Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-11-09, n. 202107442

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-11-09, n. 202107442
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202107442
Data del deposito : 9 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/11/2021

N. 07442/2021REG.PROV.COLL.

N. 10701/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 10701 del 2019, proposto dall’Ordine degli Avvocati di Roma, in persona del Presidente pro tempore , e dall’Ordine degli Avvocati di Napoli, in persona del Presidente pro tempore , rappresentati e difesi dagli avvocati A C e G L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G L in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

e con l'intervento di

ad adiuvandum :
dell’Associazione dei giovani amministrativisti, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Cataldo e Jacopo D'Auria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Seconda, n. 11410/2019, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2021 il consigliere D D C e uditi per le parti gli avvocati G L, Francesco Cataldo e Jacopo D'Auria, che partecipano alla discussione orale mediante collegamento da remoto ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. e), del d.l. 1/2021;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO



1. L’Ordine degli Avvocati di Roma e l’Ordine degli Avvocati di Napoli hanno impugnato l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito, attraverso il quale la Direzione IV del Dipartimento del Tesoro “Sistema Bancario e Finanziario - Affari Legali” del Ministero dell’economia e delle finanze ha reso noto di volersi avvalere della consulenza di professionalità altamente qualificate, che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura, al fine di avere supporto ad elevato contenuto specialistico nelle materie di competenza .

Più in particolare, la consulenza richiesta ha ad oggetto “ la trattazione di tematiche complesse attinenti al diritto – nazionale ed europeo – societario, bancario e/o dei mercati e intermediari finanziari in vista anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari ”.

L’avviso ha disposto che possono far pervenire la manifestazione d’interesse coloro che, alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande (ovverossia, dieci giorni dalla pubblicazione dell’avviso sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze;
la pubblicazione è avvenuta in data del 27 febbraio 2019), abbiano una consolidata e qualificata esperienza accademica o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari.

È richiesta, inoltre, la padronanza della lingua inglese fluente.

L’avviso prevede, altresì, che, all’esito della valutazione dei curricula presentati, nonché dell’accertamento dell’insussistenza di cause di incompatibilità ovvero di conflitto di interesse, il Dirigente Generale della Direzione IV stipuli con ciascuno dei professionisti selezionati un apposito accordo contrattuale, con indicazione in sede negoziale dell’oggetto e dei termini di svolgimento dell’incarico proposto.

È prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, ma con la facoltà per il professionista di recedere mediante preavviso di trenta giorni, fermo restando l’obbligo, gravante sullo stesso, di portare a termine l’incarico già iniziato.

L’incarico è a titolo gratuito, con esclusione di ogni onere a carico dell’Amministrazione.



2. Gli Ordini professionali forensi hanno ritenuto l’avviso illegittimamente lesivo dei loro interessi e di quelli degli iscritti e lo hanno impugnato (con ricorso rubricato al n.r.g. 3632/2019 dinanzi al T.a.r. del Lazio, sede di Roma), in uno al comunicato stampa fatto pervenire dal Ministero dell’economia e delle finanze in risposta a talune rimostranze promosse dagli stessi professionisti successivamente alla pubblicazione dell’avviso.



3. A sostegno delle proprie pretese, gli Ordini professionali hanno lamentato:

3.1. Violazione degli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., nonché dell’art. 13-bis, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, del d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni in forza del terzo comma dell’art. 19-quaterdecies, comma 3, del d.l. n. 148/2017 .

3.2. Violazione del d.lgs. n. 50/2016 e delle linee guida ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018.

3.3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria - Difetto di motivazione.



4. Il T.a.r., con la sentenza impugnata di cui all’epigrafe, ha esaminato partitamente le censure proposte e le ha respinte in toto , compensando le spese di lite.

Più nel dettaglio, il primo giudice:

a) ha escluso che, all’esito della valutazione dei curricula inviati dai professionisti, si instauri alcun rapporto di lavoro tra i suddetti professionisti e la Pubblica Amministrazione, ovvero un obbligo di fornitura di un servizio professionale ai sensi del Codice degli appalti (d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i.), dal momento che:

a.1) è prevista la facoltà del professionista di porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento (ad avviso del T.a.r., il termine di preavviso di durata pari a trenta giorni risponde ad una mera esigenza organizzativa, e non condiziona, né altrimenti limita, la libera facoltà di recesso del professionista);

a.2) non è previamente indicato il numero di incarichi da conferire;
non è puntualmente definito l’oggetto della consulenza o dell’affare;
l’incarico è conferito al professionista senza svolgimento di procedura selettiva, nemmeno in senso ampio, e senza che sia stata formata alcuna graduatoria. Ad avviso del T.a.r., in sostanza, l’estrema genericità dell’avviso e dell’incarico da – eventualmente – conferire, rappresentano tratti distintivi che connotano e rafforzano la legittimità dell’atto, piuttosto che rappresentare, invece, una causa della sua illegittimità.

b) ha ritenuto che la gratuità dell’attività da prestare è compatibile con le norme e i principi del diritto interno ed europeo, rilevando che:

b.1) non si rinvengono specifici divieti in tal senso nell’ordinamento, neppure sulla base delle previsioni settoriali del Codice deontologico;

b.2) la disciplina dell’equo compenso invocata dagli Ordini ricorrenti a sostegno della propria tesi non si attaglia alla fattispecie concreta e, comunque sia, non è di ostacolo a che i professionisti prestino attività di carattere gratuito. Resta fermo che – ad avviso del T.a.r. - laddove la prestazione si svolga a titolo oneroso, il compenso pattuito debba necessariamente essere equo sulla base del quadro normativo vigente (art. 36 Cost.;
art. 13- bis , comma 2, legge n. 247/2012);

b.3) i professionisti ritraggono vantaggi di natura diversa dall’espletamento dell’attività a titolo gratuito, in termini di maturazione di esperienze personali, di arricchimento professionale, curriculare.

b.4) la previsione della gratuità non contrasta neppure con i principi in tema di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), non essendo affatto dimostrato alcun nesso di (negativa) influenza tra l’assunzione di un incarico gratuito da parte del professionista e il suo svolgimento in maniera competente, professionale, decorosa e dignitosa (artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice deontologico).

Inoltre, la prestazione offerta dal professionista non si pone in rapporto di alternatività o concorrenzialità con quella che potrebbero prestare altri consulenti.



5. Gli Ordini forensi, nell’impugnare la sentenza, hanno dedotto le seguenti censure:

5.1. Illegittimità della sentenza per erroneità e/o carenza della motivazione, contrasto con gli art. 112 c.p.c. e 101 c.p.a., erronea applicazione delle previsioni di cui all’art. 13-bis, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e al D.lgs. n. 50/2016, illogicità e contraddittorietà manifesta.

La sentenza impugnata sarebbe ingiusta sia nella parte in cui ha motivato che la genericità dell’avviso censurata dagli Ordini ricorrenti “ non costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento che lo caratterizza, in forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo ”, sia in quella in cui ha concluso che “ Alla luce dei rilievi svolti sinora, il carattere gratuito della consulenza appare legittimo ”.

Inoltre, la sentenza non spiegherebbe la natura giuridica del rapporto nascente tra l’Amministrazione e il singolo professionista, poiché vengono escluse le tipologie del rapporto di lavoro alle dipendenze e dell’appalto di fornitura di servizi – peraltro, si sostiene, senza alcuna motivazione a supporto da parte del T.a.r. – e non vengono indicate le eventuali diverse fattispecie in cui il rapporto dovrebbe essere inquadrato.

L’avviso pubblico impugnato sarebbe elusivo, invece, a loro dire:

- della normativa in materia di contratti pubblici, e in particolare del d.lgs. n. 50/2016;

- delle linee guida ANAC n. 12 sull’Affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018;

- della disciplina legislativa in materia di equo compenso.

Per di più, il ragionamento logico giuridico seguito dal giudice di prime cure si porrebbe in contraddizione, oltre che con i supremi principi costituzionali contenuti negli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., anche con l’art. 13- bis , comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, (recante “ Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense ”), inserito dall’art. 19- quaterdecies , comma 1, d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni a mente del terzo comma dell’art. 19- quaterdecies del d.l. n. 148/2017, che prevede che “ La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto ”.

La sentenza non avrebbe specificamente illustrato, inoltre, le ragioni per le quali non sussiste l’eccesso di potere, non recando alcuna motivazione in ordine alle doglianze articolate avverso il comunicato stampa diffuso dal Ministero dell’economia in risposta alle proteste provenienti dai professionisti del libero foro.

In particolare, la sentenza non avrebbe dato conto dell’erroneità dei presupposti da cui avrebbe preso le mosse l’azione amministrativa, ritenendo che la disciplina dell’equo compenso si applicasse soltanto al settore privato.

Il T.a.r. avrebbe inoltre errato a qualificare due importanti elementi di fatto, e cioè il preavviso per il recesso e l’obbligo di portare a termine l’incarico già iniziato, elementi che invece - secondo la prospettazione difensiva seguita dagli ordini professionali - starebbero anzi a comprovare la natura professionale dell’attività prestata.

Anche a volere ritenere, per pura ipotesi, che una remunerazione possa non tradursi in un corrispettivo finanziario, sarebbe comunque illegittima la previsione di un incarico svolto totalmente in perdita (senza quindi neppure una forma di contributo alle spese sostenute), non potendosi nella specie individuare – anche tenuto conto dell’indeterminatezza dell’incarico – quali e quante “utilità economiche lecite e autonome” il professionista possa figurarsi di trarre dalla collaborazione richiesta dal MEF a titolo di corrispettivo non finanziario della prestazione.

Ciò si tradurrebbe, nella pratica, anche in un ulteriore ostacolo alla serietà e qualità del servizio prestato.

5.2. Erroneità della sentenza per contrasto con gli artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice Deontologico Forense in relazione quanto previsto dall'art. 36 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nonché dall’art. 362 c.p.c., illogicità, contraddittorietà e perplessità manifesta .

La sentenza sarebbe altresì illegittima nella parte in cui ha statuito che “ Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro ”.

Si sostiene che il Tar non ha giurisdizione in materia deontologica e sanzionatoria forense.

Ai sensi della legge professionale e del Codice Deontologico Forense, spetta soltanto agli Organi disciplinari forensi la potestà di conoscere, valutare e applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme pertinenti, la normativa deontologica, anche in via sanzionatoria.

La cognizione esclusiva dei Consigli Distrettuali di Disciplina (in via amministrativa) e del Consiglio Nazionale Forense (in via giurisdizionale, essendo il CNF giudice speciale secondo quanto previsto dall’art. 36 della legge 31 dicembre 2012, n. 247) in ordine agli aspetti disciplinari e alle violazioni del Codice deontologico si configura alla stregua di una giurisdizione domestica.

5.3. Erroneità della sentenza per violazione e/o erronea applicazione della normativa sull’equo compenso, in particolare dell’art. 19-quaterdecies del D.L. n. 148/2017 in relazione agli artt. 35, 36 e 97 della Costituzione. Illogicità, contraddittorietà ed erroneità della motivazione.

La sentenza è criticata anche nella parte in cui ha escluso, a carico dei professionisti, l’esistenza di divieti o impedimenti a rendere prestazioni di natura gratuita.

Non avrebbe senso - si sostiene - che la disciplina sull’equo compenso e i principi ad essa sottesi si applichino ai soli casi in cui il compenso stesso è previsto, sia pure in forma simbolica, e che – viceversa – venissero esclusi in toto dall’ambito di applicazione i casi in cui non è prevista alcuna forma di retribuzione.

Il principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4614/2017, al di là della diversità di circostanze (una su tutte quella relativa alla previsione, in quel caso, di un rilevantissimo importo di euro 250.000,00 a titolo di rimborso spese, nella specie inesistente), non potrebbe applicarsi alla fattispecie de qua , poiché relativo ad un contenzioso nato prima dell’introduzione dell’art. 13- bis nel corpo della legge di riforma professionale n. 247 del 2012.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi