Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-01, n. 202106160

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-01, n. 202106160
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106160
Data del deposito : 1 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/09/2021

N. 06160/2021REG.PROV.COLL.

N. 04524/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4524 del 2013, proposto dalla dott.ssa-OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avv. prof. P R ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. prof. F M in Roma, via Bernardino Telesio n. 26;

contro

Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del Presidente pro tempore , Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 marzo 2021, tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Francesco Guarracino e considerato presente l’avv. prof. P R per la parte appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 19 dicembre 2008, prot. n. P 32615/2008, e successivo decreto del Ministro della Giustizia, notificato il 22 gennaio 2009, veniva rispettivamente disposta e dichiarata la revoca della dott.ssa -OMISSIS- dall’incarico di giudice onorario del Tribunale ordinario di -OMISSIS-per aver esercitato la professione forense, mediante lo svolgimento di attività stragiudiziale, nel distretto del tribunale ove esercitava le funzioni onorarie.

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per-OMISSIS-la -OMISSIS- impugnava i provvedimenti suddetti, insieme all’atto di contestazione del Presidente della Corte d’appello di -OMISSIS-del 27 maggio 2008 e alla delibera del Consiglio giudiziario presso la stessa Corte d’appello, resa nell’adunanza del 28 settembre 2008, con cui veniva formalizzata la proposta di revoca dall’ufficio di G.O.T.

Con sentenza del -OMISSIS-n. -OMISSIS-, il Tribunale Amministrativo Regionale per -OMISSIS-respingeva il ricorso.

Avverso la decisione di primo grado la ricorrente ha interposto appello, al quale hanno resistito il Ministero della Giustizia e il Consiglio Superiore della Magistratura.

In vista della discussione entrambe le parti hanno prodotto memorie e l’appellante una memoria di replica.

Alla pubblica udienza del 16 marzo 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è affidato a tre motivi.

Col primo motivo l’appellante denuncia l’errore di diritto commesso dal T.A.R. nel respingere la censura con la quale aveva sostenuto che la delibera sulla proposta di revoca fosse stata assunta dal Consiglio giudiziario in composizione illegittima, perché non integrata con la presenza dei cinque rappresentanti designati dai Consigli dell’Ordine degli avvocati del distretto di corte d’appello richiesta dall’art. 13 del D.M. Giustizia 26 settembre 2007.

Col secondo motivo denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in cui sarebbe incorso il T.A.R. per aver omesso di pronunciarsi sia sulla censura sul vizio di procedura derivante dal fatto che l’iniziativa di avviare il procedimento di revoca non competeva al Presidente della Corte di appello, ma al Presidente del Tribunale, sia sulla censura con cui era stata denunciata l’inapplicabilità della circolare del C.S.M. n. 10358/2003 ai giudici onorari che, come la ricorrente, erano stati nominati prima del 1999, i quali sarebbero rimasti soggetti alle disposizioni della circolare del C.S.M. n. P-11357/2000, che, a differenza di quelle sopravvenute, non avrebbero previsto l’incompatibilità della funzione onoraria con lo svolgimento di attività difensiva stragiudiziale.

Col terzo motivo lamenta il vizio di illogicità ovvero di carenza di motivazione che affliggerebbe la sentenza appellata anche in ordine al merito della controversia, per avere il T.A.R. travisato i fatti sottesi al giudizio.

2. - Il primo motivo di appello sulla composizione del Consiglio giudiziario, che contiene una motivata critica alla ricostruzione del quadro normativo fatta dal T.A.R., sfugge all’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa erariale con riferimento all’onere di specificità delle censure in appello, ma nel merito è infondato.

La tesi propugnata dall’appellante, secondo la quale il Consiglio giudiziario non avrebbe potuto deliberare in composizione esclusivamente togata, come, invece, accaduto nel caso di specie e riconosciuto legittimo dal primo giudice, si basa su un’interpretazione della normativa in materia di nomina, cessazione dall’incarico e revoca dei G.O.T. contenuta negli artt. 42-ter e 42-sexies del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (nonché nel D.M. 26 settembre 2007) per cui questa avrebbe rivestito carattere di specialità e, perciò, sarebbe stata insensibile al D.lgs. 27 gennaio 2006, n. 25 (recante disposizioni in materia di “Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c), della L. 25 luglio 2005, n. 150”), il cui articolo 16 aveva disposto che i componenti non togati dei Consigli giudiziari partecipassero esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio di alcune competenze specifiche dei consigli medesimi, tra le quali non rientrava quella attinente alla revoca dei giudici onorari.

E poiché l’art. 42-ter del R.D. n. 12/1941 stabiliva che “ I giudici onorari di tribunale sono nominati con decreto del Ministro di grazia e giustizia, in conformità della deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su proposta del consiglio giudiziario competente per territorio nella composizione prevista dall’articolo 4, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374 ” e il successivo art. 42-sexies, a sua volta, che “ La cessazione, la decadenza o la revoca dall’ufficio [del giudice onorario di tribunale] è dichiarata o disposta con le stesse modalità previste per la nomina ”, ciò avrebbe comportato che il Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Perugia, chiamato a deliberare sulla proposta di revoca dall’ufficio dell’odierna appellante, avrebbe dovuto riunirsi in composizione integrata da cinque rappresentanti designati, d’intesa tra loro, dai consigli dell’ordine degli avvocati del distretto di corte d’appello, come originariamente previsto dal richiamato art. 4, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374, istitutiva dei giudici di pace.

La tesi presuppone che il richiamo dell’art. 42-ter della legge sull’ordinamento giudiziario del 1941 all’art. 4, comma 1, della legge n. 374/1991 fosse un rinvio statico alla disposizione richiamata e non un rinvio dinamico alla disciplina sulla composizione dei consigli giudiziari nell’esercizio delle competenze in materia di giudice di pace, quale archetipo di magistratura onoraria, quale invece doveva correttamente ritenersi.

Convince in quest’ultimo senso l’argomento funzionale che può agevolmente ritrarsi dallo scopo del rinvio di cui si discorre, la cui ratio era chiaramente di adeguare, in materia di nomina, cessazione, decadenza o revoca dei giudici onorari di tribunale, la composizione dei consigli giudiziari a quella che a quell’epoca era stabilita per la nomina dei magistrati onorari chiamati a ricoprire l’ufficio del giudice di pace. Non essendo revocabile in dubbio che nella considerazione del legislatore le analogie tra le due figure giustificassero la previsione per entrambe di una stessa composizione integrata da “laici” del consiglio giudiziario, rispetto a quella prevista per i giudici togati, può senz’altro concludersi che quel rinvio dovesse intendersi come un rinvio formale alla disciplina sulla composizione dei consigli giudiziari per i giudici di pace, per l’effetto di ritenere che quel rinvio dovesse riferirsi automaticamente anche alle sue successive vicende e modificazioni.

Pertanto, non poteva ritenersi indifferente (come correttamente non ha fatto il T.A.R., pur con motivazione diversa) ai fini della legittima composizione del Consiglio giudiziario chiamato a deliberare sulla proposta di revoca dell’appellante la circostanza che all’epoca della sua adunanza (24 settembre 2008) il D.lgs. 25/06 cit., come modificato con legge 30 luglio 2007, n. 111, nel prevedere la costituzione di una sezione autonoma del consiglio giudiziario relativa ai giudici di pace (art. 10), ne stabilisse una diversa composizione in relazione alle competenze esercitate, prescrivendo che i componenti designati dal consiglio regionale e i componenti avvocati e professori universitari partecipassero esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative ai pareri sulle tabelle degli uffici giudicanti, su quelle infradistrettuali e sui criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti, all’esercizio della vigilanza sull’andamento degli uffici giudiziari del distretto e relative segnalazioni al Ministro della giustizia dell’esistenza di disfunzioni e alla formulazione di pareri e proposte sull’organizzazione e il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto (art. 16, in relazione all’art. 15, comma 1, lettere a), d) ed e)).

Il motivo, pertanto, dev’essere respinto.

3. - Col secondo motivo di appello, come già detto, l’appellante lamenta l’omesso esame da parte del primo giudice di due censure, l’una relativa al difetto, in capo al Presidente della Corte di appello, del potere di avvio del procedimento di revoca dall’ufficio, l’altra concernente la pretesa inapplicabilità delle disposizioni della circolare del C.S.M. n. P-10358/2003 sul divieto di esercizio di attività di difesa stragiudiziale da parte dei giudici onorari di tribunale.

La circostanza denunciata risponde al vero.

Poiché il caso non rientra le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall’art. 105 c.p.a., le quali, avendo carattere eccezionale e tassativo, non sono suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive, occorre decidere in questa sede anche su quei motivi di impugnazione non esaminati dal giudice di prime cure.

Nel merito, mentre la seconda censura risulta senz’altro infondata, urtando col generale principio del tempus regit actum la pretesa di veder assoggettata la propria condotta alla sola disciplina dettata dalla previgente circolare n. P-11357/2000, che nulla prevedeva in ordine all’attività legale stragiudiziale, è, invece, fondata la prima doglianza relativa all’incompetenza del Presidente della Corte di appello ad avviare il procedimento di revoca dell’odierna appellante dall’ufficio di giudice onorario di tribunale, esercitando un potere d’impulso del Presidente del Tribunale, e a formulare le contestazioni, spettanti al Consiglio giudiziario (pag. 8 s. ricorso d’appello;
pag. 6 ricorso di primo grado).

Per l’art. 11 del D.M. Giustizia del 18 luglio 2003 “ Il presidente del tribunale che venga a conoscenza di fatti i comportamenti di possibile rilievo ai fini di un procedimento di decadenza o disciplinare, dà tempestivo avvio al procedimento di cui al successivo art. 13 ”, che (rubricato “ Procedura per la decadenza e revoca ”) al secondo comma prevede, con riferimento al sopravvenire di una causa di revoca per inosservanza dei doveri inerenti all’ufficio, che “ il presidente del tribunale, che abbia avuto notizia di un fatto che possa dar luogo alla decadenza o alla revoca per le ragioni sopraindicate, può, in ogni momento, proporre al Consiglio giudiziario … la revoca o la decadenza del giudice onorario ” (quanto al riferimento al consiglio giudiziario “integrato” ai sensi della legge n. 374/1991, vale quanto si è già detto sulla natura mobile del rinvio).

Così pure la circolare del C.S.M. n. P-10358/2003, che ne doppia le suddette previsioni all’interno del proprio art. 11 (in materia di vigilanza del Presidente del Tribunale sui giudici onorari del tribunale medesimo) e del proprio art. 13 (sulla procedura di decadenza e revoca del magistrato onorario).

Pertanto, era il Presidente del Tribunale, e non il Presidente della Corte d’appello, l’organo munito del potere di avviare il procedimento di revoca dall’ufficio e deputato a riferire al Consiglio giudiziario, competente, a sua volta, a formulare la contestazione e, del caso, a sottoporre una proposta motivata di decadenza o di revoca al C.S.M., titolare del potere decisionale ultimo (cfr. art. 13 cit.).

Tuttavia, nel caso in esame il procedimento è stato avviato con la contestazione dell’addebito formulata, in data 27 maggio 2008, direttamente dal Presidente della Corte d’appello di Perugia;
la qual cosa si spiega, ma non si giustifica, con l’erroneo richiamo, nel preambolo, all’art. 7 del D.M. Giustizia del 7 luglio 1999, che a suo tempo stabiliva che la cessazione, la decadenza o la revoca dall’ufficio dei giudici onorari avvenisse con le stesse modalità previste dalla nomina, che coinvolgevano i presidenti delle corti di appello (art. 2 D.M. ult. cit.), ma che nel 2008 era già stato abrogato dal citato D.M. 18 luglio 2003.

Indimostrato è l’assunto difensivo dell’Avvocatura erariale, che non trova riscontro nella documentazione agli atti di causa, secondo cui il Presidente del Tribunale di -OMISSIS-avrebbe esercitato il previsto potere di impulso trasmettendo al Consiglio Giudiziario, tramite il Presidente della Corte di Appello che quell’organo presiedeva, gli atti relativi alle segnalazioni a carico dell’appellante provenienti dal foro perugino.

Il motivo d’impugnazione, perciò, dev’essere accolto.

4. - Resta assorbito il terzo motivo di appello, concernente l’apprezzamento dei fatti condotto sulla base di una contestazione illegittimamente formulata da un organo incompetente.

5. - Per queste ragioni, in conclusione, l’appello è fondato e va accolto.

Per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dev’essere accolto il ricorso di primo grado con conseguente annullamento dei provvedimenti con lo stesso impugnati.

6. - Le spese del doppio grado del giudizio possono essere compensate per metà, in relazione alla peculiarità della vicenda, e poste per l’altra metà a carico delle amministrazioni soccombenti, nella misura liquidata in dispositivo.

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