Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-08-26, n. 201404318

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-08-26, n. 201404318
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404318
Data del deposito : 26 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05098/2011 REG.RIC.

N. 04318/2014REG.PROV.COLL.

N. 05098/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5098 del 2011, proposto da:
G M S in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. M C, O G e L S, con domicilio eletto presso M C in Roma, viale Bruno Buozzi n. 87;

contro

U.T.G. - Prefettura di Milano, Ministero dell'Interno, Italferr S.p.A., n.c.;

nei confronti di

S.A.C.A.I.M.- Società Per Azioni Cementi Armati Ing.Mantelli S.p.A. n.c.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO SEZIONE III n. 07483/2010,


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Colarizi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società G M, operante nel settore edile degli scavi, demolizioni, movimentazioni di terra e frantumazione inerti, veniva incaricata da parte di Saicam S.p.a., capo gruppo di un’ATI aggiudicataria dei lavori di raddoppio della linea ferroviaria Milano - Mortara, della fornitura di inerti frantumati e vagliati da apportare al predetto cantiere.

A tal fine veniva richiesta una prima informativa antimafia che aveva esito negativo;
tuttavia, con successiva informativa, la Prefettura mutava avviso ritenendo che l’attività investigativa del Gruppo Interforze Grandi Opere avesse fatto emergere elementi sintomatici di collegamenti e contiguità della Società G M con ambienti appartenenti ad organizzazioni di tipo mafioso.

Ricevuta tale informativa Italferr S.p.a. ordinava l’allontanamento di G M dal cantiere relativo ai lavori di raddoppio della linea ferroviaria Milano - Mortara. Tale determinazione veniva comunicata alla Società ricorrente con nota della sua committente Saicam in data 8 settembre 2008.

Avverso tale atto l’interessata proponeva dinanzi al T per la Lombardia, sede di Milano un primo ricorso n.1955/08 seguito da motivi aggiunti deducendo profili vari di violazione di legge e di eccesso di potere.

A seguito della chiusura delle indagini relative alla operazione Cerberus da parte della Procura del Tribunale di Milano senza alcun suo coinvolgimento, G M presentava alla Prefettura del predetto capoluogo una istanza di aggiornamento della informativa antimafia ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 252/98.

La Prefettura respingeva, tuttavia, la richiesta in quanto dalla nuova istruttoria esperita sarebbero emerse conferme del quadro indiziario che aveva portato alla precedente informativa anche in relazione all’arresto di tale Giuseppe Pangallo con cui vi sarebbe stato un contatto diretto dedotto da elementi indiziari significativi.

La società G M, mediante istanza di accesso veniva in possesso delle nuove relazioni della DIA in base alle quali la Prefettura aveva reso la nuova informativa e si accorgeva che la Direzione investigativa aveva reso il proprio parere senza tener conto del fatto (poco prima appreso dalla stessa Giada) che il coinvolgimento di D S e del figlio nell’ambito della operazione Cerberus si era concluso con una archiviazione che ne aveva sancito l’estraneità rispetto al sodalizio criminoso.

Veniva, quindi, formulata un’ulteriore istanza di aggiornamento della informativa che tenesse conto di tale rilevante dato di fatto. Ma anche questa volta la Prefettura respingeva le richieste di G M affermando che non sussistevano elementi per la richiesta revisione.

Avverso tali provvedimenti di diniego di aggiornamento G M proponeva un nuovo ricorso n.2130/09 anch’esso seguito da motivi aggiunti.

All’esito della proposizione del ricorso veniva prodotta la ulteriore relazione della DIA posta a fondamento del diniego prefettizio nella quale venivano riportati stralci degli atti di indagine del procedimento penale già conclusosi con la archiviazione per S ritenendo che gli stessi comprovassero i costanti e non occasionali rapporti di affari, di frequentazione e di datata conoscenza tra S e famiglie P, B, P ecc.

Il T, riuniti i due ricorsi ed i relativi motivi aggiunti, li respingeva ritenendoli infondati.

Entrando negli aspetti sostanziali della informativa di cui al ricorso 1955 del 2008 ed in specie esaminando il settimo motivo il T rilevava che l’informativa si basava su un insieme di circostanze, quali dichiarazioni di pentiti, telefonate in partenza dalla G M verso utenze di malavitosi con le quali si chiedeva la fornitura di servizi di trasporto, la presenza di un pregiudicato per reati di mafia all’interno dell’organico dell’azienda, alcuni colloqui telefonici dai quali si apprendeva l’intenzione di tale B Salvatore (sempre coinvolto nelle indagini svolte dal Gruppo Interforze) di affidare al S lavori relativi alla realizzazione di alcune opere, dal cui complesso si desumeva una contiguità (anche se non un conclamato sodalizio) del rappresentante legale della G M con ambienti della criminalità organizzata e tanto bastava a giustificare la conclusione a cui era giunta la Prefettura in ordine alla sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa relativa all’impresa ricorrente.

Rilevava il T che G M, prendendo partitamente in considerazione ciascuno degli episodi citati nella relazione della DIA, tentava di dimostrarne la sua inconferenza o non attualità ed affermava, in ogni caso, che si trattava di elementi non sfociati in indagini penali a carico del S o di altri componenti della sua famiglia.

Tuttavia, sempre per il T, i vari episodi di cui si componeva il quadro indiziario alla base della informativa potevano anche non assumere rilevanza se partitamente considerati, ma essere illuminanti se guardati alla luce del complessivo coacervo degli elementi raccolti. In quest’ottica, anche fatti risalenti, se letti unitamente ad avvenimenti più recenti che dimostravano il permanere dei contatti del S con esponenti del clan B P, facevano presumere il permanere di una contiguità fra questi e gli ambienti malavitosi di stampo mafioso dalla quale la Prefettura ha desunto la sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa.

Quanto al ricorso n. 2130 del 2009 il T respingeva le censure con le quali la ricorrente lamentava che il diniego di aggiornamento della informativa prefettizia non avrebbe tenuto in alcun conto il fatto che le indagini relative alla operazione Cerberus si sarebbero concluse senza alcun coinvolgimento della famiglia S.

In conclusione il T respingeva i due ricorsi riuniti compensando le spese del giudizio.

Nell’atto di appello la società prende le mosse dai dinieghi di aggiornamento dell’informativa impugnati con ricorso n.2130/09 dolendosi che il duplice diniego giungeva nonostante la conclusione delle indagini di cui alla maxi operazione Cerberus che vedeva non esistente alcun coinvolgimento diretto di S o di suoi familiari e la archiviazione del procedimento penale. Quindi esaminava tutti gli elementi indiziari tenuti presenti dalla Prefettura e dal T evidenziandone la inconsistenza ai fini di un giudizio di permeabilità mafiosa e concludendo con la richiesta di riforma della sentenza del T e di annullamento delle note prefettizie.

La società quindi formulava una richiesta risarcitoria per i danni subiti.

In vista della udienza di trattazione la società Giada presentava una ulteriore memoria difensiva.

L’Amministrazione intimata non si è costituita.

All’udienza di trattazione del 9 gennaio 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Deve essere preliminarmente sottolineato che unitamente al presente giudizio è chiamato alla medesima udienza l’appello r.g. n.6053/2013 proposto dal Ministero dell’Interno per la riforma della sentenza n.253/2013 del T Lombardia, Sezione di Milano, che ha annullato una nuova interdittiva antimafia emessa nei confronti della srl G M.

Le due vicende, che hanno dato luogo ad interdittive e dinieghi di aggiornamento di contenuto diverso si fondano su fatti del pari diversi, sia pure entrambe preordinate alla affermazione da parte della Prefettura di una possibile permeabilità mafiosa della impresa G M con ambienti della criminalità calabrese.

L’odierno giudizio di appello attiene ad una interdittiva del 2008 ed ai successivi dinieghi di aggiornamento per i rapporti commerciali avuti con aziende legate a cosche calabresi nell’ambito di alcuni lavori edili relativi al raddoppio della linea ferroviaria Milano – Mortara per la fornitura di inerti frantumati da apportare al predetto cantiere.

L’altro giudizio r.g. n.6053/2013 ha per oggetto una nuova informativa interdittiva emessa il 15 febbraio 2012 dalla Prefettura di Milano nei confronti della stessa società per fatti emersi all’esito di una indagine ad hoc disposta dalla Prefettura proprio al fine di verificare la attualità di un pericolo di infiltrazione mafiosa.

Le due vicende, solo astrattamente collegate, devono essere trattate separatamente in quanto differenti sono gli argomenti ed i presupposti assunti dalla Prefettura a fondamento delle interdittive in ordine alla possibile permeabilità mafiosa della società.

2. Prima di entrare nel merito della questioni sollevate giova ricordare che se è vero, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, che le misure interdittive vengono emesse sulla base di accertamenti sommari e probabilistici che non raggiungono le certezze che scaturiscono dai giudizi penali (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, n. 3281 del 31 maggio 2011), non di meno esse debbono poggiare su quadri indiziari oggettivi, in cui l’Autorità preposta deve precisare gli elementi sia pure sintomatici ed indiziari in grado di incidere sugli apprezzamenti in corso di definizione e che in tale contesto, l’Autorità deve dimostrare di avere tenuto conto, sia degli elementi utili a suffragare l’emanazione del provvedimento interdittivo, sia di quelli che, per la loro portata, possono indurre all’assunzione di statuizioni di segno opposto. In presenza di elementi non concordanti, la stessa amministrazione deve comunque indicare, sia pure sommariamente, le ragioni che la inducono a privilegiare l’una anziché l’altra scelta.

Inoltre se è pur vero che i singoli episodi cui rinvia la interdittiva non possono essere esaminati partitamente ma nel loro complesso, al fine di ricostruire un quadro indiziario complessivo dal quale possano trarsi

elementi di possibile permeabilità mafiosa, cionondimeno i singoli fatti, pur privi della assoluta certezza, devono avere un qualche rilievo oggettivo e possono essere vagliati nella loro intrinseca attendibilità al fine di esaminare se siano idonei ad essere ragionevolmente utilizzati, unitamente ad altri, al fine di avvalorare il grave provvedimento adottato il cui effetto è quello di bloccare l’attività di impresa nel campo della committenza pubblica.

E’ quindi necessario che questo strumento di tutela sia utilizzato con estrema attenzione e cautela, perché il suo meccanismo opera incidendo nel delicato equilibrio che sussiste tra diritti di libertà di impresa da un lato ed esigenze di politica repressiva e preventiva dall'altro. Pertanto se non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto in sede penale, non possono tuttavia ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale. Al contrario, è pur sempre richiesta l'indicazione di circostanze e di indizi obiettivamente sintomatici di connessioni, collegamenti e condizionamenti della impresa con le predette associazioni (Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 2006, n. 4574).

Anticipando infine le conclusioni cui perviene la presente sentenza occorre osservare che se non vi può essere dubbio che l’interdittiva possa operare in danno dell’ imprenditore colluso, e cioè con colui che sia entrato in rapporto diretto con l’associazione criminale con conseguenti vantaggi economici e se del pari non può essere dubbio che l’interdittiva possa operare anche nei confronti dell’imprenditore per così dire vittima che, soggiogato dall’intimidazione e pur non venendo a patti con il sodalizio criminale, tuttavia è costretto a cedere all’imposizione subendo un danno ingiusto, si pone con maggiore problematicità l’individuazione dei margini operativi della misura interdittiva nel caso in cui non sia dato riscontrare alcun tipo di rapporto collaborativo, né attivo e partecipe, né passivo e contro la volontà del soggetto, ma mere relazioni economiche con una impresa del tutto lecita, sebbene guidata da esponenti della criminalità, in assenza di alcuna prova circa l’intento o solo la consapevolezza di agevolare un determinato sodalizio mafioso. In questi ultimi casi, non sussiste, neppure in potenza, alcuna interferenza o condizionamento dell’imprenditore il quale continua a determinarsi del tutto autonomamente secondo la logica del mercato e quindi lo stesso si ritiene che non possa essere inciso dalla misura interdittiva.

2.1. Seguendo la prospettazione della società appellante ed esaminando in via prioritaria gli elementi valorizzati dalla Prefettura a fondamento del diniego di aggiornamento della interdittiva antimafia (impugnato in primo grado con il ricorso r.g. n.2130/09), occorre dare priorità all’esame delle doglianze dell’appellante avverso la parte della sentenza di primo grado intese ad affermare che l’informativa si basava su un insieme di circostanze illuminanti della contiguità della società G M con ambienti mafiosi.

2.3. Al fine di collocare nella giusta ottica tali doglianze deve tenersi conto delle indagini di cui alla maxi operazione Cerberus nel procedimento penale n.14314/09, che aveva concluso che gli interessati e cioè il S ed il figlio “..non paiono in alcun modo organici al sodalizio criminoso e collusi in alcun modo con lo stesso” (richiesta di archiviazione del 2 aprile 2009),

Per il T, stante la diversità fra l’oggetto dell’accertamento penale e quello che deve compiere il Prefetto per appurare se sussistono tentativi di infiltrazione mafiosa, il fatto che un determinato soggetto non sia sodale con un’organizzazione mafiosa non esclude che egli possa intrattenere con i suoi esponenti contatti, anche leciti, tali da generare un pericolo di condizionamento, o, peggio, tali da comportare un travaso delle risorse finanziarie derivanti dalla commessa nelle casse della organizzazione criminale.

2.4. Tali considerazioni del primo giudice, in astratto condivisibili e fatte proprie da questo Consiglio di Stato in molteplici sentenze, nel caso in esame non appaiono pertinenti e richiedono comunque alcune precisazioni ed integrazioni.

E’ stato infatti condivisibilmente rilevato che un fatto che ha trovato smentita all'esito di un procedimento penale non può esser richiamato per assumere, nel suo oggettivo accadimento, capacità qualificatoria dal punto di vista dell'informativa antimafia in quanto in tale ipotesi, la valutazione presuntiva e sintomatica viene a recedere a fronte del più rigoroso ed esaustivo accertamento cui sono stati sottoposti nella sede processuale gli elementi sui quali la valutazione dell’Autorità preposta alla tutela dell’ ordine e della sicurezza pubblica ha trovato sostegno ((Cons. Stato, Sez. V, n.491 del 12.02.2008;
n. 2828 del 31.05.2007;
n. 4135 del 27.06.2006;
VI, n.5194 del 3.09.2009;
V, n.2828 del 31.09.2007).

Pertanto se è vero che la archiviazione in sede penale non vale di per sé ad escludere un pericolo di condizionamento mafioso, è indubbio che di tale archiviazione occorre tenere conto, individuando con persuasività gli elementi che, nonostante la stessa archiviazione, inducano comunque a ritenere sussistente il pericolo di contiguità mafiosa da parte della criminalità organizzata e conseguentemente legittimino la informativa interdittiva.

2.5. Nel caso in esame, nel primo diniego di aggiornamento la Prefettura rileva che “il quadro indiziario a base dell’informativa trova conferma nelle indagini giudiziarie…”, indagini che tuttavia hanno trovato smentita nei confronti del S e dei suoi familiari con l’effetto che non si poteva fare de plano riferimento a quelle indagini per affermare che trovano conferma i sintomi di condizionamento mafioso.

Del resto la stessa archiviazione del procedimento era ignota alla Prefettura che ne veniva notiziata dalla appellata, tuttavia il diniego di aggiornamento successivo, come subito si vedrà, veniva predisposto sulla falsariga di quello precedente e comunque non evidenzia un adeguato supplemento istruttorio e valutativo.

3. Gli elementi di pericolo di condizionamento mafioso che impedirebbero l’aggiornamento della informativa sono stati individuati nella relazione della DIA su cui poggia l’ultimo diniego, in specie e massimamente nei rapporti di affari, ritenuti non occasionali, tra il S ed il figlio, con indagati con l’operazione Cerberus del clan B-P di Platì in specie per un contatto diretto tra Pangallo Giuseppe e la ditta G M.

3.1. Appaiono convincenti le considerazioni svolte nell’atto di appello in ordine al carattere del tutto occasionale ed inconsapevoli dei rapporti di affari intrattenuti dalla società appellante.

La società Giada si era infatti servita sino al 2009, per il trasporto del materiale inerte lavorato, di molti autotrasportatori, alcuni dei quali risultati indagati nella operazione Cerberus.

Le intercettazioni telefoniche hanno evidenziato dei contatti con tali autotrasportatori indagati, peraltro non diretti, in quanto effettuati da una dipendente della società che utilizzava il cellulare del S per telefonare al Pangallo, alla cui utenza telefonica rispondeva altro soggetto, pur organico alla cosca B P, ma questi contatti, erano pacificamente limitati alla richiesta di disponibilità di alcuni camion per un occasionale trasporto in un periodo di particolare impegno lavorativo della società.

L’interesse per la prestazione e cioè per il semplice trasporto e non per l’interlocutore era tale che la dipendente di cui sopra, accortasi che alla utenza aveva risposto persona diversa da quella cui risultava in uso il numero, richiedeva comunque la fornitura dei mezzi.

Pertanto tali fatti ricostruiti mediante le intercettazioni telefoniche, se evidenziano un qualche rapporto commerciale tra le imprese interessate, non appaiono per ciò solo significativi sotto il profilo della frequentazione tra i vari titolari e soprattutto ai fini di un giudizio prognostico della permeabilità mafiosa della impresa e sul suo condizionamento.

Quanto sopra emerge in particolare evidenza se si tiene conto della rilevanza economica di tali rapporti commerciali, infatti nei confronti delle società ricollegabili al clan di cui sopra vi sono stati esborsi della appellante per circa l’1% degli importi complessivi delle spese per fornitori, il prezzo praticato era in linea con quello pure praticato ad altri trasportatori, i rapporti commerciali si sono interrotti nel 2009;
in una occasione in cui la G M si era accorta di una erronea fatturazione delle prestazioni rese, la stessa ha preteso ed ottenuto la correzione delle medesime fatturazioni evidenziando in tal modo la correttezza dei rapporti instaurati, circostanza anche questa che mal si conciliava con un ipotetico condizionamento della criminalità organizzata.

Ove vi fosse stata una effettivo condizionamento i rapporti di affari non avrebbero potuto essere così limitati sul piano economico e concludersi nel 2009, il che ragionevolmente evidenzia il carattere occasionale e accidentale di tali rapporti che peraltro escludevano nettamente ogni ulteriore cointeressenza affaristica comune della famiglia S con elementi della cosca.

Deve quindi condividersi l’affermazione della appellante che se una impresa, nell’intreccio dinamico dei propri rapporti commerciali, ha un fornitore organico in ambienti criminali, non può per ciò solo, in assenza di altri elementi significativi, essere tacciata di essere condizionata nella propria attività dalla criminalità organizzata.

4. Altri elementi, tratti dalle intercettazioni telefoniche a motivazione del diniego di aggiornamento, per la loro evanescenza sembrano più inspirati alla suggestione della indagine penale ormai conclusa che ad una rilevanza sia pure indiziaria.

Così con riferimento ad alcuni colloqui intercettati (doc. 24 prod. di primo grado, foglio 130) si fa riferimento a pagamenti effettuati dalla appellante nei confronti delle società sospette in relazione al trasporto di materiali;
fatti esaminati in sede penale in ordine ai quali la società ha prodotto documentazione vagliata dal Pubblico Ministero che nulla ha avuto da contestare al riguardo.

Con riferimento all’attività effettuata “come conto terzi” (doc. 24, foglio 142) la intercettazione evidenzia la volontà della società appellante di non rivolgersi a chi fosse privo di licenza per trasporto di materiali non di propria produzione e quindi la necessità di avere fornitori in regola con le relative autorizzazioni, il che semmai attesta profili correttezza nella individuazioni dei fornitori e comunque non ha alcun rilievo in relazione al possibile condizionamento mafioso.

Una intercettazione telefonica (doc. 24, foglio 157) riguardava i contatti con i trasportatori indagati da cui sarebbe emerso “ l’utilizzo del cantiere quale luogo di scarico dei rifiuti”.

Tuttavia con il termine “ scarico” , non pare potesse intendersi lo “scarico dei rifiuti ” come ritenuto dalla DIA, in quanto i “ rifiuti” non erano stati mai menzionati nella intercettazione telefonica, che più ragionevolmente si riferiva allo scarico del materiale prodotto dalla società (cd. “mistone”, sabbia mista a ghiaia, ovvero, “frantumato e vagliato”).

Altri elementi indicati dalla DIA non appaiono del pari significativi, in specie in relazione al “ pericolo per la incolumità pubblica insito nella superficialità con cui venivano scelti e forniti i materiali”. In disparte la irrilevanza ai fini della permeabilità mafiosa di tali considerazioni, in realtà, dal contenuto delle conversazioni intercettate emerge che nell’ambito della esecuzione dei contratti di fornitura del sopradetto “ mistone ” e di “ frantumato e vagliato ” la appellante si limitava a dare indicazioni ai trasportatori in ordine al tipo di materiale da trasportare.

5. La originaria informativa prefettizia interdittiva muove da due iniziali relazioni della DIA contenenti un resoconto di elementi risultanti dagli atti di indagine.

Secondo il T l’informativa, infatti, “ si basa su un insieme di circostanze recenti e meno recenti, quali dichiarazioni di pentiti, telefonate in partenza dalla G M verso utenze di malavitosi con le quali si chiede la fornitura di servizi di trasporto, la presenza di un pregiudicato per reati di mafia all’interno dell’organico dell’azienda, alcuni colloqui telefonici dai quali si apprende l’intenzione di tale B Salvatore (sempre coinvolto nelle indagini svolte dal Gruppo Interforze) di affidare al S lavori relativi alla realizzazione di opere di urbanizzazione, dal cui complesso si desume una contiguità (anche se non un conclamato sodalizio) del rappresentante legale della G M con ambienti della criminalità organizzata;
e tanto basta a giustificare la conclusione a cui è giunta la Prefettura in ordine alla sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa relativa all’impresa ricorrente.”

Inoltre rileverebbe il deposito del camion di un indagato “intestato alla società Sagittar facente capo alla moglie del S.”

5.1. Quanto alle “ dichiarazioni dei pentiti” cui fa riferimento la sentenza appellata occorre tener conto di una ordinanza di custodia cautelare del 6 giugno 1994 da cui si desumerebbe che D S risultava collegato a S V, membro del clan P.

Nella dichiarazione, effettuata da un (solo) collaboratore di giustizia, si riferiva di un deposito di camion che faceva capo a V S, vicino al gruppo P, sito in via Bardolino 31, riconducibile, per la DIA, alla ditta Sagitter facente capo alla moglie di D S.

Sennonché appare rilevante il fatto che il collaboratore di giustizia non abbia mai fatto alcun cenno ai componenti della famiglia S, mentre la indicazione della Sagitter come sede del deposito è fatta in nota aggiunta a piè pagina come accertamento investigativo, ma non risulta dalle dichiarazioni rese.

D’altro canto è emerso che nella sede di via Bartolini erano collocati vari esercizi commerciali e quindi non solo quello della ditta Sagitter. Difatti, la società ricorrente opera al n. 31 di via Bardolino, all’interno di un cortile ove sono presenti residenze ed altre attività commerciali. L’attività di parcheggio, in questione, non è ad uso esclusivo della ricorrente ma può essere utilizzata dagli altri residenti e da coloro che fruiscono delle altre attività commerciali ivi presenti (grande rivendita di articoli da giardino, un’officina e tre piccole imprese edili).

In assenza di altri accertamenti, l’elemento in questione non assume una valenza significativa tanto più che le indagini si sono concluse senza alcuna conseguenza penale per il S e per i suoi familiari, rimasti totalmente estranei a quei procedimenti, pur conclusi con sentenze definitive.

Secondo il T, fatti risalenti possono assumere rilievo “ se guardati alla luce del complessivo coacervo degli elementi raccolti” . In questa ottica tuttavia poteva apparire significativo e controbilanciare l’elemento indiziario raccolto dalla DIA il fatto che S negli stessi anni proponeva istanza di fallimento nei confronti di una impresa riconducibile a Rocco P, per il mancato tempestivo pagamento di una fattura.

Anche tale circostanza appare, unitamente ad altre, elemento indiziario della assenza di legami del S con l’ambiente mafioso riconducibile al clan P e comunque sul mancato condizionamento della ditta da parte della criminalità organizzata.

5.2. Non appare nemmeno significativo il fatto che nell’organico della società vi fosse stato (per un breve periodo, sino alle sue dimissioni) un autista di camion con precedenti penali per porto d’arma da fuoco e possesso di stupefacenti, dunque per reati comuni non riconducibili a quelli associativi di stampo mafioso. In assenza di altri elementi indiziari la presenza di dipendente con tali precedenti, privo nella società di alcun potere decisionale, così come il fatto che in seguito lo stesso avesse rassegnato le dimissioni, non poteva ritenersi avere rilevanza nel senso del condizionamento mafioso della società.

5.3. Di maggiore consistenza sembra in apparenza l’altro elemento indiziario in cui la DIA assume che a seguito di intercettazioni telefoniche emergerebbe che il S Domenico sarebbe “soggetto vicino al clan B P in rapporto di affari con B Salvatore ” e che vi fosse “ l’intenzione di B Salvatore … di affidare a S lavori”.

Anche qui, tuttavia, al di là della suggestione indotta dalla affermazione, gli elementi indiziari sembrano frutto di una evidente sforzatura o di un fraintendimento.

Dagli stralci delle innumerevoli intercettazioni svolte in svariati anni di indagini risulta che nessuna intercettazioni riguardava il S che viene citato solo indirettamente da un soggetto terzo, e mai direttamente dagli appartenenti al clan mafioso, in tre conversazioni con altra persona non identificata. Gli elementi indiziari appaiono quindi estremamente labili e privi di un sia pur minimo riscontro induttivo non potendo arguirsi la effettiva intenzione del clan mafioso di affidare alla ditta lavori e collegamenti diretti con il clan mafioso.

5.4. Sui precedenti penali del S sui quali si appunta la DIA è sufficiente rilevare la inconferenza dei reati contestati al S con il fenomeno mafioso trattandosi di un precedente per lesioni gravi in relazione ad un infortunio per lavoro di un proprio dipendente in ordine al quale nel 2008 l’interessato ha ricevuto la riabilitazione sul presupposto che “..ha dato prove effettive e costanti di buona condotta come si rileva da rapporto informativo in atti”

6. In conclusione, assorbiti altri profili procedurali dedotti dalla appellante, ritiene la Sezione gli atti impugnati risultino illegittimi per carenza di motivazione e di adeguata istruttoria avendo desunto tentativi di infiltrazione mafiosa da elementi non significativi che se potevano attestare la esistenza di una qualche conoscenza e di un contatto commerciale con ditte appartenenti al clan mafioso, non erano tali da avvalorare, anche in via presuntiva e sintomatica, un collegamento affaristico con tali ditte o una qualche cointeressenza economica con conseguente pericolo di condizionamento nelle scelte e negli indirizzi della società, nel contempo venendo obliterati altri elementi che pure potevano essere valutati e valorizzati a favore della appellante.

7. Passando poi all’esame della domanda risarcitoria presentata dalla società che lamenta la perdita illegittima della aggiudicazione per effetto delle interdittive impugnate, va ricordato in generale che il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, anche del nesso causale tra l' illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell'amministrazione.

Infatti come più volte rilevato da questo Consiglio di Stato, l'illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione.

Nel caso in esame, relativamente all'emanazione dell'interditta antimafia e dei dinieghi di aggiornamento, è da escludere un giudizio di colpevolezza dell' Autorità prefettizia in relazione all’ampio spettro di discrezionalità assicurato alla stessa nel campo della prevenzione del fenomeno mafioso, al carattere preventivo e cautelativo dei provvedimenti da adottare, alle difficoltà e complessità delle questioni da esaminare al fine di ricostruire un quadro indiziario attendibile anche in relazione alle indagini giudiziarie che inizialmente coinvolgevano la società, alla persistenza, pur dopo l’archiviazione del procedimento penale, di alcuni elementi che, seppure diversamente apprezzati dalla Sezione con la odierna sentenza, erano comunque tali da giustificare astrattamente la cautela e la prudenza messa in atto dalla Prefettura al fine della prevenzione del fenomeno mafioso.

D’altro canto la determinazione di risoluzione del rapporto contrattuale con l’allontanamento dal cantiere della s.p.a. S.a.i.c.a.m. era direttamente e strettamente consequenziale all' interdittiva prefettizia ed ai suoi mancati aggiornamenti. Infatti, il sistema normativo non offre alle stazioni appaltanti strumenti e capacità per apprezzare la correttezza e la rilevanza antimafia degli elementi e delle indicazioni fornite dalla Prefettura, alla quale spettano le funzioni connesse alla classificazione, analisi, elaborazione e valutazione delle notizie e dei dati specificamente attinenti ai fenomeni di tipo mafioso. Con l’effetto che l'effettivo ambito della discrezionalità riservata alle stazioni appaltanti ne esce sostanzialmente depotenziato per quanto riguarda i contenuti delle suddette informative, per cui la motivazione del Prefetto sulle controindicazioni di prevenzione rispetto alla criminalità organizzata è normalmente sufficiente a giustificare la determinazione di non proseguire il rapporto contrattuale con un soggetto rispetto al quale si presentano indizi di condizionamento mafioso.

In conclusione vanno pertanto respinte le pretese risarcitorie, peraltro avanzate dalla appellante per lo più in termini generici.

8. In conclusione, in riforma della sentenza di primo grado, l’appello deve essere in parte accolto ed annullati gli atti impugnati in primo grado. Per l’effetto devono essere accolti i due ricorsi di primo grado nn.1955 del 2008 e 2130 del 2009. L’appello deve essere respinto quanto alla domanda risarcitoria.

9. In relazione alla natura e complessità delle questioni trattate sussistono giusti motivi per compensare integralmente spese ed onorari dei due gradi di giudizio.

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