Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-11-23, n. 201008145

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-11-23, n. 201008145
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201008145
Data del deposito : 23 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06586/2010 REG.RIC.

N. 08145/2010 REG.SEN.

N. 06586/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6586 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C R, quale Presidente della Giunta regionale del Piemonte, rappresentato e difeso dagli avv. A C e L P, con domicilio eletto presso l’avv. A C in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

BRESSO MERCEDES, BONELLI ANGELO, STRIGLIA MASSIMO, RIVA GNDA M G, rappresentati e difesi dagli avv. N P, E P e L D R, con domicilio eletto presso l’avv. Nicolo' P in Roma, via B. Tortolini, n. 34;
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro in carica, e UFFICIO CENTRALE REGIONALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

ANGELERI ANTONELLI, CAROSSA MARIO, DE MAGISTRIS ROBERTO, GIORDANO MASSIMO, GREGORIO FEDERICO, LUPI MAURIZIO, MACCANTI ELENA, MARINIELLO MICHEL, MOLINARI RICCARDO, NOVERO GIANFRANCO, SACCHETTO CLAUDIO e TIRAMANI PAOLO, rappresentati e difesi dall'avv. Paolo F, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
BOTTA MARCO, MONTARULI AUGUSTA, BUSSOLA CRISTIANO, PEDRALE LUCA, SPAGNUOLO CARLA, BOTTA FRANCO MARIA, CATTANEO VALERIO, BURZI ANGELO, MASTRULLI ANGIOLINO, MOTTA MASSIMILIANO, CANTORE DANIELE, TENTONI ALFREDO ROBERTO, VIGNALE GIANLUCA, COMBA FABRIZIO, CORTOPASSI ALBERTO, CAVALLERA UGO, FERRERO CATERINA, PORCHIETTO CLAUDIA, CIRIO ALBERTO, BONINO BARBARA, COPPOLA MICHELE, VALLE ROSANNA, RAVELLO ROBERTO, ANNA COSTA ROSA, LEARDI LORENZO, TOSELLI PIETRO FRANCESCO, COSTA RAFFALE, rappresentati e difesi dagli avv. Carlo Emanuele Gallo e Alberto R, con domicilio eletto presso l’avv. Alberto R in Roma, Lungotevere Sanzio, n. 1;
GIOVINE MICHELE, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio S, Stefano Vinti e Monica Maria Negro, con domicilio eletto presso l’avv. Stefano Vinti in Roma, via Emilia, n. 88;
ASSOCIAZIONE ITALIANA WORLD WIDE FUNF FOR NATURE (WWF), in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Alessio P e Valentina Stefutti, con domicilio eletto presso l’avv.Alessio P in Roma, via degli Scipioni, 268/A;

e con l'intervento di

ad adiuvandum :
FRANCHINO SARA, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio S, Stefano Vinti e Monica Maria Negro, con domicilio eletto presso l’avv. Stefano Vinti in Roma, via Emilia, n. 88;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE – TORINO, Sez. I, n. 3136 del 28 luglio 2010, resa tra le parti, concernente

VERBALE PROCLAMAZIONE DEGLI ELETTI RELATIVO ALLE ELEZIONI PER IL CONSIGLIO REGIONE PIEMONTE

28/29

MARZO

2010;


Visto il ricorso in appello, con i motivi aggiunti, e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio:

dei signori M B, A B, M S e di M G R Governanda, che hanno spiegato anche appello incidentale;

dei signori A A, M C, R D M, M G, F G, M L, E M, Michele Marinello, R M, G N, C S e Paolo Tiramani;

dei signori M B, A M, C B, L P, C S, F M B, V C, A B, Angiolino Mastrulli, M M, D C, A R T, G V, F C, A C, U C, C F, C P, A C, Barbara Bonino, M C, R V, R R, R A C, L L, P F T e Costa Raffaele, che hanno spiegato anche appello incidentale;

del signore Michele Giovane che pure ha spiegato appello incidentale;

dell’Associazione Italiana World Wide Fund For Nature (Wwf) che ha altresì spiegato appello incidentale;

del Ministero dell'Interno, dell’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte di Appello di Torino e degli Uffici Centrali Circoscrizionali presso i Tribunali della regione Piemonte;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2010 il Cons. C S e uditi per le parti gli avvocati C, P, Y, su delega dell' avv. P, D R, P, S, F, R e P;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza n. 3136 del 28 luglio 2010, preceduta dalla pubblicazione del dispositivo n. 64 del 16 luglio 2010, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. I, parzialmente decidendo sul ricorso proposto dai signori M B, A B, M S e M G R G contro la Regione Piemonte;
l’on. R C, quale Presidente della Regione Piemonte;
il Ministero dell’Interno, gli Uffici Centrali Circoscrizionali presso i Tribunali della regione Piemonte e l’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte d’Appello di Torino e nei confronti: dei signori A A, M C, R D M, M G, F G, M L, E M, M M, R M, G N, Paolo Tiramani e Claudio Saccchetto nonché dei signori M B, A M, C B, Luca Predale, C S, F M B, V C, A B, A M, Massimilano Motta, D C, A R T, F C, G V, A C, U C, Claudia Porchetto, C F, A C, Barbara Binino, M C, R V, R R, R A C, L L, P F T e Raffaele Costa e del signor M G;
con gli interventi, ad adiuvandum dell’Associazione Italiana World Wide Fund For Nature (WWF) Onlus Ong e del signor A C e ad opponendum della signora Sara Franchini;
per l’annullamento del verbale della Corte di Appello di Torino in data 9 aprile 2010 di proclamazione degli eletti relativo alle elezioni per il Consiglio Regionale della Regione Piemonte del 28 e 29 marzo 2010;
dei provvedimenti degli uffici circoscrizionali costituiti presso i tribunali della Regione Piemonte di ammissione del contrassegno e delle liste “Verdi Verdi per C”, “Al Centro con Scaderebech”, “Consumatori””, nonché del listino “R C Presidente”, nonché dei provvedimenti di proclamazione dei consiglieri regionali eletti, ha:

A) in via preliminare: A1) rigettato tutte le eccezioni preliminari di nullità, inammissibilità, irricevibilità ed improcedibilità del ricorso sollevate dalle parti resistenti;
A2) dichiarato inammissibile l’intervento ad adiuvandum proposto dell’Associazione Italiana World Wide Fund For Nature (WWF) Onlus Ong e dal signor A C;
A3) estromesso dal giudizio il Ministero dell’Interno, l’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte d’Appello di Torino e gli Uffici Centrali Circoscrizionali presso i Tribunali di Torino, Asti, Alessandria, Cuneo, Biella, Novara, Verbania e Vercelli;

B) nel merito: B1) rigettato il primo motivo di ricorso concernente l’ammissione della lista “Verdi Verdi per C”;
B2) accolto il secondo motivo di ricorso relativo alla “Al Centro con S” e per l’effetto ha annullato i relativi provvedimenti di ammissione;
B3) disposto attività istruttoria a cura degli Uffici Centrali Circoscrizionali e dell’Ufficio Centrale Regionale;
B4) accolto il terzo motivo di ricorso relativo alla lista “Consumatori” e per l’effetto ha annullato i relativi provvedimenti di ammissione;
B5) disposto attività istruttoria a cura degli Uffici Centrali Circoscrizionali e dell’Ufficio Centrale Regionale;
B6) rinviato al definitivo ogni ulteriore statuizione sulla controversia, compreso quella sulla rinuncia della ricorrente M B, riservandosi ogni eventuale attività istruttoria per la eventuale definizione delle cifre elettorali delle liste ed il conseguente riparto dei seggi in seno al Consiglio Regionale;
B7) rinviato per l’ulteriore trattazione del merito alla pubblica udienza del 7 ottobre 2010.

In particolare, secondo il predetto tribunale:

1) era infondata l’eccezione sollevata dai controinteressati di nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio (per essere asseritamente avvenuta, in violazione dell’art. 83, comma 11, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, il 16 maggio 2010 (e cioè oltre i 10 giorni dalla data di adozione del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza) in quanto, giusta sentenza della Corte Costituzionale 7 maggio 1996, n. 144, il termine di dieci giorni decorreva soltanto dalla comunicazione del ricordato decreto presidenziale;

2) era anche infondata l’eccezione di nullità e/o improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio per la mancanza, in una delle copie notificate all’on. R C, di alcune pagine (quelle concernenti l’indicazione dei provvedimenti impugnati), atteso che, non solo, come emerso dal corso della discussione, l’interessato era stato comunque destinatario di altre copie complete del ricorso, per quanto l’attività difensiva svolta era stata piena e completa, senza alcuna violazione del diritto di difesa;

3) era ancora infondata l’eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio per l’asserita genericità dell’indicazione degli atti impugnati, emergendo dallo stesso contenuto del ricorso una serie di elementi assolutamente idonei alla loro precisa individuazione, anche quanto all’impugnazione della lista “Al Centro per S”, non essendo notoriamente necessario l’uso di formule sacramentali;

4) era altresì infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per il mancato deposito, in violazione dell’art. 83, comma 11, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, dei provvedimenti impugnati, giacché, per un verso, l’invocata normativa non escludeva l’esercizio dei poteri istruttori del giudice amministrativo e, per altro verso, in via generale la stessa pubblica amministrazione era obbligata al deposito dei provvedimenti impugnati e degli altri atti e documenti in base ai quali gli stessi erano stati emanati;

5) era infondata pure l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la sua mancata notifica al sig. D S, perché, non avendo conseguito la relativa lista, questi non rivestiva la qualità di controinteressato;

6) era infondato l’eccepito difetto di legittimazione attiva della Federazione dei Verdi per non aver partecipato alla competizione elettorale, visto che, come emergeva dalla documentazione acquisita, il sig. M G R Governanda, ricorrente in proprio e quale delegato alla presentazione della lista “Verdi Civica” aveva presentato il relativo simbolo in qualità di delegato del partito presente nel precedente Consiglio Regionale del Piemonte (cioè la Fondazione dei Verdi);

7) era infine infondata l’eccezione, sollevata da una parte dei controinteressati, di inammissibilità del terzo motivo di ricorso (concernente l’ammissione della lista “Consumatori”) per la rinuncia depositata dall’on. M B, atteso che dalla lettura del ricorso e delle sue peculiari modalità di esposizione del fatto e del diritto non vi era alcun elemento da cui dedurre la pretesa specifica rinuncia al motivo di censura in questione;

8) era fondata e meritevole di accoglimento l’eccezione di inammissibilità dell’intervento adiuvandum del WWF in quanto, essendo esso fondato sulla presunta confondibilità della lista “Verdi Verdi” per C con il proprio simbolo, non era finalizzato a sostenere le ragioni dei ricorrenti, bensì a difendere i propri interessi, cosa che consentiva solo la rituale e tempestiva impugnazione dell’ammissione della lista in questione;
né, d’altra parte, il predetto atto di intervento poteva convertirsi in ricorso autonomo, essendo stato notificato il 31 maggio 2010, oltre il terminale decadenziale di trenta giorni dalla proclamazione degli eletti, avvenuta il 7 aprile 2010;

9) doveva essere riconosciuto il difetto di legittimazione passiva degli Uffici elettorali e del Ministero dell’Interno, trattandosi di uffici statali temporanei che esaurivano la loro funzione servente rispetto al procedimento elettorale con l’esaurimento di quest’ultimo, con conseguente loro estromissione dal giudizio;

10) doveva essere respinta l’eccezione di inammissibilità e/o di improcedibilità del ricorso per tardività per non essere stati tempestivamente impugnati i provvedimenti di ammissione delle liste contestate: infatti la delicata questione della immediata impugnazione degli atti di ammissione o di esclusione delle liste o di candidature ovvero della proponibilità della loro impugnazione solo con l’atto di proclamazione degli eletti, anche a voler prescindere dai principi fissati dalla decisione dell’Adunanza Plenaria 24 novembre 2005, n. 8, non era oggetto di un univoco o prevalente indirizzo giurisprudenziale, non potendo trarsi argomentazioni decisive alle tesi sostenute dai resistenti né dalla sentenza della Corte Costituzionale 7 luglio 2010, n. 236, né dalla legge 22 aprile 2010, n. 60 (di disciplina degli atti e degli effetti prodotto dal decreto legge 5 marzo 2010, n. 29, non convertito), dovendo per contro ammettersi che considerazioni di carattere sistematico e pragmatico inducevano a ritenere immediatamente impugnabili, siccome immediatamente lesivi, i soli provvedimenti di esclusione;
d’altra parte, l’incertezza in materia legittimava il riconoscimento dell’errore scusabile, con conseguente tempestività del ricorso;

11) doveva essere respinto il primo motivo di ricorso, imperniato sulla violazione e falsa applicazione di norme e principi sulla confondibilità dei simboli e degli art. 9, comma 8, n. 4, della legge 17 marzo 1968, n. 108, 6 e 7 C.C. e 48 della Costituzione, nonché dei principi di espressione del voto, in relazione all’ammissione della lista “Verdi Verdi per C”, atteso che il simbolo contestato (immagine di un orsetto che ride, con in giallo il nome del candidato alla presidenza della Regione, su uno sfondo blu, e la scritta “Verdi Verdi” in giallo su un ciuffo di erba verde) non era confondibile con quello proprio del Movimento dei Verdi (caratterizzato dal sole che ride di colore giallo e dalla parola Verdi), dovendo darsi rilievo alla parola “C”, di dimensioni e caratteristiche tali (posta al centro del contrassegno, in colore giallo, con distinti tratti di contrasto coloristico dallo sfondo blu nel cerchio) da non poter trarre in inganno l’elettore;

12) doveva essere accolto il secondo motivo di ricorso, concernente l’ammissione della lista “Al centro per S”, incentrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. c), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 29, nonché difetto di motivazione e di istruttoria: ciò in quanto, diversamente da quanto sostenuto dai resistenti, il collegamento col gruppo politico che giustificava l’esclusione in capo alla lista che intendesse partecipare alle elezioni dall’obbligo di raccolta delle firme di sottoscrizioni, doveva essere considerato di tipo dinamico e non già istantaneo e/o statico e doveva pertanto permanere per tutto lo svolgimento delle operazioni elettorali e fino alla proclamazione degli eletti;
in altri termini, ad avviso del tribunale, sulla scorta di una diffusa analisi ed interpretazione del testo normativo e della sua ratio, il collegamento si instaurava tra la lista che intendeva avvalersi del beneficio di legge e la formazione politica rappresentata dal capogruppo, autorizzato dalla norma ad esprimere la dichiarazione di collegamento, così che la circostanza che nel caso di specie proprio il capogruppo si fosse dissociato (essendo stato addirittura espulso) dal partito politico di cui il gruppo politico era espressione in seno al consiglio regionale, faceva venir meno il collegamento stesso (e ciò anche in ragione del discutibile comportamento, sotto il profilo etico e politico, del predetto capogruppo);

13) meritava accoglimento anche il terzo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, in relazione all’ammissione della lista “Consumatori”: esclusa, infatti, la fondatezza delle eccezioni di tardività dell’impugnazione (per quanto già esposto in precedenza sul problema della tempestività delle impugnazione dei provvedimenti di esclusione o di ammissione delle liste o di candidati) e di quella di difetto di interesse (eccezione fondata sul fatto che i voti ottenuti dalla lista in questione (2826) inferiore allo scarto di voti dai due candidati presidenti (9372), dovendo al riguardo tenersi conto che, essendo stato ritenuto fondato il secondo motivo di censura, l’eventuale accoglimento del motivo in esame avrebbe determinato un incremento dell’effetto vantaggioso derivante proprio dall’accoglimento del primo motivo, ad avviso del tribunale, l’esclusione dall’obbligo di raccolta delle firme di sottoscrizione per le liste che intendevano partecipare alle elezioni, secondo la rubricata normativa, implicava la perfetta coincidenza tra il contrassegno di lista presentato per le nuove elezioni e quello già presentato e che aveva ottenuto nelle ultime elezioni per il Parlamento europeo, per il Parlamento nazionale o per il Consiglio regionale almeno un seggio, coincidenza che non si rinveniva nella fattispecie in esame tra la lista “Consumatori” e la “Lista Consumatori per Ghigo” (che aveva ottenuto un seggio nelle elezioni regionali del 2005 un seggio) sia quanto dal punto di vista grafico, sia quanto alla denominazione, sia quanto alla diversità dei gruppi e partiti politici da cui le due liste promanano (e che invece, secondo la ratio della norma in questione, devono anch’essi coincidere, la lista “Consumatori” promanando dal “Movimento politico culturale Forza Consumatori” e la “Lista Consumatori” dal Codacons).

3. L’on. R C ha ritualmente e tempestivamente impugnato il dispositivo di sentenza n. 64 del 16 luglio 2010, con riserva di motivi aggiunti, lamentando che i primi giudici, dopo aver erroneamente accolto il secondo ed il terzo motivo di ricorso, avevano incomprensibilmente disposto una verificazione circa i voti validi ottenuti dalle liste “Al Centro per S” e “Consumatori”, senza neppure previamente accertare la sussistenza dell’interesse dei ricorrenti e senza neppure prevedere il necessario contraddittorio;
quanto alla presunta illegittimità dell’ammissione della lista “Al Centro per S”, l’appellante ha sottolineato l’assoluta corrispondenza della fattispecie concreta alle previsioni dell’art. 1, comma 1, lett. c), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, con conseguente validità della dichiarazione di collegamento operata dal sig. D S e legittimità dell’ammissione della relativa lista, a nulla rilevando, anche in virtù del principio del divieto del mandato imperativo di cui all’articolo 67 della Costituzione, la sua espulsione dal partito U.D.C.;
infine, quanto alla presunta illegittimità dell’ammissione della lista “Consumatori”, l’appellante ha sostenuto che l’Associazione Movimento culturale Forza Consumatori, che ne costituiva il substrato, ricomprendeva anche la “Lista Consumatori”, che aveva ottenuto un seggio nelle elezioni regionali del 2005, così che, anche in questo caso, sussistevano i presupposti, erroneamente esclusi dai primi giudici, per l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 1. lett. a), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, ciò senza contare che, proprio in relazione all’ammissione di detta lista, sussisteva anche la carenza di interesse a ricorrere, stante il numero dei voti ottenuti dalla stessa (2826) rispetto allo scarto dei voti conseguiti dai due candidati presidenti, on. R C e on. M B (9372).

L’on. M B e i signori on. A B, in proprio e quale Presidente e legale rappresentante della “Federazione dei Verdi”, M S, quale segretario amministrativo regionale e provinciale del partito U.D.C. e M G R e Governanda, in proprio e quale delegato alla presentazione della lista “Verde Civica”, hanno resistito all’appello, deducendone l’inammissibilità, sia in quanto rivolto contro una decisione istruttoria, sia per carenza di interesse, e l’infondatezza quanto alla disposta verificazione e alla declaratoria di illegittimità dell’ammissione delle liste “Al Centro per S” e “Consumatori”.

Si sono costituiti in giudizio, in sostanziale sostegno dell’appello, anche i signori M B, A M, C B, L P, C S, F M B, V C, A B, A M, M M, D C, A R T, F C, G V, A C, U C, C P, C F, A C, B B, M C, R V, R R, R A C, L L, P F T e R G, nonché i signori A A, M C, R D M, M G, F G, M L, E M, M M, R M, G N, P T e C S.

Si è costituito in giudizio anche il sig. M G che ha proposto appello incidentale avverso il predetto dispositivo di sentenza n. 64 del 16 luglio 2010, denunciandone l’erroneità e chiedendone la riforma, con riserva di motivi aggiunti: a) in relazione alla questione concernente la lista “Al Centro per S”, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 23 febbraio 1945, n. 43, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. c), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21;
b) in relazione alla questione della lista “Consumatori”, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 23 febbraio 1945, n. 43, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. a), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, nonché per violazione e falsa applicazione del principio della c.d. prova di resistenza;
c) in relazione al rigetto delle eccezioni di irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità e tardività del ricorso introduttivo del giudizio, per violazione e falsa applicazione dell’art. 83/11 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (in relazione alla tardività della notifica del ricorso), nonché della stessa predetta disposizione e dell’articolo 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (in relazione ai provvedimenti di ammissione delle liste elettorali);
d) in relazione al rinvio della trattazione di merito al 7 ottobre 2010 senza aver tenuto conto delle irregolarità delle dichiarazioni dei 6 documenti di collegamento delle liste provinciali con quelle regionali della coalizione di centro sinistra nonché delle irregolarità delle dichiarazioni di collegamento del delegato della lista regionale “Uniti per Bresso” per il collegamento con le liste circoscrizionali provinciali, per violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di nullità del negozio ex art. 1421 C.C., degli artt. 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, e 21, comma 2, del D.P.R. del 28 dicembre 2000, n. 445, e dell’art. 1 della legge 23 febbraio 1995, n. 43, in relazione al principio della prova di resistenza, al principio di economia processuale, al principio della carenza di interesse degli appellati.

E’ intervenuta in giudizio, ad adiuvandum dell’appellante principale, la signora S F che ha svolto argomentazioni del tutto coincidenti con i motivi dell’appello incidentale articolati dal sig. M G.

Con ordinanza n. 3532 del 27 luglio 2010 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’impugnato dispositivo di sentenza, ritenendo, tra l’altro, non sussistente allo stato gli estremi del danno grave ed irreparabile.

4. L’on. R C con atto di motivi aggiunti ha impugnato la sentenza parziale del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. I, n. 3136 del 28 luglio 2010, deducendo, in sintesi, che:

- era stata erroneamente respinta l’eccezione di tardività del ricorso introduttivo del giudizio per non essere stati tempestivamente impugnati, entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla loro conoscenza, i provvedimenti di ammissione delle liste “Verdi Verdi per C”, “Al Centro per S” e “Consumatori”, trattandosi di atti propri del procedimento elettorale preparatorio, autonomo rispetto alla successiva fase delle operazioni elettorali (nei cui soli confronti poteva valere il principio dell’impugnazione dei relativi provvedimenti insieme con il verbale di proclamazione degli eletti);
al riguardo, secondo l’appellante, i primi giudici non solo avevano fatto evidente malgoverno dei principi generali in tema di termini di impugnazione, per quanto avevano travisato i principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza 7 luglio 2010, n. 236, e quelli già contenuti nella decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato 25 luglio 2005, n. 3922, ed avevano altresì malamente interpretato il decreto legge 5 marzo 2010, n. 29 (con particolare riferimento alla previsione dell’art. 1, comma 4, in ordine alla definitività dei provvedimenti di ammissione delle liste) e gli effetti fatti salvi dalla sua mancata conversione in legge, secondo quanto stabilito dalla legge 22 aprile 2010, n. 60, giungendo peraltro in modo palesemente contraddittorio ad accogliere la subordinata richiesta di riconoscimento dell’errore scusabile (con ciò ammettendo implicitamente proprio la tardività del ricorso), senza che tuttavia ne sussistessero i presupposti fissati dalla giurisprudenza;

- era stato erroneamente accolto il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio (concernente la pretesa illegittima ammissione della lista “Al Centro per S”) con una serie di argomentazioni prolisse, incoerenti, contorte, ondivaghe e non giuridiche, del tutto estranee al thema decidendum: sul punto l’appellante, richiamando il contenuto dell’art. 1 della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, ha ribadito la perfetta coincidenza della fattispecie concreta, relativa alla dichiarazione di collegamento del consigliere D S, con la ricordata previsione normativa, evidenziando innanzitutto che il predetto consigliere, nella incontestata qualità di capogruppo consiliare dell’U.D.C., aveva legittimamente rilasciato la dichiarazione di collegamento per la lista “Al Centro per S” e sostenendo che le tesi sviluppate dai primi giudici, oltre a porsi in stridente contrasto con il principio del divieto del mandato imperativo di cui all’articolo 67 della Costituzione e a dimenticare il principio della piena libertà e autonomia dell’eletto rispetto al partito di appartenenza, rendevano inutile la stessa previsione di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), della legge 29 luglio 2009, n. 21 (che, al contrario, consentendo che la dichiarazione di collegamento potesse avvenire anche a favore di una lista con denominazione diversa da quella del gruppo consiliare di collegamento, predicava la non necessaria corrispondenza non solo fra partito e lista, ma anche fra gruppo e lista e quindi rendeva il collegamento di carattere statico e non dinamico);

- era stato altresì erroneamente accolto il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, concernente la pretesa illegittimità dell’ammissione della lista “Consumatori”, respingendo con motivazione perplessa e approssimativa l’eccezione di carenza di interesse (per non essere stata fornita dai ricorrenti la c.d. prova di resistenza, atteso che i voti conseguiti dalla lista (2826) era inferiore allo scarto dei voti conseguiti dai due candidati presidenti (9372)), ed inopinatamente ritenendo insussistenti i presupposti per l’applicabilità dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21: al riguardo l’appellante, dopo aver evidenziato che la già delineata infondatezza del secondo motivo del ricorso di primo grado comportava ex se la fondatezza dell’eccezione di carenza di interesse, nel merito ha rilevato che, diversamente da quanto superficialmente affermato dai primi giudici, ai fini dell’applicabilità della ricordata norma era sufficiente che i partiti o gruppi politici avessero presentato candidature con un proprio contrassegno nella precedente competizione elettorale e che avessero conseguito almeno un seggio, non essendo necessaria anche “la perfetta coincidenza tra il contrassegno di lista che sia stato presentato e abbia ottenuto almeno un seggio in passato e quello presentato alle nuove successive elezioni”, con la conseguenza che “la diversità figurativa” e la differente “denominazione” della lista “Consumatori” e della “Lista Consumatori” del 2005, erano assolutamente irrilevanti, tanto più che la stessa formulazione letterale della norma faceva riferimento ad un partito o ad un gruppo politico che avessero un “proprio contrassegno”, esprimendo così la assoluta indifferenza delle caratteristiche esteriori del contrassegno ai fini dell’applicazione del regime di esonero dalla raccolta delle firme e rilevando unicamente la riferibilità del contrassegno al medesimo partito o gruppo politico;
inoltre sempre secondo la tesi dell’appellante, non solo non poteva negarsi che il partito o gruppo politico “Consumatori” era già presente nel consiglio regionale uscente con un seggio, per quanto tra la “Lista Consumatori” del 2005 e la lista “Consumatori”, presentata nella competizione elettorale del 2010, sussisteva una perfetta coincidenza, come emergeva dalla documentazione in atti (in particolare dall’Atto costitutivo e dallo Statuto del Movimento Forzaconsumatori);

- era stato infine erroneamente disposto, in forza della asserita illegittima ammissione delle due liste, “Al Centro per S” e “Consumatori”, il riconteggio dei voti per stabilire quali voti espressi a favore delle predette liste fossero da considerare validi a favore di uno dei due candidati presidenti, dando così inammissibilmente per scontato il rigetto dell’eccezione proposta circa la validità dei voti espressi, attraverso le liste contestate, in favore del Presidente C e indicando comunque in modo assolutamente generico le modalità di tali operazioni (senza richiamare integralmente le istruzioni a suo tempo diramate dal Ministero dell’Interno);
secondo l’appellante, inoltre, l’eventuale annullamento dei voti riportate dalle liste “Al Centro per S” e “Consumatori” non poteva travolgere i voti validi espressi per il Presidente ad esse collegato, ciò in omaggio a quanto disposto espressamente dall’art. 2 della legge n. 43 del 1995 e sottolineato a pag. 215 delle istruzioni ministeriali, dal momento che si era verificata l’ipotesi di un voto nullo per la lista provinciale, ma valido per il candidato presidente (come affermato anche dalla giurisprudenza, con riguardo alle elezioni a sindaco, C.G.A., 21 luglio 2008, n. 652), con evidente inutilità delle disposte operazioni di riconteggio.

In data 17 agosto 2010 si sono costituiti in giudizio, in modo meramente formale, il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte di Appello di Torino.

L’on. M B ed i signori on. A B, M S e M G R Gorvernanda, nella qualità già precedentemente indicata, hanno resistito ai motivi aggiunti spiegati dall’on. R C, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza, contestando in particolare le avverse deduzioni circa la presunta irricevibilità del ricorso di primo grado, rinviando quanto agli altri motivi di gravame alle difese svolte in primo grado, riservandosi in ogni caso ulteriori approfondimenti, ed hanno altresì spiegato appello incidentale alla stregua di un solo motivo, rubricato “Erroneità della sentenza di primo grado per mancato rilievo della violazione e falsa applicazione delle norme e principi sulla confondibilità dei simboli, della violazione e falsa applicazione degli art. 9, comma 8, n. 4 L. 108/68 e 6 e 7 C.C. e della violazione e falsa applicazione dell’art. 48 Cost. e dei principi di libertà di espressione del voto”, con il quale hanno lamentato che con motivazione superficiale, contraddittoria e non condivisibile i primi giudici avevano respinto il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, circa l’illegittima ammissione della lista “Verdi Verdi per C”, riproponendola.

Anche i signori M B, A M, C B, Luca Predale, C S, F M B, V C, A B, Angiolino Masturzo, M M, D C, A R T, F C, G V, A C, U C, Claudia Porchetto, C F, A C, Barbara Bovino, M C, R V, R R, R A C, L L, P F T e Raffaele Costa, consiglieri regionali eletti nella consultazione elettorale del 28 e 29 marzo 2010, già costituiti in giudizio, hanno a loro volta proposto motivi aggiunti, lamentando: “omessa rilevazione della irricevibilità del ricorso avversario” per tardività dell’impugnazione dei provvedimenti di ammissione delle liste in questione, secondo i principi sanciti dalla Corte Costituzionale con la sentenza 7 luglio 2010, n. 236, e secondo quanto previsto dal decreto – legge 5 marzo 2010, n. 29;
“mancata valutazione dell’infondatezza del secondo motivo di ricorso” per la omessa considerazione della diversità del gruppo politico rispetto al partito politico e dell’autonomia del capogruppo, con conseguente validità della dichiarazione di collegamento del sig. D S;
“mancata considerazione dell’improcedibilità del terzo motivo di ricorso”, atteso che la rinuncia operata dall’on M B non poteva essere limitata alla predetta, come inammissibilmente ritenuto dai primi giudici, ma doveva essere intesa come rinuncia di tutti i ricorrenti.

Si è costituita in giudizio l’Associazione Italiana World Wildlife Fund For Nature (WWF ) Onlus ONG, spiegando, con atto notificato, previa autorizzazione, a mezzo fax il 29 settembre 2010, appello incidentale avverso la sentenza in esame nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile sia il suo intervento ad adiuvandum svolto in primo grado, sia quello del sig. A C, deducendo l’erroneità del percorso logico – argomentativo utilizzato dai primi giudici, evidenziando il proprio interesse specifico a contestare l’elezione del signor M L della lista “Verdi Verdi” per C e sottolineando che i motivi a sostegno dell’intervento erano incentrati sull’uso fraudolento dell’acronimo WWF, non correttamente apprezzati dai primi giudici.

Anche la signora R F R ha spiegato motivi aggiunti al suo atto di intervento, deducendo “Erronea e contraddittoria motivazione in punto di improcedibilità del ricorso elettorale per mancato rispetto dei termini previsti per l’impugnazione del provvedimento di ammissione delle liste “Verdi Verdi per C”, “Al Centro per S” e “Consumatori”, in riferimento agli articoli 10 della legge 17/2/1968, n. 108, e 83/11 del D.P.R. 16/5/1960, n. 570” e “Erronea e contraddittoria motivazione in relazione alla lista “Al Centro per S” per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. c) della legge regionale Piemonte n. 21 del 29 luglio 2009”, richiamando per il resto, quali ulteriori motivi, le difese già svolte in primo grado quanto all’erronea declaratoria di illegittimità dell’ammissione della lista “Consumatori” (per violazione dell’art. 1, lett. a), della legge regionale n. 21 del 29 luglio 2009 e violazione e falsa applicazione del principio della c.d. prova di resistenza e denunciando ancora “omessa motivazione in punto di carenza di interesse dei ricorrenti – in relazione alla c.d. prova di resistenza in ordine alle irregolarità delle dichiarazioni di quattordici dei documenti di collegamento delle liste provinciali con quelle regionali della coalizione di centro – sinistra nonché in ordine alla regolarità della dichiarazione del delegato della lista regionale “Uniti per Bresso” per il collegamento con le liste circoscrizionali provinciali”.

Anche il sig. M G, che aveva già spiegato appello incidentale, ha notificato motivi aggiunti, il cui contenuto è del tutto coincidente con quelli svolti dalla signora Rosa Franchino.

All’udienza in camera di consiglio del 28 agosto 2010, fissata per la nuova delibazione della domanda cautelare, le parti hanno chiesto l’abbinamento della discussione di detta istanza cautelare al merito.

5. Con memoria depositata in data 13 ottobre 2010 il signor M B ed i suoi litisconsorti hanno diffusamente le proprie tesi difensive.

Con memoria in data 12 ottobre 2010 gli appellati, on M B e gli altri suoi litisconsorti, oltre a replicare ai motivi aggiunti spiegati dall’on. R C e alle altre argomentazioni prospettate dal signor M B e dai suoi litisconsorti, hanno dedotto in particolare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. c), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, secondo l’interpretazione fornitane dalle controparti, ed hanno chiesto un rinvio della trattazione della causa fissata per l’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 per poter apprestare le opportune difese a fronte dei motivi aggiunti spiegati dalla signora S F, notificati l’8 ottobre 2010, e di quelli svolti dal signor M G, notificati il 12 ottobre 2010, oltre che per la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti sia delle amministrazioni statali evocate in primo grado, cui l’appello non era stato notificato, sia di alcuni controinteressati, atteso che l’appello era stato notificato solo alle parti costituite nel giudizio di primo grado.

Anche i signori A A ed i suoi litisconsorti hanno illustrato con apposita memoria le proprie tesi difensive, insistendo ulteriormente sul profilo di tardività del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, prospettando un’ulteriore questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 83/11 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570;
10 della legge 17 marzo 1968, n. 108, nonché 1 della legge 22 aprile 2010, n. 60, con riferimento all’art. 1, comma 3, del decreto – legge 5 marzo 2010, n. 29 (nella parte in cui non prevedeva l’onere della immediata impugnazione innanzi al giudice amministrativo dei provvedimenti di ammissione delle liste in relazione agli artt. 1, 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 98 della Costituzione) e rilevando l’assoluta erroneità della tesi dei primi giudici quanto al riconteggio dei voti, operazione, a loro avviso, invero del tutto inutile e superflua e contestando infine la fondatezza dell’appello incidentale spiegato dall’on. M B e dei suoi litisconsorti per la riforma del capo della sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avverso l’ammissione della lista “Verdi Verdi per C”.

6. All’udienza pubblica del 19 ottobre 2010, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione, riservandosi il collegio di decidere anche sulla richiesta di rinvio della trattazione e di integrazione del contraddittorio.

DIRITTO

7. La Sezione deve innanzitutto esaminare la richiesta, avanzata dall’on. M B e dai suoi litisconsorti con la memoria in data 12 ottobre 2010 e ribadita dai suoi difensori nel corso della odierna discussione, di differimento della trattazione della causa sia per poter approntare le adeguate difese seguito dei motivi aggiunti notificati dalla signora S F in data 8 ottobre 2010 e dal signor M G in data 12 ottobre 2010, sia per la dedotta necessità di integrare il contraddittorio, atteso che l’atto di appello principale non risulta notificato né al Ministero dell’Interno e all’Ufficio Elettorale Centrale presso la Corte di Appello di Torino, né ad alcuni controinteressati intimati in primo grado (la relativa notifica essendo avvenuta solo nei soli confronti delle parti costituite nel giudizio di primo grado).

Le controparti, eccezion fatta per l’Associazione Italiana World Wildlife Fund For Nature (WWF) Onuls Ong, si sono opposte a tale richiesta, osservando, quanto al termine a difesa, che le argomentazioni difensive contenute nei motivi aggiunti notificati dai signori S F e M G non solo costituiscono semplici esplicazioni di censure già svolte nei precedenti atti, per quanto integrano argomentazioni difensive comuni alle difese delle altre parti presenti in giudizio, così che non sussiste alcun effettiva esigenza di assicurare e tutelare il diritto di difesa;
quanto poi alla richiesta di integrazione del contraddittorio, essa è infondata, sia perché le amministrazioni statali risultano effettivamente costituite in giudizio, sia perché i controinteressati intimati in primo grado ed ivi non costituiti, cui l’atto di appello non è stato notificato, hanno in realtà un interesse coincidente con quello dell’appellante principale e hanno legittimazione ad impugnare la sentenza, così che ad essi non deve estendersi il contraddittorio.

Il collegio è dell’avviso che la richiesta di rinvio non possa essere accolta.

7.1. In ordine alla dedotta necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte d’Appello di Torino è sufficiente osservare che, a prescindere dalla correttezza della motivazione della decisione impugnata circa la loro estromissione dal giudizio, essi risultano ritualmente costituiti in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato sin dal 17 agosto 2010 proprio per resistere al ricorso, notificato il 5 agosto 2010, proposto dall’on. R C.

Quanto alla posizione di quei soggetti controinteressati, ritualmente intimati in primo grado, ma non costituiti e ai quali è indubbio che l’atto di appello non è stato notificato, va osservato che il principio della partecipazione al giudizio di impugnazione di tutte le parti del giudizio di primo grado trova deroga nel principio di economia processuale. Nei giudizi di impugnazione il giudice può esimersi dall’integrazione del contraddittorio come nei confronti delle parti vincitrici in primo grado quando l’impugnazione è manifestamente affetta da un impedimento processuale o manifestamente infondata (art. 95 comma 5 cod. proc. amm.), così specularmente nei confronti delle parti soccombenti in primo grado nei casi in cui l’impugnazione di un soccombente è riconosciuta fondata con conseguente totale rigetto del ricorso di primo grado. Tale situazione ricorre nel caso di specie in cui, come sarà illustrato più avanti, l’appello principale è fondato.

7.2. Analoghe considerazioni possono svolgersi circa la richiesta di rinvio della trattazione per poter approntare le adeguate difese in relazione ai motivi aggiunti da ultimo notificati, in particolare dalla signora S F in data 8 settembre 2010 e dal signor M G in data 12 settembre 2010.

Infatti, la fondatezza dell’appello principale e l’infondatezza degli appelli incidentali spiegati dall’on. M B e dai suoi litisconsorti e dall’Associazione Italiana World Wildlife Fund For Nature (WWF) Onlus Ong (alla stregua delle osservazioni che seguono), comportando l’improcedibilità per carenza di interesse degli altri appelli incidentali (e delle argomentazioni contenute nell’atto di intervento della signora S F), rendono del tutto superflua la concessione di un termine a difesa.

8. Passando all’esame del merito della controversia, la Sezione osserva quanto segue.

Con il primo motivo dell’appello principale è stata dedotta l’irricevibilità per tardività del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, erroneamente non rilevata dai primi giudici con motivazione lacunosa, superficiale e assolutamente non condivisibile anche con riferimento ai principi enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 236 del 7 luglio 2010, oltre che contraddittoria quanto alla concessione dell’errore scusabile.

La doglianza, contenuta anche nell’appello incidentale del sig. M G, nell’intervento della sig. S F e nelle difese dei signori M B e dei suoi litisconsorti, non è meritevole di favorevole considerazione.

8.1. Invero al momento dell’adozione da parte dei competenti uffici elettorali degli impugnati atti di ammissione vigeva un consolidato indirizzo giurisprudenziale, fondato sulla decisione dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato 24 novembre 2005, n. 10 (considerato vero e proprio “diritto vivente”, anche dalla Corte Costituzionale, giusta ordinanza 27 marzo 2009, n. 90), secondo cui tutti gli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, compresi quelli immediatamente lesivi (tra cui gli atti di esclusione delle liste), dovevano essere impugnati entro il termine di trenta giorni dalla proclamazione degli eletti, che, quale atto conclusivo del procedimento elettorale, era l’unico atto effettivamente impugnabile (ex pluribus, C.d.S., sez. V, 22 marzo 2010, n. 1666;
12 dicembre 2009, n. 7788;
19 novembre 2009, n. 7252;
28 novembre 2008, n. 5911;
11 dicembre 2007, n. 6382).

Pur nella consapevolezza che in tal modo potesse dubitarsi dell’effettiva esistenza di tutela giurisdizionale nei confronti di quegli atti immediatamente lesivi, la giurisprudenza amministrativa aveva evidenziato che detta tutela in realtà poteva essere assicurata solo attraverso provvedimenti cautelari, non essendo praticamente possibile definire il giudizio prima dello svolgimento delle elezioni, così che in ogni caso l’ammissione o l’esclusione della lista, e con esse i risultati delle elezioni, sarebbero stati provvisori e vi sarebbero state altrettante possibilità di far competere una lista illegittimamente esclusa quanto di fare svolgere elezioni invalide, con conseguente carattere meramente apparente della tutela immediata (C.d.S., sez. V, 6 febbraio 2007, n. 482);
d’altra parte, sempre secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, la scelta legislativa di ammettere l’impugnazione degli atti endoprocedimentali solo unitamente alla proclamazione degli eletti assicurava certezza all’ordinamento e garantiva l’interesse pubblico all’ordinato svolgimento di tutto il procedimento elettorale, notoriamente compresso in tempo ristrettissimi.

8.2. Tali consolidati principi, ancorché oggetto di vivaci critiche, soprattutto in sede dottrinale, non sono stati scalfiti né dall’art. 44, comma 2, lett. d), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (recante delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo), né dall’art. 1, comma 3, del decreto legge 5 marzo 2010, n. 29 (recante l’interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione).

8.2.1. Quanto al primo testo normativo è sufficiente osservare che, benché esso, tra i principi e criteri direttivi cui doveva informarsi la nuova disciplina del processo amministrativo, contemplasse anche la razionalizzazione e la unificazione delle norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale (con dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, di tutti i termini processuali, deposito preventivo del ricorso e la successiva notifica in entrambi i gradi e introduzione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio idoneo a consentire la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni) e pur a voler ammettere che in detto principio potesse essere ricompresa anche la disciplina della immediata impugnazione degli atti (endoprocedimentali) del procedimento elettorale (previsione inserita nello schema di Codice del processo amministrativo trasmesso alla Camera dei deputati il 30 aprile 2010), detto criterio esprimeva una aspirazione o un’esigenza de jure condendum che, proprio come tale, confermava per converso l’inesistenza del contrario principio (di immediata impugnazione degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale preparatorio).

8.2.2. Quanto invece alla disposizione contenuta nell’art. 1, comma 3, del decreto legge 5 marzo 2010, n. 29 (secondo cui contro le decisioni, definitive, dell’Ufficio centrale regionale di ammissione di liste può essere proposto esclusivamente ricorso al giudice amministrativo e contro le decisioni di eliminazioni di liste di candidati o di singoli candidati è ammesso ricorso all’Ufficio centrale regionale, le cui decisioni sono, a loro volta, immediatamente impugnabili innanzi al giudice amministrativo), è decisiva la circostanza che detto decreto non è stato convertito (giusta comunicazione 14 aprile 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2010, n. 68) e che quindi il principio di immediata impugnazione degli atti di esclusione e di ammissione non è invocabile nel caso di specie.

L’invocata norma, per altro, non indicava neppure il termine entro cui esercitare la predetta impugnazione: ipotizzando l’applicazione del termine ordinario (60 giorni, non essendo richiamato il termine di 30 giorni di cui all’art. 83 undecies del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570), esso alla data del 14 aprile 2010 (di comunicazione della mancata conversione in legge del decreto) non era neppure spirato (l’ammissione delle liste essendo stata deliberata entro la fine del mese di febbraio) e quindi nessuna decadenza poteva essersi verificata (non potendosi pertanto invocare neppure la salvezza di effetti eventualmente prodotti dal decreto legge non convertito, giusta quanto disposto dalla legge 22 aprile 2010, n. 60, salvezza che ragionevolmente non può che riferirsi ad attività effettivamente svolta e non anche a quella non posta in essere).

8.3. Né alcun effetto diretto sulla controversia in questione, nel senso di tardività del ricorso introduttivo del giudizio, può derivare, ad avviso della Sezione, dalla sentenza della Corte Costituzionale 7 luglio 2010, n. 236, e dai principi in essa affermati.

8.3.1. Il giudice della leggi, investito della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 undecies del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147), in relazione ad un giudizio di impugnazione di atti di ricusazione di una lista, l’ha ritenuta fondata nella parte in cui tale norma esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti.

Egli in particolare ha osservato che “…la posticipazione dell’impugnabilità degli atti di esclusione di liste o candidati ad un momento successivo alle elezioni preclude la possibilità di una tutela giurisdizionale efficace e tempestiva delle situazioni soggettive immediatamente lese dai predetti atti, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost…”, aggiungendo, per un verso, che “…l’interesse del candidato è quello di partecipare ad una determinata consultazione elettorale, in un definito contesto politico ed ambientale…” e, per altro verso, che “…ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse appare inidonea ad evitare che l’esecuzione del provvedimento illegittimo di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio”.

Secondo la Corte, inoltre, la compressione della tutela giurisdizionale non può essere giustificata né dalle pur peculiari esigenze di interesse pubblico che connotano il procedimento elettorale, né dalle sue particolare esigenze di speditezza (che l’articolo 61 della Costituzione riferisce peraltro solo alle elezioni delle Camere), dovendo il procedimento elettorale (in senso ampio) essere distinto in due distinti sub – procedimenti, il procedimento elettorale preparatorio, in cui si colloca la fase dell’ammissione delle liste, ed il procedimento elettorale (in senso stretto), caratterizzato dalle operazioni elettorali e dalla successiva proclamazione degli eletti, con conseguente immediata impugnabilità degli atti relativi al procedimento elettorale preparatorio (anche in applicazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848).

8.3.2. Sennonché, ad avviso del collegio, è dubbio che la sentenza in esame, che ha folgorato la norma che impediva l’immediata tutela giurisdizionale contro un atto di arresto procedimentale (l’esclusione della lista), sia invocabile anche nella differente fattispecie dell’ammissione di liste di candidati, ipotesi in relazione alla quale la delicata questione dell’interesse a ricorrere in relazione alla posizione delle altre liste di candidati ammesse, questione di interpretazione di competenza del giudice a quo , appare più sfumata e problematica.

Inoltre, vero è che, secondo quanto stabilito dall’articolo 136, comma 1, della Costituzione, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, ma è vero altresì che con l’applicazione retroattiva della sentenza di illegittimità costituzionale al caso in questione un termine perentorio di impugnazione avrebbe cominciato a decorrere per gli originari ricorrenti senza che essi ne avessero contezza e senza che alcuna negligenza potesse loro imputarsi per aver fatto affidamento, senza colpa, sul consolidato indirizzo giurisprudenziale che consentiva (ed anzi imponeva) l’impugnazione degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale solo con la proclamazione degli eletti.

L’esito di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio priverebbe gli originari ricorrenti proprio di quella tutela giurisdizionale (ex art. 24 e 113 Cost.) che la sentenza della Corte costituzionale ha inteso assicurare a tutti i cittadini.

In tale ottica, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante principale, la concessione dell’errore scusabile da parte dei primi giudici, lungi dall’essere elemento sintomatico di contraddittorietà della motivazione sul punto, costituisce invece lo strumento ordinamentale per rendere coerente il sistema, assicurando anche nella peculiare fattispecie in esame il rispetto dei fondamentali principi costituzionali predicati dagli articoli 24 e 113.

9. Con il secondo motivo di gravame l’appellante principale ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata per aver dichiarato illegittima l’ammissione alla competizione elettorale regionale la lista “Al Centro con S”.

Deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. c), della legge regionale del Piemonte 29 luglio 2009, n. 21, è stata sostanzialmente riproposta la tesi già sostenuta in primo grado, secondo l’appellante a suo avviso inopinatamente respinta dai primi giudici con argomentazioni prive di fondamento giuridico, assolutamente inaccettabili per le gratuite ed inconferenti considerazioni di carattere etico e politico svolte: in particolare è stato ribadito che la dichiarazione di collegamento conferita in favore della lista “Al Centro per S” dal capogruppo consiliare dell’U.D.C., sig. D S, era regolare e valida, coincidendo perfettamente con la previsione legislativa di cui al richiamato art. 1, comma 1, lett. c), della legge regionale del Piemonte 29 luglio 2009, n. 21.

Anche agli appelli incidentali spiegati dal signor M B con i suoi litisconsorti e dal signor M G, nonché l’atto di intervento della signora S F, contengono una analoga censura.

Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.

9.1. E’ pacifico in punto di fatto che, in seno al Consiglio regionale del Piemonte eletto a seguito delle elezioni del 2005, si era costituito il gruppo consiliare dell’U.D.C. composto dai consiglieri regionali signori D S, con funzioni di presidente del gruppo, e F G, con funzioni di vice – presidente.

Con nota 6327 dell’11 febbraio 2010 l’Ufficio del Presidente del Consiglio regionale del Piemonte ha comunicato all’Ufficio Centrale regionale presso la Corte di Appello di Torino e agli Uffici Centrali circoscrizionali presso i tribunali di Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Torino, Verbania e Vercelli, in vista delle elezioni del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale del Piemonte del 28 – 29 marzo 2010 e ai fini dell’applicazione della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, l’elenco delle liste provinciali e regionali di partiti o di gruppi politici che avevano ottenuto un seggio alle precedenti elezioni regionali del 3 – 4 aprile 2005, nonché l’elenco dei gruppi consiliari formalmente costituiti e già presenti in consiglio regionale alla data di indizione dei comizi elettorali (11 febbraio 2010), con l’indicazione del nominativo del presidente del gruppo: in tali elenchi è inserito al n. 17 il gruppo U.D.C. con l’indicazione, quale presidente, del signor D S.

Quest’ultimo, proprio nella sua indicata qualità, ha effettivamente formulato, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. c), della legge 29 luglio 2009, n. 21, la dichiarazione di collegamento per la lista “Al Centro con S”.

Dalla documentazione versata in atti risulta poi che il Presidente della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari ha convocato la predetta conferenza per il giorno 25 febbraio 2010, giusta nota prot. 7043/DB0202 del 16 febbraio 2010, “per l’informativa in ordine alle dichiarazioni di collegamento effettuate dai Presidenti dei gruppi consiliari per la presentazione di liste alle elezioni regionali 2010, ai sensi dell’articolo 1, lettera c, della legge regionale 21/2009”;
la segreteria dell’assemblea regionale, con la nota 8608/DB0100 del 25 febbraio 2010, ha quindi comunicato ai presidenti dei gruppi del Consiglio regionale che la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi era stata informata dell’esistenza di 12 dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’articolo 1, lettera c), della legge regionale del Piemonte del 29 luglio 2009, n. 21 (tra cui, al n. 6, era indicata quella effettuata dal consigliere D S, Presidente del Gruppo consiliare U.D.C. in favore della lista “Al Centro per S”).

Agli atti di causa vi è anche copia della nota in data 16 febbraio 2010, indirizzata all’on. D S (e per conoscenza al Segretario provinciale di Torino e al Segretario Regionale del Piemonte dell’U.D.C.) con cui il Collegio Nazionale dei Probiviri dell’U.D.C. ne aveva deciso l’espulsione dal partito (per essersi “…reso responsabile di atti esterni al Partito, in diretto contrasto con la linea dallo stesso precisata sia a livello nazionale che a livello regionale, facendosi, inoltre, promotore di lista e candidature contrapposte a quelle del Partito nella Regione Piemonte”).

Risulta ancora che la Segreteria regionale dell’U.D.C. ha trasmesso al Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte il provvedimento di espulsione dal partito del consigliere D S “per opportuna presa visione e per l’adozione di tutti i provvedimenti conseguenti”, con nota datata 26 febbraio 2010.

9.2. Ai fini dell’esatta delimitazione della materia del contendere è necessario ancora precisare che, come si ricava dalla lettura della censura sollevata con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado in ordine all’ammissione alla competizione elettorale della lista “Al Centro con Scanderbech”, la questione della esatta interpretazione dell’articolo 1, comma 1, lett. c), della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, non concerne affatto “…la separazione, incontestabile e giuridicamente rilevante, tra il gruppo consiliare – e quindi la sua denominazione – e l’associazione partitica dalla quale il gruppo mutua la sua denominazione…” (cfr. pag. 24), bensì l’esatto significato da attribuire “…al concetto di “collegamento” che la norma in esame richiede tra lista e gruppo consiliare”.

Detto collegamento, secondo la prospettazione avanzata dai ricorrenti in primo grado e sostanzialmente condivisa dai giudici di primo grado, avrebbe un contenuto “dinamico”, cosa che ne postulerebbe la necessaria persistenza - tra il gruppo consiliare ed il partito politico di riferimento - dal momento della dichiarazione di presentazione della lista e almeno fino alla proclamazione degli eletti (rilevando anche agli effetti del voto espresso dall’elettore ai sensi dell’articolo 2, ultimo comma, della legge 23 febbraio 1995, n. 43): nel caso di specie, esso, pur formalmente esistente al momento della dichiarazione fatta dal capogruppo dell’U.D.C., sarebbe successivamente venuto meno stante la sua espulsione dal partito.

9.3. Ciò precisato, il collegio rileva che la legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, recante “Disposizioni in materia di presentazione delle liste per le elezioni regionali”, all’articolo 1 ha previsto l’esonero dall’obbligo della raccolta delle firme di presentazione per le liste di candidati allorchè sussistono determinati presupposti, puntualmente specificati.

In particolare è stato stabilito che “La presentazione delle liste dei candidati di cui all’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e delle liste regionali di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli regionali delle regioni a statuto ordinario) non richiede alcuna sottoscrizione nel caso di: a) liste di partiti o gruppi politici che hanno presentato candidature con un proprio contrassegno e che hanno conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni nelle circoscrizioni elettorali ricomprese nel territorio nazionale per il Parlamento europeo o per il Parlamento nazionale o per il Consiglio regionale del Piemonte;
b) liste contraddistinte da contrassegno singolo o composito che sia espressione di partiti o movimenti rappresentati da gruppi consiliari già presenti in Consiglio regionale al momento della convocazione dei comizi elettorali;
c) liste contraddistinte da contrassegno singolo o composito che abbiano ottenuto una dichiarazione di collegamento con gruppi consiliari già presenti in Consiglio regionale al momento della convocazione dei comizi elettorali. La dichiarazione di collegamento è conferita dal Presidente del gruppo consiliare, informata la Conferenza dei Presidenti dei gruppi consiliari, per una sola lista e può essere effettuata anche a favore di lista con denominazione diversa da quella del gruppo consiliare di collegamento. La presente fattispecie è alternativa a quella prevista dalla lettera b)”.

Ad avviso del collegio, attraverso tale disposizione, il legislatore regionale ha in effetti inteso conciliare e coordinare i due opposti preminenti interessi pubblici che vengono in rilievo nell’ambito del procedimento elettorale quanto alla peculiare fase di ammissione delle liste, quello alla più ampia possibile partecipazione alla competizione elettorale (partecipazione considerata quale indefettibile elemento di democraticità del sistema) e quello (sostanzialmente strumentale al primo) della semplificazione delle modalità di presentazione delle liste di candidati: l’esonero dall’obbligo della raccolta delle firme di presentazione (che costituisce lo strumento concreto per assicurare il contemperamento dei predetti interessi) è così ancorato al verificarsi di determinati presupposti di fatto, dai quali può presumersi (iure et de iure) la sussistenza di adeguati indizi di rappresentatività (o di radicamento politico e sociale) delle liste di candidati che intendessero partecipare alla competizione elettorale.

Occorre subito evidenziare che la natura evidentemente eccezionale delle disposizioni in esame, in quanto derogatorie del principio generale secondo cui per la presentazione delle liste è necessario raccogliere un certo numero di firme di presentatori, proprio a dimostrazione della loro rappresentatività, ne impone una lettura, oltre che una applicazione ed interpretazione rigidamente ancorata al dato letterale, proprio per evitarne travisamenti e strumentalizzazioni.

9.4. Gli elementi di fatto, indici di adeguata rappresentatività, secondo la valutazione discrezionale del legislatore, e perciò idonei a giustificare l’esonero dall’obbligo di raccolta delle firme di presentazioni, sono stati individuati: a) nel fatto che le liste di partiti o gruppi politici - che intendono partecipare alla competizione elettorale – abbiano presentato candidature con un proprio contrassegno ed abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni nelle circoscrizioni elettorali ricomprese nel territorio nazionale per il Parlamento europeo o per il Parlamento nazionale o per il Consiglio regionale del Piemonte (comma 1, lett. a);
b) nel fatto che liste – che intendono partecipare alla competizione – siano contraddistinte da contrassegno singolo o composito che sia espressione di partiti o movimenti rappresentati da gruppi consiliari già presenti in Consiglio regionale al momento della convocazione dei comizi elettorali (comma 1, lett. b);
c) nel fatto che le liste contraddistinte da contrassegno singolo o composito abbiano ottenuto una dichiarazione di collegamento con gruppi consiliari già presenti in Consiglio regionale al momento della convocazione dei comizi elettorali (comma 1, lett.c);
con l’espressa precisazione che quest’ultima fattispecie è alternativa a quella sub b).

Ad avviso del collegio, tali enunciati costituiscono di per sé fatti indicativi di una certa rappresentatività della lista che intende partecipare alla competizione elettorale, sufficienti ad integrare gli estremi del paradigma normativo, senza che sia necessario, per giustificare l’esonero dall’obbligo della raccolta delle firme di presentazione, postulare implicitamente anche l’ulteriore esistenza di un legame (collegamento), più o meno intenso (o meglio di decrescente intensità, secondo la ricostruzione operata dei primi giudici dell’articolo in esame) con il partito politico od il gruppo politico cui fanno “politicamente” riferimento.

Posto che in via generale il gruppo consiliare non è un’appendice del partito politico di cui è esponenziale ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori, è decisivo in tal senso osservare che dalla attenta lettura della norma non traspare in alcun modo una simile volontà del legislatore, né del resto sono stati offerti al riguardo dai ricorrenti in primo grado, oggi appellanti incidentali, spunti interpretativi eventualmente fondati sui lavori preparatori o sulla discussione consiliare che ha preceduto l’approvazione della legge.

Per contro ammettere la necessità di un simile ulteriore elemento a completamento della fattispecie, ritenere cioè indispensabile il collegamento (“dinamico”, secondo i ricorrenti in primo grado) o meglio ricollegare ad esso (la cui natura squisitamente politica non è seriamente dubitabile) l’effetto giuridico di presupposto implicito della norma che esonera le liste dall’obbligo di raccolta delle liste di presentazioni implica, dal punto vista logico, ancor prima che dal punto di vista giuridico – sistematico, la negazione della stessa ratio della norma (i.e. di favorire la più ampia partecipazione possibile di liste alla competizione elettorale), assicurando per converso in via di fatto ai partiti e gruppi politici (tradizionali ovvero che quelli già presenti nelle precedenti elezioni), anche attraverso i loro gruppi consiliari, una sorta di controllo politico sull’ingresso nella competizione elettorale di nuove liste, diverse da quelle che con loro sono, direttamente o indirettamente, connesse.

Sotto altro concorrente profilo, poi, sempre ad avviso del collegio, non deve trarre in inganno la circostanza che la lettera c) della norma in esame, a differenza delle previsioni contenute nelle precedenti lettere a) e b), preveda espressamente una dichiarazione di collegamento, conferita dal Presidente di un gruppo consiliare già presente in consiglio regionale al momento della convocazione dei comizi elettorali, perché, come già evidenziato, tale dichiarazione di collegamento nel disegno normativo costituisce un mero fatto, espressivo, secondo il legislatore, di un acquisito indice di rappresentatività della lista che intende presentarsi, senza comportare anche un necessario collegamento politico con il gruppo consiliare che, attraverso il suo presidente, rende la dichiarazione (di collegamento): diversamente opinando sul punto dovrebbe ritenersi che l’autonomia tra gruppo consiliare e partito o gruppo politico di riferimento, ammesso dagli stessi ricorrenti, come già ricordato, non dovrebbe essere riconosciuto, senza alcun ragionevole fondamento, proprio con riferimento alla lettera c) dell’articolo 1 in esame.

Peraltro è proprio l’ulteriore contenuto della disposizione di cui alla citata lettera c) dell’articolo 1 a confortare la ricostruzione sin qui operata, atteso che in essa è ancora precisato, per un verso, che la dichiarazione di collegamento può essere fatta per una sola lista “anche a favore di lista con denominazione diversa da quella del gruppo consiliare di collegamento” (escludendo in tal modo quel necessario legame politico - su cui si fonda la tesi dei ricorrenti in primo grado - fra la nuova lista ed il partito o gruppo politico di riferimento, qui non menzionato, collegamento di cui la dichiarazione del capogruppo rappresenterebbe la manifestazione esteriore) e, per altro verso, che tale fattispecie è alternativa a quella prevista sub b) (in cui l’esonero dall’obbligo di raccolta delle firme di presentazione della lista è ricollegata al fatto che quest’ultima sia contraddistinta da contrassegno singolo o composito, espressione di partiti o movimenti, invece non menzionati nella lettera c), rappresentati da gruppi consiliari già presenti in Consiglio regionale al momento della data di convocazione dei comizi elettorali).

9.5. Sulla scorta di tali considerazioni, proprio per la mancanza di elementi certi ed inequivoci sull’esistenza di una volontà del legislatore conforme alla ricostruzione prospettata dai ricorrenti in primo grado ed in considerazione della ricordata natura eccezionale delle disposizioni contenute nell’articolo 1, della legge regionale 29 luglio 2009, n. 29, ed in particolare della lett. c), l’atto di ammissione della lista “Al Centro per S” alle elezioni per la nomina de Presidente della Giunta e del Consiglio Regionale del Piemonte del 28 – 29 marzo 2010 non risulta affetto dai vizi denunciati, essendo assolutamente conforme alla fattispecie normativa.

Non è infatti dubitabile che il consigliere regionale D S fosse Presidente del Gruppo consiliare dell’U.D.C., regolarmente costituito in consiglio regionale e quindi già esistente al momento della indizione della convocazione dei comizi elettorali.

E’ altrettanto indubitabile poi che il predetto consigliere D S abbia firmato la dichiarazione di collegamento in favore della lista “Al Centro per S” nella sua incontestata qualità di capo gruppo consiliare dell’U.D.C.: vero è che egli risulta essere stato espulso dal partito, ma tale provvedimento, ai fini per cui è causa, è irrilevante, giacchè lo status di presidente di gruppo consiliare non era venuto meno né per dimissioni né per altra causa. L’espulsione del predetto consiliare dal partito nelle cui liste era stato eletto, indipendentemente da ogni considerazione sulla non contestata autonomia tra gruppo consiliare e partito o gruppo politico di riferimento, è in altri termini vicenda esclusivamente interna al partito politico, priva di effetti nell’ambito del gruppo consiliare di riferimento e della compagine consiliare.

9.6. In conclusione le censure svolte in primo grado in relazione all’ammissione della lista in questione ed alla relativa dichiarazione di collegamento, prospettando un’interpretazione sostanziale o dinamica del collegamento previsto dalla norma, interpretazione di cui peraltro, come si è già rilevato, non è stata fornita alcuna prova o indizio nei lavori preparatori o nella discussione di approvazione della legge, finiscono per esulare dal piano strettamente giuridico, che è l’unico sindacabile dal giudice.

Completezza espositiva impone di rilevare che, indipendentemente da ogni giudizio di valore sulla norma in questione, sulla sua formulazione letterale e sui suoi effetti (giudizi che evidentemente non competono al giudice), proprio la rigida applicazione della norma secondo il suo stretto tenore letterale rappresenta lo strumento più sicuro per assicurare effettivamente il perseguimento degli obiettivi fissati dal legislatore ed il pieno rispetto del principio della par condicio di tutti i partecipanti alla competizione elettorale;
l’eventuale travisamento della norma non consente automaticamente il sindacato giurisdizionale sugli atti che ne costituiscono applicazione, quando si tratti di effetti non manifestamente configgenti con il dato letterale e la ratio della norma stessa.

Le considerazioni svolte inoltre, sotto altro concorrente profilo, non consentono neppure di apprezzare favorevolmente la questione di legittimità costituzionale del più volte richiamato articolo 1, comma 1, lett. c) della legge regionale 29 luglio 2009, n. 21, prospettata dagli originari ricorrenti nell’ultima memoria, atteso che essi invocano una “interpretazione restrittiva” della norma (da contrapporre a quella “estensiva” propugnata dall’appellante principale e dalle altri controparti) fondata sui principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e sui diritti di partecipazione per mezzo del partito politico (artt. 49 e 1, commi 2, Cost.), laddove la finalità della norma, garantita dalla sua rigida applicazione strettamente ancorata al suo tenore letterale, è proprio quella di garantire la più ampia partecipazione possibile alla competizione elettorale, rimuovendo ogni impedimento che possa ostacolarla, realizzando perciò il principio di uguaglianza sostanziale tra i cittadini attraverso partiti o gruppi politici, anche diversi da quelli tradizionali.

10. Con il terzo motivo dell’appello principale è stata lamentata l’erroneità della sentenza impugnata per aver dichiarato illegittima l’ammissione alla competizione elettorale della lista “Consumatori”, sia perché era stata erroneamente respinta l’eccezione di carenza di interesse del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per essere il numero dei voti conseguito (2826) da tale lista inferiore alla scorta dei voti conseguiti dai due candidati presidenti (9372), sia perché nel merito, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, ricorrevano nella fattispecie tutti i presupposti di cui all’articolo 1, comma 1, lett. a), della legge 29 luglio 2009, n. 21.

Anche gli appellanti incidentali, M B con i suoi litisconsorti e M G, nonché l’interveniente S F, hanno spiegato un analogo motivo di censura.

Il motivo è fondato.

Come emerge dalla documentazione in atti, la lista “Consumatori” alle elezioni del 28 – 29 marzo 2010 ha effettivamente conseguito 2826 voti, laddove lo scarto tra i voti conseguiti tra i due candidati presidenti, on M B e on. R C, è pari a 9372 voti.

Pertanto, stante la legittimità dell’ammissione alla competizione elettorale sia della lista “Al Centro con S” (alla stregua delle osservazioni svolte nei precedenti paragrafi), sia della lista “Verdi Verdi”per C” (come statuito dalla sentenza di primo grado che, come si dirà nel paragrafo che segue, non merita al riguardo censura) e dei voti da tali liste ottenuti, l’accertamento della eventuale illegittimità dell’ammissione alla competizione elettorale della lista “Consumatori”, che non ha conseguito alcun seggio, non è in grado in alcun modo di modificare l’esito dell’elezione del Presidente della Giunta regionale.

A ciò consegue l’improcedibilità del motivo di censura di primo grado per difetto di interesse, come eccepito sin dal primo grado di giudizio dai resistenti.

11. L’on. M B, l’on. A B, il dott. M S e il dott. M G R Governanda, originari ricorrenti in primo grado, hanno spiegato rituale e tempestivo appello incidentale, chiedendo anch’essi la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui era stato respinto il motivo di censura concernente la illegittima ammissione della Lista “Verdi Verdi”.

Essi hanno sostanzialmente riproposto il relativo motivo di censura svolto in primo grado, incentrato sulla violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sulla confondibilità dei simboli, degli articoli 9, comma 8, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, e 6 e 7 del codice civile, dell’articolo 48 della Costituzione ed ancora dei principi di libertà di espressione del voto, lamentando che i primi giudici, con motivazione superficiale ed approssimativa, non si erano avveduti dell’uso illegittimo della parola “Verde” da parte della lista “Verdi Verdi”, tanto più che notoriamente la scritta “Verdi” costituiva un simbolo storicamente utilizzato dai Verdi sin dal 1985, con una specifica ed inequivoca connotazione politico – ideologica (in nessun modo ricollegabile alla collocazione politica della lista “Verdi Verdi” per C), così che, come peraltro più volte precisato dalla giurisprudenza in occasione di altre tornate elettorali, non poteva dubitarsi del concreto rischio di confondibilità del contrassegno usato dalla lista “Verdi Verdi” e della conseguente violazione del fondamentale principio della libertà di voto.

L’appellante principale e gli altri controinteressati sul punto hanno decisamente sostenuto l’infondatezza dell’appello incidentale, chiedendone il rigetto.

Ad avviso della Sezione il motivo in esame è infondato, non meritando la sentenza impugnata le critiche che al riguardo le sono state appuntate.

11.1. Giova ricordare che l’ottavo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, al numero 4, stabilisce che non è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili con quelli presentati in precedenza o con quelli notoriamente usati da altri partiti o gruppi politici, né di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti di simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento, possono trarre in errore l’elettore.

Com’è evidente, i divieti in questione, in attuazione del principio fissato dall’art. 48, comma 2, della Costituzione, tutelano la libertà di voto, non solo con riferimento allo specifico momento di concreto esercizio del diritto di voto, ma anche con riguardo alla libera formazione da parte dell’elettore del proprio convincimento, assicurando che la competizione elettorale si svolga in modo corretto e leale, con l’uso di nomi e di simboli non equivoci e confondibili (C.d.S., sez. V , 17 luglio 2000, n. 3922;
7 novembre 2005, n. 6192).

Proprio con riguardo alla delicata questione della confondibilità dei contrassegni di lista presentati la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare (sia pur con specifico riferimento all’art. 33 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, il cui contenuto è tuttavia sostanzialmente coincidente con quello di cui al citato articolo 9, comma 8, n. 4 della legge 17 febbraio 1968, n. 108) che le relative disposizioni possono (rectius, devono) essere interpretate alla luce del più elevato livello di maturità e di conoscenze acquisite dall’elettorato rispetto al substrato socio – politico apprezzato dal legislatore all’atto dell’emanazione della ricordata disciplina, dovendo perciò farsi riferimento alla normale diligenza dell’odierno elettore medio, notoriamente fornito di un bagaglio di conoscenze e di una capacità di discernimento superiori a quelle di un tempo (C.d.S., sez. V, 26 marzo 1999, n. 344).

Pertanto la valutazione circa la confondibilità dei contrassegni di lista presentati deve essere risolta con riferimento allo specifico caso di specie e non già sulla base di considerazioni di carattere generale ed astratto, ed in ogni caso sulla scorta di una valutazione globale dei simboli stessi.

11.2. Alla stregua di tali considerazioni le conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici risultano coerenti, adeguatamente motivate e pienamente condivisibili.

Essi, infatti (pagg. 42 – 43) hanno opportunamente evidenziato che il simbolo della contestata lista “Verdi Verdi” era caratterizzato da un orsetto che ride su uno sfondo blu, con il nome del candidato alla presidenza della Regione (C) in giallo, con la scritta “Verdi Verdi” in giallo su di un ciuffo d’erba, così che in concreto anche per il rilievo dimensionale attribuito alla parola “C”, oltre che per le evidenti differenziazioni cromatiche, esso non poteva dare luogo a confusione, né indurre ragionevolmente in errore l’elettore medio in relazione al notorio simbolo del Movimento dei Verdi, caratterizzato dal sole che ride di colore giallo e dalla parola Verdi.

Tali argomentazioni non sono state fatte oggetto di puntuali deduzioni da parte degli appellanti incidentali che si sono limitati ad una contestazione generica, riproponendo il motivo di censura sollevato in prime cure con le relative argomentazioni di supporto, insistendo sull’esistenza di favorevoli precedenti giurisdizionali.

Sennonchè, come rilevato dai primi giudici, è proprio la valutazione concreta e globale dei due simboli in esame, per le loro evidenti differenze grafiche e cromatiche, ad escludere il rischio di confusione, non potendosi ammettere che l’elettore medio non sia in grado di apprezzare tali evidenti differenze;
del resto, proprio il fatto che la sola parola “Verdi” (e non l’espressione “Verdi Verdi”) costituisca simbolo tradizionale del Movimento dei Verdi, caratterizzato da una peculiare connotazione politico – ideologica, esclude ragionevolmente ogni confondibilità con la lista “Verdi Verdi” con la precisazione “C”, non coincidendo, né essendo notoriamente affine la relativa collocazione politico – ideologica.

12. Anche l’Associazione Italiana World Wildlife Fund for Nature (WWF) ONLUS ONG ha proposto appello incidentale, deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui è stato dichiarato inammissibile il suo intervento nel giudizio di primo grado, sostenendo l’illegittima ammissione della lista “Verdi Verdi” di cui era stato denunciato l’illegittimo, se non illecito, utilizzo del simbolo WWF, così ingenerando negli elettori la erronea convinzione che detta associazione appoggiasse la candidatura del Presidente C;
inoltre, sempre secondo la tesi dell’appellante, era stato altrettanto erroneo ritenuto inammissibile anche l’intervento del sig. A C, in qualità di socio del WWF, peraltro senza svolgere sul punto alcuna motivazione.

Anche tale gravame, ad avviso della Sezione, non è meritevole di favorevole considerazione.

Premesso che non può dubitarsi della legittimazione dell’Associazione Italiana World Wildlife Fund for Nature (WWF) ONLUS ONG ad impugnare la sentenza di prime cure proprio per il fatto di aver dichiarato inammissibile il proprio intervento (ex multis, C.d.S., sez. IV, 12 luglio 2010, n. 4495;
VI, 8 marzo 2006, n. 1264), occorre evidenziare che, come emerge dalla lettura dell’appello incidentale in esame (pag. 14), la stessa Associazione Italiana World Wildlife Fund for Nature (WWF) ONLUS ONG ammette che l’interesse all’intervento in giudizio in primo grado non risiedeva “…certo, come nel caso della Federazione dei Verdi, per tale ragione titolata a ricorrere in via autonoma, nella confondibilità tra l’acronimo WWF ed il nome dell’Associazione, vale a dire WWF ovvero del simbolo del Panda con quell’orsetto al fine di dimostrare l’avvenuta sottrazione, ad opera della lista civetta, di voti in danno della propria compagine politica”, quanto piuttosto “…molto più grave per quanto concerne la posizione del sodalizio, nell’essere accomunato, suo malgrado, ad una formazione politica, in fragorosa violazione delle previsioni statutarie sopra richiamate che pure sono oggetto di specifica accettazione da parte dei soci, i quali, presa visione del simbolo della compagine Verdi Verdi WWF per C, ben possono essere stati indotti a credere che tale compagine, in occasione della consultazione elettorale del 28 e 29 marzo uu.ss. fosse appoggiata dal WWF Italia e, per gli effetti, a concederle il proprio voto e/o che il WWF Italia fosse venuto meno al proprio impegno, statutariamente posto, di mantenere, sotto il profilo politico, una posizione di assoluta neutralità”.

L’intervento in giudizio dell’Associazione in questione, pertanto, piuttosto che finalizzato a sostenere le ragioni dei ricorrenti principali, era in realtà determinato da un proprio specifico interesse alla tutela del suo nome e della sua immagine (da proporsi eventualmente innanzi al giudice ordinario), con conseguente inammissibilità dell’intervento stesso, come correttamente rilevato dai primi giudici.

Del resto tali conclusioni sono confortate da un consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il fine perseguito dal soggetto che propone un intervento ad adiuvandum è quello di sostenere le ragioni del ricorrente, in quanto titolare di un interesse di fatto dipendente da quello azionato in via principale o ad esso accessorio, che gli consente di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dall'accoglimento del ricorso (C.d.S., sez. V, 3 dicembre 2009, n. 7589), non essendo neppure necessaria la sussistenza in capo all’interveniente di una posizione di interesse legittimo (C.d.S., sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2795;
18 ottobre 2002, n. 5741).

Peraltro, anche ad ammettere, come sostenuto con l’appello incidentale in esame, che sussista un interesse autonomo all’impugnazione dell’ammissione della lista “Verdi Verdi” per C e che fosse utilizzabile lo strumento del ricorso elettorale, occorre osservare che i primi giudici hanno rilevato che l’intervento svolto in giudizio di primo grado, se considerato quale ricorso principale (a prescindere da ogni considerazione sulla sua stessa ammissibilità) era tardivo: il che rende prive di qualsiasi rilievo le censure sollevate, anche con riferimento alla declaratoria di inammissibilità dell’intervento quanto al signor A C (il quale peraltro avrebbe dovuto egli stesso impugnare in parte qua la statuizione).

13. La fondatezza dell’appello principale proposto dall’on. R C e l’infondatezza degli appelli incidentali proposti dai signori on. M B, on. A B, dott. M S e dott. M G R G esimono la Sezione dall’esame degli altri appelli incidentali spiegati (gli interessi azionati con questi ultimi essendo del tutto coincidenti con quello dell’appellante principale), con conseguente declaratoria di improcedibilità degli stessi;
resta così travolto, ai sensi dell’art. 336 comma 1 c.p.c., anche il capo della sentenza che aveva disposto attività istruttoria, ordinando il riconteggio dei voti dei voti conseguiti dalla lista “Al Centro per S” e della lista “Consumatori”.

A ciò consegue, in definitiva, la parziale riforma dell’impugnata sentenza con conseguente declaratoria di rigetto del ricorso introduttivo di primo grado in parte infondato (quanto alla questione della legittimità dell’ammissione della lista “Al Centro per S) ed in parte improcedibile per difetto di interesse (quanto alla questione della legittimità dell’ammissione della lista “Consumatori”).

La peculiarità delle questioni tratte giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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