Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-04-08, n. 201102204

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-04-08, n. 201102204
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201102204
Data del deposito : 8 aprile 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06623/2007 REG.RIC.

N. 02204/2011REG.PROV.COLL.

N. 06623/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6623 del 2007, proposto dalla società Vela Marina Srl, in persona del legale rappresentante pt, rappresentata e difesa dagli avvocati A C, S C e N G, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Postumia n.1;

contro

Il Ministero dei trasporti e della navigazione, in persona del Ministro e legale rappresentante pt, la Capitaneria di porto di Olbia, in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del T.A.R. SARDEGNA – CAGLIARI, Sez. I, n. 709/2007;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2011 il consigliere di Stato G C S e uditi per le parti l’avv. Riccardo Barberis, per delega dell'avv. Congiu, e l’avv. dello Stato Fabrizio Urbani Neri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. E’ impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna n. 709 del 2007, che ha respinto il ricorso n. 2918 del 1996 proposto dalla s.r.l. Vela Marina avverso la ingiunzione n. 23/96 del 2 agosto 1996 adottata dalla Capitaneria di Porto di Olbia e recante la ordinanza a rimuovere le opere abusivamente realizzate sul demanio marittimo o comunque entro la fascia di rispetto di trenta metri dal confine demaniale, nonché la riduzione in pristino dello stato dei luoghi entro trenta giorni dalla notifica della ordinanza.

2. Assume l’appellante società, subentrata nella posizione sostanziale di proprietaria dei manufatti oggetto della medesima ordinanza, la erroneità della impugnata sentenza che avrebbe ritenuto senz’altro abusive le suddette opere (in particolare, l’ampliamento del fabbricato preesistente per complessivi mq 146, nonché la costruzione di una veranda della estensione di mq 46), senza alcun preventivo accertamento sulla effettiva proprietà dei terreni sui quali dette opere (peraltro da tempo assai risalente) risultavano realizzate.

3. Insiste in ogni caso l’appellante nel rilevare la violazione dell’istituto partecipativo compendiato nell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, attesa la natura non vincolata del provvedimento ingiuntivo e, da ultimo, la illegittimità procedimentale (determinante, a suo dire, la invalidità derivata del provvedimento conclusivo), rappresentata dalla notifica dell’ordinanza ai proprietari risultanti dalle certificazioni catastali e non invece al proprietario effettivo (quale appunto la odierna società deducente), peraltro ben conosciuto dalla Amministrazione procedente.

4. Di qui i motivi di ricorso e la richiesta di annullamento degli atti in primo grado impugnati, in riforma della impugnata sentenza.

5. Si sono costituite in questo grado di giudizio le intimate Amministrazioni per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

6. All’udienza del 22 febbraio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

7. L’appello è infondato e va respinto.

7.1. Con il primo motivo la società appellante reitera in questo grado la censura di carenza istruttoria da cui sarebbe affetta l’ordinanza ingiuntiva impugnata in primo grado.

In particolare, l’appellante assume che i lavori di ristrutturazione eseguiti sul vetusto immobile, già di proprietà della Società industriale Santo Stefano e sua dante causa, ed adibito originariamente a stabilimento minerario per le attività di cava e lavorazione del granito, non avrebbero dato luogo ad alcun abuso edilizio;
gli stessi infatti non avrebbero comportato modifiche sostanziali del precedente manufatto né avrebbero investito il territorio demaniale, di tal che nessuna autorizzazione alla autorità marittima si sarebbe resa necessaria.

Sempre secondo l’assunto dell’appellante, detti lavori di recupero funzionale sui manufatti esistenti sarebbero stati realizzati, su incarico di essa deducente, da un’altra società (la s.p.a. Dipenta) in occasione della esecuzione di interventi edilizi per conto del Genio marittimo sulla adiacente area demaniale;
la struttura temporanea di cantiere realizzata, con la autorizzazione della Capitaneria di porto di Olbia,dalla predetta società esecutrice dei lavori, sarebbe stata poi rimossa a lavori ultimati, mentre alcune difformità edilizie riscontrate in ordine ai manufatti ristrutturati avrebbero formato oggetto di concessione in sanatoria, rilasciata in favore della odierna deducente dal Comune di La Maddalena.

Alla luce di tale ricostruzione fattuale nessun abuso edilizio sarebbe residuato al termine del complesso intervento di recupero funzionale dei vecchi fabbricati, donde la palese illegittimità per carenza dei presupposti dell’ordinanza ingiuntiva impugnata in primo grado.

7.2 La censura non appare meritevole di favorevole apprezzamento.

Gli accertamenti istruttori compiuti in sede amministrativa, che hanno condotto alla adozione del provvedimento ingiuntivo impugnato in primo grado, depongono inequivocabilmente nel senso di ritenere sussistenti gli abusi contestati e pertanto legittimo, sotto il dedotto profilo, il provvedimento di demolizione e riduzione in pristino dello stato dei luoghi adottato dalla Capitaneria di porto di Olbia.

Come si evince dalla relazione del 15 maggio 1996 redatta dalla Capitaneria di Porto de La Maddalena (espressamente richiamata nell’impugnato provvedimento ingiuntivo), il non consentito ampliamento del fabbricato preesistente incide in area demaniale (o comunque di rispetto demaniale) per circa 146 mq, come pure la realizzazione della veranda aggiuntiva di mq 42 (il che peraltro era già emerso nel corso del primo sopralluogo eseguito il 22 novembre 1995 dal Nucleo di polizia giudiziaria dalla Guardia costiera di La Maddalena).

Inoltre, il riscontro topografico successivamente eseguito dall’Ufficio tecnico erariale di Sassari (le cui risultanze risultano compendiate nella nota dell’11 maggio 1996, in atti) ha confermato che il corpo di fabbrica di proprietà della società ricorrente oggetto del contestato intervento edilizio ricade in parte in proprietà privata ed in parte ( in particolare, per la particella 1005 di circa 146 mq) su terreno demaniale;
in ogni caso, le opere eseguite ricadono in parte su aree demaniali ed in parte nella fascia di rispetto di trenta metri dal confine demaniale.

7.3 Alla luce di tali inequivoche risultanze, correttamente è stata dunque adottata la ordinanza di demolizione e riduzione in pristino, atteso che le prescrizioni contenute negli artt. 54 e 55 del codice della navigazione impongono la previa autorizzazione dell’Autorità marittima (che nel caso in esame è pacifico non essere mai intervenuta) per qualsiasi tipo di intervento che ricada in area demaniale ovvero in area di rispetto.

Né in contrario avviso potrebbero indurre i pretesi elementi di incertezza che la odierna appellante introduce in ordine agli esatti margini del confine demaniale, ed il cui preliminare accertamento (peraltro sempre possibile dinanzi al giudice civile, ad altri fini) viene prospettato come assolutamente pregiudiziale anche ai fini della definizione della presente controversia.

Si è detto infatti che dagli accertamenti istruttori eseguiti è emerso con assoluta certezza che gli interventi edilizi in ampliamento sono stati eseguiti in area demaniale o comunque in area di rispetto demaniale (il che è equivalente, ai fini della qualificazione in termini di abusività dell’intervento eseguito senza la prescritta autorizzazione della autorità marittima), di tal che la puntuale definizione del confine tra aree private ed aree demaniale non potrebbe riverberare alcun effetto sugli esiti della presente controversia.

8. Peraltro, dal combinato disposto dei richiamati artt. 54 e 55 del codice della navigazione si ricava che, in presenza di un abuso accertato, l’adozione del provvedimento di ingiunzione a demolire e di riduzione in pristino assume i connotati propri del provvedimento vincolato di tal che, come non hanno mancato di rilevare i primi giudici, non appare meritevole di condivisione neppure la censura di violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

E’ noto, infatti, che a seguito degli interventi correttivi operati sull’originario testo della legge generale del procedimento (il riferimento è, in particolare, all’art. 21 octies introdotto dalla legge n. 15 del 2005) non è annullabile il provvedimento adottato in carenza del previo avviso di inizio del procedimento quando l’amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto assunto;
ciò che è giustappunto avvenuto nel caso di specie, in cui l’Amministrazione ha sottolineato la natura vincolata della sanzione demolitoria irrogata con il provvedimento ingiuntivo impugnato.

9. Da ultimo, va ritenuta destituita di giuridico fondamento la ulteriore censura formale attinente la non corretta formazione del contraddittorio procedimentale.

In particolare, la società appellante lamenta che il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato, a causa delle fuorvianti e risalenti indicazioni catastali, in confronto del signor Pasquale Serra e della Società industriale Santo Stefano, anziché in confronto di essa deducente, quale proprietaria attuale dei terreni.

Osserva il Collegio che la censura va disattesa, avuto riguardo:

1) alla natura non recettizia del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado, da cui discende la portata non viziante sull’atto dell’eventuale irregolarità occorsa in sede di notifica dello stesso (rilevante, al più, per la rimessione in termini dell’interessato, ovvero per il riconoscimento in suo favore dell’errore scusabile ai fini dell’impugnativa dell’atto);

2) alla coincidenza dei destinatari del provvedimento con i soggetti risultanti proprietari dalle certificazioni catastale aggiornate al 1996;

3) alla ininfluenza causale del preteso vizio della comunicazione del provvedimento (come anche dell’omessa indicazione dei termini e dell’autorità dinanzi a cui ricorrere) sull’esercizio effettivo del diritto di difesa della società realmente interessata (odierna appellante), quale proprietaria, a far valere il suo interesse oppositivo, essendo stata quest’ultima nelle condizioni di svolgere ogni difesa in giudizio, fin dalla introduzione del primo grado di giudizio.

10. In definitiva, l’appello va respinto e va confermata la impugnata sentenza.

11.Le spese di lite di questo secondo grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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