Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-01-31, n. 202301106

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-01-31, n. 202301106
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301106
Data del deposito : 31 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/01/2023

N. 01106/2023REG.PROV.COLL.

N. 06451/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6451 del 2022, proposto dalla Associazione Italiana di diritto del lavoro e della sicurezza sociale - A.I.D.LA.S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati D G e V M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. V M in Roma, via Antonio Bertoloni, n. 44/46;

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

dell’Associazione dei Giovani Amministrativisti - A.G.AMM., in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma (Sezione Prima), n. 1276/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie depositate dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Fabrizio Di Rubbo, viste le istanze di passaggio in decisione depositate dagli avvocati V M e D G per l’appellante e dall’Avvocatura generale dello Stato per l’appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con il ricorso in primo grado è stato impugnato il decreto del Ministro della Giustizia 1° ottobre 2020, n. 163 – costituente il “ Regolamento concernente modifiche al decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ” - nella parte in cui, all'art. 1, comma 1, lett. b, modifica l'art. 3 del D.M. n. 144/2015, introducendo un comma 5 in cui si dispone che: “ al settore del diritto amministrativo afferiscono i seguenti indirizzi: a) diritto del pubblico impiego e della responsabilità amministrativa ”.

L’associazione ricorrente ha premesso che l’art. 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, contenente la “ Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense ”, ha introdotto nell’ordinamento la possibilità per gli avvocati di conseguire il titolo di specialista, demandando la disciplina delle relative modalità alla potestà regolamentare del Ministro della Giustizia, previo parere del Consiglio Nazionale Forense (d’ora in poi “CNF”). In particolare, l’articolo 9, rubricato “ Specializzazioni ”, ha previsto quanto segue: “ 1. È riconosciuta agli avvocati la possibilità di ottenere e indicare il titolo di specialista secondo modalità che sono stabilite, nel rispetto delle previsioni del presente articolo, con regolamento adottato dal Ministro della giustizia previo parere del CNF, ai sensi dell'articolo 1. 2. Il titolo di specialista si può conseguire all'esito positivo di percorsi formativi almeno biennali o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione.

3. I percorsi formativi, le cui modalità di svolgimento sono stabilite dal regolamento di cui al comma 1, sono organizzati presso le facoltà di giurisprudenza, con le quali il CNF e i consigli degli ordini territoriali possono stipulare convenzioni per corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista. All'attuazione del presente comma le università provvedono nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

4. Il conseguimento del titolo di specialista per comprovata esperienza professionale maturata nel settore oggetto di specializzazione è riservato agli avvocati che abbiano maturato un'anzianità di iscrizione all'albo degli avvocati, ininterrottamente e senza sospensioni, di almeno otto anni e che dimostrino di avere esercitato in modo assiduo, prevalente e continuativo attività professionale in uno dei settori di specializzazione negli ultimi cinque anni
”.

Nel 2014, in seguito alla redazione dello schema di Regolamento da parte del Ministero della Giustizia, il CNF, nell’ambito della propria potestà consultiva, ha avviato un’attività di studio e di consultazione relativa ai settori di specializzazione, proponendo soluzioni che riconducevano al diritto amministrativo anche il diritto del pubblico impiego, evidenziando che la materia poteva essere ricompresa anche nell’ambito del diritto del lavoro.

Il decreto ministeriale n. 144 del 12 agosto 2015 – recante il “ Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ” – non ha invece individuato, all’art. 3, dei “sottosettori” con riferimento al diritto amministrativo e al diritto del lavoro.

Tale disposizione è stata annullata dal T.a.r. del Lazio con le sentenze nn. 4424, 4436, 4427 e 4428 del 2016, confermate dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5575/2017, la quale ha rilevato che “ l’elenco prende le mosse dalla tripartizione tradizionale fra diritto civile, penale e amministrativo. Tuttavia, esso poi dilata ampiamente il primo settore e non introduce nessuna differenziazione nell’ambito degli altri, laddove è ben noto che quanto meno il diritto amministrativo conosce sotto-settori autonomi nella pratica, nella dottrina e nella didattica, che – al pari di quelli del diritto civile – meriterebbero di essere considerati settori autonomi di specializzazione;
mentre, per converso, appare discutibile, in termini di ragionevolezza, la analitica suddivisione per il diritto civile. In altri termini, la previsione regolamentare presenta una intrinseca incoerenza laddove sembra prescegliere criteri simmetricamente diversi nella individuazione delle articolazioni interne ai settori
” (Cons. St., sez. IV, n. 5575/2017).

Il Ministero della Giustizia ha di conseguenza avviato l’elaborazione di uno schema di decreto “correttivo”, contenente modifiche al D.M. n. 144, in conformità alla citata sentenza del Consiglio di Stato.

Il testo dello schema di decreto ha anzitutto previsto una più sintetica formulazione del nomen attribuito al settore di specializzazione in ambito lavoristico, che da “ diritto del lavoro, sindacale, della previdenza e dell'assistenza sociale ” è divenuto “ diritto del lavoro e della previdenza sociale ”;
e, per quanto qui più rileva, ha introdotto un’articolazione del settore “ Diritto amministrativo ” in una pluralità di indirizzi, tra cui anche il neocostituito “ diritto del pubblico impiego e della responsabilità amministrativa ” (art. 1, comma 1, lett. a, dello schema di decreto, di modifica dell’art. 3 del D.M. n. 144/2015).

Il CNF, esprimendosi come previsto dall’art. 1, comma 3, della l. n. 247/2012, nella bozza di osservazioni sul decreto ha sottolineato che, con riguardo all’indirizzo di cui alla lettera a), del comma 5, dell’art. 3, riteneva più appropriata la seguente denominazione: “ diritto del pubblico impiego non privatizzato e della responsabilità amministrativa ”, al fine di ricondurre al diritto amministrativo solo il lavoro pubblico non privatizzato;
nel medesimo senso si è espressa l’AIDLASS.

Successivamente – a seguito del parere n. 1347/2019 del Consiglio di Stato del 2 maggio 2019, col quale è stata disposta l’audizione delle amministrazioni e degli organi competenti in materia – nell’Adunanza del 23 maggio 2019 si è tenuta l’audizione del Ministero della Giustizia e del CNF su diversi aspetti dello schema di regolamento. A seguito di ciò, il Ministero ha parzialmente modificato la disciplina dei settori di specializzazione, tuttavia non tenendo conto delle suddette modifiche proposte dal CNF anche sulla base delle osservazioni di AIDLASS, delle altre Associazioni componenti del Comitato e dell’Ufficio Studi dello stesso CNF.

Nella Relazione illustrativa di accompagnamento al nuovo schema di decreto, si legge che “ si è ritenuto di non seguire la proposta, formulata dal CNF nel suo parere [di limitare il primo sottosettore del diritto amministrativo al diritto del pubblico impiego non privatizzato, n.d.e.] in considerazione dell’opportunità di prevedere, nei percorsi formativi destinati al conferimento del titolo di avvocato specialista in diritto amministrativo, approfondimenti tematici relativi al rapporto di impiego, pur contrattualizzato, senza i quali non appare possibile comprendere appieno gli aspetti organizzativi, la disciplina della dirigenza, delle funzioni e dei servizi (si pensi ad esempio al rapporto di impiego dei dirigenti medici), in disparte la non infrequente attività difensiva degli avvocati amministrativisti davanti al giudice del lavoro, quando sia parte un ente pubblico ”.

Il Consiglio di Stato, Sez. consultiva per gli atti normativi, con il parere n. 3185/2019, ha espresso il proprio avviso favorevole sulla nuova bozza di decreto ministeriale, poi adottata.

Tutto ciò esposto, in punto di legittimazione attiva la ricorrente ha poi precisato di essere la più antica associazione di studiosi del diritto del lavoro, alla quale aderisce la quasi totalità dei professori di diritto del lavoro, nonché magistrati delle sezioni lavoro e numerosi avvocati giuslavoristi del libero foro. Come tale, essa persegue tra i suoi scopi statutari quello della difesa e diffusione del diritto del lavoro sia sul piano nazionale che sul piano internazionale, costituendo di diritto la Sezione italiana della Società internazionale di diritto del lavoro e della sicurezza sociale.

A sostegno del ricorso sono state formulate le censure di seguito riepilogate.

I - Eccesso di potere per difetto di istruttoria. L’art. 1, comma 1, lett. b del decreto impugnato, nel disporre che “ Al settore del diritto amministrativo afferiscono i seguenti indirizzi: a) diritto del pubblico impiego e della responsabilità amministrativa ”, avrebbe totalmente trascurato che la nota “privatizzazione” o “contrattualizzazione” dell’impiego pubblico ha comportato l’applicazione sempre più estesa del codice civile e delle leggi di diritto privato in materia di lavoro ai rapporti giuridici tra pubbliche amministrazioni e loro dipendenti e, al contempo, ha condotto progressivamente al passaggio delle relative controversie dalla giurisdizione amministrativa a quella del giudice ordinario quale giudice del lavoro. La legislazione vigente, quindi, prevede che la disciplina sostanziale del rapporto sia quella dettata dal codice civile, dalle leggi speciali sul lavoro e dai contratti collettivi e individuali di diritto comune del lavoro;
ed eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto in materia di lavoro pubblico possono essere derogate da contratti collettivi.

Quanto ai settori scientifico disciplinari (“SSD”) nell’ambito dell’insegnamento universitario, la materia del diritto del pubblico impiego privatizzato è transitata nell’area scientifico-disciplinare del diritto del lavoro (SSD IUS/07), mentre al diritto amministrativo (SSD IUS/10) è rimasto soltanto lo studio del pubblico impiego non privatizzato.

II - Violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, della legge n. 247/2012. Inadeguatezza, irragionevolezza e insufficienza della motivazione del Ministero della Giustizia sul mancato accoglimento del parere del CNF. L’art. 9, comma 1, della legge n. 247/2012, recante la riforma forense, prevede la procedura di approvazione della disciplina concernente il titolo di avvocato specialista;
la norma dispone che la disciplina sia approvata con regolamento adottato dal Ministro della Giustizia, previo parere del Consiglio Nazionale Forense.

Tale parere è particolarmente qualificato, perché rilasciato dal Consiglio Nazionale Forense (“CNF”), organismo di fondamentale rilevanza per la professione forense;
pertanto il Ministero avrebbe potuto discostarsi dal parere medesimo solo motivandone adeguatamente le ragioni.

Di contro, la Relazione ministeriale aveva respinto il parere del CNF con una motivazione del tutto inadeguata e insufficiente, che tiene conto della necessità di consentire all’avvocato che vuole specializzarsi in diritto amministrativo di conoscere e approfondire anche il lavoro pubblico contrattualizzato (o privatizzato), senza però considerare la necessaria attività formativa dell’avvocato lavorista in una materia ormai quasi integralmente affidata alla dottrina giuslavoristica e alla giurisdizione del giudice ordinario.

III - Eccesso di potere per inadeguata considerazione delle osservazioni formulate dalle Associazioni forensi specialistiche riconosciute, tra cui l’AIDLASS, nel procedimento di adozione del D.M. Violazione e falsa applicazione del DPCM n. 169/2017. IV - Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e incoerenza. Nel terzo e quarto motivo la ricorrente ha in sintesi esposto che la Relazione illustrativa del D.M. sottolinea che si è provveduto ad “ articolare al loro interno i tre principali settori di specializzazione [il diritto civile, il diritto penale e il diritto amministrativo, n.d.e.] sulla scorta del duplice criterio costituito, oltre che dall’autonomia disciplinare e tematica, dalla giurisdizione o dal rito che li caratterizza ”. Pertanto, le articolazioni interne dei tre settori di specializzazione, denominate nel D.M. “indirizzi”, avrebbero dovuto essere individuate in base all’autonomia disciplinare e alla giurisdizione.

Ciò posto, l’“indirizzo” in esame, denominato “ diritto del pubblico impiego e della responsabilità amministrativa ”, è stato considerato dal D.M. impugnato come articolazione del settore “ diritto amministrativo ” in piena contraddizione e incoerenza con quanto affermato nella Relazione introduttiva, giacché, dato il predetto duplice criterio, il diritto del pubblico impiego non poteva esser considerato un’articolazione del settore di specializzazione “diritto amministrativo”.

Si è costituito il Ministero della Giustizia, resistendo al ricorso.

All’esito dell’udienza pubblica del 3 novembre 2021 il ricorso è stato rigettato.

La sentenza ha escluso l’irragionevolezza della contestata ascrizione al diritto amministrativo, ai particolari fini in questione, anche del diritto del pubblico impiego “privatizzato”. Rammentata la non attinenza della regolamentazione in esame all’attività professionale espletabile (non essendo in discussione la possibilità che l’avvocato non “specializzato” in diritto amministrativo eserciti la sua attività anche nell’ambito del pubblico impiego, “contrattualizzato” o meno), la decisione ha condiviso le ragioni addotte dall’Amministrazione nella relazione illustrativa dello schema di decreto, ritenendo che la scelta operata “ valorizza la completezza della formazione dell’avvocato specialista in diritto amministrativo ”;
ha inoltre escluso il denunciato difetto d’istruttoria, perché i pareri prescritti dalla legge erano stati acquisiti e valutati dal Ministero della Giustizia.

Ha proposto appello l’associazione, reiterando in forma di gravame i quattro suesposti motivi e censurando la decisione impugnata per non averne colta la fondatezza, nonché per ,amcata motivazione su determinati aspetti.

Si è costituito in giudizio - ed ha depositato una memoria in vista dell’udienza di discussione - il Ministero della Giustizia, che ha chiesto il rigetto dell’appello.

L’appellante ha depositato una memoria ex art. 73 c.p.a. con cui ha replicato a quella avversaria.

All’udienza pubblica del 12 gennaio 2023 la causa è passata in decisione.

2. L’appello è infondato.

2.1 Quanto al suo primo motivo – che lamenta l’omessa motivazione sulla censura di “eccesso di potere per difetto di istruttoria” presente nel primo motivo dell’originario ricorso - il vizio censurato in primo grado non sussiste, giacchè i dati riepilogati nell’atto d’appello - normativi anzitutto, e poi quantitativi e statistici in ordine al campo e all’estensione della cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego - sono stati acquisiti in sede amministrativa, soprattutto attraverso i pareri e le audizioni regolarmente intervenuti nel corso del procedimento che ha preceduto l’adozione del decreto impugnato.

Ciò posto, la censura si risolve piuttosto in una lamentela circa la mancata valorizzazione di tali dati nella direzione auspicata dall’associazione appellante, il che attiene evidentemente a un aspetto diverso, ossia al merito della decisione assunta e non all’istruttoria espletata.

2.2 Il secondo motivo d’appello – che censura la manifesta erroneità della motivazione che ha rigettato il secondo motivo dell’originario ricorso, supra riassunto - è anch’esso infondato per l’insussistenza di alcuna violazione dell’art. 9, comma 1, legge n. 247/2012.

2.2.1 Anzitutto, tale legge non prevede che il pur “obbligatorio” parere del CNF corrisponda - come sostanzialmente assume l’appellante - al tipo di atto consultivo che in dottrina si definisce “semivincolante”, ossia richiedente una specifica motivazione ove l’Amministrazione intenda discostarsene. Si tratta invece di un parere non vincolante, neppure nel limitato senso predetto (soluzione del tutto coerente con l’assenza dell’obbligo generale di motivazione, vertendosi in materia di atti normativi, v. infra ).

2.2.2 In secondo luogo, neppure sussiste la dedotta irragionevolezza della decisione di non recepire i suggerimenti, presenti nel parere suddetto, nel senso dell’espunzione dall’indirizzo in parola del diritto dei dipendenti pubblici oggetto della cosiddetta “contrattualizzazione”.

Va al riguardo premesso che una motivazione in senso tecnico dell’atto impugnato non è dovuta ai sensi dell’art. 3, comma 2, l. 241/1990, trattandosi di un atto normativo (decreto ministeriale) dal contenuto generale e astratto;
va inoltre tenuto presente che, come da regola generale, la scelta amministrativa è sindacabile, oltre che per violazione di legge, solo per l’obiettiva irragionevolezza rivelata dalle forme sintomatiche dell’eccesso di potere, e non per la sua opinabilità o finanche inopportunità, aspetti, questi ultimi, afferenti al merito insindacabile della decisione.

Ciò posto, sul piano sostanziale la ragione esternata nella relazione illustrativa dello schema di decreto ministeriale - secondo cui la scelta operata è dipesa dalla “ opportunità di prevedere, nei percorsi formativi (...) , approfondimenti tematici relativi al rapporto di pubblico impiego, pur contrattualizzato, dei dipendenti pubblici, senza i quali non appare possibile comprendere appieno gli assetti organizzativi, la disciplina della dirigenza, delle funzioni e dei servizi (si pensi ad esempio al rapporto di impiego dei dirigenti medici), in disparte la non infrequente attività difensiva degli avvocati amministrativisti davanti al giudice del lavoro, quando sia parte un ente pubblico ” - risulta scevra dall’irragionevolezza dedotta, poiché la medesima:

a) applica pur sempre il criterio orientativo generale (fatto proprio dalla p.a. e condiviso in astratto della stessa appellante) della omogeneità disciplinare, inteso nell’accezione più ampia, trattandosi pur sempre di un’unica oggettiva “materia” rappresentata dall’impiego lavorativo presso le pubbliche amministrazioni (a prescindere dalle varie previsioni normative e partizioni giurisdizionali);

b) tiene ragionevolmente conto delle ricadute pratiche della decisione, costituite dall’ottimale contenuto dei corsi formativi, che rappresentano uno dei due percorsi di conseguimento del titolo di specialista, senza trascurare del tutto l’altro canale costituito dalla pratica professionale nel settore (a tale specifico fine la citata relazione menziona “ la non infrequente attività difensiva degli avvocati amministrativisti davanti al giudice del lavoro, quando sia parte un ente pubblico ”).

In sostanza, la scelta ministeriale ha valorizzato un aspetto sostanziale (quello della materia latamente intesa) e soprattutto un aspetto didattico (quello della formazione da impartirsi) in modo certamente opinabile, per esservi alcune opzioni alternative, ma non viziato da alcuna figura sintomatica di eccesso di potere.

Tale conclusione trova un’implicita ulteriore conferma in quanto riconosciuto dall’appellante a pag. 8 della sua memoria ex art. 73 c.p.a., ove si legge che < La soluzione più logica e conforme a tutti i suddetti criteri è indubbiamente quella proposta dal CNF, ma una logica potrebbe ravvisarsi anche nella decisione di ricondurre tutto il pubblico impiego al diritto del lavoro;
e, al limite, anche in quella di configurare il pubblico impiego come autonomo settore, al pari di quanto avvenuto per i settori trasversali di cui alle lett. dalla h) alla l) dell’art. 3, co. 1, D.M. n. 144/2015.
>.

O, riconosciuta la ragionevolezza di tutte dette possibili alternative, diviene arduo comprendere perché l’ulteriore opzione in concreto prescelta, pur logicamente speculare alla seconda ed omogenea alla terza di quelle summenzionate (nel senso, rispettivamente, dell’ascrizione dell’intera materia a un’unica formale “bandiera” e del riconoscimento della sua unitarietà forgiando un “autonomo settore”), dovrebbe dirsi irrazionale in base alle addotte ragioni di disomogeneità disciplinare “interna” e di prevalenza “quantitativa” degli aspetti privatistici: trattandosi di due aspetti recessivi, rispettivamente, nella seconda e nella terza delle sistemazioni riconosciute come accettabili dalla stessa associazione appellante.

2.3 Il terzo motivo d’appello - che ripropone il vizio d’eccesso di potere per inadeguata considerazione delle osservazioni formulate dalle associazioni ascoltate, tra cui la ricorrente, e lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza sul punto – è anch’esso infondato, per ragioni riconducibili a quelle sopra già esternate, integrative della motivazione dell’impugnata decisione.

2.3.1 Quanto agli aspetti originali del motivo, va rilevata l’insussistenza anche in base alla disciplina dell’”AIR” (d.P.C.M. n. 169/2017), genericamente addotta dall’appellante, d’un obbligo del Ministero di formulare e trasmettere alle associazioni protagoniste dell’interlocuzione amministrativa una specifica motivazione del mancato accoglimento delle loro osservazioni nello schema di decreto predisposto. Si conferma qui il carattere bensì obbligatorio, ma non vincolante né “semivincolante” (nel senso già chiarito) del parere e degli avvisi resi nell’ambito del procedimento, da ritenersi pertanto correttamente espletato.

2.4 Va respinto anche il quarto motivo di gravame, che ripropone il vizio di eccesso di potere “per irragionevolezza, illogicità e incoerenza” dedotto nel quarto motivo dell’originario ricorso, adducendo l’erronea motivazione del T.a.r. sul punto.

A tale specifico riguardo, va preliminarmente rilevato che il criterio generale indicato nella relazione illustrativa – di cui l’appellante torna a lamentare la mancata osservanza – era espressamente duplice, facendosi ivi riferimento alla “autonomia disciplinare e tematica” ed a “giuridizione o rito” caratteristici della materia.

E’ allora decisivo osservare che dette due articolazioni del criterio non sempre convergono in concreto verso la stessa soluzione operativa, suggerendo a volte conclusioni opposte, e che in tali evenienze s’impone una preliminare opzione preferenziale tra le medesime.

Ciò è dimostrato proprio dal caso di specie, ove solo l’eventuale valorizzazione dell’articolazione processuale del criterio in parola avrebbe suggerito la soluzione differenziata auspicata dall’appellante;
mentre l’autonomia “tematica” (termine che avalla un’ampia latitudine dell’ulteriore concetto d’autonomia “disciplinare” ivi accostato), oggettivamente riscontrabile, ha condotto alla soluzione prescelta, che legittimamente privilegia la seconda articolazione del criterio.

A ulteriore conferma della ragionevolezza della scelta censurata può ancora osservarsi - per quanto ciò a rigore attenga già al piano dell’opportunità - che proprio la ben triplice giurisdizione riscontrabile in materia ed evidenziata dall’appellante [cfr. pag. 30 dell’atto d’appello: <(…) il giudice ordinario per le controversie di pubblico impiego privatizzato;
il giudice amministrativo per le controversie in materia di pubblico impiego non privatizzato e di concorsi pubblici;
la Corte dei Conti per le cause di responsabilità amministrativa
>] sconsigliava la valorizzazione del criterio processuale, onde evitare un’eccessiva parcellizzazione di una materia caratterizzata da forti interconnessioni, suggerendo di dar seguito al criterio alternativo dell’autonomia in funzione unificante.

2.4.1 Va poi soggiunto che la disciplina censurata non solo non preclude, come già osservato nella sentenza impugnata, l’esercizio della professione nella materia anche all’avvocato non “specializzato”, ma neppure ostacola in modo significativo quest’ultimo nell’ottenere, ove lo desideri, la specializzazione in parola, comportando solo che quest’ultima sarà ascritta al diritto amministrativo (aspetto in sé formale) e onererà il legale della necessaria formazione anche sulle parti della materia del pubblico impiego regolate dal diritto amministrativo: il che non appare vessatorio per gli avvocati non amministrativisti, posto che la trasversalità disciplinare della materia è una caratteristica obiettiva nella quale qualunque professionista (anche non “specializzato”) che vi si cimenti viene comunque di fatto a imbattersi.

2.4.2 Infine, anche sul piano dei benefici per la clientela - altro aspetto fondante la ratio della disciplina in esame – va osservato che quest’ultima non è certo sensibile alla “etichetta” formale (di diritto civile o amministrativo) assegnata a una disciplina oggettivamente peculiare come quella in esame;
né tale aspetto può utilmente orientare la scelta del professionista da parte del cliente, potendo ben dubitarsi che quest’ultimo, non esperto in diritto, percepisca esattamente le problematiche sopra affrontate, essendo piuttosto interessato alla completezza della formazione dell’avvocato in funzione della migliore difesa in giudizio.

Proprio il conseguimento di quest’ultimo obiettivo risulta assicurato dalla considerazione unitaria della materia a livello di corsi (o di esercizio forense) necessari a conseguire la specializzazione, restando poco rilevante l’ulteriore dato - oggetto di lite - della sua ascrizione formale nei termini suesposti.

3. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate, per la complessità delle questioni trattate.

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