Consiglio di Stato, sez. P, sentenza 2022-08-05, n. 202200009

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. P, sentenza 2022-08-05, n. 202200009
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200009
Data del deposito : 5 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/08/2022

N. 00009/2022REG.PROV.COLL.

N. 00007/2022 REG.RIC.A.P.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 7 dell’Adunanza plenaria del 2022, proposto dall’Università degli Studi di Roma Tre, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;



contro

E R, rappresentato e difeso dall'avvocato G P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Bocca di Leone, 78;



per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, (Sezione Terza) n. 08984/2016, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di E R;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2022 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Davide Di Giorgio e l’avvocato G P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO e DIRITTO

1. Il prof. E R è stato consigliere del C.S.M. – Consiglio superiore della magistratura in qualità di componente c.d. laico eletto dal Parlamento per il quadriennio 1998 – 2002.

Alla cessazione del mandato consiliare, egli rientrava nei ruoli dell’Università degli studi di Roma Tre, ove era incaricato della docenza della materia di Filosofia del diritto in qualità di professore ordinario.

Al rientro nei ruoli gli veniva corrisposto un assegno ad personam così come previsto dall’art. 3, l. 3 maggio 1971, n. 312 (contenente rinvio per “ effetti e limiti ” di tale assegno all’art. 202, T.u. impiegati civili dello Stato approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3).

All’entrata in vigore (il 1°gennaio 2014) dell’articolo 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per il quale “ L’articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 e l’articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono abrogati. Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità ”, l’Università, con nota del 15 luglio 2014 prot. n. 61652, comunicava la cessazione dell’assegno personale a decorrere dal luglio 2014 e il recupero delle somme corrisposte a tale titolo nel periodo dal gennaio 2014 (data di entrata in vigore del citato art. 458) al giugno 2014.

2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il prof. R impugnava la nota dell’Università sulla base di sei motivi; si costituiva in giudizio l’Università degli Studi di Roma Tre che concludeva per il rigetto.

Il giudice di primo grado, con la sentenza della terza sezione, 2 agosto 2016, n. 8984, accoglieva il ricorso ed annullava il provvedimento impugnato ritenendo fondati il primo ed il terzo motivo.

Il T.A.R. ha posto due argomenti a sostegno della decisione.

Il primo attiene all’ambito temporale di applicazione dell’art. 1, commi 458 e 459, l. n. 147 del 2013: per il tribunale, in assenza di espressa qualificazione di retroattività, va data una lettura costituzionalmente orientata della disposizione sopravvenuta, tale da escluderne l’applicazione, oltre che ai rapporti giuridici estintisi prima della sua entrata in vigore, anche a quelli che, sorti anteriormente, siano ancora in vita, così da evitare che si disconoscano effetti già verificatisi del fatto passato ovvero si tolga efficacia, in tutto e in parte, alle sue conseguenze attuali o future.

La nuova disposizione potrà, pertanto, regolare solo i rapporti successivamente instauratisi, o nei quali non vi sia collegamento con il fatto che li ha generati.

Una diversa interpretazione (estensiva) dell’ambito temporale di applicazione della norma si porrebbe in contrasto con il principio di irretroattività della legge previsto dall’art. 11 della preleggi (“ La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo ”) che la Corte costituzionale ha ritenuto fornito di copertura costituzionale (art. 25 Cost.) solo in materia penale, riconoscendo, però, che nelle altre materie il legislatore, pur potendo nella sua discrezionalità modificare in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti in corso, è tenuto al rispetto del legittimo affidamento nella sicurezza dei rapporti giuridici, il quale, quindi, assurge a parametro di ragionevolezza dello ius superveniens . Prevale, pertanto, la posizione soggettiva incisa dalla nuova legge se sia “ una posizione giuridica consolidata, in quanto radicata non soltanto su un provvedimento amministrativo che l’ha disposta (…), ma anche sull’esercizio effettivo delle attribuzioni connesse a quella posizione ”, in un’ottica di bilanciamento di interessi tra quello pubblico e quello dei soggetti nei quali è sorto il legittimo affidamento nella sicurezza giuridica nutrito sulla base della normativa previgente, in base alla quale hanno maturato una situazione sostanziale consolidata.

Il secondo argomento riguarda l’ambito di estensione soggettiva della nuova disposizione.

Per il tribunale, l’abrogazione del solo art. 202 T.u. impiegati civili dello Stato non “ è misura legislativa sufficiente ad eliminare dall’ordinamento anche gli effetti dell’art. 3 della L. n. 312/1971 ”, poichè l’art. 202 era dettato per evitare eventuali effetti negativi economici del passaggio di carriera degli impiegati, mentre l’art. 3 l. n. 312 del 1971 riguarda la ben diversa situazione di quei dipendenti che alla scadenza di un incarico onorario (e dunque non di un rapporto di impiego) rientrino nei ruoli della propria amministrazione di appartenenza: espunta dall’ordinamento la prima disposizione, sarebbe rimasta vigente la seconda, per eliminare la quale sarebbe stata necessaria una specifica disposizione di legge a contenuto abrogativo (con l’avvertenza che anche in questo caso si sarebbe dovuto tener conto del principio di irretroattività nei sensi delineati).

3. Ha proposto appello l’Università degli Studi Roma Tre sulla base di due motivi; ha resistito il prof. R.

L’Università critica la sentenza di primo grado per aver ritenuto le disposizioni di cui all’art. 1, commi 458 e 459, l. n. 147 del 2013 non applicabili ai rapporti giuridici sorti anteriormente ed ancora pendenti, poiché, invece, per il loro inequivoco tenore letterale come pure per la ratio ad esse sottesa – di contenimento della spesa pubblica mediante la cessazione di tutti gli assegni ad personam in godimento a dipendenti pubblici cessati da ruoli o incarichi precedentemente svolti – alle stesse dovrebbe essere senz’altro riconosciuta portata retroattiva.

L’appellante sostiene, poi, nel secondo motivo, che la portata abrogativa generale delle nuove disposizioni, per quanto testualmente riferita al solo art. 202 del T.u. impiegati civili dello Stato, si estenderebbe automaticamente anche all’art. 3 l. n. 312 del 1971, comprendendo, dunque, anche l’assegno personale corrisposto al dipendente pubblico rientrato nei ruoli dell’amministrazione di appartenenza alla cessazione della carica di consigliere c.d. laico del C.S.M..

Ciò in ragione dello stretto rapporto delle due disposizioni: per il rinvio effettuato dall’art. 3, l. n. 312 del 1972 all’art. 202 T.u. impiegati civili dello Stato, non sarebbe possibile ritenere che il primo continui ad essere in vigore una volta che il secondo sia stato espressamente abrogato; occorrerebbe piuttosto ritenere che l’art. 3 sia stato oggetto di una abrogazione implicita avvenuta “ per rinnovazione della materia ”, avendo il legislatore inteso dettare una nuova disciplina organica di tutta la materia del trattamento economico spettante ai dipendenti pubblici rientrati nei ruoli dell’amministrazione di appartenenza.

4. All’esito dell’udienza pubblica del 1° febbraio 2022 la settima Sezione del Consiglio di Stato, investita della causa di appello, ha pronunciato l’ordinanza 8 marzo 2022, n. 1672, con la quale, ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm., ha rimesso all’adunanza plenaria la decisione dei seguenti quesiti:

a) se le disposizioni normative di cui all’art. 1, commi 457 e 458, della l. n. 147 del 2013, nonché quelle di cui all’articolo 8, comma 5, della legge n. 370 del 1999 (nel testo vigente) siano applicabili anche ai componenti cc.dd. laici del Consiglio superiore della Magistratura (con la conseguenza di rendere inapplicabili nei loro confronti l’istituto dell’assegno ad personam) ovvero se questi ultimi siano esclusi dalla applicazione delle norme ivi contenute, anche in ragione del particolare munus ad essi affidato (art. 104, comma 4, Cost.) ”;

b) (in caso di risposta affermativa al primo quesito) se le disposizioni normative de quibus siano applicabili ai ratei da corrispondersi a partire da 1°febbraio 2014, anche se il conferimento dell’incarico di componente c.d. laico del Consiglio superiore della Magistratura sia avvenuto antecedentemente alla data di entrata in vigore della l. n. 147/2013 ”.

La sezione rimettente ha, infatti, ravvisato un contrasto di orientamenti in merito alle questioni, rilevanti per la decisione del giudizio, della perdurante vigenza dell’art. 3, l. n. 312 del 1971, in materia di trattamento economico dei componenti c.d. laici del C.S.M. cessati dalla carica, anche a seguito

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