Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-06, n. 202305566

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-06-06, n. 202305566
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202305566
Data del deposito : 6 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/06/2023

N. 05566/2023REG.PROV.COLL.

N. 00095/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 95 del 2023, proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato G M, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Piemonte, Sezione I, n. -OMISSIS-resa inter partes , concernente una sanzione disciplinare di perdita del grado per rimozione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2023 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti l’avvocato G M e l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Oggetto del presente giudizio è costituito dal decreto del 15 ottobre 2021, con il quale si dispone la perdita del grado per rimozione del Maresciallo dell’Esercito Italiano -OMISSIS- all’esito del procedimento disciplinare al quale veniva sottoposto per le sue plurime esternazioni, in qualità di Presidente della “ Associazione Nazionale Graduati e Volontari delle Forze Armate e Corpi Militari d’Italia ” (“ Assomilitari ”), anche a mezzo lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, reputate dall’Amministrazione di appartenenza tali da integrare l’indebito travalicamento dei confini del diritto di critica, senza doverosamente ricorrere alla linea gerarchica, in maniera da incorrere nella violazione del dovere di riservatezza e di taluni doveri militari.

2. Avverso tale atto il signor -OMISSIS-ha proposto il ricorso n.-OMISSIS-innanzi al T.a.r. Piemonte, evidenziando in fatto di essere stato sottoposto a diversi procedimenti penali e tutti conclusisi con l’assoluzione e deducendo, inter alia , la violazione dell’art. 1393, d.lgs. n. 66/2010, per avere l’Amministrazione adottato la sanzione disciplinare oggetto della controversia senza la previa sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare in attesa della definizione del procedimento penale in cui il ricorrente era imputato. Ha inoltre denunciato l’insussistenza della rilevanza disciplinare della condotta addebitatagli.

3. Nella resistenza del Ministero della difesa, il Tribunale adìto (Sezione I) ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato l’atto impugnato;

- ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto fondato il motivo relativo alla necessità di attendere l’esito del procedimento penale prima di attivare quello disciplinare ed ha rilevato come “ le affermazioni del maresciallo -OMISSIS-siano espressioni del diritto di manifestazione del pensiero tutelato dall’art. 21 della Costituzione e dall’art. 1472 dell’ordinamento militare che ne costituisce l’attuazione ”. Ha quindi ritenuto fondato anche quanto dedotto a proposito della riconducibilità delle affermazioni rese dal -OMISSIS- in qualità di Presidente di Assomilitari, nell’alveo del “ diritto di critica garantito dall’art. 21 della Carta Costituzionale ”.

5. Avverso tale pronuncia il Ministero della difesa ha interposto appello, notificato il 7 dicembre 2022 e depositato il 5 gennaio 2023, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 6-15), quanto di seguito sintetizzato: il T.a.r. sarebbe incorso in una erronea interpretazione dell’art. 1393 COM, in quanto compete all’Amministrazione militare la scelta di attendere o meno l’esito del giudizio penale;
il -OMISSIS-si sarebbe reso responsabile di una condotta lesiva del decoro, del prestigio e dell’operato dell’Amministrazione militare, che ne ha irrimediabilmente compromesso la fiducia;
il predetto non avrebbe mai voluto avviare un rapporto di dialogo e di confronto sereno con i vertici dell’Istituzione soprattutto quando collega esplicitamente i casi di suicidio nelle Forze Armate ad omertà e ad omissioni nella linea di comando;
la condotta contestatagli è stata reiterata nel tempo tanto che è attualmente imputato in un procedimento penale per diffamazione nei riguardi del Comandante del 3° Reggimento Alpini, ritenuto responsabile della morte di un graduato in teatro operativo estero, e il Comandante delle Truppe Alpine;
l’appellante sarebbe incorso anche nella violazione dell’art. 1472 COM e dell’art. 722 del d.P.R. n. 90/2010.

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in accoglimento dell’appello, la riforma dell’impugnata sentenza.

7. In data 20 gennaio 2023 il signor -OMISSIS-si è costituito in giudizio con memoria di controdeduzioni, al fine di resistere, concludendo per il rigetto dell’avverso gravame. Ha evidenziato, tra l’altro, che lo stesso appellato è stato iscritto quale persona offesa in un procedimento penale attivato nei riguardi di un ufficiale.

8. Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata accolta la domanda cautelare ai soli fini della pronta fissazione del merito con sospensione, nelle more, dell’impugnata sentenza.

9. In data 16 marzo 2023 parte appellata ha depositato memoria insistendo per il rigetto dell’avverso gravame. Ha rimarcato, tra l’altro, il tenore degli articoli giornalistici allegati da cui risulta il significativo aumento di suicidi tra gli appartenenti alle Forze dell’ordine.

10. La causa, chiamata per la discussione all’udienza del 18 aprile 2023, è stata trattenuta in decisione.

11. L’appello è complessivamente infondato.

11.1. Come dianzi evidenziato, in sede di esposizione dei passaggi essenziali della vicenda di causa,

la pronuncia impugnata, e pertanto il gravame del Ministero, si muovono su un duplice piano argomentativo, del quale il primo, inerente alla statuizione di accoglimento da parte del T.a.r. del terzo motivo del ricorso di prime cure, è inteso a verificare, accedendo a conclusioni opposte a quelle del giudice di primo grado, l’effettiva suscettibilità applicativa dell’art. 1393 COM ove impone la pregiudizialità dell’esito del giudizio penale ai fini dell’attivazione del procedimento disciplinare, mentre il secondo si incentra sulla effettiva rilevanza a tali fini delle esternazioni del -OMISSIS-a fronte del diritto di critica consacrato in sede costituzionale.

Lo scrutinio di questo giudice d’appello non può non dipanarsi secondo tali distinti profili della vicenda dovendosi concludere per l’infondatezza del gravame proposto dal Ministero. E’ appena il caso di precisare che le censure non esaminate dal T.a.r. non sono state riproposte in questa sede da parte appellata e pertanto, pur profondendosi l’appellante in argomentazioni a sostegno della loro infondatezza, non sono suscettibili di disamina in questa sede.

11.2. Viene in considerazione, in primis , la questione relativa alla possibile violazione del comma 1 dell’art. 1393 COM laddove stabilisce che non rimane sospesa l’azione disciplinare in pendenza del procedimento penale nei casi in cui, pur trattandosi – come nella fattispecie – di una delle trasgressioni “ di maggiore gravità punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357 ”, non si verta in un caso di “ particolare complessità dell’accertamento del fatto ” ovvero l’autorità competente non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare”.

La vicenda di causa, a parere dell’appellante, non rientrerebbe in tali ipotesi e pertanto il procedimento disciplinare nei riguardi del -OMISSIS-ben poteva essere concluso a prescindere dall’esito del procedimento penale.

In particolare, secondo il Ministero appellante, avrebbe errato il giudice di prime cure nel ritenere la necessità di attendere l’esito del giudizio penale instaurato nei confronti dell’odierno appellato evidenziando che “ la qualificazione giuridica di quanto addebitato [...] si è dimostrata particolarmente complessa visto che gli stessi fatti hanno dato luogo a più procedimenti penali, tanto davanti all’autorità giudiziaria militare, quanto dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ed ambedue hanno dovuto riscontrare che quanto addebitato non rientrasse in plurime ipotesi di reati, sia militari, sia ordinari . Successivamente al vaglio di questi controlli giurisdizionali quanto addebitato poteva ricevere una qualificazione appropriata ”. Si osserva da parte appellante, infatti, che “ l’Amministrazione militare, in sede di vaglio del giudicato penale ai fini disciplinari, non avrebbe potuto determinarsi diversamente nelle iniziative a carico del ricorrente, proprio in ragione dei comportamenti evidenziati dalla sentenza del Giudice Militare sopra riportati ” (cfr. pagina 8 dell’atto d’appello).

11.2.1. Orbene, il Collegio ritiene di condividere le considerazioni del T.a.r. dovendosi prendere atto della peculiarità della vicenda di causa che si caratterizza per la particolare complessità del quadro accusatorio mosso nei riguardi del -OMISSIS-.

Per l’esattezza, l’art. 1393, comma 1, COM statuisce che “ Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio ”.

Ha osservato peraltro l’Adunanza plenaria, di recente, che “ in materia di procedimento disciplinare, l’attesa della sentenza conclusiva dell'intero processo penale, onde avviare o riprendere il procedimento sanzionatorio, lungi dal costituire un irragionevole ritardo, costituisce invece una evidente garanzia per la completezza e correttezza del giudizio, e ciò sia in favore del dipendente pubblico (militare) sia in favore non già dell’amministrazione/soggetto, ma del valore costituzionalmente tutelato del buon andamento dell’attività amministrativa;
quella medesima esigenza, cioè, che aveva ex ante reso opportuno sospendere il procedimento disciplinare
” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 13 settembre 2022, n. 14).

La norma in commento è stata sottoposta di recente ad approfondite riflessioni di questo Consiglio, essendosi rilevato in ordine alla sua formulazione quanto segue: “ La disposizione in esame prevede, quindi:

- una norma di carattere generale (primo periodo), che sancisce l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto al processo penale: il primo, difatti, “è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale”;

- due norme di eccezione rispetto alla norma generale, le quali, dunque, comportano la sospensione (o il non avvio) del procedimento disciplinare.

Ciò accade, in particolare:

- nei casi di infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore ex art. 1362, ovvero per le sanzioni disciplinari di stato ex art. 1357, allorquando si riscontri o una “particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al militare” o quando l'amministrazione “all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare” (secondo periodo art. 1393, comma 1);

- nel caso in cui il procedimento riguardi “atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio” (terzo periodo).

Nella prima ipotesi di eccezione, ciò che rileva - e che rende doveroso per l'amministrazione di non procedere disciplinarmente - è l'impossibilità o l'estrema difficoltà di raccogliere tutti gli elementi idonei a sostenere una contestazione disciplinare (Cons. Stato, sez. IV, 18 settembre 2018 n. 5451).

In questa ipotesi (e nei due sottocasi che la caratterizzano), ciò che il legislatore intende evitare è un procedimento disciplinare o non destinato a concludersi per difetto di elementi suffraganti la responsabilità, ovvero concluso con un provvedimento viziato per difetto di istruttoria o di motivazione.

Nella seconda ipotesi di eccezione, invece, ciò che rileva non è una “difficoltà istruttoria” (che ben può non esservi), quanto la circostanza particolare che le condotte astrattamente costitutivi di illecito disciplinare sono commesse “nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio”.

In questa ipotesi, il legislatore intende evitare che la “sovrapposizione” di diverse qualificazioni giuridiche del medesimo fatto (il quale può, sotto diversi parametri, contemporaneamente costituire - in via potenziale - sia illecito penale sia illecito disciplinare) porti l'amministrazione ad una valutazione “viziata” del fatto medesimo, potendo essa ritenerlo un profilo, per così dire, connesso e dunque giustificato dal dovere d'ufficio, laddove invece l'accertamento in sede penale e la riconosciuta penale responsabilità del militare recidono il “legame” ipotizzabile tra svolgimento della funzione e atti o comportamenti che - così diversamente contestualizzati - ben possono configurare illecito disciplinare.

Anche in questa ipotesi, dunque, il legislatore intende evitare l’instaurazione di procedimenti disciplinari il cui esito provvedimentale potrebbe essere viziato per difetto di motivazione, ovvero essere basato (nel caso di esito disciplinare assolutorio) su una ritenuta attinenza dell’atto o della condotta ad un dovere di servizio, che, invece, potrebbe essere escluso in sede penale” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1672).

Individuata la cornice normativa di riferimento secondo il suo tenore testuale e rilevato che la gravità della sanzione irrogata, in uno alla particolare complessità dell’accertamento necessario, non consentono ex se di escludere che ricorra la necessità di attendere l’esito del giudizio penale, è opportuno ripercorrere il tenore del provvedimento impugnato in prime cure nella parte in cui viene formulata la seguente contestazione a base della sanzione disciplinare irrogata: “ Sottufficiale dell’Esercito, il 31 dicembre 2020 inviava, in qualità di Presidente dell'Associazione Nazionale Graduati e Volontari delle Forze Armate e Corpi Militari d’Italia” (Assomilitari) una lettera al Presidente della Repubblica Italiana e, successivamente, la inoltrava via mail, per conoscenza, a varie testate giornalistiche, vari Vertici delle Forze Armate e a un numero indeterminato di Deputati e Senatori della Repubblica Italiana. Nella missiva, evidenziando la problematica del fenomeno dei suicidi tra gli appartenenti al Comparto Difesa e Sicurezza, ne attribuiva la responsabilità a presunti continui comportamenti vessatori messi in atto da alcuni Comandanti nei confronti delle vittime, sottoposte a situazioni di forte stress e disagio, e giungeva perfino a dichiarare che tutte le denunce, peraltro formali e circostanziate, erano state insabbiate da quelle stesse linee di comando, che avevano imposto una condizione di omertà attraverso una serie di atti mobbizzanti, vessatori, ingiuriosi e minacciosi nei confronti di coloro che avevano osato sporgerle. Il medesimo pubblicava inoltre sul proprio canale della piattaforma youtube e sul proprio profilo facebook un video nel quale, come voce narrante, dopo aver richiamato l'attenzione sui frequenti casi di suicidi nelle Forze Armate e nella Polizia di Stato, opinava che le cause erano spesso da attribuire ad ambienti lavorativi non sereni, caratterizzati da situazioni irregolari o vessatorie. Tali condotte, peraltro connotate da recidività specifica, in quanto poste in essere senza il rispetto dell'obbligo di osservare la via gerarchica e di mantenere la riservatezza necessaria per gli argomenti trattati, in considerazione del tenore gravemente lesivo delle espressioni utilizzate e della assoluta genericità delle accuse mosse, prive del benché minimo riscontro probatorio, sono da considerarsi gravemente lesive dei doveri inerenti al giuramento prestato, al grado rivestito, alla dipendenza gerarchica, allo spirito di corpo, al senso di responsabilità nonché in aperto contrasto con il contegno esemplare che ciascun militare deve osservare in ogni situazione a salvaguardia del prestigio dell'Istituzione alla quale appartiene ”.

Vi è quindi da chiarire se, in considerazione della peculiarità dei fatti addebitati all’appellato, si poneva o meno la necessità di sospendere (o non avviare) il procedimento disciplinare nelle more della definizione del giudizio penale instaurato per i medesimi fatti.

Al riguardo, parte appellante sostiene che la predetta disposizione non trovi applicazione nel caso di specie in quanto le contestazioni formulate nei riguardi del -OMISSIS-non sarebbero attinenti ai doveri militari, con la conseguenza che non vi sarebbe stata alcuna necessità di attendere l’esito ultimo del giudizio penale. Non vi sarebbe altresì alcuna sovrapponibilità tra i fatti aventi potenziale rilevanza sul piano penale rispetto a quelli contestati in sede disciplinare tanto più che la contestazione da parte dell’Ufficio si fonda sulle risultanze della sentenza del Tribunale Militare.

La Sezione si è espressa di recente circa il perimetro applicativo della disposizione evidenziando innanzitutto come “ in materia di pubblico impiego, in ordine ai rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale sono esclusi dalle ipotesi in cui l'art. 1393 del D.Lgs. n. 66 del 2010 indica la necessità della sospensione del procedimento disciplinare tutti quei fatti che - integrando in sede penale reati la commissione dei quali implica una cesura del rapporto di immedesimazione organica o comunque la riferibilità dei medesimo allo svolgimento della funzione o del servizio pubblico - non possono riferirsi ad un “adempimento di obblighi e doveri di servizio ”” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 14 luglio 2022, n. 6024).

Tale non è il caso di specie, in quanto la contestazione sollevata nei riguardi del -OMISSIS-per aver perpetrato la lesione del prestigio dell’Istituzione per effetto delle sue esternazioni non risulta inscrivibile nell’ampia categoria delle fattispecie di reato strettamente connesse all’espletamento dei compiti d’ufficio.

11.2.2. Non resta quindi che verificare se si tratti di fatti di tale complessità da imporre la previa definizione del o dei giudizi penali vertenti sugli stessi.

Ebbene, il Collegio ritiene di condividere quanto sul punto osservato dal T.a.r. nei termini che seguono: “ L’interpretazione corretta da darsi alla norma non è tanto quella che traspare dal mero significato letterale delle parole “accertamento del fatto addebitato”, dunque una ricostruzione meramente meccanica di una serie di fatti nel loro accadimento, ma in tale accertamento non può che rientrare anche una qualificazione giuridica di quanto addebitato, dovendosi ricadere altrimenti in interpretazione del tutto semplicistica: ora tale qualificazione che si è dimostrata indubbiamente complessa, visto che gli stessi fatti hanno dato luogo a più procedimenti penali, tanto davanti all’autorità giudiziaria militare, quanto dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ed ambedue hanno dovuto riscontrare che quanto addebitato non rientrasse in plurime ipotesi di reati, sia militari, sia ordinari ”.

Per vero, l’odierno appellato aveva evidenziato, in sede di ricorso introduttivo della lite, che “ in ordine alla medesima problematica, oggetto del presente procedimento, il M.llo -OMISSIS-è stato deferito alla Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona, proc. pen. R.G.N.R. N. 27/21SE R. - MOD. 21 per il reato di “vilipendio delle Forze Armate aggravato” ai sensi degli artt. 81 e 47 n. 2 c.p.m.p. per i fatti commessi in Cuneo alla data 03-04 gennaio 2021, come da atto notificato dal Comando 2° Reggimento Alpini in data 23.06.2021 ”.

Vi è tuttavia da soggiungere, come documentato dalla stessa parte appellante, che in relazione ai fatti analoghi a quelli contestati all’appellato in sede disciplinare, questi è stato sottoposto ai seguenti procedimenti:

- proc. pen. n. 27/2021 R.G.N.R., innanzi al Tribunale Militare di Verona, in ordine al reato di “ vilipendio delle Forze Armate, aggravato ”, conclusosi con la sentenza di non doversi procedere;

- proc. pen. n. 973/2022 R.G.N.R., innanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo, in ordine al reato di “ pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico ” si era concluso con l’archiviazione;

- proc. pen. n. 301/2020 R.G.N.R., innanzi al Tribunale Militare di Verona, in ordine al reato di “ insubordinazione con ingiuria, aggravata ” conclusosi con sentenza di assoluzione.

Ne deriva conclusivamente sul punto che la condotta specificamente contestata all’appellato col provvedimento disciplinare impugnato in prime cure riflette un segmento di una condotta complessa, dipanantesi in un arco temporale rilevante, tale da integrare la previsione di cui all’art. 1393 COM laddove prevede la pregiudizialità del giudizio penale, segnatamente quello riportato dall’appellato in sede di ricorso introduttivo della lite, rispetto a quello disciplinare.

11.3. Pur dovendosi prendere atto del potenziale carattere assorbente della questione testé esaminata in quanto la conferma della relativa statuizione della pronuncia di prime cure lascia inferire l’illegittimità del provvedimento impugnato, osserva il Collegio che, nell’ottica del riesercizio del potere disciplinare meriti di essere esaminato anche il secondo mezzo, col quale, in relazione al quarto motivo del ricorso introduttivo della lite, si denuncia l’erroneità del capo della sentenza in ordine alla affermata riconducibilità delle manifestazioni del -OMISSIS-alla libertà di manifestazione del pensiero di conio costituzionale.

In caso di conferma di tale statuizione si darebbe atto, in via definitiva, della assoluta irrilevanza disciplinare della condotta dell’appellato.

Su tale specifico punto il T.a.r. ha infatti ritenuto che “ le affermazioni del maresciallo -OMISSIS-siano espressione del diritto di manifestazione del pensiero tutelato dall’art. 21 della Costituzione e dall’art. 1472 dell’ordinamento militare che ne costituisce l’attuazione;
nel caso di specie, infatti, non si tratta di argomenti di carattere riservato militare o di servizio, e nemmeno di un’espressione di una domanda interna all’ordinamento che deve trovare sviluppo nella catena gerarchica, ma di una serie di osservazioni del tutto esterne a fatti strettamente di servizio e non solo del tutto prive di offensività penale, ma espressioni del rilievo di alcune manifestazioni contrarie al benessere del personale militare che deve essere comunque assicurato ed è oggetto di tutela di associazioni come quella presieduta dal ricorrente, aventi uno scopo precisamente indicato nello statuto assentito dal Ministero della Difesa
”.

11.3.1. Parte appellante richiama, al fine di evidenziare i riflessi disciplinari della condotta dell’appellato, anche le previsioni di cui agli artt. 1472, primo comma, COM e 722 del d.P.R. n. 90/2010 (“ Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare ”). La prima di tali disposizioni statuisce che “ I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare ((o di)) servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione ”. L’art. 722 a sua volta statuisce che: “ Il militare, oltre a osservare scrupolosamente le norme in materia di tutela del segreto, deve: a) acquisire e mantenere l'abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, escludendo dalle conversazioni private, anche se hanno luogo con familiari, qualsiasi riferimento ai suddetti argomenti o notizie;
b) evitare la divulgazione di notizie attinenti al servizio che, anche se insignificanti, possono costituire materiale informativo
”.

Parte appellante, nel valorizzare la formula testuale di tali disposizioni, evidenzia il fatto che il -OMISSIS- nel diffondere le anzidette informazioni, avrebbe inciso negativamente sull’immagine dell’Istituzione militare.

Nemmeno sotto tal profilo si palesano fondate le deduzioni di parte appellante, in quanto le norme su indicate non sono tra quelle oggetto delle contestazioni di cui al provvedimento disciplinare impugnato in prime cure recando esso esclusivo riferimento “ agli articoli: 712 in relazione al 575;
713, commi 2 e 3, 715 comma 2, 717;
719 comma 1 e 732
” oltre che all’ “ articolo 1355 del Codice dell’Ordinamento Militare ”. Le norme richiamate da parte appellante sono quindi estranee all’apparato motivazionale del decreto impugnato in prime cure e pertanto non possono costituire oggetto dell’invocato scrutinio.

11.3.2. Non resta che verificare, in relazione alle precise contestazioni contenute nel decreto impugnato in prime cure, se emerga la loro possibile rilevanza sul piano disciplinare.

Osserva il Collegio al riguardo che effettivamente le dichiarazioni del -OMISSIS-appaiono potenzialmente riconducibili a quella libertà di espressione, consacrata dall’art. 21 della Carta costituzionale, che è peraltro destinato a ricevere una particolare attitudine applicativa quando si tratti, come nel caso di specie, di dichiarazioni rese nella qualità di rappresentante sindacale.

Invero la contestazione mossa all’odierno appellato afferisce a dichiarazioni rese dal medesimo e che pertanto costituiscono, in termini potenziali, espressione della fondamentale libertà di manifestazione del pensiero che è consacrata sia nel testo costituzionale (art. 21, comma 1, a mente del quale “T utti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione ”) sia nella disciplina eurounitaria (art. 11, comma 1, della Carta diritti fondamentali UE, secondo cui “ Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera ”) sia, infine, in quella europea (art. 10, comma 1, della Convenzione EDU, a mente del quale “ Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera ”).

Come di recente rilevato da questa Sezione su analoga vicenda (sentenza n. 1905/2022), se, da un lato, negli ordinamenti liberali – al novero dei quali quello italiano va ascritto, quantomeno in ragione della sua adesione alle testé evocate organizzazioni e convenzioni internazionali – in linea di principio non è vietato al cittadino avere opinioni personali di qualsiasi contenuto, anche dissonante dai principi costituzionali fondanti, né esprimerle, purché continentemente e comunque sempre con modalità non apologetiche, neppure v’è dubbio, d’altra parte, che più stringenti limiti, anche in punto di espressione di tali opinioni, possano essere imposti ai militari in servizio e ad alcune categorie di pubblici funzionari (arg. ex art. 98, terzo comma, Cost.);
sicché tale oggettiva ed astratta riconducibilità della condotta del militare all’evocato principio fondamentale non vale ex se ad escludere la possibile rilevanza disciplinare della stessa, in considerazione dei limiti che il suo perimetro applicativo sopporta. La Corte costituzionale ne ha, infatti, rimarcato, con numerose pronunce, i confini, a tutela, ad esempio, della sicurezza dello Stato, “riferita alla tutela della esistenza, della integrità, della unità, della indipendenza, della pace e della difesa militare e civile dello Stato ” (sent. n. 25 del 1965) ovvero del prestigio del Governo, dell’ordine giudiziario e delle forze armate (sent. n. 20 del 1974). La stessa Corte di Cassazione ha riconosciuto che viene in considerazione un diritto che “ non può essere considerato senza limiti ” (Cass. civ., sez. III, 5 novembre 2018, n. 28084). Ne consegue che, a prescindere dalla dimostrazione dell’intento propagandistico che avrebbe sospinto il militare a rilasciare le suddette dichiarazioni, queste possono risultare rilevanti sul piano disciplinare se offensive di valori aventi medesimo rango costituzionale.

Va per vero osservato che “ la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2629). L’incidenza esiziale della sanzione espulsiva irrogata implementa tuttavia l’intensità del sindacato di questo giudice potendosi verificare, sia pure secondo criteri di immediata evidenza, la sussistenza di fatti dotati di assoluta gravità come tali idonei a costituirne idonea giustificazione

Devono quindi essere evidenziati alcuni aspetti della vicenda che possono assumere specifico rilievo. Per vero rimarcare l’elevato numero di suicidi in ambito militare costituisce un dato statistico che appare neutro rispetto alle esigenze di tutela di quelle esigenze di segretezza e decoro che sono particolarmente avvertite in contesti appunto militari. Non può tuttavia escludersi in radice che le esternazioni del -OMISSIS- alla luce delle formule lessicali utilizzate particolarmente forti e potenzialmente offensive nei riguardi degli alti ranghi militari, possano essere apprezzati quali comportamenti di rilievo disciplinare. Quanto dichiarato dal predetto in ordine a diffusi e non comprovati comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici nei riguardi dei propri sottoposti infatti non può escludersi che risulti tale, per la diffusione mediatica appositamente riservata a tale esternazione, da ingenerare un clima di sfiducia e di sospetto nei confronti dell’Istituzione militare. Ne consegue che il comportamento del -OMISSIS- pur in linea teorica riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero di conio costituzionale, non appare scevra da possibili riflessi disciplinari, sia pure di gravità non tale da giustificare la sanzione irrogata, in ragione delle espressioni utilizzate in quanto potenzialmente idonee a minare indebitamente, in assenza di precisi riscontri, il clima di fiducia che deve accompagnare l’operato di una Istituzione militare nelle sue articolazioni gerarchiche.

12. In conclusione, l’appello, sia pure con le anzidette precisazioni, deve essere respinto demandando alle successive determinazioni dell’Amministrazione, in sede di eventuale riesercizio del relativo potere, una sanzione disciplinare di natura non espulsiva, comunque discrezionalmente proporzionabile alla sussistente e già rilevata gravità dei fatti addebitati all’appellato.

13. Le spese di giudizio possono nondimeno essere compensate stante l’assoluta particolarità della vicenda di causa.

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