Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-06-09, n. 201402934

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-06-09, n. 201402934
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201402934
Data del deposito : 9 giugno 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07065/2012 REG.RIC.

N. 02934/2014REG.PROV.COLL.

N. 07065/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso r.g.a.n. 7065/2012, proposto da:
G R, rappresentato e difeso dall'avv. A P, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Ennio Quirino Visconti, 99;

contro

Università degli studi Federico II di Napoli, in persona del rettore in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Campania, Napoli, sezione II, n. 1979/2012, resa tra le parti e concernente la decurtazione della retribuzione a partire dal mese di agosto 2010, per un importo mensile di euro 800,00 .


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati, con tutti gli atti e i documenti di causa.

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Università Federico II di Napoli.

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014, il Consigliere V C ed uditi, per le parti, l’avvocato A P e l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino.

Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.


FATTO

Risulta dalla sentenza oggetto di appello che all’odierno ricorrente, docente universitario cessato nel 2002 dalle funzioni di componente del Consiglio superiore della Magistratura, è stato respinto il ricorso proposto avverso la rideterminazione - da parte dell’Università di Napoli “Federico II” (come da decreto rettorale n. 101 del 17 gennaio 2011) - del trattamento economico spettante per effetto del riassorbimento dell’assegno ad personam attribuito in applicazione del decreto rettorale n. 3160 del 4 ottobre 2002 (non portato ad esecuzione per mero errore materiale).

Con l’appello in esame, a mezzo di tre motivi di censura per violazione di legge ed eccesso di potere, l’interessato ha criticato la sentenza in epigrafe per l’affermata inapplicabilità alla vicenda dell’art. 202 del d.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957 (norma disciplinante i passaggi di carriera - presso la stessa o diversa amministrazione - degli impiegati dello Stato con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica);
per la ritenuta assenza di una motivazione specifica e puntuale del recupero e della trattenuta mensile operata;
infine, per la carenza d’istruttoria in rapporto all’irripetibilità delle somme relative, stanti la buona fede del percipiente ed il legittimo affidamento riposto.

L’Università intimata si è formalmente costituita in giudizio.

L’appellante ha depositato in data 5 dicembre 2013 una memoria illustrativa.

All’udienza del 9 gennaio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Nel presente giudizio è controversa l’indennità mensile già goduta dall’appellante durante il servizio prestato quale componente laico del Consiglio superiore della Magistratura: lo è, in particolare, il relativo tramutamento - alla cessazione delle funzioni - in assegno personale, utile a pensione e riassorbibile con i successivi aumenti di stipendio nella progressione della carriera di appartenenza.

Nella fattispecie, è accaduto che i riassorbimenti dell’assegno personale, come determinato al rientro in Università dalla posizione di fuori ruolo (v. decreto rettorale n. 3160 del 4 ottobre 2002), per mero disguido, non fossero stati operati nel corso della progressione economica della carriera, sino a quando l’amministrazione universitaria non se ne era avveduta all’atto di predisposizione del collocamento in quiescenza, provvedendo quindi a quantificarne la misura complessiva mediante trattenute mensili (v. decreto rettorale n. 101 del 17 gennaio 2011).

L’appello è infondato e la sentenza merita conferma.

2.- Secondo l'art. 3, comma primo, legge 3 maggio 1971 n. 312, " ai componenti che fruiscono del trattamento previsto dall' articolo 40, comma terzo, della legge 24 marzo 1958, n.195, l'assegno mensile a carico del Consiglio superiore della Magistratura verrà tramutato, all'atto della cessazione dalla carica per decorso del quadriennio, in assegno personale agli effetti e nei limiti stabiliti dall'art. 202 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.

In tali casi la liquidazione del trattamenti di quiescenza e previdenza avrà luogo con le norme vigenti per il personale della magistratura ".

Dispone invece l'art. 202, ultimo citato, che " nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio giù goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica ".

Le disposizioni in commento sono infatti chiare, e perciò non necessitanti di alcuna particolare interpretazione in rapporto ad una loro piana lettura, laddove stabiliscono che, allo scadere del mandato quale componente del C.S.M., il dipendente statale conserva l'eventuale disallineamento retributivo sotto forma di assegno personale differenziale tra il trattamento goduto in tale veste e quello percepito presso l’amministrazione di appartenenza, al rientro nel proprio ruolo dopo la cessazione dalla carica.

Viceversa, la pretesa qui propugnata dall’appellante si viene a risolvere in una impropria parificazione a tempo indefinito tra i rispettivi status ed i trattamenti economici, con un ampliamento del beneficio oltre il periodo di riassorbimento dell’assegno personale, non invocabile per legge e che non si può tradurre in una duplicazione dei successivi aumenti di stipendio nella progressione di carriera, anche se semplicemente economica.

3.- L’odierna controversia si risolve, allora, in una normale attività amministrativa di recupero di somme retributive non spettanti ed indebitamente corrisposte, doverosa e vincolata a termini dell’art. 2033 del codice civile, come esattamente rilevato dai giudici di prima istanza.

Né, relativamente alla dedotta carenza istruttoria, di fronte alle analitiche tabelle predisposte dall’amministrazione e depositate in giudizio, il ricorrente ha specificamente contestato la misura di quanto dovuto oppure quantificato diversamente le somme.

Neppure, quanto alla opposta buona fede ed in disparte la sua incidenza ai limitati fini delle modalità di esecuzione del recupero, pur salvaguardate, può essere trascurata la figura stessa del percipiente, docente di diritto, alla cui attenzione pertanto non avrebbero potuto verosimilmente sfuggire “ gli effetti e i limiti ” del beneficio stesso.

4.- Conclusivamente, l’appello dev’essere rigettato, con salvezza dell’impugnata sentenza (e degli atti gravati), risultata esente dalle prospettate censure.

Tuttavia, per la peculiarità della controversia, gli oneri processuali di seconda istanza possono essere integralmente compensati tra le parti in causa.

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