Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-03-07, n. 202201605

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-03-07, n. 202201605
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202201605
Data del deposito : 7 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/03/2022

N. 01605/2022REG.PROV.COLL.

N. 06925/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6925 del 2015, proposto da
M C, rappresentata e difesa dall'avvocato R C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cristoforo Colombo, n. 436;

contro

Comune di Cesena, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato B G, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, sede di Bologna (Sezione Prima), n. 329/2015, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cesena;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2022 il Cons. L M T e udito per le parti l’avvocati Biancamaria Caruso in sostituzione dell'avvocato R C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, l’odierna appellante invocava l’annullamento del provvedimento dirigenziale di diniego di titolo abilitativo edilizio in sanatoria del 6 ottobre 2006, emesso dal Comune di Cesena e notificato il 26 ottobre 2006;
e con ricorso per motivi aggiunti del provvedimento finale di diniego di rilascio del titolo abilitativo in sanatoria datato 1° luglio 2014.

2. Il primo giudice respingeva i ricorsi evidenziando come il fabbricato oggetto di condono non potesse essere qualificato a fini urbanistici come pertinenza del fondo agricolo acquistato all’incanto dalla ricorrente, sicché il diniego di condono trovava adeguata giustificazione anche in forza del fatto che si trattava di nuova costruzione avente un volume superiore ai mc 100.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originaria ricorrente, che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: a) il TAR avrebbe male interpretato l’art. 33, della legge regionale dell’Emilia Romagna n. 23/2004, che dovrebbe essere inteso nel senso che non sarebbero da considerarsi interventi di nuova costruzione, e in quanto tali esclusi dal condono edilizio, gli interventi pertinenziali, che comportino l’esecuzione di un volume inferiore al 20% del volume dell’edificio principale. Non potrebbe negarsi la natura pertinenziale dell’immobile in questione ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001, in ragione delle caratteristiche del bene. L’immobile, infatti, sarebbe dotato di una propria autonomia strutturale, sarebbe a servizio dell’immobile principale e non avrebbe un proprio valore di mercato anche in ragione delle ridotte dimensioni;
b) non sarebbe pertinente il richiamo operato dall’amministrazione all’art. 36, della legge regionale dell’Emilia Romagna n. 23/2004, che riguarderebbe gli interventi di manutenzione straordinaria e opere minori di cui alla lettera B dell’allegato alla legge regionale dell’Emilia Romagna n. 31/2002, ratione temporis vigente. Inoltre, la norma in questione riguarderebbe solo la sanatoria di tettoie, manufatti leggeri e strutture di cui alla lettera g5) dell’allegato alla citata l. n. 31/2002. Pertanto, non sarebbe corretto il richiamo operato dal TAR alla circostanza che si tratterebbe di una nuova costruzione avente volume superiore ai mc 100.

4. Costituitasi in giudizio l’amministrazione appellata invoca il rigetto dell’odierno gravame.

5. Nelle successive difese l’appellante insiste nelle proprie conclusioni.

6. L’appello è infondato e non può essere accolto. Occorre premettere che nella fattispecie in esame l’immobile ha una superficie di 48 mq, è utilizzato come ricovero attrezzi ed è accatastato con la particella 87, sub 2, categoria C2, sicché non presenta le caratteristiche tipiche dell’opera pertinenziale a fini urbanistico-edilizi.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte ribadito ( ex plurimis , Cons. St., Sez. II, 24 novembre 2020, n. 7348) che la natura di pertinenza può essere riconosciuta, ai fini edilizi, in presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, nesso tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, il quale emerge se l'opera pertinenziale ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui inerisce, tale da rendere l'opera priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell'assetto del territorio;
sicché non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che, pur avendo proporzione sensibilmente ridotta rispetto all'opera principale, presenta incontestate caratteristiche di rilevante dimensione, di autonomo valore di mercato, di rilevante carico urbanistico, e occupa un'area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa.

Proprio in relazione ad immobili aventi caratteristiche funzionali analoghe questo Consiglio (Cons. St., Sez. II, 11 novembre 2019, n. 7689) si è già, peraltro, pronunciato, chiarendo che: “ In materia edilizia il vincolo pertinenziale che lega il manufatto accessorio a quello principale dev'essere tale in senso oggettivo, cosicché il primo non risulti suscettibile di alcuna diversa utilizzazione economica con la conseguenza che tale non può essere considerato un locale adibito a deposito poiché consta di volumetria aggiuntiva ”. È evidente come nella fattispecie non siano riscontrabili almeno due dei requisiti sopra ricordati per poter qualificare l’opera in questione come pertinenza, ossia: I) l’impossibilità di diversa utilizzazione economica;
II) l’essere l’opera realizzata sulla stessa area dell’edificio principale.

7. L’infondatezza del primo motivo comporta automaticamente l’infondatezza anche del secondo motivo di gravame, giacché l’opera in questione non ha natura pertinenziale e, in ogni caso, anche laddove l’opera in questione potesse ritenersi avere (ma non l’ha) natura pertinenziale, il provvedimento impugnato correttamente richiama il parametro normativo rappresentato dall’art. 36, comma 4, della legge regionale dell’Emilia Romagna n. 23/2004, con i correlati limiti desumibili dall’art. 33, comma 8, della stessa legge.

8. L’appello deve, quindi, essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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