Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-30, n. 202303316
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Pubblicato il 30/03/2023
N. 03316/2023REG.PROV.COLL.
N. 09935/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9935 del 2021, proposto dall’Università degli Studi -OMISSIS-e dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il prof. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato L A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per -OMISSIS-) n. -OMISSIS-, pubblicata in data -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza di questo Consiglio, -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, di rigetto della domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 marzo 2023 il Cons. B B e udito l’avvocato L A per la parte appellata;
Nessuno è comparso per le Amministrazioni appellanti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto innanzi al competente TAR per-OMISSIS-, l’odierno appellato ha impugnato gli atti relativi al procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti e conclusosi con l’irrogazione della sanzione della censura da parte del Rettore dell’Università degli Studi di -OMISSIS-.
1.2. L’adito TAR con la sentenza indicata in epigrafe ha accolto il suddetto ricorso, stante la ritenuta fondatezza della censura – avente carattere assorbente –, con la quale è stata contestata la violazione del termine di trenta giorni di cui all’articolo 10 della l. n. 240 del 2010, prescritto per l’avvio del procedimento disciplinare.
In particolare, il primo giudice, ricostruiti gli elementi alla base della contestazione e rilevata, in particolare, la ricezione, in data 30 agosto 2018, da parte dell’Ateneo, al proprio indirizzo PEC, della segnalazione dei fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti, ha accertato il tardivo avvio del procedimento, oltre il termine di trenta giorni stabilito dalla sopra indicata previsione di legge, avente natura perentoria, escludendo la possibilità di riconnettere rilievo alle deduzioni dell’Ateneo con le quali era stata addotta a giustificazione delle tempistiche di protocollazione della PEC la collocazione della e-mail tra la posta indesiderata.
2. L’Università e il Ministero appellanti criticano la sentenza impugnata, evidenziando la ricezione al proprio indirizzo PEC di una e-mail proveniente da un indirizzo di posta elettronica non certificata, con l’esigenza, dunque, di procedere ad una più articolata procedura ai fini della protocollazione, secondo quanto stabilito dal DM 2 novembre 2005 – recante le regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale della posta elettronica – e dal Manuale di gestione del protocollo informatico dell’Ateneo, nonché l’asserita incidenza delle previsioni del regolamento per la disciplina dell’orario di lavoro dell’Università di -OMISSIS-, che stabiliscono l’articolazione di detto orario su cinque giorni lavorativi settimanali. Tali elementi, escluderebbero, ad avviso delle Amministrazioni appellanti, la tardività dell’avvio del procedimento disciplinare e, dunque, la decadenza della relativa azione.
3. L’appellato si è costituito in giudizio, sollevando preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto del requisito di specificità dei motivi di impugnazione previsto dall’art. 101 c.p.a. e per violazione del divieto di nova di cui all’art. 104 c.p.a., concludendo, con articolate deduzioni, per l’infondatezza nel merito delle censure dedotte.
4. Con ordinanza di questo Consiglio, -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, è stata respinta la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, stante la ritenuta insussistenza del requisito del periculum in mora , da valutare avuto riguardo alla concreta situazione per cui è causa.
5. Successivamente l’appellato ha prodotto memorie e documenti, rappresentando, tra l’altro, la propria collocazione in quiescenza, nelle more della definizione del presente giudizio, per raggiunti limiti di età, circostanza, questa, che militerebbe nel senso dell’estinzione del procedimento disciplinare e che avrebbe dovuto indurre le Amministrazioni appellanti a dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso;l’appellato ha, inoltre, insistito per l’accoglimento delle eccezioni e deduzioni già articolate.
6. All’udienza pubblica del 21 marzo 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.
7. Il Collegio rileva preliminarmente che la circostanza che l’appellato, nelle more della definizione del presente giudizio, sia stato collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età non dispiega alcuna incidenza sulla perdurante sussistenza dell’interesse al ricorso delle Amministrazioni appellanti, sia in quanto la sanzione avversata con il ricorso originario è stata irrogata prima della cessazione del rapporto di lavoro sia tenuto conto della sussistenza di finalità che trascendono il rapporto di lavoro già cessato, poiché il datore di lavoro pubblico è pur sempre tenuto a intervenire a salvaguardia di interessi collettivi di rilevanza costituzionale nei casi in cui vi sia un rischio concreto di lesione della sua immagine e in conformità ai principi costituzionali di legalità, di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione ( ex multis , C. Cass. 24 agosto 2016, n. 17307;id. 28 luglio 2017, n. 18849;10 agosto 2018, n. 20708;5 agosto 2019 n. 20914).
8. L’appello, inoltre, non è inammissibile per violazione dell’art. 101 c.p.a., essendo state articolate critiche sufficientemente puntuali alla sentenza impugnata, mentre è fondata l’eccezione di inammissibilità delle produzioni documentali nuove, stante il divieto di nova in appello di cui all’art. 104, comma 2 c.p.a., non avendo la parte appellante dimostrato di non aver potuto produrre tali documenti nel giudizio di primo grado, per causa ad essa non imputabile.
9. L’appello è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
10. Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che correttamente il primo giudice ha rilevato la natura perentoria del termine di trenta giorni stabilito dall’art. 10 della l. n 240 del 2010 per l’avvio del procedimento disciplinare.
10.1. Sull’operatività di detto termine, invero, non sono state articolate contestazioni, le quali, invece, si appuntano sulle relative modalità di computo. È, dunque, solo per completezza che il Collegio ritiene di evidenziare che sebbene la formulazione della previsione dell’art. 10 sopra richiamato si riferisca al caso di procedimenti disciplinari dai quali possa scaturire l’irrogazione di sanzioni più gravi rispetto alla censura (per i quali è stabilito l’obbligo per il rettore di provvedere alla trasmissione degli atti al collegio di disciplina, con formulazione di motivata proposta), il termine di trenta giorni ivi stabilito è destinato a trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie, siano attribuiti al rettore, oltre ai poteri di impulso e istruttori, il potere e la competenza alla irrogazione della sanzione. Milita in tal senso la specificità della disciplina in materia e la generale applicazione del principio di tempestività nell’esercizio dell’azione disciplinare, dovendosi sottolineare che l’assenza di un termine di prescrizione, che consente di attribuire rilievo anche a fatti materialmente risalenti nel tempo, non può che essere temperato dalla previsione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione disciplinare (cfr. A.P. n. 2 del 2002).
10.2. Neppure può essere revocata in discussione la natura perentoria del predetto termine, tenuto conto della consistenza delle situazioni giuridiche soggettive che vengono in rilievo e della incidenza – puntualmente rilevata dal primo giudice – che il termine in argomento riveste sul diritto di difesa del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare, nell’equilibrio complessivo del procedimento stesso.
11. Nella fattispecie non è in contestazione che l’incolpazione e la successiva irrogazione della sanzione disciplinare siano scaturiti dalla ricezione, in data 30 agosto 2018, da parte dell’Ateneo al proprio indirizzo PEC di una segnalazione inviata dalla e-mail istituzionale di un docente universitario.
È appena il caso di soggiungere, al riguardo, che la conoscenza certa dei fatti non richiede che i fatti stessi per essere oggetto di addebito debbano essere anche già dimostrati nella loro veridicità, giacché è proprio il procedimento disciplinare la sede nella quale, attraverso l’espletamento della relativa istruttoria, deve essere accertata, in primo luogo, l’effettiva sussistenza delle condotte o dei fatti materiali addebitati all’incolpato (cfr., ex multis , Cons. St., Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3161).
11.1. Ai fini del computo del termine di decadenza prescritto per l’esercizio dell’azione disciplinare assume rilievo la data in cui l’atto concernente l’esposizione dei fatti alla base dell’incolpazione perviene presso la sede dell’organo titolare del potere di esercizio dell’azione disciplinare, risultando del tutto irrilevanti le regole organizzative interne agli uffici, inidonee ad assicurare la certezza del termine e, comunque, ascrivibili alla sfera dell’Amministrazione.
11.2. Ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 68 del 2005, la PEC si intende pervenuta all’indirizzo elettronico del destinatario con la ricevuta di avvenuta consegna, la quale fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione. La stessa disposizione, peraltro, chiarisce, al comma 5, che la predetta ricevuta “è rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata nella casella di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall'avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario ”.
11.3. Deve evidenziarsi che è documentato in atti che la e-mail del segnalante è pervenuta alla casella di posta elettronica dell’Ateneo, il quale, dunque, non consta aver attivato alcun meccanismo bloccante che precludesse la ricezione di messaggi di posta elettronica ordinari, opzione, questa, che costituisce una impostazione di frequente selezionata dai titolari di un account di posta elettronica certificata e che determina la ricezione da parte del mittente di un messaggio di mancato invio.
11.4. In tale quadro, non può che rilevarsi che il titolare di un account di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella di posta elettronica e di utilizzare dispositivi di vigilanza o di controllo, dotati di misure sicurezza adeguate, oltre che di controllare diligentemente la posta in arrivo, ivi compresa quella considerata dal programma gestionale utilizzato come posta indesiderata (non rivestendo valenza giustificativa neppure la preclusione della ricezione nel caso in cui la casella mail di destinazione risultasse piena;cfr., sul punto, C. Cass., n. 14216 del 2020).
11.5. L’interposizione di uno o più gestori che garantiscono la regolarità del servizio fornisce idonee garanzie in ordine all’inoltro o alla ricezione della e-mail , dovendosi, comunque, sottolineare che nella fattispecie, non è in contestazione né che l’ e-mail sia stata ricevuta né il relativo contenuto, non constando neppure malfunzionamenti tecnici nella ricezione della posta elettronica, con conseguente piena conoscibilità dell’atto in conformità al generale canone di diligenza.
11.6. Si osserva, altresì, che – a prescindere dai già rilevati profili di inammissibilità delle produzioni nuove –, le asserzioni, contenute, peraltro, solo nel ricorso in appello, circa le tempistiche di lavorazione della e-mail in quanto proveniente da un indirizzo di posta ordinario, oltre ad apparire scarsamente plausibili, tenuto conto della non particolare complessità delle verifiche tecniche da espletare e del ruolo svolto dai gestori di posta elettronica attraverso procedure automatiche e standardizzate, sono del tutto sfornite di elementi a comprova, non constando neppure la produzione del Manuale di gestione del protocollo informatico dell’Università appellante, indicato a pagina 3 del ricorso di appello ma non depositato né nel presente giudizio né in quello di primo grado.
11.7. Ai sensi dell’art. 45 del d. lgs. n. 82 del 2005, inoltre, il documento informatico trasmesso per via telematica si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore.
11.8. A quanto esposto va, altresì, soggiunto, che dalla stessa schermata (tardivamente) prodotta dall’Ateneo appellante consta l’avvio del flusso automatico di lavorazione in data 31 agosto 2018, conseguente alla ricezione al proprio indirizzo PEC della e-mail contenente la segnalazione in data 30 agosto 2018, sicché il procedimento disciplinare risulta, comunque, avviato oltre la scadenza del termine perentorio di trenta giorni prescritto dalla legge.
11.9. Né, al fine di addivenire a diverse conclusioni, può riconnettersi rilievo alle previsioni del regolamento interno per la disciplina dell’orario di lavoro, venendo il rilievo, in assenza di differenti previsioni della fonte normativa primaria, le ordinarie e generali regole di computo dei termini secondo i giorni di calendario, poste a presidio di irrinunciabili garanzie di certezza.
12. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.
13. In considerazione delle peculiarità della fattispecie, come emergenti dalla documentazione in atti e della relativa novità delle questioni trattate, si valutano sussistenti i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.