allo sfruttamento.
Rispetto a un tale quadro, in cui spetta all’amministrazione concedente – in ragione della pienezza della cura dell’interesse pubblico che le compete - un potere determinante di vaglio preventivo sull’affidabilità del concessionario e sul rispetto degli obblighi assunti in ipotesi di rinnovo del titolo, non trova fondamento la tesi dell’appellante basata sulla ricostruzione giuridica del rinnovo del titolo alla stregua di un “atto dovuto”, salvi i controlli (non preventivi, ma) successivi sull’affidabilità tecnica ed economica del concessionario. L’assunto è infatti in evidente contrasto con il ricordato primo precetto dell’art. 27.
Piuttosto, va a tal proposito rimarcata la natura eccezionale della disposizione - perciò non estensibile oltre i casi che espressamente prevede -, sull’espropriabilità della concessione a beneficio dei soli creditori ipotecari (art. 30), ed è del tutto fuori della ricordata configurazione che la legge dà alla concessione mineraria e alle sue vicende desumere un principio di generale e libera alienabilità a terzi della concessione stessa, che possa essere finalizzata a ragioni creditorie e comunque sia indipendente dalle potestà regionali di verifica preventiva dell’affidabilità del nuovo aspirante concessionario.
7. In ogni caso, il Collegio osserva che è dirimente che il diniego di rinnovo sia stato motivato alla luce dell’inerzia dimostrata dal precedente titolare della concessione e cioè dalla sua violazione dell’obbligo di generale tenuta in attività di cui al richiamato art. 26 r.d. n. 1443 del 1927, previsto per una finalità economico sociale generale e a tenor del quale il concessionario deve coltivare la miniera, salvo ipotesi eccezionali in cui può essere autorizzato dall’amministrazione a sospenderne l’esercizio.
La circostanza che qui non vi sia stata una previa contestazione di una tale inadempienza non esclude che della stessa possa tenersi conto in sede di (diniego di) rinnovo, come appunto nel caso di specie in cui la Regione Veneto si è determinata negativamente sulla domanda di rinnovo in ragione della protratta inattività della miniera. Nemmeno pare rilevante in senso contrario il subentro della curatela alla società fallita nella titolarità della concessione, posto che la prima, subentrando ex lege nella titolarità e nella gestione di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi che facevano capo al soggetto fallito, succede nella titolarità del titolo nell’esatta conformazione che quello aveva presso il soggetto fallito, e senza che questo comporti una novazione automatica della concessione.
Alla luce di quanto da ultimo osservato, all’appellante curatela va riferita la precedente prolungata inattività della miniera, quale motivo determinante del diniego di rinnovo del titolo, tenuto conto delle ragionevoli valutazioni compiute dall’autorità concedente, ai sensi degli artt. 26 e art. 34, circa la mancata coltivazione quale inottemperanza agli obblighi del concessionario e quale specifico ostacolo al rinnovo del titolo.
8. Ritiene, in definitiva, il Collegio che le valutazioni espresse dall’Amministrazione regionale riguardo alla non assentibilità del rinnovo di concessione, in ragione della prolungata inattività della miniera siano sufficienti, come condivisibilmente ritenuto dal primo giudice, a fondare il diniego di rinnovo.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.