Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-07-27, n. 202307376

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-07-27, n. 202307376
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202307376
Data del deposito : 27 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/07/2023

N. 07376/2023REG.PROV.COLL.

N. 01361/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1361 del 2019, proposto dai signori S C, L M, E C, P V, A D P, I R, L P, A G, S C, C B, S G, P P, E S, R Q, M B, A P, E L, A L, S M, S A, A L, C P, D A, F B, L P, M R, M T, M M, M N, Piero D'Angeli, A P R, S P, S B, S V, S S, S A, Stefania D'Annibale, rappresentati e difesi dall’avvocato Maurilio D’Angelo, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pietro Da Cortona, n. 8;

contro

l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sezione I, n. 9270 dell’11 settembre 2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , c.p.a.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 15 maggio 2023 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti l’avvocato Diego Brandi, in sostituzione dell’avvocato Maurilio D’Angelo, e l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma “ Microsoft Teams ”;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. In data 19 dicembre 2014 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) emanava la delibera con cui disponeva la riduzione, non inferiore al 20%, del trattamento economico accessorio del personale dei dipendenti delle amministrazioni elencate all’art. 1 del d.l. 90/2014, tra cui rientra appunto anche l’AGCM.

1.1. In seguito, il signor S C, in rappresentanza dei dipendenti dell’AGCM, presentava apposita istanza di accesso agli atti amministrativi.

1.2. In data 6 luglio 2015 l’AGCM emetteva la nota n. 0044135, alla quale allegava una delibera della medesima Autorità, non pubblicata né notificata agli interessati, con cui dava risposta alla suddetta istanza di accesso.

2. Con ricorso al T.a.r. per il Lazio, n. 12608/2015, i signori S C, L M, N O, E C, P V, A D P, I R, L P, A G, S C, C B, S G, P P, E S, R Q, M B, A P, E L, A L, S M, S Ani, A L, C P, D A, F B, L P, M R, M T, M M, M N, Piero D'Angeli, A P R, S P, S B, S V, S S, S A, Stefania D’Annibale, tutti dipendenti dell’Agcm, impugnavano, sulla base di quattro motivi di gravame, entrambe le delibere dell’AGCM chiedendone l’annullamento.

3. Il T.a.r. Lazio, Sezione I, con la sentenza n. 9270/2018, ha così deciso il gravame al suo esame:

i) ha respinto il ricorso in quanto infondato;

ii) ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio a favore delle amministrazioni resistenti liquidate in euro 3.800,00 oltre accessori di legge.

3.1. In particolare, ad avviso del giudice di prime cure:

- le decurtazioni sul trattamento accessorio dei dipendenti delle Autorità sono state disposte con norma di legge di cui le delibere impugnate, costituiscono, in parte qua , atto vincolato. Infatti, la disposizione non lasciava all’Autorità alcun margine di discrezionalità nell’ an della riduzione del trattamento economico accessorio dei dipendenti, ma permetteva alla stessa di sceglierne l’entità, nel rispetto nel minimo del 20%. Pertanto, la partecipazione degli interessati al procedimento non avrebbe potuto dare un esito diverso, con conseguente applicabilità della previsione di cui all’art. 21 octies , comma 2, della legge 241/90;

- trattasi dell’indennità di residenza parte fissa conviventi, dell’indennità di turno, dell’indennità di cassa, dello straordinario, del trattamento di missione al netto delle spese di vitto (per conformarla al trattamento dei dipendenti della Banca d’Italia), dei premi una tantum , tutte voci che non hanno i caratteri propri del trattamento economico fondamentale, perché prive del carattere di continuità e non finalizzate a remunerare il fatto di essere lavoratore dipendente e di svolgere mansioni tipiche della categoria e/o dell’area e del profilo professionale rivestito;

- trattandosi, nel caso sub judice , dell’applicazione di una norma imperativa di legge con riguardo alla quale, peraltro, l’Autorità si è limitata ad applicare la decurtazione nella misura minima del 20%, la motivazione del provvedimento non poteva che limitarsi alle questioni interpretative ai fini della più corretta applicazione dell’art. 22, comma 5, d. l. 90/14, come risulta essere stato;

- la posizione del personale dei due istituti (AGCM e Banca d’Italia) non è del tutto parificabile ed il legislatore del 2014, come già osservato, trova una sponda nell’argomento ricavabile dalla citata sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2818/2014, condivisa dal Collegio, nel limitare alle Autorità Indipendenti la disposta misura di contenimento della spesa pubblica.

4. Con appello notificato il 6 febbraio 2019 e depositato il 15 febbraio 2019 i medesimi ricorrenti di primo grado, come sopra elencati, hanno chiesto la riforma della sentenza segnata in epigrafe articolando un unico complesso motivo di gravame (pagg. 8-36).

4.1. Gli appellanti censurano la sentenza di primo grado insistendo per la illegittimità costituzionale della norma applicata dall’AGCM laddove prevede il taglio ai trattamenti economici accessori a tempo indeterminato, in quanto introdotta senza che fosse indispensabile per il ripianamento del bilancio dello Stato e persino senza contrattazione con le OO.SS. così da violare, in thesi , l’art.97 della Costituzione oltre che gli artt.1 e 7 della legge n°241/1990.

Lamentano altresì le conseguenze sulla retribuzione degli appellanti, ben superiore al 20%, e la disparità di trattamento con i dipendenti della Banca d’Italia. Di qui la pretesa erroneità del passaggio lessicale della pronuncia impugnata ove si evidenzia che “ le decurtazioni sul trattamento accessorio dei dipendenti delle Autorità sono state disposte con norma di legge di cui le delibere impugnate, costituiscono, in parte qua, atto vincolato ”. Si evidenzia, poi, che, con la nota della Direzione Bilancio e Ragioneria del 31 luglio 2014, l’Autorità ha operato la decurtazione sulle voci accessorie escludendo le voci del trattamento economico fondamentale. La riduzione del trattamento economico ha, quindi, inciso solo sui trattamenti accessori e non vi sarebbe alcuna disparità di trattamento coi dipendenti della Banca d’Italia.

5. In data 11 marzo 2019 si è costituita l’AGCM insistendo per il rigetto dell’appello.

6. Con successive memorie, l’Autorità ha insistito per la reiezione del ricorso rilevando, in sintesi, che:

- come correttamente statuito dal T.a.r. Lazio, le decurtazioni sul trattamento accessorio dei dipendenti delle Autorità costituiscono atto vincolato;
infatti, il comma 5 dell’art. 22 del d. l. 24 giugno 2014, n. 90, non riservava alcuna discrezionalità in capo ai destinatari della norma - tenuti quindi a conformarvisi (tra questi, per l’appunto l’Autorità) in merito all’ an della riduzione del trattamento economico accessorio del personale dipendente, inclusi i dirigenti - bensì disponeva (a decorrere dal primo luglio 2014), e dispone tuttora, l’obbligo di procedere a tale riduzione, in misura non inferiore al 20 per cento;

- anche rispetto alle voci del trattamento economico da assoggettare alla decurtazione prevista dall’art. 22, comma 5, d. l. n. 90/2014, la sentenza del T.a.r. Lazio è immune dai vizi denunciati in quanto la legge istitutiva dell’Autorità n. 287/90 attribuisce alla stessa una potestà di auto-organizzazione, coerente con l’autonomia funzionale di cui la medesima gode per l’espletamento dei compiti che le sono riconosciuti ed il trattamento giuridico ed economico del personale e l’ordinamento delle carriere è regolato dall’Autorità in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d’Italia, tenuto conto delle proprie specifiche esigenze funzionali e organizzative.

7. All’udienza smaltimento del 15 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

8. L’appello è infondato.

9. Le articolate deduzioni di parte appellante si concentrano, in primis , sulla norma sottesa alle delibere impugnate in prime cure, sostenendosi che l’art.22, comma 5, del d.l. 24 giugno 2014 n°90 non rifletterebbe esigenze di “straordinaria necessità e urgenza”, non potendo così tale norma suffragare il taglio lineare al trattamento economico dei ricorrenti senza il supporto di apposita deliberazione e senza contrattazione con le Organizzazioni Sindacali.

L’infondatezza del motivo si deve allo stesso tenore della norma de qua che, con una formula del tutto assertiva, statuisce quanto segue: “ 5. A decorrere dal 1° luglio 2014, gli organismi di cui al comma 1 provvedono, nell'ambito dei propri ordinamenti, a una riduzione non inferiore al venti per cento del trattamento economico accessorio del personale dipendente, inclusi i dirigenti ”. La sua entrata in vigore risale al 25 giugno 2014 e pertanto è da tale data che andavano decurtate le retribuzioni. L’interlocuzione coi sindacati non poteva quindi produrre l’effetto sospirato dagli appellanti di escogitare rimedi alternativi. Non vi era cioè, a norma di legge, alcuna possibilità di raggiungere l’obiettivo economico temperandone, come auspicato in ricorso, gli effetti negativi sulla retribuzione accessoria del personale. Fermo restando che, come risulta documentalmente, le organizzazioni sindacali sono state costantemente informate delle decisioni adottate dall’Autorità in merito all’attuazione dell’art. 22 del d.l. n. 90/2014 (vedi docc. 3, 4 e 12 della produzione di primo grado di parte appellata e segnatamente lo Stralcio del verbale della riunione dell’Autorità del 1° agosto 2014, la Nota della Direzione Bilancio e Ragioneria del 31 luglio 2014 e le Mail indirizzate alle sigle sindacali).

9.1. L’appellante ha ulteriormente dedotto che il taglio ai trattamenti economici accessori a tempo indeterminato, disposto con la delibera in questione, non sarebbe indispensabile per il ripianamento del bilancio dello Stato e persino senza contrattazione con le OO.SS. così violando l’art.97 della Costituzione e gli artt.1 e 7 della legge n°241/1990. La misura adottata sarebbe in contrasto con le norme costituzionali anche perché avente carattere strutturale così da incidere sulle retribuzioni addirittura fino alla cessazione del rapporto di lavoro.

9.2. Premesso che le questioni di costituzionalità sollevate dall’appellante vanno dichiarate manifestamente infondate, in quanto impingono in valutazioni di carattere economico che sono affidate all’Amministrazione nella sua discrezionalità, va ribadito che l’interlocuzione coi sindacati non poteva condurre ad una applicazione della norma più favorevole. Invero questa impone alle Autorità indicate dal primo comma del medesimo art. 22, tra cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di provvedere, ciascuna nell’ambito dei propri ordinamenti, “ a una riduzione non inferiore al venti per cento del trattamento economico accessorio del personale dipendente, inclusi i dirigenti ”. La formula “ non inferiore ” utilizzata dal legislatore lascia intendere che la scelta dell’Autorità di disporre la riduzione della misura, a questo punto da definirsi minima, del 20%, non lasciava spazio a determinazioni più favorevoli così vanificando il possibile contributo dialettico delle organizzazioni sindacali. Diviene così priva di rilievo la deduzione relativa alla mancata presa di conoscenza da parte delle organizzazioni sindacali della delibera impugnata prima della data del 6 luglio 2015 cui risale la nota di riscontro all’istanza di accesso. Né può concepirsi un immediato intervento annullatorio del T.a.r. sulla delibera impugnata per la pretesa incostituzionalità della norma ad essa sottesa in mancanza della sollevazione della relativa questione innanzi alla Corte costituzionale, questione comunque, per le ragioni anzidette, da reputare manifestamente infondata.

9.3. Parte appellante deduce altresì che la riduzione operata sarebbe, in realtà, ben superiore alla misura minima anzidetta, ma trattasi di affermazione priva di riscontro obiettivo che comunque collide con quanto espressamente stabilito dall’Autorità facendo leva proprio sul tenore della norma. Non si traggono infatti elementi precisi e concordanti dai quali desumere che l’incidenza sul complessivo trattamento economico dei dipendenti sia superiore a quello minimo stabilito dalla legge.

Parimenti generiche sono le contestazioni che attengono all’incidenza del taglio operato dall’Autorità sul reddito da lavoro straordinario, sul compenso base del lavoro ordinario, sul TFR e sul trattamento pensionistico, tanto più che la riduzione operata da AGCM riguarda unicamente il trattamento economico accessorio. L’appellante insiste in questa sede nel ritenere che la riduzione del trattamento economico avrebbe inciso anche su voci non qualificabili accessorie, ma è meritevole di conferma quanto sul punto osservato dal T.a.r. in merito a quanto lamentato. Invero, in sede di adunanza del primo agosto 2014 e di adunanza del 30 aprile 2015, l’Autorità si era determinata nel senso che la prevista decurtazione del 20% operasse su voci (indennità residenti parte fissa conviventi;
indennità di turno;
indennità di cassa;
straordinario;
diaria e contributo di viaggio del trattamento di missione;
poi anche premio di presenza, Incremento di efficienza aziendale, Premio di risultato e Premio di laurea) chiaramente inscrivibili nel novero delle voci accessorie in quanto non riconnesse ai compiti ordinari del dipendente. Parte appellante formula precise contestazioni, anche richiamando la pronuncia della Corte costituzionale n. 178/2015, con riguardo alle voci “ premio di presenza ”, “ valutazione dell’incremento di efficienza aziendale ” della struttura funzionale-organizzativa, “ indennità di residenza parte fissa – conviventi ” che tuttavia non sono legate ai compiti ordinari dei dipendenti: non la prima perché volta a remunerare le eccedenze orarie dei dipendenti;
non la seconda perché appunto volta a remunerare gli incrementi qualitativi e quantitativi della produttività complessiva;
non la terza in quanto riguarda soltanto i dipendenti che vivono una situazione individuale di convivenza.

9.4. Per quanto riguarda la decorrenza della censurata delibera essa coincide con la data (1° luglio 2014) fissata dalla norma di cui al più volte menzionato art. 22 e pertanto nemmeno sotto tal profilo emerge la fondatezza di quanto denunciato da parte appellante circa l’indebito carattere retroattivo della stessa.

9.5. Non hanno pregio le considerazioni dell’appellante con le quali depreca la scelta dell’Autorità di far gravare ancora una volta sui dipendenti il taglio lineare dei compensi accessori invece che far fronte alle proprie esigenze di bilancio attraverso l’aumento dei contributi dovuti dalle società di capitali, atteso che trascura il visto carattere cogente della normativa applicata.

9.6. L’appellante altresì sostiene che la norma non doveva applicarsi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in quanto non gravava più dal 1° gennaio 2014 sul bilancio dello Stato. Anche tale deduzione non convince in considerazione della formula di legge che fa rientrare anche l’AGCM nel suo alveo applicativo quale autorità indipendente.

9.7. Va infine rilevato che il legislatore nell’indicare i soggetti cui l’art. 22 è applicabile non ha richiamato la Banca d’Italia per cui non hanno alcuna incidenza le considerazioni dell’appellante in ordine al rapporto tra tale ente e l’AGCM.

10. Per le ragioni dianzi evidenziate l’appello deve essere respinto.

11. Le spese del presente grado di giudizio, secondo il canone della soccombenza, sono da porre a carico di parte appellante nella misura stabilita in dispositivo.

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