Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-12-29, n. 201406412
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N. 06412/2014REG.PROV.COLL.
N. 02094/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2094 del 2004, proposto da Q F, rappresentata e difesa dall'avvocato G M A A, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Lungo Tevere della Vittoria, n. 9;
contro
il Comune di Roma, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato C M dell’avvocatura del Comune, presso il cui ufficio è elettivamente domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - Roma Sezione II Bis n. 2701 del 26 marzo 2003, resa tra le parti, concernente riconoscimento della qualifica di istruttore amministrativo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2014 il Consigliere Doris Durante;
Uditi per le parti l’avvocato Maria Antonio Alma e l’avvocato Raimondo, per dichiarata delega dell’avvocato C M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Q F – dipendente del Comune di Roma con la qualifica di assistente di asilo nido, ma assegnata a seguito di accertamento della commissione medica del 16 ottobre 1985 che ne riconosceva la totale inidoneità alle mansioni di istituto ad altro ufficio per lo svolgimento di mansioni amministrative, e riassegnata alle mansioni di assistente di asilo nido a seguito di nuovo accertamento medico effettuato in data 6 luglio 1995 - con ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, contrassegnati con i numeri n. 11612 del 1995 e 13835 del 1995, impugnava rispettivamente la suddetta nota del 6 luglio 1995 di comunicazione dell’esito della seconda visita medica e la determinazione del 6 ottobre 1995 con la quale si disponeva la sua riassegnazione alle mansioni di assistente di asilo nido.
Essa ricorrente assumeva che le condizioni di salute non erano migliorate negli anni, sicché le era impossibile l’effettivo svolgimento delle mansioni di assistente di asilo nido.
Al contempo chiedeva il formale riconoscimento della qualifica di istruttore amministrativo in ragione delle mansioni assegnate e svolte ininterrottamente per quasi dodici anni, ovvero dalla data delle ordinanze del sindaco del 15 gennaio 1985 e dell’11 ottobre 1988 di assegnazione alle mansioni di istruttore amministrativo, sostenendo che il protrarsi nel tempo dello svolgimento delle mansioni di istruttore amministrativo, avrebbe comportato la modifica in via definitiva dello status giuridico che non sarebbe più modificabile anche per l’effetto delle disposizioni introdotte in materia di pubblico impiego con il decreto legislativo n. 29 del 1993.
2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con la sentenza n. 2701 del 26 marzo 2003, riuniti i ricorsi, li dichiarava improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, rilevando che:
a) il Comune di Roma con determinazione n. 380 del 16 febbraio 1999 aveva provveduto ad inquadrare ai sensi dell’articolo 21, comma 4 del contratto collettivo nazionale 1994 – 97 (concernente il personale riconosciuto non idonei a proficuo lavoro dalla commissione medica) un gruppo di dipendenti, tra cui la ricorrente, nel profilo professionale di istruttore amministrativo VI qualifica funzionale a decorrere dalla data di adozione della determinazione con la conservazione dell’anzianità maturata;
b) la determinazione n. 380 del 16 febbraio 1999 non era stata impugnata, sicché era atto definitivo anche quanto alla sua decorrenza, precludendo in conseguenza il riconoscimento di tale status con decorrenza anteriore.
3.- Con atto di appello notificato il 23 febbraio 2004, Q F ha impugnato la suddetta sentenza assumendone l’erroneità per falsa ed errata applicazione del decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modifiche e per erronea valutazione della situazione di fatto e di diritto in relazione alla rilevata improcedibilità della domanda iniziale, in quanto il TAR non avrebbe considerato:
a) che nel rapporto di pubblico impiego privatizzato la determina n. 380 del 1999 sarebbe un atto paritetico e non un provvedimento autoritativo, sicché la mancata tempestiva impugnazione non precluderebbe l’esercizio del diritto al riconoscimento della qualifica di istruttore amministrativo da data anteriore, quale quella di assegnazione delle relative mansioni;
b) che in limine il diritto potrebbe essere fatto valere davanti al giudice ordinario;
c) che la determina n. 380 del 1999 avrebbe applicato la nuova disciplina contrattuale a tutti i dipendenti in situazione identica senza considerare la diversità di ciascuna posizione.
L’appellante chiede, quindi, la riforma della sentenza di primo grado e l’accoglimento nel merito delle censure dedotte nel giudizio di primo grado e riproposte con riconoscimento integrale dell’anzianità maturata nel profilo professionale di istruttore amministrativo a decorrere dal 1°gennaio 1983 o per lo meno dal 17 ottobre 1985, a tutti gli effetti, compresa l’attribuzione del livello economico differenziato e l’appartenenza all’area amministrativa ai fini della partecipazione ai concorsi espletati nel suddetto periodo .
4.- Il Comune di Roma costituitosi in giudizio ha chiesto il rigetto dell’appello e su queste conclusioni, la causa è stata assegnata in decisione.
5.- L’appello è infondato e va respinto.
5.1- La sentenza impugnata con percorso motivazionale corretto ha rilevato la improcedibilità dei ricorsi riuniti - dei quali, peraltro, il ricorso 11612 del 1995 era comunque inammissibile avendo ad oggetto un atto endoprocedimentale – essendo intervenuta nelle more del giudizio la determina n. 380 del 16 febbraio 1999, rimasta inoppugnata che aveva disposto l’inquadramento della ricorrente nell’area amministrativa, profilo professionale “istruttore amministrativo” che costituiva l’oggetto della domanda giudiziale azionata dalla ricorrente.
Tale atto, essendo divenuto definitivo, implica acquiescenza con preclusione di domande che siano con esso confliggenti, essendo superate ed assorbite dalla nuova statuizione dell’amministrazione rimasta inoppugnata.
5.2- Invero, fermo restando il principio secondo cui l’individuazione della fattispecie di sopravvenuta carenza di interesse deve essere effettuata con criteri rigorosi e restrittivi per evitare che la preclusione dell’esame del merito della controversia si trasformi in un’inammissibile elusione dell’obbligo del giudice di provvedere sulla domanda (tra le tante, cfr. Cons. Stato, sez. III, 14 marzo 2013, n. 1534;sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4637;sez. V, 27 marzo 2013, n. 1808), è indubbio che si verifica la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione ogni qualvolta intervenga una modificazione della situazione di fatto o di diritto tale da comportare per il ricorrente l’inutilità dell’eventuale sentenza di accoglimento del ricorso, non essendo più configurabile in capo ad esso un interesse, anche solo strumentale o morale, alla decisione stessa (Cons. St., sez. V, 9 settembre 2013, n. 4473;2 agosto 2013, n. 4054;13 aprile 2012, n. 2116) ovvero quando sia stato adottato dall’amministrazione un provvedimento idoneo a ridefinire l’assetto degli interessi in gioco che, pur senza avere alcun effetto pienamente satisfattivo nei confronti del ricorrente, renda certa e definitiva l’inutilità della sentenza (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2014, n.1663;sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2511;26 febbraio 2013, n. 1184;sez. V, 26 settembre 2013, n. 4784).
5.3- Nel caso di specie non è revocabile in dubbio che l’intervenuta adozione da parte del Comune della determina di inquadramento nella qualifica oggetto della domanda giudiziale ha fatto venir meno l’interesse alla domanda.
Quanto alla decorrenza retroattiva dell’inquadramento, interesse che in astratto residuerebbe in capo alla ricorrente, esso è insuscettibile di tutela in mancanza della tempestiva impugnazione del nuovo provvedimento nella parte lesiva, che avendo dato un nuovo assetto agli interessi in gioco, rende improcedibile la pretesa a suo tempo azionata dalla ricorrente, confliggente con la nuova situazione di fatto e di diritto.
Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto.
Le spese di giudizio possono essere eccezionalmente compensate tra le parti, in relazione alla natura della controversia.