Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-08-25, n. 202005191

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-08-25, n. 202005191
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005191
Data del deposito : 25 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/08/2020

N. 05191/2020REG.PROV.COLL.

N. 10453/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 10453 del 2019, proposto dalla Campania Energia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato R L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Comune di Teano, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A O, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la Provincia di Caserta, in persona del Presidente pro tempore , non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione quinta, n. 5440 del 20 novembre 2019, resa tra le parti, concernente il diniego di un’autorizzazione unica ambientale (A.U.A.).


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Teano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2020, svoltasi in video conferenza, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020, il consigliere Nicola D'Angelo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società Campania Energia ha impugnato al T.a.r. per la Campania, il provvedimento della Provincia di Caserta prot. n. 0058325 del 3 dicembre 2018, recante il diniego di rilascio di un’autorizzazione unica ambientale (di seguito A.U.A.) presentata anche ai fini del rinnovo dell’iscrizione nel registro delle imprese che svolgono attività di recupero rifiuti, ai sensi dell’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006 (testo unico dell’ambiente), nonché gli atti allo stesso presupposti.

1.1. In particolare, la società ricorrente esercita dal 2009 la messa in riserva e il recupero di rifiuti non pericolosi con attività di prima lavorazione di scarti industriali nell’impianto ubicato nel Comune di Teano in zona urbanistica “ Agricola E2 – zona agricola comune ”.

1.2. Le strutture edilizie all’interno delle quali viene esercitata l’attività sono state realizzate previo rilascio di concessioni edilizie, tra gli anni 1977 e 1998, per la costruzione di un complesso per la lavorazione mediante surgelazione di prodotti ortofrutticoli. A seguito della chiusura di quest’ultima attività, la Campania Energia ha chiesto nel 2008 al Comune di Teano l’autorizzazione al riutilizzo della struttura esistente come centro di raccolta e recupero di scarti industriali di legno, ferro, vetro e plastica.

1.3. Il Comune di Teano, il 10 novembre 2008, ha rilasciato un parere preliminare di ammissibilità dell’intervento di riutilizzo delle strutture edilizie con la seguente motivazione: “ Sul fondo riportato in Catasto al Foglio 18 particelle 5003, 5004, 5005 venne edificato un impianto per attività produttiva con concessioni edilizie rilasciate in deroga al Programma di Fabbricazione, tuttora vigente;
la struttura da qualche anno non è più attiva in attesa di riconversione produttiva;
è avvenuta un’irreversibile trasformazione della destinazione urbanistica prevista dal Programma di Fabbricazione.....;
il P.U.C. in itinere prevede, per le suddette particelle, la destinazione industriale;
l’area non è sottoposta a vincolo paesaggistico;
la distanza da Centri abitati ... è maggiore di 1000 metri
”.

1.4. Sulla base del suddetto parere, la società, in data 13 gennaio 2009, ha dato comunicazione alla Provincia di Caserta dell’inizio di attività di messa in riserva e recupero di rifiuti non pericolosi di cui all’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006. La Provincia di Caserta, con determinazione n. 64/W del 23 luglio 2009, l’ha quindi iscritta nel registro delle imprese abilitate al recupero dei rifiuti ai sensi della stessa disposizione.

1.5. Successivamente, il Comune ha riclassificato, con nota del 31 gennaio 2012, l’attività come industria insalubre e la Regione, con decreto n. 142 del 4 ottobre 2013, ha autorizzato le emissioni in atmosfera. Con determinazione n. 21/W del 24 febbraio 2014, la Provincia di Caserta, ha rilasciato il rinnovo dell’autorizzazione fino al 12 gennaio 2019.

1.6. A seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 59/2013 (regolamento recante, tra l’altro, norme di semplificazione delle procedure di rilascio dell’autorizzazione ambientale), la ricorrente ha presentato istanza l’11 settembre 2017 per ottenere l’A.U.A. anche ai fini del rinnovo dell’iscrizione nel registro di cui al menzionato art. 21. Ha poi attivato, il 21 febbraio 2018 il procedimento di variante di destinazione urbanistica, ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. n.160 del 2010, al fine di adeguare la destinazione urbanistica dell’area all’uso produttivo relativo al recupero dei rifiuti.

1.7. Sull’istanza di A.U.A. la Provincia di Caserta ha indetto un’apposita conferenza dei servizi richiedendo al Comune di Teano il parere di propria competenza. In vista della riunione della conferenza dei servizi del 2 ottobre 2018, il Comune, con nota prot. n. 1525 del 1° ottobre 2018, ha tuttavia espresso parere urbanistico negativo al rinnovo. L’Amministrazione comunale ha, in particolare, premesso che: “ l’impianto ricade in zona agricola del vigente Piano di Fabbricazione;
non sussistono titoli edilizi per l’attività produttiva in questione;
il Comune di Teano ricade in zona classificata dal “Piano Territorio Regionale” come
territorio a dominanza naturalistica ”. Di conseguenza, alla luce dell’art. 12 della legge regionale della Campania n. 14 del 2016, che prevede il divieto di localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti laddove è ancora in vigore il programma di fabbricazione, ha ritenuto applicabili i limiti di edificabilità disposti dal comma 4 bis dell’art. 44 della stessa legge regionale (consistendo il progetto della Campania Energia nell’ampliamento della contigua struttura produttiva realizzata con concessioni edilizie rilasciate per un opificio di lavorazione di prodotti agricoli).

1.8. In vista di una nuova riunione della conferenza di servizi, il Comune di Teano ha poi inviato la nota prot. n. 17589 del 27 novembre 2018 con cui ha ribadito il parere urbanistico negativo, evidenziando che l’impianto doveva comunque ritenersi nuovo “ perché dal punto di vista edilizio e urbanistico sull’area interessata insiste un impianto produttivo di trasformazione dei prodotti agricoli ”, mentre l’attività di recupero rifiuti è stata realizzata con concessioni edilizie rilasciate con riferimento a quel tipo di struttura produttiva e non è stata presentata richiesta di modifica della destinazione d’uso.

1.9. La conferenza dei servizi si è quindi chiusa con la determinazione di diniego dell’istanza di autorizzazione unica presentata dalla società Campania Energia ai fini del rinnovo dell’iscrizione nel registro delle imprese che svolgono attività di recupero rifiuti ai sensi dell’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale determinazione è poi confluita nel provvedimento conclusivo, prot. n. 0058325 del 3 dicembre 2018, con cui la Provincia di Caserta ha disposto l’archiviazione con diniego dell’istanza di AUA.

2. Il T.a.r. per la Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso della società contro il suddetto diniego, riscontrando la non regolarità edilizia, urbanistica e ambientale della attuale destinazione d’uso dell’opificio.

2.1. Il giudice di primo grado ha infatti ritenuto infondati i motivi di gravame proposti ed in particolare quelli relativi al difetto di istruttoria e di motivazione del diniego (fondato solo sul parere urbanistico negativo espresso in relazione ad un intervento che non costituiva un nuovo impianto), alla sussistenza di precedenti titoli abilitativi all’esercizio dell’attività di recupero dei rifiuti, alla circostanza che la richiesta era da considerarsi un mero rinnovo di precedenti autorizzazioni ambientali inerenti lo stesso impianto (con conseguente inapplicabilità dell’art. 12 della legge regionale n. 14 del 2016), all’insussistenza di un ampliamento delle opere preesistenti, al fatto che comunque l’eventuale difformità edilizia della destinazione d’uso non avrebbe potuto legittimare il diniego dell’autorizzazione dell’attività di recupero rifiuti.

3. Contro la suddetta sentenza ha quindi proposto appello la società Campania Energia sulla base dei seguenti cinque autonomi motivi di gravame (da pagina 13 a pagina 43 del ricorso).

3.1. Error in iudicando . Palese contrasto tra la motivazione dell’ordinanza cautelare n. 35 del 2019 e la motivazione della sentenza. Palese violazione del divieto di integrazione giudiziale della motivazione. Violazione e distorta applicazione degli artt. 21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Carente motivazione.

3.1.1. Il Tar sarebbe incorso, secondo la società appellante, in una evidente contraddittorietà tra la motivazione data dallo stesso Tribunale nell’ordinanza cautelare n. 35 del 2019 e la sentenza impugnata. Correttamente nella citata ordinanza il Tar avrebbe evidenziato che nel caso di specie: “ a) non sembra corretta la qualificazione di nuovo impianto, con l’individuazione della disciplina applicabile che ne consegue (art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 12 della L.R. n. 14/2016), motivata sulla base dell’assenza di una previa richiesta di mutazione della destinazione d’uso del complesso produttivo per il quale già sussistono i titoli edilizi di edificazione;
b) sulla base del riferimento normativo fornito dall’art. 196 del d.lgs. n. 152/20106, che sembrerebbe esprimere un mero criterio di preferenzialità localizzativa per le aree a connotazione industriale, la destinazione agricola di una determinata area non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di un impianto di gestione dei rifiuti, apparendo invece decisiva la concreta verifica di compatibilità dell’area ai fini del rispetto dell’ambiente;
c) la richiesta di rilascio dell’Autorizzazione Unica non avrebbe ad oggetto alcun ampliamento dell’impianto, ma la prosecuzione dell’attività di quello preesistente;
d) l’assenza di un titolo edilizio di mutamento della destinazione d’uso delle originarie concessioni non sembra potere giustificare, in base alla normativa di settore (all’art. 216 del d.lgs. n. 152/2006), il diniego dell’autorizzazione
”.

Nella sentenza impugnata, il giudice di primo grado ha invece rigettato il ricorso perché: “ In definitiva, dal punto di vista urbanistico ed edilizio, gli unici manufatti ed attività autorizzati ed esistenti sono esclusivamente quelli agricoli della Coop. “La Giovane Coltivatrice”, posto che, secondo quanto emerge dalla richiamata produzione documentale di parte avversa, il Comune di Teano non ha mai autorizzato o rilasciato alla ricorrente autorizzazioni propedeutiche al conseguimento della procedura di cui all’art. 216 T.U.A., né tanto meno all’esercizio di impresa per la messa in riserva di rifiuti, non avendo neppure dichiarato la concreta fungibilità delle strutture esistenti per l’uso a cui la Campania Energia le ha destinate. Sulle particelle in questione, ad oggi, sorge legittimamente soltanto un opificio agricolo e qualunque attività diversa da quella originaria, per assenza, sin dall’origine, dei titoli abilitativi, deve essere ritenuta nuova e, comunque, per ciò che concerne i titoli abilitativi edilizi, abusiva ”.

3.1.2. Per l’appellante, il cambio di orientamento, finalizzato a ritenere l’impianto come nuovo e non come esistente da dieci anni, oltre che contraddittorio, si sarebbe basato unicamente su un’adesione apodittica ad una mera elencazione di motivi addotti dal Comune di Teano che avrebbero illegittimamente integrato, nel corso del giudizio di primo grado, l’istruttoria relativa all’istanza a suo tempo presentata.

3.2. Error in iudicando . Motivazione apparente e contraddittoria. Erronea presupposizione di fatto e diritto. Carenza di istruttoria. Violazione e distorta applicazione dell’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006. Violazione e distorta applicazione dell’art. 110, comma 3, lettera a), e dell’articolo 183, comma 1, lettera b), dello stesso decreto legislativo.

3.2.1. Per la società ricorrente il T.a.r., in contraddizione con quanto dallo stesso affermato nella sua ordinanza cautelare n. 35 del 2019, ha respinto nel merito il ricorso ritenendo che l’intervento fosse “ de facto ” incompatibile con la destinazione urbanistica data dal piano di fabbricazione alla particella su cui sorge l’impianto e che il Comune di Teano non avrebbe mai autorizzato o rilasciato alla ricorrente autorizzazioni propedeutiche al conseguimento della procedura di cui al più volte menzionato art. 216, né tanto meno all’esercizio di impresa per la messa in riserva di rifiuti.

3.2.2. La documentazione versata dalla società nel corso del giudizio di primo grado, non considerata o comunque erroneamente interpretata avrebbe invece dimostrato, soprattutto con riferimento al provvedimento prot n. 2062 del 31 gennaio 2012 di classificazione dell’attività come insalubre, che il Comune aveva compiuto atti propedeutici al rilascio delle autorizzazioni necessarie nella procedura di cui all’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006. Inoltre, con il provvedimento n. 25394 del 10 novembre 2008 il Comune avrebbe inequivocabilmente chiarito che era intervenuta un’irreversibile trasformazione della destinazione urbanistica prevista dal programma di fabbricazione sulle particelle su cui insiste l’impianto e che il PUC in itinere aveva previsto, per le suddette particelle, la destinazione industriale, non essendo l’area sottoposta a vincolo paesaggistico e distante dai centri abitati più di 1000 metri.

Relativamente poi alla struttura esistente, già oggetto di concessione in deroga e già impiegata per attività produttive, con lo stesso provvedimento il Comune avrebbe considerato la sua utilizzazione a centro di raccolta e prima lavorazione di scarti di legno, ferro vetro e plastica, con la specifica: “ fatti salvi ogni preventivo parere e nulla osta da parte degli enti preposti alla salvaguardia ed alla tutela dell’ambiente e della pubblica e privata incolumità e l’acquisizione di un parere di conformità urbanistica ”.

Infine, con il precedente nulla osta rilasciato il 14 maggio 2007 avrebbe dato atto della effettiva destinazione urbanistica con l'indicazione dell'inesistenza dei vincoli idrogeologici e con relativa attestazione che l'impianto di recupero non contrastava con le norme e gli strumenti urbanistici.

3.3. Error in iudicando . Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Violazione e distorta applicazione dell’art.216 del d.lgs. 152/2006. Violazione e distorta applicazione dell’art. 8 del DPR n. 160/2010. Violazione e distorta applicazione dell’art.208 del d.lgs. n.152/2006.

3.3.1. La richiesta di variante di destinazione urbanistica ex art. 8 del d.P.R. n. 160 del 2010 dei manufatti esistenti presentata dalla società ricorrente, contrariamente a quanto affermato dal T.a.r., si sarebbe riferita ad una particella diversa dalla 5005 su cui dal 2008 è stata svolta l’attività di cui è causa. La richiesta sarebbe stata invece relativa alla particella 5004, la quale non è oggetto di richiesta di rinnovo né di autorizzazione unica ambientale per l’esercizio dell’attività di recupero e messa in riserva di rifiuti non pericolosi. Le difformità rilevate dal Comune alle opere preesistenti sarebbero dunque riferite a quest’ultima particella, risultando così inconferente il richiamo all’art. 208 del d.lgs. n.152/2006 non essendovi un nuovo impianto e non essendo stato neppure chiesto in ambito AUA un ampliamento del preesistente.

3.4. Error in iudicando . Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Violazione e distorta applicazione dell’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006. Violazione e distorta applicazione dell’art. 8 del DPR n. 160/2010. Violazione e distorta applicazione dell’art. 208 del d.lgs. n.152 del 2006.

3.4.1. Secondo l’appellante, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella sua motivazione perché da una parte, per giustificare il rigetto e dare ragione alle difese del Comune di Teano, afferma che l’impianto è “nuovo”, dall’altra sottolinea che il diniego espresso a chiusura della conferenza dei servizi scaturisce più che dalla costatazione che si sarebbe trattato di una nuova attività, dalla presa d’atto che l’opificio non avrebbe mai conseguito il cambio della destinazione d’uso, le dovute autorizzazioni edilizie e il certificato di conformità urbanistica.

3.5. Error in iudicando . Palese applicazione distorta del principio del legittimo affidamento.

3.5.1. La sentenza impugnata sarebbe erronea anche nella parte in cui ha ritenuto non sussistente in capo all’appellante un legittimo affidamento. Il comportamento dell’Amministrazione comunale è stato invece tale da indurre la ricorrente a ritenere legittima l’attività svolta. Il Comune infatti ha rilasciato il 14 maggio 2007 il citato nulla osta di destinazione urbanistica con l'indicazione dell'inesistenza dei vincoli idrogeologici e con relativa attestazione che l'impianto di recupero non contrastava con le norme e gli strumenti urbanistici, nonché il provvedimento del 10 novembre 2008 che ha stabilito l’avvenuta trasformazione della destinazione urbanistica prevista dal Programma di Fabbricazione sulle particelle su cui insiste l’impianto e la destinazione della zona nel PUC in via di approvazione ad attività industriali.

4. Il Comune di Teano si è costituito in giudizio il 20 febbraio 2020, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato ulteriori memorie anche di replica e documenti. Per ultimo, ha depositato note d’udienza il 25 maggio 2020.

5. La società appellante ha anch’essa depositato ulteriori memorie e repliche, nonché documenti. Ha infine depositato note d’udienza il 19 maggio 2020.

6. Con un primo decreto del Presidente di questa Sezione n. 6310 del 19 dicembre 2019 è stata respinta l’istanza della società ricorrente volta alla emanazione di una favorevole misura monocratica cautelare.

7. Nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020 l’istanza di sospensione della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso, è stata definitivamente rinviata al merito.

8. Con un secondo decreto del Presidente di questa Sezione n. 340 del 13 febbraio 2020 è stata poi accolta l’istanza per il superamento dei limiti dimensionali del gravame, in conformità a quanto stabilito dall’art. 5 del d.P.C.S. n. 167 del 22 dicembre 2016.

9. La causa è stata trattenuta in decisione, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, nell’udienza pubblica tenutasi in video conferenza il 28 maggio 2020.

10. Preliminarmente, il Collegio rileva l’inammissibilità della produzione documentale della società appellante del 22 aprile 2020, del 12 e del 22 maggio 2020. Tale documentazione è stata depositata sia in violazione del termine sancito dall’art. 73 del c.p.a., sia del divieto di nova previsto dall’art. 104 c.p.a.

10.1. In particolare, la predetta documentazione riguarda atti già esistenti e nella disponibilità della appellante al 17 aprile 2020, data di scadenza del termine per il deposito dei documenti ex art. 73 c.p.a., o comunque (per quanto riguarda la perizia allegata alla produzione del 12 e del 22 maggio 2020) di documenti che la parte avrebbe potuto e dovuto produrre nel corso del giudizio di primo grado.

11. Ciò premesso, l’appello non è fondato.

12. Con il primo motivo di appello la società ricorrente lamenta la contraddizione tra la motivazione data dal T.a.r. nell’ordinanza cautelare n. 35 del 2019 e la sentenza impugnata. Nell’ordinanza lo stesso Tribunale ha evidenziato che nel caso di specie non sembrava corretta la qualificazione dell’opificio come nuovo impianto e che la destinazione dell’area a zona agricola non fosse inconciliabile con l’utilizzo dell’impianto per l’attività di recupero dei rifiuti, utilizzazione peraltro non impedita dalla mancanza di un titolo idoneo per il cambio di destinazione d’uso. Nella sentenza invece il giudice di primo grado avrebbe immotivatamente respinto il ricorso perché: “ In definitiva, dal punto di vista urbanistico ed edilizio, gli unici manufatti ed attività autorizzati ed esistenti sono esclusivamente quelli agricoli della Coop. “La Giovane Coltivatrice”, posto che, secondo quanto emerge dalla richiamata produzione documentale di parte avversa, il Comune di Teano non ha mai autorizzato o rilasciato alla ricorrente autorizzazioni propedeutiche al conseguimento della procedura di cui all’art. 216 T.U.A., né tanto meno all’esercizio di impresa per la messa in riserva di rifiuti, non avendo neppure dichiarato la concreta fungibilità delle strutture esistenti per l’uso a cui la Campania Energia le ha destinate. Sulle particelle in questione, ad oggi, sorge legittimamente soltanto un opificio agricolo e qualunque attività diversa da quella originaria, per assenza, sin dall’origine, dei titoli abilitativi, deve essere ritenuta nuova e, comunque, per ciò che concerne i titoli abilitativi edilizi, abusiva ”.

12.1. La tesi dell’appellante non può essere condivisa. In primo luogo, va osservato che le determinazioni assunte dal giudice in sede cautelare non vincolano lo stesso nella fase di decisione di merito del ricorso. Nel processo amministrativo, infatti, non si forma giudicato interno con riguardo a quanto statuito in sede di esame cautelare, tenuto conto che si tratta di una sommaria e provvisoria cognizione sulla domanda giudiziale e non, come nel merito, di una esaustiva e definitiva disamina del ricorso. In linea generale, non può dunque configurarsi alcun autonomo “giudicato cautelare” in senso proprio rispetto alla sentenza che definisce il giudizio.

Le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono per loro stessa natura insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimento istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2015 n. 2847).

Un provvedimento di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo non fa quindi venir meno l'atto sospeso e nemmeno la sua validità, né esercita una funzione ripristinatoria della situazione precedente, ma soltanto impedisce temporaneamente, e con efficacia " ex nunc ", la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio.

Il provvedimento cautelare è emanato “con riserva” di accertamento della fondatezza nel merito, onde evitare che la pendenza del giudizio vada a danno dell’attore risultato vittorioso all’esito del giudizio, ed è dunque interinalmente subordinato alla verifica definitiva della fondatezza delle tesi del ricorrente. Cosicché, gli effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2016 n. 2448).

12.2. Alla luce delle suddette considerazioni non può dunque ritenersi rilevante la lamentata difformità tra l’ordinanza cautelare n. 35 del 2019 e la sentenza impugnata. Quest’ultima, peraltro, non evidenzia un difetto di motivazione o un’ipotesi di integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti impugnati laddove, al di là della riscontrata destinazione agricola della zona, ha rilevato un dato incontestato e cioè che le autorizzazioni edilizie relative ai manufatti poi utilizzati per l’attività di recupero dei rifiuti fossero state rilasciate dal 1977 al 1998 ad altro soggetto (il signor A N, in qualità di presidente della cooperativa agricola “La Giovane Coltivatrice”) per l’edificazione di uno stabilimento industriale di surgelazione di prodotti agricoli (attività poi cessata il 31 dicembre 2006).

12.3. D’altra parte, anche le note del Comune richiamate dall’appellante non inducono a conclusioni di segno diverso. In particolare, con la lettera prot. 0025394 del 10 novembre 2008 il Responsabile dell’UTC ha espresso un primo parere di fattibilità sul cambio di destinazione d’uso dell’opificio e non un’autorizzazione, rinviando e subordinando la medesima autorizzazione all’esame dei progetti delle opere e degli impianti da realizzarsi (progetti che non erano stati presentati, trattandosi di un interpello in termini di mera astratta possibilità) e al rilascio del parere di conformità urbanistica sugli interventi programmati.

Ed in effetti, dopo la predetta nota, il Comune non ha comunque rilasciato alcuna autorizzazione al riutilizzo delle strutture esistenti o per altre opere. Tant’è che in data 12 ottobre 2010 il signor A N, questa volta in qualità di legale rappresentante della società Campania Energia, ha presentato una D.I.A. per la realizzazione di una pavimentazione in cemento armato e la soprelevazione del muro di recinzione, dichiarazione poi oggetto di richiesta di integrazioni documentali e progettuali da parte del Comune con nota dell’11 maggio 2011 prot. 8566, restata priva di riscontro.

Inoltre, la società appellante, in data 8 marzo 2012, ha inviato al Comune una comunicazione ai fini della sicurezza antincendio per un centro di raccolta, selezione e recupero di rifiuti non pericolosi non inoltrata, tuttavia, alle autorità preposte perché priva di titolo abilitativo ed in data 12 marzo 2012 ha chiesto una sanatoria per opere relative alla sistemazione di parte del piazzale e dei canali di scolo (rifiutata per silenzio ai sensi del comma 3 dell’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001).

A tali atti, sono poi seguiti:

- il rigetto di un ulteriore permesso di costruzione il 25 febbraio 2014;

- il preavviso di diniego del 19 gennaio 2015 di un’ulteriore istanza di sanatoria per l’ampliamento dell’unità immobiliare;

- l’accertamento di difformità edilizie rispetto ai titoli posseduti dall’opificio esistente.

12.4. Alla luce delle suddette circostanze, sotto il profilo urbanistico ed edilizio risultano quindi assentite solo le opere realizzate dalla cooperativa “La Giovane Coltivatrice”. In sostanza, il Comune di Teano non ha mai autorizzato o rilasciato, come rilevato dal T.a.r., alla società appellante autorizzazioni propedeutiche al buon esito della procedura di cui all’art. 216 del testo unico ambientale.

13. Per le medesime ragioni, deve ritenersi infondato anche il secondo motivo di appello in cui la società ricorrente ha sostenuto che il Comune avesse autorizzato l’attività di esercizio di impresa per la messa in riserva di rifiuti.

13.1. Neppure il ricordato provvedimento comunale del 31 gennaio 2012 di classificazione dell’attività come insalubre può infatti ritenersi sufficiente come atto propedeutico al rilascio delle autorizzazioni necessarie nella procedura di cui all’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale disposizione richiede che le operazioni di recupero dei rifiuti siano svolte nel rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui all'art. 214, commi 1, 2 e 3 del testo unico e dunque, alla luce del richiamo posto dal successivo comma 7, nel rispetto delle disposizioni che regolano la costruzione di impianti industriali. In assenza di una condizione di regolarità urbanistica ed edilizia dell’opificio industriale l’AUA non può essere rilasciata.

14. Nel terzo e quarto motivo di appello, la società ricorrente evidenzia che l’attivazione della procedura di variante urbanistica di cui all’art. 8 del d.P.R. n. 160 del 2010 si sarebbe riferita ad altra particella (la n. 5004 invece che la n. 5005 su cui insistono le opere) e che l’impianto non sarebbe stato “nuovo” e dunque non sarebbe stato ricompreso nella previsione di cui agli artt. 12 e 44 della legge regionale della Campania n. 14 del 2016, sui divieti di localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti e comunque sui limiti di edificabilità.

14.1. Il motivo non è fondato. La questione relativa alla richiesta di cambio di destinazione urbanistica dell’area non assume infatti rilevanza, posto che in ogni caso le opere edili presenti sulla particella 5005, per le ragioni sopra illustrate, non possono considerarsi legittimamente riconducibili sul piano edilizio ed urbanistico ad un impianto di recupero dei rifiuti.

14.2. Quanto alla sussistenza o meno di un nuovo impianto, come rilevato dal T.a.r., il diniego espresso a chiusura della conferenza dei servizi si è fondato sulla circostanza che lo stesso “ non avrebbe mai conseguito il cambio della destinazione d’uso, le dovute autorizzazioni edilizie e il certificato di conformità urbanistica, ovvero per “ragioni edilizie, di mancata compatibilità urbanistica” non avendo il Comune autorizzato il reimpiego degli impianti esistenti (motivazioni finali del provvedimento provinciale del 3.12.2018) ”. In sostanza, al di là delle caratteristiche di novità della struttura, non vi era un titolo abilitativo edilizio idoneo per l’esercizio della nuova attività.

15. Con il quinto motivo di appello, la società ricorrente si duole della lesione dell’affidamento ingenerato dal Comune con il nulla osta del 14 maggio 2007, sulla conformità urbanistica, con la nota del 10 novembre 2008, sull’avvenuta trasformazione edilizia, e con la nota del 31 gennaio 2012, sulla classificazione dell’attività come insalubre.

15.1. La pretesa è infondata. Come correttamente rilevato dal T.a.r., dopo il primo parere conseguito dal Comune non è stata data ottemperanza alle prescrizioni indicate per poter conseguire il titolo abilitativo. Inoltre, la società ricorrente, in sede di procedura semplificata, ha presentato, come evidenziato nella sentenza impugnata, “ una autorizzazione che tale non era, sostanziandosi in un mero parere preliminare (prot. 25394/08 del 10.11.2008) al fine di conseguire indebitamente l’iscrizione nel registro provinciale ”.

15.2. In particolare, nella procedura per il rilascio dell’AUA l’appellante ha inoltrato alla Provincia di Caserta la domanda di iscrizione nel registro delle imprese e la denuncia di inizio attività di messa in riserva dei rifiuti producendo, per quanto riguarda le autorizzazioni di natura urbanistico - edilizia per cui sono competenti i Comuni, un nulla osta di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Teano in data 15 febbraio 2007 e un parere di ammissibilità per il riutilizzo di strutture esistenti a centro di raccolta rilasciato in data 10 novembre 2008. Tale documentazione tuttavia non era sufficiente, non costituendo un titolo edilizio ed urbanistico sufficiente anche al fine del reimpiego delle strutture esistenti, peraltro interessate da alcune opere abusive. Il parere comunale del 10 novembre 2008 si è infatti connotato per la sua natura preventiva laddove ha precisato che per la società era comunque necessario munirsi di tutti i titoli autorizzativi edilizi o ambientali (cfr. parere prot. 25394/08 del 10 novembre 2008: “ Premesso altresì che ogni parere definitivo possa esprimersi dopo la presentazione e l’esame di un apposito progetto delle opere e degli impianti da realizzare con evidenziati e quantificati le fonti di approvvigionamento, i diversi cicli produttivi con la codifica e la quantificazione dei materiali lavorati ed utilizzati, l’indicazione dei processi produttivi e di smaltimento delle scorie e delle acque reflue derivanti dal ciclo produttivo intrapreso;

Tutto ciò preposto, nelle more dell’acquisizione del progetto delle opere a farsi, si ritiene che, relativamente al riutilizzo della struttura esistente, già oggetto di concessione in deroga e già impegnata per attività produttiva, a centro di raccolta e prima lavorazione di scarti industriali di legno, ferro, vetro e la plastica purché non pericolosi e fatti salvi ogni preventivo parere e nulla osta da parte di tutti gli enti preposti alla salvaguardia e alla tutela dell’ambiente, alla salvaguardia e alla tutela della pubblica e privata incolumità e fatto salvo, altresì, l’acquisizione del parere di conformità urbanistica sulle opere e gli interventi a farsi, anche attraverso lo strumento della conferenza dei servizi a sensi della legge 241/1990 e s.m.i., possa esprimersi per quanto di competenza, un preventivo parere di ammissibilità all’intervento proposto ”.

16. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va quindi respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.

17. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

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