Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-24, n. 201704888

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-24, n. 201704888
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704888
Data del deposito : 24 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/10/2017

N. 04888/2017REG.PROV.COLL.

N. 03922/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3922 del 2012, proposto da:
C M, rappresentato e difeso dall'avvocato P M, con domicilio eletto presso lo studio C/O Iacobucci Berardino Studio Conte in Roma, via E. Q. Visconti, n. 99;

contro

Comune di Palagiano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Zebio 19;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE I, n. 1982/2011, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per illegittima occupazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Palagiano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. L M T e uditi per le parti gli avvocati B. Iacobucci su delega di Mastrangelo, F. Caricato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, l’odierno appellante invocava l’accertamento dell’illegittimità dell’occupazione da parte del comune di Palagiano delle aree di proprietà del ricorrente identificate nel Catasto terreni al f. 23 p.lle 415 e 479, 416 e 417, 527 e 528, 418 e 526, nonché della porzione del c.d. lotto grigio n. 30 il risarcimento dei danni da occupazione illegittima.

2. Il primo giudice respingeva il ricorso, respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’amministrazione resistente, ritenendo che alla data di proposizione del ricorso fosse intervenuta l’usucapione ventennale del bene da parte dell’amministrazione.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originario ricorrente, dolendosi dell’erroneità della pronuncia gravata, in quanto: a) il giudice amministrativo non potrebbe pronunciarsi sull'istituto dell'usucapione, in quanto materia riservata esclusivamente al giudice ordinario. Inoltre, a differenza del caso deciso dalla pronuncia n. 4434/2009 della Cassazione, richiamata dal primo giudice, nella fattispecie la detenzione del bene, prova dell’ animus possidendi , sarebbe avvenuta non sine titulo , ma in forza di un legittimo provvedimento di occupazione temporanea. Pertanto, non sussisterebbero i presupposti per dichiarare l’intervenuta prescrizione anche perché diversamente opinando risulterebbero violati l’art. 1 prot. 1 addizionale della CEDU e l’art. 42 cost. In definitiva, l’acquisto del bene da parte dell’amministrazione, immessasi nel godimento dei beni privati, non potrebbe che avvenire in forza di un atto di compravendita o di un provvedimento ex art. 42 bis, d.p.r. 327/2001;
b) l’assenza dei presupposti per dichiarare l’intervenuta usucapione poggerebbe sul fatto che l’amministrazione non avrebbe mai avuto l’ animus possidendi ma solo il corpus , tipico della detenzione.

4. Costituitasi in giudizio l’amministrazione comunale evidenza che la fattispecie in esame rientrerebbe nell’ambito della cd. occupazione acquisitiva in quanto fondata su di un legittimo atto di dichiarazione di pubblica utilità e su di un altrettanto legittimo atto di occupazione d’urgenza. Inoltre, l’amministrazione pone in luce come gli immobili di edilizia economica e popolare realizzati sulle proprietà dell’appellante sarebbero stati realizzati nel 1983 e che solo nel 2009 quest’ultimo avrebbe proposto ricorso al TAR. Ciò avrebbe realizzato i presupposti per l’acquisto per usucapione del bene da parte dell’amministrazione.

Da ultimo, l’amministrazione appellata ripropone l’eccezione di intervenuta prescrizione, già avanzata in prime cure, sulla quale il TAR non si sarebbe pronunciato.

In data 5 settembre 2017 ed in data 9 settembre 2017, rispettivamente, l’amministrazione appellata e l’appellante hanno depositato memorie di replica.

5. Preliminarmente occorre chiarire che le memorie di replica di entrambe le parti sono tardive e, pertanto, non possono essere esaminate. Il giudizio in questione, infatti, non soggiace alla disciplina prevista dall’art. 119 c.p.a., che prevede termini processuali dimidiati per l’esercizio della detta facoltà di depositare memorie di replica, sicché non risulta rispettato il termine di venti giorni fissato dall’art. 73 c.p.a. Sulla non riconducibilità dei giudizi meramente risarcitori nell’ambito della fattispecie prevista dall’art. 119 comma 1, lett. f), c.p.a. questo Consiglio, infatti, ha avuto modo di chiarire che la riconducibilità della domanda nell’esclusivo alveo dell’azione di condanna al risarcimento per danni, verificatisi in un procedimento ablatorio conseguente all’illegittima sottrazione del bene al suo ordinario utilizzo, comporta l’inapplicabilità al giudizio del rito abbreviato di cui all’art. 119, comma 1, lettera f), cod. proc. amm., mancando la ratio per la quale il legislatore ha ritenuto di favorire, in deroga ai termini processuali ordinari, una più rapida tutela degli interessi pubblici in ambiti individuati (cfr. Cons. St., Sez. IV, 30 dicembre 2016, n. 5551;
Cons. Stato, Ad. pl., 30 luglio 2007, nr. 9;
id., sez. IV, 7 aprile 2014, nr. 1605).

6. Venendo al merito del presente appello non può trovare accoglimento la doglianza con la quale l’appellante contesta la giurisdizione del g.a. in ordine alla pronuncia di intervenuta usucapione. Nella fattispecie, infatti, il giudizio muove dalla domanda dell’originario ricorrente di accertare l’illegittimità dell’occupazione da parte dell’amministrazione comunale e di ottenere il risarcimento del danno. Domanda che presuppone, quale antecedente logico-giuridico, che il ricorrente sia titolare del diritto di proprietà sul bene per il quale invoca la tutela per equivalente. Pertanto, si è in presenza di una tipica questione pregiudiziale, sulla quale ben può pronunciarsi il g.a. anche se viene in rilievo una posizione giuridica sostanziale di diritto soggettivo. Del resto il g.a. in materia ha giurisdizione esclusiva nelle dette controversie, altrimenti non potrebbe conoscere delle richieste meramente risarcitorie proposte in ragione dell’occupazione del bene da parte dell’amministrazione preceduta da valida dichiarazione di pubblica utilità, ma non seguita dal necessario decreto d’esproprio.

Del pari, non può convenirsi con quanto statuito dall’appellante in ordine all’impossibilità che in una fattispecie quale quella in esame l’amministrazione possa acquisire il bene per usucapione. Il tema, infatti, è già stata esaminato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 2/2016, secondo la quale: “quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. – con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius , ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene – che viene a cessare solo in conseguenza:

a) della restituzione del fondo;

b) di un accordo transattivo;

c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;

d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che, sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull’Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014);
dunque a condizione che:

I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;

II) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis ;

III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il “….giorno in cui il diritto può essere fatto valere”;

e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u. espr.”

7. Tanto premesso deve, però, rilevarsi, come affermato dall’appellante, che non può predicarsi l’intervenuta usucapione, dal momento che non può dirsi decorso il termine ventennale, che, come chiarito dalla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria, decorre dall’entrata in vigore del d.p.r. n. 327/2001, ossia dal 30 giugno 2003. Da ciò deriva che, in assenza di acquisizione della proprietà dei beni in questione, permane l’obbligo del Comune appellato di elidere sollecitamente le situazioni illecite ancora in atto, considerato che in assenza dell’adozione di uno strumento di acquisizione lecita dei beni la detta situazione sopravvive in forma di illecito permanente con il limite della usucapione ventennale nella fattispecie non ancora maturata.

8. All’udienza del 21 settembre 2017 il Collegio ha sottoposto ex art. 73 c.p.a. alle parti la questione dell’utilizzabilità del rinvio per relationem dell’atto d’appello al ricorso di primo grado, al fine di delineare il thema decidendi del giudizio di seconde cure.

Sul punto occorre rilevare che nel giudizio amministrativo è preclusa al Giudice di appello la conoscenza, di propria iniziativa, dei motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti (o sui quali la sentenza impugnata non si sia comunque pronunciata) e formalmente non riproposti, pena il vizio di ultrapetizione della decisione. Nell’odierno gravame l’appellante conclude “per la riforma e/o l'annullamento della sentenza impugnata, con l'integrale accoglimento del ricorso introduttivo”, ma non indica in alcun modo il danno che avrebbe subito a seguito della condotta dell’amministrazione. Mentre, nel giudizio di prime cure con il ricorso introduttivo rassegnava le seguenti conclusioni: a) dichiarare che la p.a. detiene illegittimamente le aree di proprietà del ricorrente con una puntuale, ivi, indicazione delle stesse;
risarcire il danno in forma specifica, o per equivalente pecuniario, applicando in quest’ultimo caso nella misura che risulterà, applicando i prezzi correnti di mercato, il tutto con rivalutazione ed interessi.

Occorre premettere che l’appello nel processo amministrativo è un mezzo di impugnazione di tipo devolutivo, che impone all’appellante di esporre non solo specifiche censure contro i capi della sentenza impugnati, ma anche di riproporre tutti i motivi a sostegno delle domande spiegate in prime cure. Inoltre, come chiarito a più riprese da questo Consiglio (cfr . ex plurimis , Cons. St., Sez. IV, 25 gennaio 2017, n. 295): “Gli artt. 3, 40 e 101 D.Lgs. n. 104/2010 (CPA) intendono definire gli elementi essenziali del ricorso al G.A., con riferimento alla causa petendi (i motivi di gravame) ed al petitum, cioè la concreta e specifica decisione richiesta al Giudice;
con particolare riguardo alla stesura dei motivi, lo scopo delle disposizioni è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi, oltre ad essere poco sintetici, non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. motivi intrusi (ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminano tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano nel rischio di revocazione)”.

Pertanto, affinché il giudice d’appello possa essere investito dell’intero thema decidendi proposto in prime cure non è sufficiente un generico rinvio al contenuto del ricorso di primo grado, ma occorre che la parte esponga nell’atto d’appello quei motivi di diritto non esaminati dal giudice di prime cure, la cui fondatezza comporterebbe l’accoglimento della domanda ivi spiegata.

Nella fattispecie vengono in gioco una pluralità di diritti soggettivi afferenti a diverse particelle che risultano oggetto di diversi procedimenti amministrativi, per i quali a fronte del contraddittorio svoltosi in primo grado ed a fronte delle puntuali difese contenute nelle difese dell’amministrazione in seconde cure non vi è una specifica indicazione dei motivi di diritto, ma solo una ricostruzione della parte in fatto con una conclusiva quanto generica richiesta di accoglimento del ricorso di primo grado.

Inoltre, anche a voler ritenere riproposta la domanda risarcitoria, manca una chiara indicazione della quantificazione del danno da parte dell’appellante il che impedisce a questo giudicante di accogliere una richiesta risarcitoria del tutto priva della benché minima allegazione oltre che prova sul profilo del quantum debeatur .

Pertanto, l’odierno appello deve in parte essere accolto ed in parte dichiarato inammissibile per genericità. Nella reciproca soccombenza si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio.

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