Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-05-18, n. 201702350

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-05-18, n. 201702350
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702350
Data del deposito : 18 maggio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/05/2017

N. 02350/2017REG.PROV.COLL.

N. 08312/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8312 del 2014, proposto da:
Totola Immobiliare S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato R M I, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Santo, 68;

contro

Ente Parco Regionale dei Castelli Romani, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

nei confronti di

Comune di Montecompatri non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II-quater n. 08744/2014, resa tra le parti, concernente diniego di nulla osta 10 dicembre 2013, prot. AP 6081, emesso dall’Ente Parco dei Castelli Romani


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ente Parco Regionale dei Castelli Romani;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati R.M. Izzo, e l’Avv. dello Stato V. Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, la società Totola Immobiliare s.r.l. impugna la sentenza 6 agosto 2014 n. 8744, con la quale il TAR per il Lazio, sez. II-quater ha rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento 10 dicembre 2013 n. 6081 dell’Ente Parco regionale dei Castelli Romani, recante il diniego di nulla osta alla realizzazione di un Programma Integrato di Intervento (P.I.I.), in località Malara del Comune di Montecompatri.

La società Totola Immobiliare ha acquistato nel Comune di Montecompatri dei terreni, confinanti con altri destinati dal piano particolareggiato c.d. “Molare” ad area direttamente edificabile con destinazione residenziale, con possibile rilascio del permesso di costruire per l’edificazione di un complesso commerciale-residenziale.

In relazione alle superfici acquistate (in parte destinate a verde pubblico, in parte edificabili, ma con diritti edificatori ceduti ai terreni confinanti), in data 5 aprile 2012 i proprietari dell’epoca, in seguito danti causa della società, hanno presentato un programma integrato di intervento - in variante sia del P.R.G. che del P.P. - per la variazione della destinazione da verde pubblico a residenziale e la realizzazione di un ulteriore complesso commerciale-residenziale.

L’Ente parco regionale dei Castelli romani, nel perimetro del quale ricadono alcuni dei terreni interessati dall’intervento, previo preavviso di rigetto, ha negato il proprio nulla-osta con atto n. 6081 del 10 dicembre 2013.

La società ha impugnato il provvedimento, sostenendo che questo sarebbe stato adottato decorso il termine di sessanta giorni dalla ricezione della relativa richiesta, previsto dal combinato disposto dell’art. 28, comma 1, della l. reg. Lazio 6 ottobre 1997, n. 29, e dall’art. 13, comma 1, della l. 6 dicembre 1991, n. 394 e che, dunque, si sarebbe formato il silenzio-assenso, rispetto al quale l’atto adottato dall’Ente non avrebbe i requisiti formali e sostanziali dell’atto di autotutela. Il provvedimento sarebbe inoltre viziato per vizio di motivazione, difetto di istruttoria e di motivazione.

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso, ritenendo che, a fronte delle oscillazioni giurisprudenziali, si riveli decisiva - nel senso della necessità del provvedimento espresso, e trattandosi di immobile sottoposto a vincolo ambientale e paesistico - la recente modifica apportata all’art. 20 del DPR 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. testo unico dell’edilizia) dall’art. 30 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv. in l. 9 agosto 2013, n. 98). Nella specie, inoltre, mancherebbe tutta la documentazione necessaria, sicché anche per questa ragione il silenzio-assenso non potrebbe darsi per formato. Sarebbero inoltre infondate le ulteriori censure.

La società ha interposto appello contro la sentenza, ricostruendo innanzi tutto la complessa vicenda amministrativa, che ha coinvolto una pluralità di soggetti pubblici, e ritiene non corretta la lettura che il primo Giudice avrebbe fatto di parte della documentazione versata in atti.

L’appellante deduce i seguenti motivi di ricorso:

a) errata ricostruzione del quadro normativo vigente;
poiché, secondo la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, la disposizione dell’art. 13, comma 1, della legge n. 394 del 1991 sarebbe tuttora in vigore in quanto, in virtù del principio di specialità, non superata dalla successiva novella al comma 4 dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241;

b) in concreto, il silenzio-assenso si sarebbe formato, perché l’Ente parco avrebbe richiesto la documentazione integrativa a termini scaduti e questa non sarebbe stata comunque idonea a congelare alcun termine, perché il nulla-osta paesaggistico richiesto dall’Ente non sarebbe stato un presupposto del parere, vertendosi non in tema di rilascio di un permesso di costruire, ma di approvazione di una variante urbanistica;

c) formatosi il silenzio-assenso, l’Ente avrebbe potuto semmai avviare un procedimento di autotutela in vista di un annullamento d’ufficio a norma dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, mentre l’atto impugnato sarebbe privo dei relativi requisiti, sostanziali e formali;

d) violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990;
poiché l’Ente non avrebbe preso in considerazione le controdeduzioni svolte dalla società una volta ricevuto il preavviso di diniego e sul punto il TAR avrebbe omesso qualunque decisione;

e) difetto di motivazione dell’atto;
poiché la sentenza impugnata si sarebbe espressa in termini non corretti sulla dedotta genericità e non pertinenza della motivazione;
il diniego sarebbe motivato del tutto genericamente e denoterebbe travisamento della natura dell’intervento.

L’Ente parco si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, senza svolgere difese.

Con ordinanza 19 novembre 2014, n. 5334, questa Sezione ha respinto la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata e successivamente, con ordinanza 9 febbraio 2016 n. 538, ha deferito la questione all’Adunanza Plenaria.

2. L’ordinanza n. 538/2016 ha evidenziato come:

- mentre “la tesi dell’appellante è che debba valere la disposizione dell’art. 13, comma 1, della legge n. 394/1991 (espressamente richiamata dall’art. 28, comma 1, della l. reg. Lazio n. 29/1997), il quale stabilisce che “il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l'intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato…”;

- viceversa , la sentenza impugnata “ha ritenuto invece di dover far ricorso alla disposizione generale dell’art. 20 della legge n. 241/1990”, il quale, pur disciplinando in via generale l’istituto del silenzio-assenso, prevede, al co. 4, che “le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge”.

A fronte di ciò, la giurisprudenza amministrativa non è univoca. Ed infatti:

a) un primo orientamento, che fa leva sul criterio di specialità, (sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6591;
adesivamente, sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3407), sostiene che “la speciale forma di silenzio-assenso, prevista a livello statale dall'art. 13 della legge n. 394/1991, non sia stata implicitamente abrogata a seguito dell'entrata in vigore della riforma della legge n. 241 del 1990 (disposta con la legge n. 80/2005)”.

In sostanza, la generalizzazione dell'istituto del silenzio assenso non potrebbe applicarsi in modo automatico alle materie indicate dall'art. 20, comma 4, ma ciò non impedirebbe al legislatore di introdurre in tali materie norme specifiche, aventi a oggetto il silenzio-assenso, a meno che non sussistano espressi divieti, derivanti dall'ordinamento comunitario o dal rispetto dei principi costituzionali.

Ne consegue che l'eccezione prevista dal co. 4 dell’art. 20, riguarderebbe solo "le disposizioni del presente articolo" e non potrebbe essere estesa a disposizioni precedenti, aventi a oggetto il silenzio assenso, rispetto alle quali i commi 1, 2 e 3 dell'art. 20 della legge n. 241/90 nulla avrebbero innovato.

Tali disposizioni resterebbero, quindi, in vigore e, del resto, se, come appena detto, l'art. 20, comma 4, non impedisce l'introduzione di norme speciali, dirette a prevedere il silenzio-assenso anche nelle materie menzionate dal comma 4, non potrebbe che ritenersi che eventuali norme speciali preesistenti, quali l'art. 13 della legge n. 394/1991, restino in vigore;

b) un diverso criterio di soluzione privilegia invece il canone cronologico della successione delle leggi nel tempo (sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5188;
implicitamente, sez. III, 15 gennaio 2014, n. 119;
sez. IV, ord. 19 novembre 2014, n. 5531).

Secondo questa prospettazione, entrambe le norme avrebbero la medesima natura procedimentale e verrebbero a disciplinare lo stesso istituto operante in materia di edilizia e ambienta;
resterebbe, infatti, escluso che tra esse possa configurarsi un rapporto di specialità, poiché questo presupporrebbe un certo grado di equivalenza tra norme a confronto, ma che non potrebbe spingersi sino alla sostanziale identità tra le due discipline in contrasto.

In questo secondo caso, il prospettato conflitto tra due disposizioni, che, seppur con esiti opposti per l'istante, disciplinano il medesimo istituto procedimentale del silenzio-assenso, dovrebbe quindi essere risolto alla luce della successione nel tempo tra due norme generali e pertanto secondo il principio per cui la legge posteriore abroga la legge anteriore con essa incompatibile (art. 15 disp. prel. cod. civ.).

Alla luce del contrasto giurisprudenziale rilevato, questa Sezione, con l’ordinanza n. 538/2016 innanzi citata, ha ritenuto opportuno sottoporre il ricorso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a norma dell’art. 99, comma 1, c.p.a., segnalando di “reputare più fondata la seconda delle alternative prospettate, quella cioè per cui, a risolvere l’antinomia fra le disposizioni richiamate, debba farsi applicazione del criterio cronologico”

3. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 24 maggio 2016 n. 9, rilevata la sostanziale uniformità tra l’art. 13 l. n. 394/1991 e l’art. 28 l. reg. Lazio n. 29/1997, ha affermato, con riferimento al nulla-osta dell’Ente Parco:

“il dato qualificante dell’istituto in esame è costituito dall’obbligatorietà della sua richiesta ai fini del “rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco”, e quindi allorché debba verificarsi la compatibilità con la tutela dell’area naturale protetta di specifici interventi di modificazione o trasformazione che su di essa possono incidere.

Tanto corrisponde alla ratio dell’istituto, che è appunto finalizzato all’accertamento da parte dell’Ente preposto dell’impatto dell’intervento richiesto sui valori naturali e paesaggistici del parco, e quindi della sua ammissibilità a fronte della prioritaria esigenza di salvaguardia e tutela di tali valori;
per questo, il legislatore ha chiaramente costruito il nulla osta come atto destinato a precedere il rilascio di provvedimenti abilitativi “puntuali”, ossia legittimanti un singolo e specifico intervento di trasformazione del territorio.

Ne discende che la previsione del più volte citato art. 13 – così come quelle complementari delle leggi regionali in materia – non è applicabile agli atti di programmazione e pianificazione urbanistica, quand’anche connotati da contenuti fortemente specifici e puntuali quanto a prefigurazione delle future trasformazioni del territorio, come è nel caso (per restare al caso che qui occupa) del Programma integrato di intervento, giusta la disciplina generale di cui all’art. 16 della legge 17 febbraio 1992, nr. 179 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica) e quella regionale di cui alla legge regionale del Lazio 26 giugno 1997, nr. 22 (Norme in materia di programmi integrati di intervento per la riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del territorio della Regione).

Si potrebbe anzi addirittura avanzare dubbi sulla stessa ammissibilità dello strumento urbanistico attuativo de quo in area che, come è nella fattispecie in esame, risulti già normata dal Piano del parco: ciò alla stregua della lettura che questo Consiglio di Stato ha dato della previsione normativa per cui tale specifico strumento “sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione” (art. 12, comma 12, l. nr. 394/1991), in modo da conformare gli stessi strumenti urbanistici generali e ogni altra forma di pianificazione del territorio corrispondente all’area naturale protetta (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5821).

Quest’ultima questione non è comunque sollevata nel presente giudizio, e peraltro non è ignota la prassi diffusa, specie per strumenti urbanistici attuativi dal contenuto fortemente “conformativo” come è quello per cui qui è causa, di anticipare alla fase di formazione di questi l’acquisizione del nulla osta dell’Ente Parco, al fine di verificare la compatibilità delle scelte stesse di pianificazione e programmazione con i valori che tale Ente è preposto a tutelare.

In passato, proprio esaminando tale prassi, questo Consiglio di Stato, premesso in linea di diritto che l’oggetto della valutazione propria del nulla osta de quo è costituito, oltreché dall’impatto dell’opera sul contesto ambientale oggetto di tutela, da tutti gli aspetti di protezione del territorio, anche relativi alla disciplina di natura urbanistica ed edilizia recepita dal Piano del parco, ha osservato che i particolari dell’intervento edificatorio sono apprezzabili nella loro effettiva entità e consistenza solo alla luce del maggior grado di dettaglio e livello di approfondimento connotanti gli elaborati progettuali e plano-volumetrici allegati alla successiva richiesta del permesso di costruire, mentre il parere espresso sul piano attuativo a monte si basa su una valutazione di principio attorno alla compatibilità dell’intervento col contesto vincolato in cui viene a collocarsi, e attorno all’incidenza della sua percezione visiva sulle caratteristiche del sito, resa possibile sulla base degli elaborati di massima da allegare a corredo del piano medesimo (sez. VI, 7 novembre 2012, n. 5630).

Dal che è dato evincere, in primo luogo, che l’eventuale anticipazione della richiesta di nulla osta alla fase di approvazione del piano attuativo non può mai determinare l’esclusione della necessità di acquisizione dell’assenso ex art. 13, l. nr. 394/1991 nel momento successivo del rilascio dei titoli ad aedificandum , laddove solo è dato apprezzare in modo compiuto e globale l’impatto dell’intervento sul territorio.

In questa sede, i rilievi testé richiamati possono essere chiariti e integrati precisando che, nelle ipotesi come quella di che trattasi, in cui si ritiene di interpellare l’Ente Parco nella fase di formazione dello strumento attuativo, ciò avviene non già in applicazione del più volte citato art. 13, l. nr. 394/1991, ma per più generali ragioni collaborative e di economia procedurale, non essendo né ragionevole né opportuno proseguire le attività intese all’esecuzione dell’intervento programmato e spingerle fino a un grado estremo di dettaglio prima di aver acquisito un primo parere dell’autorità preposta a valutarne l’impatto sul territorio.

Applicando alla fattispecie in esame le coordinate di cui sopra, risulta evidente che il parere richiesto dai danti causa dell’odierna appellante e denegato dall’Ente Parco, malgrado il formale richiamo all’art. 13 della legge nr. 394 del 1991, deve ritenersi estraneo all’ambito di applicazione di tale norma, siccome intervenuto non già nella fase prodromica al rilascio del titolo ad aedificandum, sibbene durante l’iter di formazione del retrostante P.P.I. (e, quindi, soggetto ai rilievi che si sono svolti in ordine alla natura meramente “collaborativa” dell’apporto dell’Ente Parco ed alle ricadute che ciò determina).

Donde la non invocabilità, in ogni caso, del meccanismo del silenzio-assenso disciplinato dalla norma, che deve intendersi logicamente applicabile alle sole ipotesi, cui la norma è specificamente riferibile, di titoli abilitativi “puntuali”.

Da quanto sopra discende, da un lato, la non rilevanza ai fini della definizione del presente giudizio della questione di diritto devoluta all’Adunanza plenaria dalla Sezione Quarta del Consiglio di Stato;
per altro verso, la possibilità di un’immediata definizione parziale della causa, attesa l’evidente infondatezza dei primi tre motivi di gravame, i quali tutti sono basati sul presupposto dell’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 13, l. nr. 394/1991 (ciò che, invece, si è visto doversi escludere per le ragioni dianzi esposte)”.

4. Tanto precisato in ordine alla definizione parziale della controversia da parte dell’Adunanza Plenaria, all’udienza pubblica di trattazione, la causa, per la sua parte ancora non definita, è stata riservata in decisione.

DIRITTO

5. Gli ulteriori motivi di appello sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.

Si è già precisato che i primi tre motivi di appello sono stati ritenuti infondati e conseguentemente respinti dall’Adunanza Plenaria.

Con gli ulteriori motivi di impugnazione, la società appellante ha dedotto:

- con il quarto motivo, la violazione dell’art. 10-bis l. n. 241/1990 ed il vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione, poiché “nel diniego impugnato non figura neanche un rigo di considerazione delle controdeduzioni, che è come se non fossero state mai presentate”;

- con il quinto motivo, i vizi di insufficiente motivazione;
travisamento del quarto motivo di ricorso e non corrispondenza tra statuizione e motivo;
ciò in quanto, per un verso “non si comprende perchè il Parco metta in relazione l’intervento col Piano particolareggiato che riguarda un terreno accanto”;
per altro verso, è inconferente “l’affermazione secondo cui la cubatura di progetto esula da quella prevista dal piano particolareggiato, visto che il programma integrato è dichiaratamente in variante al PRG”;
infine, l’area di intervento “non presenta particolari valenze ambientali e paesaggistiche da giustificare il diniego dell’Ente Parco”, poiché si tratta di un lotto intercluso.

Quanto al quarto motivo, occorre osservare che l’amministrazione non ha un obbligo di puntuale motivazione (e/o confutazione) delle controdeduzioni presentate a seguito del preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis l. n. 241/1990, poiché le ragioni ostative all’accoglimento delle medesime ben possono evincersi dalla motivazione del provvedimento di diniego emanato a conclusione del procedimento. D’altra parte, ogni ragione di doglianza “nel merito” avverso tale provvedimento, ha già trovato la sua esplicitazione in sede giurisdizionale, con ciò rendendo superflua ogni valutazione di tipo meramente procedimentale.

Quanto al quinto motivo di appello - in disparte ogni considerazione in ordine alla “congruità” della sentenza rispetto al motivo di ricorso effettivamente proposto in I grado - occorre osservare che il provvedimento impugnato si fonda su una motivazione che, pur nella sua non estrema ampiezza, appare sufficiente e non irragionevole (e ciò nei limiti in cui, su valutazioni tecnico-discrezionali, può svolgersi il sindacato di legittimità del giudice amministrativo).

Si evince, infatti, dalla motivazione il dato ostativo rappresentato dalla previsione di una cubatura “eccedente” quella del precedente piano particolareggiato e non compatibile, in quanto tale, con il contesto ambientale;
né, a tal fine, rileva la considerazione che il PII è in “dichiarata variante” al predetto piano, posto che ciò che interessa è il contenuto del nuovo strumento urbanistico (ed in questo senso rileva la non conformità), non il formale rapporto tra strumenti urbanistici attuativi.

L’autonomia e specificità del giudizio riservato dalla normativa all’Ente Parco rende, poi, del tutto ininfluente sia la richiamata “positiva valutazione dell’Agenzia regionale dei Parchi”, sia il giudizio espresso in sede di VAS, sia, infine, eventuali, diverse valutazioni compiute su “terreni contigui”.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello, nei suoi residui motivi non ancora giudicati, è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Stante la natura delle questioni trattate, e la presenza di non conformi interpretazioni giurisprudenziali, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese ed onorari del presente grado di giudizio, ivi comprese quelle relative alla fase innanzi alla Adunanza Plenaria, che aveva rimesso alla presente sede ogni statuizione sulle spese di lite.

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