Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-11-26, n. 201505373

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-11-26, n. 201505373
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201505373
Data del deposito : 26 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01502/2012 REG.RIC.

N. 05373/2015REG.PROV.COLL.

N. 01502/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso ricorso n. 1502/2012 RG, proposto da F G M, rappresentato e difeso dagli avvocati D L e M S, con domicilio eletto in Roma, via dei Gracchi n. 39, presso l’avv. Giuffrè,

contro

- il Comune di Altamura (BA), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati V M ed A M, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso l’avv. Placidi e
- la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore , non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza breve del TAR Puglia – Bari, sez. III, n. 164/2012, resa tra le parti e concernente la determinazione dell’importo per l’affrancazione di terreni di proprietà dell’appellante da uso civico.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del solo Comune di Altamura;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 9 giugno 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Sanino e Meale (anche su delega di Mascolo);

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – Il sig. F G M dichiara d’esser comproprietario d’un terreno sito in Altamura (BA), ricadente in zona D1 (industriale – artigianale) del vigente PRG, già dal 2000 oggetto d’un piano di lottizzazione convenzionata e sul quale grava un uso civico a pascolo per due mesi l’anno.

Il sig. M rende noto altresì d’aver chiesto a tal Comune, il 15 giugno 2011, l’affrancazione del terreno stesso dall’uso civico, al fine di realizzarvi un insediamento industriale ed artigianale.

Detto Comune, con nota prot. n. 34125 del successivo 22 luglio, ha risposto al sig. M che, per la favorevole conclusione dell’affrancazione, egli avrebbe dovuto pagargli € 1.666.080 a titolo di affrancazione vera e propria ed € 1.041.404,78 a titolo di canoni pregressi ed interessi legali, salvo conguaglio. Il sig. M ha allora chiesto chiarimenti su tal liquidazione, l’8 settembre successivo ricevendo dal Comune delucidazioni, in una con la rideterminazione degli importi dovuti, sul criterio d’aggiornamento per i canoni d’affrancazione delle terre indicate nel decreto commissariale 23 marzo 1960 (c.d. “decreto Matine”) e verso le terre demaniali inserite nei c.d. Stati degli arbitrari occupatori. In particolare, tal criterio fu determinato con delibera consiliare n. 57 del 26 novembre 2009, integrata dalla delibera consiliare n. 22del 9 febbraio 2010.

2. – Avverso tali note e le delibere consiliari presupposte è allora insorto il sig. M innanzi al TAR Bari, con il ricorso n. 1962/2011 RG. Il ricorrente ha dedotto: 1) – la natura di jus in re aliena (privata) da riconoscere all’uso civico de quo , che ha effetto solo per due mesi l’anno (in base alle perizie del 1930, del 1935 e del 1952), alla cui affrancazione si applica l’importo indicato dal c.d. “decreto Matine” in Lit. 25/ha (e non già quello, fissato in Lit. 500/ha, per le occupazioni abusive di terreni demaniali), aggiornato con i criteri di cui all’art. 10, c. 3 della l. reg. Puglia 28 gennaio 1998 n. 7 e s.m.i ed all’art. 54, c. 3 della l.r. 4 agosto 2004 n. 14;
2) – la necessità che i Comuni, cui la Regione assegna il compito d’aggiornare i canoni in questione, usino l’indice ISTAT per calcolare tal aggiornamento (come, p. es., hanno fatto i Comuni di Gravina di Puglia e di Apricena), essendo indifferente a tal fine che l’uso civico de quo gravi su un terreno agricolo anziché edificabile, a differenza di quanto è prescritto per i terreni demaniali abusivamente occupati;
3) – la conseguente incongruenza ed illegittimità degli aggiornamenti statuiti con le due delibere gravate, non potendosi far commistione tra le due fattispecie d’affrancazione, ché il calcolo verso il ricorrente va effettuato sulla base di Lit. 25/ha, secondo quanto detto nella perizia “R”;
4) – comunque la perplessità e l’indeterminatezza del criterio adottato in base alla tab. A) allegata alla delibera n. 57/2009 (come integrata da quella allegata alla delibera n. 22/2010), non essendo chiaro a quali tabelle le gravate liquidazioni si riferiscano;
5) – l’illegittimità in sé della proporzione effettuata dal Comune al fine di fissare la base di calcolo e l’impossibilità di tener conto, per il canone di affrancazione, del valore del terreno con riguardo alla sua destinazione urbanistica (stabilito invece per calcolare il canone di legittimazione), nonché l’erroneità delle somme imputate al ricorrente (anche per gli import a titolo di canoni pregressi ed interessi legali, al più dovuti solo per gli ultimi cinque anni e non per i dieci richiesti);
6) – l’evidente inadeguatezza e la sproporzione delle liquidazioni impugnate che, al di là della loro illegittimità, costituiscono i 2/3 del valore di mercato del terreno su cui grava l’uso civico.

L’adito TAR, con sentenza n. 164 del 13 gennaio 2012, ha rigettato integralmente la pretesa attorea, stante anzitutto la corretta applicazione, da parte del Comune, della disciplina per l’affrancazione di usi civici con riferimento all’art. 10, c.

6-bis della l.r. 7/1998, in tema d’incremento di valore del terreno gravato in base alla sua destinazione urbanistica. Il TAR ha precisato sul punto che nessuna normativa «… individua l’indice ISTAT quale parametro vincolante ai fini dell’aggiornamento del canone di uso civico …». Dal che la legittimità della delibera n. 22/2010, che ha riportato «… i due valori (di affrancamento e, rispettivamente, di legittimazione – NDE) mantenendo il rapporto originario…, senza in alcun modo accomunare le due ipotesi …».

3. – Appella quindi il sig. M, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza per: A) – non aver considerato che il Comune ha applicato alla sua vicenda i criteri previsti per il canone di legittimazione dei terreni abusivamente occupati, né che il terreno attoreo era gravato da un uso a pascolo per soli due mesi all’anno;
B) – l’inapplicabilità a tal terreno dell’art. 10, c.

6-bis della l.r. 7/1998, avendo al riguardo il Comune adoperato un criterio di calcolo previsto non già per le terre del c.d. “decreto Matine”, ma dal perito R per le sole terre dei c.d. Stati occupatori;
C) – la conseguente incongruenza della delibera n. 57/2009, laddove afferma che alle une applica il canone delle altre diviso per 20, sol perché il caso volle che il c.d. “decreto Matine” alle une diede il valore di Lit. 25/ha ed alle altre quello di Lit. 500/ha, fermo restando che, a tutto concedere, tal 20° parte è pari a € 1,22/mq e quella per le terre ricadenti in zona industriale – artigianale è di € 0,01/mq e che è sbagliato l’assunto sull’inapplicabilità degli indici ISTAT alla rivalutazione dei canoni;
D) – l’illegittima richiesta di rivalutazione ed interessi legali oltre il quinquennio ex art. 10, c.

3-bis della l.r. 7/1998;
E) – l’irragionevolezza ed il difetto di proporzionalità nella richiesta in sé del canone di affrancazione (anche con riguardo all’essenza del peso dell’uso civico gravante sul terreno de quo ) e, in ogni caso, l’illegittimità del ripetuto art. 10, c.

6-bis per violazione dell’art. 117, IV c., Cost. in relazione all’art. 7 della l. 16 giugno 1927 n. 1766, laddove applica indistintamente la stessa regola di rivalutazione a tutti i canoni, per affrancazione e per legittimazione.

Resiste in giudizio il solo Comune di Altamura, che conclude in modo articolato per l’infondatezza e l’inammissibilità dell’appello, anche per quanto concerne la sollevata questione di legittimità costituzionale sull’art. 10, c.

6-bis della l.r. 7/1998. La Regione Puglia, pur se ritualmente intimata, non s’è costituita nel presente giudizio.

Alla pubblica udienza del 9 giugno 2015, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

4. – Alcune precisazioni preliminari sono opportune.

Condivide anzitutto il Collegio quanto dice l’intimato Comune di Altamura, laddove fa presente come non siano affatto in discussione né la natura privata del terreno dell’appellato, né l’uso civico (pascolo per due mesi l'anno) che vi grava, né la circostanza che esso ricada tra i terreni del c.d. "decreto Matine" del 1960.

Sicché l’oggetto del contendere è esclusivamente limitato al criterio di determinazione del canone d’affrancazione rivalutato, che il Comune adopera in base sia alle due delibere consiliari ad hoc , sia al citato art. 10 della l.r. 7/1998 (che attua la norma – cornice di cui alla l. 1766/1927), della cui legittimità costituzionale, come s’è detto, l’appellante dubita. Si badi, però, che nella specie la norma di riferimento, ossia quella che regola la vicenda peculiare dell’ appellante, è non l’art. 10, bensì il successivo art. 12, c. 2, in virtù del quale «… le terre private ancora gravate da usi civici sono immediatamente affrancate su richiesta degli interessati o d'ufficio …». In tal caso, ove siano i privati titolari a chiedere l’affrancazione (è questo il significato del termine « liquidazione » usato dalla norma) di usi civici su tali terre, «… è concesso un abbattimento del venti per cento sull'ammontare del valore del bene dovuto al Comune …». Come si vede, l’art. 12, c. 2 obbliga all’immediata affrancazione, soprattutto se chiesta dal privato, come nel caso in esame, del bene gravato, ma che ciò comporti l’applicazione dell’invocata regola ex art. 7, I c. della l. 1766/1926, cui l’appellante pare attribuire un valore dirimente, è da escludere. Infatti, tal norma non vuol dire altro se non l’esenzione della divisione (che nessuno sembra aver chiesto ed è superflua una volta chiesta l’affrancazione) sul bene gravato e l’applicazione ad esso del canone a favore del Comune (che sussiste, tant’è che se ne controverte sul quantum ).

Sotto il profilo procedimentale, in difetto d’una disciplina ad hoc nell’art. 12, c. 2 della l.r. 7/1998, per l’invocata affrancazione del canone enfiteutico o di natura enfiteutica non torna utile la generica disposizione dell’art. 33 del RD 332/1928.

Quest’ultimo stabilisce solo che «… i canoni imposti in applicazione degli articoli 7 e 10 della legge possono essere affrancati anche all'atto stesso della conciliazione o della legittimazione ed il capitale di affrancazione resterà vincolato ai termini dell'art. 24 della legge stessa …», nulla di più. Sicché, ai fini della liquidazione, non si applica solo l’art. 7, I c. della l. 1766/1927, poiché il canone di natura enfiteutica, posto a favore del Comune, è sì commisurato al valore dei diritti gravanti sul bene e da stabilire con perizia, ma specialmente quando esso abbia ricevuto dal proprietario sostanziali e permanenti migliorie, che nella specie non sembrano ravvisarsi. Qualora le migliorie al valore economico del bene stesso provengano da fatti dipendenti dall’attività non del proprietario, ma del Comune (p.es., edificabilità dei suoli), allora soccorre l’art. 10 della l.r. 7/1998, che riguarda ogni vicenda di liquidazione di canoni enfiteutici o di natura enfiteutica e, tra questi ultimi, pure di quelli ex art. 7, I c. della l. 1766/1927. A cura della Regione e su parere favorevole del Comune si provvede all’affrancazione e l’uso civico è liquidato, a favore di quest’ultimo, in un importo «… pari a venti volte l'ammontare dello stesso, rivalutato con gli interessi legali degli ultimi cinque anni ...» (c. 3), fermo il successivo art. 12, c. 2.

5. – Poi il relativo «… valore… deve altresì tenere conto dell'incremento di valore derivante dall'utilizzabilità edilizia del terreno interessato …» (c.

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