Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-01-09, n. 202300273
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Pubblicato il 09/01/2023
N. 00273/2023REG.PROV.COLL.
N. 05207/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5207 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati -OMISSIS- e -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati P C, G L, A M, A M A, A M P, M L B, M G S e E M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G L in Roma, via Polibio n. 15;
Condominio di via -OMISSIS- – -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Catarisano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fabio Piergiorgio Criscuolo in Roma, via Federico Cesi 21
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- (Sezione Quarta) n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e del Condominio di via -OMISSIS- – -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 16 dicembre 2022 il Pres. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Carlo Catarisano e M G S;
Viste le conclusioni della parte appellante come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso rubricato al n. R.G. 2891/09 proposto dinanzi il Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, il signor -OMISSIS-, proprietario di un immobile sito in -OMISSIS-, Via -OMISSIS-, chiedeva l’annullamento del provvedimento del Comune di -OMISSIS- datato -OMISSIS-, (prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-) avente ad oggetto il diniego di permesso di costruire in sanatoria ai sensi del decreto legge n. 269 del 2003 (convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003), nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, tra cui la nota del Comune di -OMISSIS- datata -OMISSIS- (prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-), nella parte in cui invita il ricorrente a “ produrre, entro il termine perentorio di venti giorni dal ricevimento della presente, memorie scritte o documenti pertinenti l'oggetto, atte a superare i motivi che precludono la sanatoria delle opere ”.
Con la sentenza n. -OMISSIS-, pubblicata in data -OMISSIS-, il Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- ha respinto il ricorso, disponendo altresì la condanna alle spese dell’appellante.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal signor -OMISSIS- il quale ne ha chiesto l’integrale riforma articolando plurimi motivi di doglianza che saranno in seguito più analiticamente descritti.
Il Comune di -OMISSIS- si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello perché inammissibile e comunque infondato con vittoria di spese.
Il Condominio di Via -OMISSIS- – -OMISSIS-, si è costituito in giudizio, chiedendo che l’appello venga dichiarato inammissibile, irricevibile, improcedibile ovvero, in subordine, che venga respinto, con tutte le conseguenze di legge anche in ordine alle spese del giudizio
Con il primo motivo, l’appellante deduce “ Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 25, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, e dell’art. 31, comma 2, L. 28 febbraio 1985, n. 47, in punto di completamento al -OMISSIS- – Erronea valutazione dei mezzi di prova - motivazione carente, contraddittoria e illogica ”.
In altri termini, censura la decisione impugnata nella parte in cui il Tribunale amministrativo ha adottato un’interpretazione restrittiva del concetto di ‘ultimazione funzionale’, coincidente con il momento realizzativo con la comunicazione di fine lavori. Per contro, l’appellante invoca l’applicazione di un criterio funzionale, tale da estendere la sanatoria anche alle ipotesi in cui il manufatto presenti un disegno progettuale e una destinazione d’uso chiaramente individuabili, seppur i lavori non siano completamente ultimati e perfezionati.
Ciò premesso, l’appellante ritiene erronea la statuizione del Tribunale amministrativo per cui non sarebbe risultato il completamento funzionale nel caso di specie, atteso invece che emergeva dallo stato dei luoghi di Via -OMISSIS- un’oggettiva conformazione a ristorante e una radicale trasformazione dei locali preesistenti già a partire da novembre 2002. Contrariamente a quanto affermato dal T.A.R., l’appellante osserva l’avvenuta ultimazione funzionale dei lavori a ristorante entro la data-limite del -OMISSIS- fosse stata adeguatamente provata.
Sul punto, il Comune controdeduce che l’appellante non ha invero fornito la prova dell’avvenuta ultimazione funzionale degli interventi entro la data del 30 marzo 2003, così come invece prescritto dall’articolo 32, comma 25 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003. Tale circostanza, oltretutto, emergerebbe in modo evidente anche alla luce della relazione tecnica della progettista.
Al riguardo, il Condominio controinteressato evidenzia invece che i documenti prodotti dall’appellante dimostrano come non si sia verificata alcuna ultimazione funzionale delle opere oggetto di condono alla data del 30 marzo 2003.
Con il secondo motivo di impugnazione, l’odierno appellante deduce “ Erroneità della sentenza in punto di omessa acquisizione del parere della commissione edilizia, nonché di violazione degli artt. 10 e 10-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241 – difetto di motivazione ”.
In altri termini, si censura la decisione impugnata tanto nella parte in cui si è qualificato come facoltativo il parere della Commissione edilizia in caso di richiesta di condono, quanto nella parte in cui si è esclusa la violazione degli articoli 10 e 10- bis della legge n. 241 del 1990. Si sottopone a critica, poi, l’affermazione contenuta nel preavviso di diniego comunale per cui il termine previsto dall’articolo 10- bis della legge n. 241 del 1990 sarebbe perentorio.
In proposito, l’Amministrazione controdeduce che l’acquisizione del parere della Commissione edilizia ai sensi dell’articolo 120 del Regolamento Edilizio comunale vigente fosse irrilevante ai fini dell’ammissibilità del condono, essendo tale parere facoltativo e non venendo in rilievo una vicenda particolarmente complessa.
Ed ancora, l’Amministrazione evidenzia di aver comunicato all’appellante l’avvio del procedimento di parziale diniego di condono con l’invito a partecipare al procedimento ed eventualmente a replicare.
Il Condominio controinteressato eccepisce l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del secondo motivo di impugnazione alla luce dell’avvenuto contraddittorio tra gli interessati. Nel caso di specie, poi, il Condominio osserva che l’asserita violazione delle garanzie partecipative lamentate dall’appellante non è assistita dalla prova dell’apporto che un’eventuale partecipazione avrebbe condotto il procedimento ad un diverso esito.
Con memoria in data 15 novembre 2022, l’appellante ha ulteriormente sviluppato le argomentazioni contenute nell’appello.
In relazione al primo motivo di doglianza, evidenzia che il completamento funzionale dell’opera non coincide necessariamente con la fine dei lavori edilizi ma con l’assunzione di una configurazione funzionale radicalmente diversa da quella precedente. Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, osserva che lo stato dei luoghi di Via -OMISSIS- aveva acquisito un’oggettiva conformazione a ristorante sin dal marzo del 2003. Con i vari riscontri documentali prodotti, l’appellante sostiene inoltre di aver dimostrato l’ultimazione funzionale dei lavori e comunque il suo completamento a rustico.
In relazione al secondo motivo di appello l’appellante osserva che l’Amministrazione avrebbe dovuto interpellare la Commissione edilizia vista la complessità della vicenda al fine di accertare il completamento funzionale dell’opera. Ed ancora, sottolinea che l’Amministrazione avrebbe dovuto accogliere la richiesta di differimento del termine avanzata dall’odierno appellante in considerazione della complessità della vicenda e delle controdeduzioni del Condominio.
Con successiva memoria di replica, l’appellante afferma l’inutilizzabilità della memoria del Comune perché tardiva. Nel merito, insiste per l’avvenuta ultimazione funzionale dei lavori entro la data-limite del -OMISSIS-, nonché per l’evidente carenza evidente carenza istruttoria e procedimentale dell’impugnato provvedimento di diniego.
All’udienza di smaltimento del 16 dicembre 2022 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal signor -OMISSIS- avverso la sentenza n. -OMISSIS- con cui il TAR della -OMISSIS- ha respinto il ricorso da lui proposto per l’annullamento del provvedimento con cui il Comune di -OMISSIS- ha respinto l’istanza di permesso di costruire in sanatoria relativa a un immobile destinato ad attività di ristorazione ed ubicato a -OMISSIS-, alla -OMISSIS-.
2. Con il primo motivo di appello, più analiticamente descritto in narrativa, l’appellante lamenta che il TAR abbia omesso di tenere in adeguata considerazione il complesso degli elementi i quali avrebbero deposto nel senso dell’avvenuto “ completamento funzionale ” degli interventi per cui è causa alla data del -OMISSIS-.
La sentenza in oggetto viene sottoposta a critica sia per avere aderito a una lettura ingiustificatamente restrittiva della nozione di “ completamento funzionale ”, sia per avere erroneamente interpretato i numerosi elementi fattuali i quali avrebbero deposto, al contrario, per l’avvenuto completamento degli interventi alla richiamata data.
2.1. Il motivo è nel complesso infondato.
2.1.1. Giova innanzitutto osservare che, sulla base di orientamenti più che consolidati, incombe sul richiedente il condono edilizio straordinario l’onere di fornire la rigorosa prova in ordine all'effettivo completamento funzionale delle opere abusive entro una delle date prese in considerazione dalle diverse leggi sul condono (nel caso di specie: il decreto-legge n. 269 del 2003). Il privato a ciò interessato è infatti l’unico soggetto a poter essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto (in tal senso – ex multis – Cons. Stato, IV, 28 gennaio 2019, n. 673; id ., IV, 11 ottobre 2016, n. 4178).
Ebbene, l’appellante non adduce alcun elemento risolutivo il quale deponga nel senso che, alla data del -OMISSIS- (per come fissata dall’articolo 32, comma 25 del decreto-legge n. 269, cit.) gli interventi all’origine dei fatti di causa avessero raggiunto uno stadio qualificabile come di “ completamento funzionale ”.
Piuttosto, dall’esame dell’atto di appello emerge che l’odierno ricorrente tenti di operare una sorta di inversione dell’onere della prova sul punto, contestando taluni degli elementi fattuali addotti a contrario dalla Difesa del Comune e del condominio di Via -OMISSIS- controinteressato, ma senza addurre a propria volta circostanze risolutive idonee a suffragare le proprie tesi.
Si osserva sul punto – rinviando al prosieguo ogni approfondimento – che, quand’anche l’appellante riuscisse ad ingenerare dubbi circa la tesi ‘negativa’ sostenuta dai suoi contraddittori (il Comune e il condominio), ciò non risulterebbe comunque risolutivo al fine di dimostrare la ‘tesi positiva’ (i.e.: l’avvenuto completamento funzionale al -OMISSIS-) e quindi ai fini dell’accoglimento del presente appello.
2.1.2. Sempre in via preliminare, siccome le parti in causa molto hanno dedotto in ordine alla nozione di “ completamento funzionale ” ai sensi dell’articolo 32, comma 25 del decreto-legge n. 269 del 2003 occorre precisare che non necessariamente tale nozione coincide con la definitiva chiusura del cantiere.
Ma neppure può essere condivisa la tesi (espressa a pag. 9 del ricorso in appello) secondo cui si avrebbe una radicale trasformazione - rilevante ai fini dell’articolo 32, cit. – tutte le volte che sia intervenuta “ una radicale trasformazione dei locali preesistenti, che – pur se incompleti nelle finiture e negli accessori – avevano chiaramente mutato la loro originaria destinazione già in quella data ”.
Al contrario, va qui puntualmente condiviso l’orientamento secondo cui l'opera abusiva, per poter essere ritenuta ultimata, deve presentare in modo inequivoco gli elementi strutturali tipici e caratterizzanti la tipologia cui la stessa appartiene.
Questo è, invero, elemento prioritario e presupposto anche per vagliarne l'elemento funzionale, atteso che quest'ultimo va comunque rapportato con la tipologia dell'opera (connotantesi in termini essenziali per le sue caratteristiche strutturali).
In definitiva, l'esistenza dell'opera in termini strutturali, in modo tale che ne sia identificabile in modo inequivoco natura e tipologia, costituisce presupposto indispensabile per poter attribuire valenza alla sua funzionalità in quanto tale (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 2 dicembre 2016, n. 5060).
2.2. Tanto premesso dal punto di vista generale e definitorio, è ora possibile passare ad esaminare alcuni elementi i quali persuadono del fatto che l’appellante non sia stato in grado di dimostrare l’avvenuto completamento funzionale degli interventi alla data del -OMISSIS-.
Va osservato al riguardo che non gravava sull’odierno appellante il solo compito di ingenerare dubbi in ordine al regìme temporale di una vicenda comunque protrattasi per alcuni anni (e peraltro caratterizzata da interventi eseguiti in assenza o in difformità dei titoli di tempo in tempo richiesti e rilasciati), quanto – piuttosto – il diverso onere di provare in modo adeguato e plausibile un dato positivo (l’avvenuto completamento funzionale degli interventi a una certa data).
Ebbene, dal complesso degli elementi in atti, tale prova non risulta fornita.
2.2.1. Va in primo luogo osservato – il che è già di per sé dirimente ai fini del decidere – che era stato lo stesso appellante, in sede di presentazione dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria c.d. ‘ordinaria’ ai sensi dell’articolo 10 del d.P.R. 380 del 2001 (-OMISSIS-), ad attestare che gli interventi realizzati riguardassero soltanto i piani interrato, terra e soppalco, mentre “ per quanto riguarda (…) i piani primo e secondo, le opere presentate dalla DIA presentate sono ancora in corso di esecuzione ”.
Nella medesima occasione (luglio 2003) l’odierno appellante dichiarava anzi che i piani ammezzato e primo mantenessero la destinazione residenziale già impressa dai precedenti titoli edilizi. Il che è in evidente contrasto con la tesi – qui sostenuta – secondo cui, alla medesima data, quella destinazione fosse stata radicalmente mutata attraverso il completamento funzionale di interventi finalizzati ad imprimere agli stessi la (ben diversa) destinazione ad attività di ristorazione.
Il ricorrente tenta, in sede di appello, di modificare la prospettazione da lui stesso in precedenza offerta e di affermare: i ) che la descrizione dello stato dei luoghi e delle lavorazioni effettuata a luglio 2004 non descrivesse in modo fedele il reale avanzamento dei lavori (pag. 11 dell’appello); ii ) che tale non veritiera rappresentazione derivava “ ovviamente ” (cit.) dall’impossibilità di descrivere anche quelle opere che, pur se realizzate prima del marso 2003, non risultavano conformi alla normativa urbanistica ed edilizia vigente e non sanabili prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 269; iii ) che le stesse foto allegate all’istanza del -OMISSIS- (le quali descrivevano uno stato di avanzamento dei lavori tutt’altro che prossimo al completamento) non risalivano in realtà alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria ordinaria, bensì ad alcuni mesi prima ( i.e .: nella tesi dell’appellante, al novembre 2002).
Va premesso al riguardo che tale mutamento di prospettiva sembra porsi in contrasto con il generale divieto del venire contra factum proprium il quale concreta un’ipotesi di abuso del diritto e appare nel caso in esame dettato da ragioni meramente opportunistiche.
A tutto concedere, poi, le deduzioni di parte appellante sortiscono l’unico effetto di determinare un obiettivo stato di incertezza in ordine all’effettivo stato di avanzamento delle lavorazioni alla data del -OMISSIS-: uno stato di incertezza che non può condurre all’accoglimento delle tesi sostenute nell’atto di appello.
Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena osservato, si rileva comunque che:
- non emerge alcun elemento persuasivo idoneo a dimostrare che le foto allegate all’istanza del -OMISSIS- risalissero in realtà a circa otto mesi prima;
- anche ad ammettere che lo stato dei luoghi descritto con le foto di cui sopra fosse assimilabile a quello documentato dalla Polizia Municipale nel novembre del 2012, ciò non proverebbe comunque che quell’(incompleto) stato di fatto fosse avanzato in modo considerevole fino a marzo dell’anno successivo, fino a raggiungere lo stato del “ completamento funzionale ”;
- non può certo imputarsi al primo Giudice (contrariamente a quanto sostenuto a pag. 10 dell’appello) il fatto di “ [non avere neppure preso] in considerazione l’ipotesi che la rappresentazione dello stato dei luoghi effettuata in sede di sanatoria ordinaria potesse essere inesatta o incompleta ”, ma devono piuttosto addebitarsi all’appellante – sulla base del generale principio di autoresponsabilità – le conseguenze della (in tesi) infedele o incompleta rappresentazione all’autorità pubblica di fatti e circostanze che il privato ha l’obbligo di rappresentare in modo fedele e veritiero;
- non emerge alcuna ragione plausibile per ritenere che un tecnico abilitato avrebbe inteso – consapevole di incorrere in possibili responsabilità disciplinari e penali – attestare in modo non veritiero l’effettivo stato di avanzamento dei lavori al luglio del 2003.
2.2.2. Per quanto riguarda la lettera trasmessa al Comune di -OMISSIS- dal dott. -OMISSIS- in data -OMISSIS- (e le foto ad essa allegate), a tutto concedere l’appellante ha ingenerato un dubbio in ordine alla data effettiva in cui tali foto sono state scattate.
Tuttavia, tale dubbio non attribuisce alcuna consistenza effettiva e risolutiva alla tesi dell’avvenuto completamento funzionale alla data del -OMISSIS-.
2.2.3. A conclusioni non diverse può giungersi in ordine alla valenza indiziaria di documenti quali fatture, ricevute e bolle di consegna.
E vero che i documenti a tal fine prodotti dall’appellante recano date anteriori al -OMISSIS-, ma è anche vero che tale circostanza non risulti risolutiva, essendo ben possibile – se non fisiologico, nella gestione di cantieri complessi – che sussista una sfasatura temporale fra il momento di acquisto dei materiali e quello del loro effettivo utilizzo.
Anche sotto tale aspetto, pur non negandosi il valore indiziario degli elementi addotti dall’appellante, agli stessi non può essere riconosciuto di per sé carattere risolutivo, anche in considerazione della pregnanza degli elementi in fatto in senso contrario offerti nel corso della vicenda dallo stesso appellante (il quale tenta, nella presente sede processuale, di negarne la valenza ai fini del decidere).
2.2.4. Indubbio rilievo ai fini del decidere assume anche la nota a firma dell’appellante in data 30 giugno 2003, trasmessa all’Ufficio pubblici esercizi del Comune di -OMISSIS-.
Con tale nota il signor -OMISSIS- (ad oltre tre mesi dallo spirare del termine di cui al decreto-legge n. 269 del 2003) chiedeva una proroga di sei mesi “ per completare l’esercizio ” sito in -OMISSIS-, via -OMISSIS-.
Si tratta, ancora una volta, di un documento che – pur non risultando ex se risolutivo - adduce elementi indiziari a sostegno della tesi secondo cui il completamento funzionale degli interventi per cui è causa non fosse intervenuto alla data del -OMISSIS-.
2.3. In conclusione il primo motivo di appello deve essere respinto, non avendo l’appellante neppure nella presente sede addotto elementi dirimenti idonei a comprovare l’avvenuto completamento funzionale degli interventi per cui è causa alla data del -OMISSIS-.
3. Con il secondo motivo di appello, più analiticamente descritto in narrativa, l’appellante lamenta che il TAR abbia omesso di tenere in adeguata considerazione: i ) il fatto che la determinazione negativa in ordine all’istanza di condono sia stata assunta senza la previa acquisizione del parere della Commissione edilizia e, dall’altro, ii ) il fatto che, in sede di preavviso di diniego, gli sia stato assegnato un termine perentorio – per giunta di soli venti giorni – per la produzione di memorie e documenti, nonostante la complessità degli accertamenti tecnici richiesti.
3.1. Il motivo è nel complesso infondato.
3.1.1. Per quanto riguarda il primo rilievo, deve essere qui richiamato il condiviso orientamento secondo cui la specialità del procedimento di condono edilizio (rispetto all’ordinario rilascio del permesso di costruire) e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità, rendono, per il rilascio del permesso in sanatoria (o condono), il parere della commissione edilizia non obbligatorio, ma facoltativo. Tale parere può in particolare essere acquisito al fine di ottenere eventuali informazioni e valutazioni circa particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei numerosi presupposti e condizioni fissati in modo espresso e chiaro dal legislatore (arg. ex Cons. Stato, VI, 26 maggio 2021 n. 4063).
Ma il punto è che, nel caso in esame, l’istanza di condono presentata nel marzo del 2004 è stata definita negativamente sulla base del dato – oggettivo ed estrinseco rispetto al contenuto in sé degli interventi – relativo alla mancata prova del loro avvenuto completamento funzionale alla data del -OMISSIS-.
Nessun effettivo valore aggiunto in tal senso poteva quindi essere fornito dall’acquisizione di un parere (peraltro, di carattere facoltativo) la cui finalità è – al contrario – quella di apprezzare discrezionalmente la valenza intrinseca e la gravità degli abusi realizzati.
A tacere d’altro, l’acquisizione di tale parere (facoltativo) nel caso in esame si sarebbe posta in contrasto con il generale principio di economia dei mezzi giuridici.
Per quanto riguarda il secondo rilievo, non emerge agli atti una violazione delle prerogative partecipative dell’appellante, se solo si consideri che:
- la nota comunale recante il preavviso di rigetto in data -OMISSIS- ha assegnato all’appellante un termine per controdedurre tutt’altro che breve (pari a venti giorni, ossia al doppio di quello previsto in via generale dall’articolo 10- bis della legge n. 241 del 1990);
- il termine in questione va considerato congruo anche in ragione del fatto che gli elementi per - eventualmente – controdedurre alle contestazioni comunali erano (o avrebbero dovuto essere, laddove sussistenti) nella disponibilità dello stesso appellante;
- in ogni caso, anche una volta decorso il richiamato termine di venti giorni, il Comune ha atteso circa altri due mesi prima di adottare la determinazione negativa impugnata in primo grado (10-19 settembre 2019). Nulla avrebbe impedito all’appellante di presentare, anche nel corso di tale ulteriore periodo, ulteriori memorie e documenti che il Comune avrebbe potuto adeguatamente valutare.
4. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.
Sussistono tuttavia giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.