Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-02-04, n. 201900822

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-02-04, n. 201900822
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900822
Data del deposito : 4 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2019

N. 00822/2019REG.PROV.COLL.

N. 00056/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 56 del 2018, proposto da:
E A G, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.P. da Palestrina, 47;

contro

C.S.M. - Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della Giustizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 07368/2017, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del decreto adottato dal Ministro della giustizia in data 21.12.2011, notificato in data 18.01.2012, con il quale, veniva irrogata al ricorrente la sanzione della censura per avere egli esercitato le funzioni di GdP nel medesimo circondario del Tribunale nel cui Albo degli avvocati è stato iscritto il fratello Michele Alaia Esposito;
della delibera del C.S.M. prot. n. 27327 del 05.12.2011, resa nella seduta del 30.11.2011, che costituisce parte integrante del decreto ministeriale anzidetto;
nonché, quatenus opus del verbale n. 1736, relativo alla seduta del Consiglio superiore della magistratura- ottava commissione tenutasi in data 4 ottobre 2011;
e per l'annullamento – quanto al secondo ricorso – del decreto adottato dal Ministro della giustizia in data 27.04.2012, notificato in data 23.05.2012, con il quale veniva irrogata al ricorrente la sanzione della censura per avere egli affidato incarichi peritali in asserita violazione del criterio della rotazione e per aver asseritamente disapplicato l'art. 51 c.p.c., nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente, o comunque connesso a quello sopra impugnato, con particolare, ma non esclusivo riferimento alla delibera del C.S.M. prot. n. 8082 del 10.04.2012, resa nella seduta del 04.04.2012, che costituisce parte integrante del decreto ministeriale anzidetto;
al verbale n. 1772, relativo alla seduta del Consiglio superiore della magistratura- ottava commissione tenutasi in data 25.01.2012;
al provvedimento con il quale il Presidente della Corte d'appello ha tardivamente disposto l'iscrizione della cd. notitia criminis nel registro di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 198/2000;
nonché per la reintegrazione in forma specifica e/o il risarcimento del danno.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del C.S.M. - Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Cantella su delega di Cardarelli Francesco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Il dott. G E A, giudice di pace assegnato sin dal 2002 all’ufficio di Marigliano, nel circondario del Tribunale di Nola, ha interposto appello nei confronti della sentenza 23 giugno 2017, n. 7368 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I, che ha respinto i suoi ricorsi riuniti esperiti avverso, rispettivamente, il d.m. 21 dicembre 2011 ed il d.m. 27 aprile 2012, con i quali gli sono state irrogate le sanzioni della censura, nel primo caso per avere esercitato le funzioni di giudice di pace nel medesimo circondario del Tribunale nel cui albo degli avvocati è stato iscritto il fratello, e nel secondo caso per avere egli affidato incarichi peritali in violazione del criterio della rotazione e per avere violato l’art. 51 Cod. proc. civ. in tema di astensione del giudice.

Con i ricorsi in primo grado il dott. E A ha dedotto la nullità dei provvedimenti sanzionatori per violazione dell’art. 17, ultimo comma, del d.P.R. n. 198 del 2000 (che prevede il termine di un anno per l’adozione del provvedimento finale del procedimento disciplinare, decorrente, a suo dire, dal ricevimento dell’esposto), e comunque l’illegittimità per violazione della specifica normativa di riferimento, l’eccesso di potere per difetto di motivazione e manifesta irragionevolezza, anche nella considerazione che l’attività professionale del fratello, sporadica ed occasionale, non si era mai svolta dinanzi all’ufficio del giudice di pace, nonché la violazione dei principi di proporzionalità e gradualità delle sanzioni.

2. - La sentenza appellata, riuniti, per connessione, i due ricorsi, li ha respinti. In particolare, con riguardo al primo ricorso (avverso il d.m. 21 dicembre 2011, notificato il successivo 18 gennaio 2012), ha ritenuto non decorso il termine perentorio di conclusione del procedimento, fissato in un anno dall’iscrizione della notitia criminis nel registro tenuto presso la Corte d’Appello, nella considerazione che l’iscrizione nel registro è avvenuta in data 3 marzo 2011, non assumendo rilievo la data di ricezione dell’esposto da parte del Presidente della Corte d’Appello, ma, se mai, quella della contestazione dell’addebito;
ha altresì ritenuto provata la sussistenza dei fatti addebitati, integranti la violazione dell’art. 9, commi 3 e 4, della legge n. 374 del 1991, e congrua la sanzione. Con riferimento al secondo ricorso (avente ad oggetto il d.m. 27 aprile 2012) la sentenza ha poi affermato che il dies a quo del termine annuale per la conclusione del procedimento disciplinare a carico dei magistrati onorari non può fondarsi sul momento di ricezione di una qualunque segnalazione ricevuta dal Presidente della Corte d’Appello, occorrendo che questa abbia profili di adeguatezza e pregnanza tali da potere essere iscritta nell’apposito registro.

3.- Con il ricorso in appello il dott. E A ha dedotto l’erroneità della sentenza per violazione dell’art. 17 del d.P.R. n. 198 del 2000 ed omessa declaratoria di estinzione del procedimento disciplinare, per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, e per violazione del principio di gradualità delle sanzioni disciplinari.

4. - Si è costituito in resistenza il Ministero della Giustizia, puntualmente controdeducendo e chiedendo la reiezione dell’appello.

5.- All’udienza pubblica del 14 giugno 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 17 del d.P.R. n. 198 del 2000, nell’assunto che i due provvedimenti sanzionatori impugnati siano stati adottati eludendo il termine iniziale del procedimento disciplinare, da cui dipende poi l’enucleazione di quello finale annuale;
nel primo caso la notitia criminis è pervenuta al Presidente della Corte d’Appello di Napoli il 6-7 ottobre 2010, mentre la sanzione è stata irrogata con provvedimento del 21 dicembre 2011;
l’iscrizione nel registro è stata effettuata in data 3 marzo 2011 e quindi a distanza di quattro mesi dalla comunicazione. La seconda censura risale al 27 aprile 2012, mentre la notitia criminis avrebbe dovuto essere iscritta il 9 dicembre 2010;
l’iscrizione nell’apposito registro è stata invece effettuata il 27 aprile 2011, a distanza di cinque mesi dalla conoscenza del fatto. Critica l’appellante l’assunto secondo cui la pendenza del procedimento disciplinare coincide con la contestazione degli addebiti, anziché con il momento in cui è pervenuta alla Presidenza della Corte d’Appello la segnalazione dell’atto;
censura altresì l’assunto secondo cui l’iscrizione deve conseguire all’acquisizione del carattere di non manifesta infondatezza della notizia, laddove la norma prevede l’immediatezza dell’iscrizione e, nei successivi quindici giorni, la contestazione dell’addebito all’incolpato.

Il motivo è infondato.

L’assunto dell’appellante è, in ultima analisi, che se l’Amministrazione non iscrive immediatamente la notizia non manifestamente infondata, procedendovi a propria discrezione, viene ad incidere sul termine finale annuale, previsto dalla norma a pena di estinzione del procedimento disciplinare. Si tratta di un assunto che non ha chiaro e coerente fondamento nella norma.

L’art. 17 del d.P.R. n. 198 del 2000 evidenzia infatti un’interna incoerenza tra il primo ed il secondo comma;
il primo prevede che il presidente della Corte d’appello che abbia “notizia non manifestamente infondata” di fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari, entro quindici giorni, contesta, per iscritto, il fatto;
il secondo comma prevede poi che ogni notizia concernente i fatti di cui sopra è “iscritta immediatamente”, a cura del presidente della Corte d’Appello, in apposito registro con indicazione degli estremi e del giudice alla quale si riferisce.

La incoerenza logico-giuridica è ravvisabile nella circostanza che le due disposizioni prevedono, rispettivamente, la contestazione (entro quindici giorni) di fatti non manifestamente infondati, e la loro immediata iscrizione in apposito registro, enucleando due situazioni non del tutto corrispondenti, in quanto la qualificazione di una notizia come non manifestamente infondata (e, dunque, dei fatti nella stessa descritti) può richiedere un prodromico o preliminare accertamento (diverso da quello previsto dal comma 4) preclusivo dell’immediata iscrizione. Come dire che il giudizio di non manifesta infondatezza di un fatto rilevante ai fini di un eventuale provvedimento disciplinare può richiedere, proprio a garanzia dell’incolpato, dei termini di valutazione non necessariamente coincidenti con la mera cognizione della notizia stessa, ma implicanti anche una valutazione della congruità e pregnanza della notizia medesima per poter essere iscritta nell’apposito registro. Né è condivisibile ritenere che il riferimento alla “notizia non manifestamente infondata” possa essere letto solo in positivo, inducendo all’archiviazione della posizione manifestamente infondata, in quanto è ovvio che si tratta della comprensione di situazioni speculari, reciprocamente escludentisi, e dunque implicanti una medesima delibazione preistruttoria. Ciò dicasi, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante nella memoria depositata il 22 maggio 2018, anche ai fini dell’apprezzamento della violazione della disciplina sull’astensione e sull’affidamento degli incarichi peritali, dovendosene acquisire la rilevanza mediante un’opera sommaria di contestualizzazione.

Ciò si osserva al fine di escludere l’irragionevolezza di un procedimento nel quale l’iscrizione, come nel caso di specie, è stata differita di qualche tempo in funzione del prodromico approfondimento istruttorio, con parallelo differimento anche del dies a quo decorre il termine annuale per l’adozione del provvedimento finale, comunque intervenuto nel rispetto del termine predetto.

D’altro canto, come già evidenziato in giurisprudenza, nel procedimento disciplinare previsto dall’art. 17 del d.P.R. n. 198 del 2000 a carico del giudice di pace il solo termine assistito da apposita sanzione estintiva è quello annuale previsto dal comma 9 per l’emissione del provvedimento finale, mentre tutti gli altri termini hanno natura ordinatoria (Cons. Stato, IV, 8 gennaio 2013, n. 28).

2. - Il secondo motivo critica la sentenza nell’assunto che sia incorsa nel travisamento dei fatti, ritenendo legittima la censura inflitta all’appellante con il decreto ministeriale 21 dicembre 2011 per asserita violazione dell’art. 8, comma 1-bis, della legge n. 374 del 1991, in quanto ha esercitato le funzioni di giudice di pace nello stesso circondario del Tribunale in cui il fratello svolgeva la professione forense. In realtà, il fratello dell’appellante non ha mai assunto alcun mandato professionale per il patrocinio dinanzi al giudice di pace, ciò escludendo la offensività della condotta, condizione rafforzata dalla successiva cancellazione dall’albo degli avvocati di Nola del fratello (Michele).

Anche tale motivo è infondato.

Occorre premettere che la valutazione globale dei fatti addebitati all’appellante costituisce manifestazione dell’ampia discrezionalità amministrativa riconosciuta all’organo di autogoverno, che, in quanto tale, non è sindacabile nel merito, e quindi anche in relazione alla graduazione della sanzione, e può essere contestata in sede di legittimità solo sotto i profili della manifesta illogicità e/o irragionevolezza.

Situazioni, queste, non ravvisabili nella fattispecie controversa, in quanto l’art. 8, comma 1-bis, enuclea un’incompatibilità tra giudice di pace ed esercizio, da parte di un parente entro il secondo grado, di attività professionale nel circondario del Tribunale.

L’incompatibilità, nella specie astrattamente integrata, senza neppure darne formale contezza all’Amministrazione, non è in funzione del numero delle controversie trattate, ma è finalizzata a sanzionare la violazione di un divieto di legge, lesivo dei valori di imparzialità ed indipendenza della funzione giudiziaria e dell’immagine di imparzialità dell’amministrazione della giustizia che la norma intende tutelare.

3. - Con il terzo motivo, concernente la sanzione inflitta con il d.m.27 aprile 2012, si deduce l’erroneità della sentenza, che non ha rilevato il vizio motivazionale del provvedimento di censura, fondato sulla violazione del criterio della rotazione nell’affidamento degli incarichi peritali e sulla violazione delle disposizioni in materia di astensione (di cui all’art. 51 Cod. proc. civ.);
l’appellante lamenta in particolare che non si è tenuto conto della proposta di archiviazione del Consiglio giudiziario, e della comunque differente precedente proposta di ammonimento presentata dal Presidente della Corte d’Appello, nonchè dell’assoluta buona fede dell’incolpato, rispetto alla quale del tutto sproporzionata appare la sanzione.

Anche tale motivo è infondato, nei limiti apprezzabili in questa sede.

Anzitutto, la proposta del Consiglio giudiziario non è vincolante, allo stesso competendo solamente funzioni istruttorie e consultive, insuscettibili di incidere sull’autonomia di determinazione del C.S.M., cui spetta il potere valutativo dei fatti e determinativo della sanzione. Inoltre, la sentenza ha bene posto in evidenza come questo procedimento disciplinare non si basi unicamente sulla precedente censura, ma sia motivato proprio nella considerazione che l’appellante, nella veste di coordinatore della sede di Marigliano, ha violato il criterio della rotazione nella distribuzione degli incarichi peritali, e disapplicato la normativa processuale in tema di astensione, mediante l’assegnazione di causa ad altro giudice di pace, in luogo dell’invio degli atti al Presidente del Tribunale, pervenendo alla conclusione per cui « il C.S.M. ha chiaramente richiamato tali fattispecie come evidenziatrici di errori di diritto, approssimazione e negligenza, con negativo riverbero sul prestigio dell’ordine giudiziario e rilevanza della condotta in sede disciplinare, ai sensi del[…]’art. 9, comma 3, l. n. 374/1991 ».

4. - Alla stregua di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.

Le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza e sono liquidate nell’importo fissato nel dispositivo.

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