Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-06-23, n. 201403185
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 03185/2014REG.PROV.COLL.
N. 10269/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10269 del 2011, proposto da:
Società Fondiaria Industriale Romagnola – SFIR – s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. V C I, con domicilio eletto presso l’avv. V C I in Roma, via Dora n. 1;
contro
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura -, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II TER n. 09481/2011, resa tra le parti, concernente RISTRUTTURAZIONE INDUSTRIA DELLO ZUCCHERO – AIUTI COMUNITARI – DINIEGO SVINCOLO FIDEJUSSIONE;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di AGEA e Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
Vista l’ordinanza collegiale 12 aprile 2012 n. 2069;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2014 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Cerulli Irelli e dello Stato Lumetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I.- SFIR (Società Fondiaria Industriale Romagnola) s.p.a. è impresa saccarifera che ha aderito al piano comunitario di ristrutturazione dell’industria dello zucchero, presentando al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali domanda di concessione per l’aiuto integrale, corredata dal piano di ristrutturazione degli stabilimenti interessati prevedente lo smantellamento di tutti gli impianti legati alla linea produttiva, ma il mantenimento di taluni silos di stoccaggio ed altre strutture, in quanto utilizzati non per la produzione, bensì per le attività di confezionamento e commercializzazione dello zucchero prodotto in altri stabilimenti o da altre imprese. La domanda è stata ritenuta ammissibile dal Ministero, che a suo tempo ha trasmesso copia del piano alla Commissione europea. L’impresa ha presentato annualmente le proprie relazioni ed ha proceduto allo smantellamento. La commissione ministeriale di controllo ha dato riscontro positivo alle relazioni annuali ed a quella finale, tanto che ha affermato di non aver riscontrato inadempienze o irregolarità rispetto al piano di ristrutturazione approvato. A seguito di visita degli ispettori europei è stata riscontrata la presenza di silos ed impianti di confezionamento.
In data 3 febbraio 2010 si è tenuta la riunione bilaterale tra Commissione e Stato membro ai sensi dell’art. 11, paragrafo 2, terzo comma del Regolamento C.E. n. 885/2006, in cui il rilievo circa il mantenimento dei manufatti in questione è stato discusso ed i Servizi della Commissione hanno concluso nel senso che non era necessario “discutere ulteriormente” sul punto.
Tuttavia con nota 15 marzo 2011 n. 2095 il Ministero ha comunicato a SFIR che, a seguito di altre ispezioni effettuate nel mese di settembre 2010, i revisori della Commissione hanno riscontrato l’esistenza di silos presso alcuni stabilimenti dismessi e per la prima volta formulato rilievi, formalizzati con nota Ares n. 922678 del 9 dicembre 2010. In particolare, hanno ritenuto che il mantenimento dei silos non sia conforme ai regolamenti C.E. nn. 320/2006 e 968/2006 ai fini dell’ammissibilità a tasso pieno dell’aiuto, implicante il completo smantellamento di tutti i manufatti direttamente connessi alla produzione, quali appunto i silos da considerarsi come “direttamente connessi alla produzione dello zucchero” (in quanto “impianti di imballaggio” di cui all’art. 4, paragrafo 1, lett. c) del cit. regolamento C.E. n. 968/2006). Lo stesso Ministero ha inoltre comunicato di non condividere la posizione dei revisori e di aver formulato controdeduzioni, ma qualora la Commissione non dovesse modificare detta posizione, si concreterebbe l’orientamento al riconoscimento dell’aiuto parziale.
Poi con nota 22 marzo 2011 n. 327 l’AGEA ha diffidato SFIR a procedere allo smantellamento totale mediante la completa dismissione dei silos entro il termine dettato dal regolamento comunitario (30 settembre 2011, poi 31 marzo 2012), nonché ha comunicato di non poter svincolare le cauzioni presentate dall’impresa a garanzia degli impegni assunti, stante la raccomandazione “all’Italia di non rilasciare nessuna ulteriore cauzione alle imprese interessate”, formulata dalla Commissione europea e ribadita dal Ministero con nota 2 marzo 2011 n. 1732.
II.- Con ricorso e successivi motivi aggiunti, proposti davanti al TAR per il Lazio, sede di Roma, SFIR ha impugnato la nota AGEA 22 marzo 2011 n. 327, la nota ministeriale 2 marzo 2011 n. 1732 ed ogni atto connesso, compresa ove occorra la nota ministeriale 15 marzo 2011 n. 2095, nonché la nota AGEA 24 maggio 2011 n. 228, con cui è stato richiesto alla società di assicurazione di prorogare di sei mesi le polizze fideiussorie della ricorrente.
Con sentenza 1° dicembre 2011 n. 9481 della sezione seconda ter il TAR ha accolto solo parzialmente il ricorso, ossia unicamente nella parte intesa ad ottenere lo svincolo parziale della cauzione in corrispondenza dell’aiuto per smantellamento parziale, dunque con esclusione della quota differenziale. Sono stati invece respinti i motivi di ricorso intesi a sostenere che lo “smantellamento totale” degli impianti di produzione, dante luogo ad aiuto maggiore rispetto a quello relativo allo “smantellamento parziale”, non comprenda la demolizione dei silos di stoccaggio in quanto connessi alla diversa fase di commercializzazione (e non di produzione).
In sintesi, il Tribunale amministrativo ha ritenuto che l’appena riferita tesi di fondo della ricorrente, oltre a non rispecchiare la ratio della normativa europea, contrasta con l’interpretazione letterale e sistematica delle relative disposizioni, alla stregua delle quali gli impianti di produzione comprendono pure quelli che, nell’ambito del sito produttivo, erano utilizzati nelle fasi immediatamente successive alla produzione come lo stoccaggio e l’imballaggio, consentendo il mantenimento di tali ultimi impianti solo se destinati a essere utilizzati per altre produzioni o altri usi del sito industriale.
Circa il profilo della lesione del legittimo affidamento, dedotto in relazione al fatto che la Commissione nulla ha contestato inizialmente, ma solo nel 2010 dopo la visita dei siti in quello stesso anno da parte dei funzionari comunitari, ha osservato che l’approvazione del piano compete allo Stato membro e la trasmissione alla Commissione non prevede una fase di controllo sulle determinazioni assunte a livello locale, bensì solo la successiva fase di verifica degli adempimenti previsti ai fini dell’erogazione dell’aiuto;comunque, il principio dell’affidamento non può essere di ostacolo all’applicazione effettiva delle previsioni della normativa comunitaria.
Quanto all’istanza di rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ha affermato che la corretta applicazione del diritto comunitario è così evidente da non lasciare adito a ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sostanziale controversa, quindi non v’è motivo per sollevare questione pregiudiziale.
Infine, ha altresì respinto il motivo volto a far valere la non ripetibilità delle spese riconosciute in favore della ricorrente prima del 9 dicembre 2008, non essendo chiaro il momento di erogazione delle somme e, comunque, non risultando avviata alcuna procedura di recupero.
III.- Con atto notificato il 20 dicembre 2011 e depositato il 23 seguente SFIR ha appellato detta sentenza 1° dicembre 2011 n. 9481.
Premesso, tra l’altro, che la vertenza riguarda la corretta interpretazione della nozione di “smantellamento completo” contenuta nei citati regolamenti CE, illustrata detta normativa e descritta la vicenda ed i motivi formulati in primo grado, a sostegno dell’appello SFIR ha dedotto:
1.- Sul primo motivo di ricorso: Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, par. 1, Reg. (CE) 20.2.2006 n. 320/2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 1, lett. a), b) e c) del Reg. (CE) 27.6.2006 n. 968. Errore dei presupposti in fatto e in diritto.
2.- Sul secondo motivo di ricorso: Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del Regolamento 320/2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del Regolamento 968/2006 sotto ulteriore profilo. Violazione del principio di proporzionalità. Irragionevolezza.
3.- Sul terzo motivo di ricorso: Violazione del principio del legittimo affidamento, di cui all’art. 1 l. 241/1990. Violazione dell’art. 26, Reg. n. 968/06. Violazione art. 97 Cost. Contraddittorietà e irragionevolezza manifesta.
4.- Sul quarto motivo di ricorso: Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 del Regolamento CE n. 968/2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.m. 15/2/2007. Violazione artt. 1 e 3 l. 241/1990. Violazione del principio del legittimo affidamento.
5.- Sul quinto motivo di ricorso: Violazione del Regolamento n. 968/2006. Violazione degli artt. 11, 12, 13 e 16 Regolamento n. 885/2006. Violazione artt. 1 e 3, l. n. 241/1990. Violazione del principio del legittimo affidamento. Difetto di motivazione. Irragionevolezza.
6.- Sul sesto motivo di ricorso: Violazione e falsa applicazione art. 31 Regolamento CE 21/6/2005 n. 1290.
IV.- La domanda cautelare formulata nell’atto introduttivo è stata accolta con ordinanza 20 gennaio 2012 n. 235.
IV.- Il 16 gennaio 2012 si sono costituiti in giudizio il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e l’AGEA che, con memoria del 3 marzo 2012, ripercorsa la vicenda ed esposte difese, hanno anch’essi richiesto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
V.- All’udienza del 23 marzo 2012 la Sezione, ritenuto che per la risoluzione della controversia non potesse prescindersi, essendo il Consiglio di Stato giurisdizione di ultima istanza, dalla sospensione del giudizio e sottoposizione alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267, co. 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (T.F.U.E) (già art. 234 del Trattato C.E.), la seguente questione pregiudiziale, emersa nel corso del giudizio e rilevante ai fini decisori, di interpretazione e validità degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione europea:
“Chiarisca la Corte se il completo smantellamento degli impianti di produzione dello zucchero, isoglucosio e sciroppo di inulina, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio, di cui il regolamento (CE) n. 968/2006 della Commissione reca le modalità di applicazione, vada inteso nel senso che gli impianti da smantellare siano solo quelli necessari alla produzione, come espressamente stabilito dal citato articolo 3 del regolamento del Consiglio, conformemente al quale il regolamento della Commissione deve essere interpretato, a pena di invalidità del regolamento stesso. E quindi stabilisca la Corte che, ai sensi dei citati articoli 3 del regolamento n. 320/2006 del Consiglio e 4 del regolamento n. 968/2006 della Commissione, sono compresi tra gli impianti da smantellare solo quelli destinati alla produzione di zucchero, isoglucosio e sciroppo di inulina, nonché gli altri impianti ai sensi del citato articolo 4, lett. c), del regolamento n. 968/2006, tra i quali quelli di imballaggio, che siano rimasti inutilizzati o che debbano essere smantellati o rimossi per ragioni ambientali;e perciò che gli impianti non connessi alla produzione di zucchero, isoglucosio e sciroppo di inulina, e non lasciati inutilizzati, ma utilizzati per altre attività, come nella specie quella di packaging , né soggetti all’obbligo di rimozione per ragioni ambientali, possano essere mantenuti perché non soggetti all’obbligo di smantellamento di cui ai citati regolamenti comunitari”.
Con ordinanza 12 aprile 2012 n. 2069 ha perciò rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea detta questione pregiudiziale interpretativa e di validità, disponendo, nelle more della decisione, la sospensione del giudizio.
VI.- In esito alla rimessione, con sentenza 14 novembre 2013 resa nelle cause riunite da C-187/12 a C-189/12 la Prima Sezione della Corte di giustizia, con riguardo al quesito predetto, ha stabilito quanto segue:
“Gli articoli 3 e 4 del regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio, del 20 febbraio 2006, relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al finanziamento della politica agricola comune, e l’articolo 4 del regolamento (CE) n. 968/2006 della Commissione, del 27 giugno 2006, recante modalità di applicazione del regolamento n. 320/2006, devono essere interpretati nel senso che, ai loro fini, la nozione di “impianti di produzione” comprende i silos destinati allo stoccaggio dello zucchero del beneficiario dell’aiuto, a prescindere se questi siano utilizzati anche per altri usi. Non rientrano in tale nozione né i silos utilizzati unicamente per lo stoccaggio di zucchero, prodotto entro quota, depositato da altri produttori o acquistato da questi ultimi, né quelli utilizzati solamente per il confezionamento o l’imballaggio di zucchero ai fini della sua commercializzazione. Spetta al giudice nazionale valutare caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche tecniche o del vero uso che è fatto dei silos di cui trattasi”.
VII.- Con istanza del 24 gennaio 2014 SFIR ha chiesto la fissazione d’udienza.
In date 12 e 26 febbraio 2014 le parti hanno depositato documenti.
Con memoria del 28 seguente l’appellante ha - in estrema sintesi - evidenziato come, anche alla stregua della predetta sentenza e mediante esame “caso per caso”, il mantenimento dei due silos dello stabilimento di San Pietro Casale e del silos dello stabilimento di Forlimpopoli sia coerente con i requisiti previsti per la concessione dell’aiuto integrale, non potendo gli stessi silos considerarsi “impianti di produzione” in quanto destinati elusivamente ad attività di confezionamento dello zucchero prodotto altrove ai fini della sua commercializzazione. Ha inoltre richiamato gli altri motivi di gravame.
L’appello è passato in decisione all’udienza pubblica del 3 aprile 2014.
VIII.- Ciò posto, alla stregua dell’esposto esito della questione pregiudiziale interpretativa fornito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in ordine alla normativa comunitaria in discussione (ampiamente riportata nella citata ordinanza di rimessione, alla quale si fa rinvio), dev’essere disattesa la già ricordata tesi di fondo ribadita dall’appellante in questa sede, dovendosi invece escludere che, di per sé, i silos riutilizzati per la commercializzazione dello zucchero prodotto entro quota altrove dallo stesso o altro produttore possano perciò stesso non essere inclusi (in quanto non rientranti tra gli impianti propriamente connessi alla produzione) nello “smantellamento completo” dante luogo al relativo aiuto integrale.
VIII.a.- Alla sopra riportata soluzione del quesito di interpretazione degli artt. 3 e 4 del regolamento di base (CE) n. 320/2006 del Consiglio del 20 febbraio 2006 e dell’art. 4 del regolamento di applicazione (CE) n. 968/2006 della Commissione del 27 giugno 2006 la Corte è infatti pervenuta osservando quanto segue:
1.- nella nozione di “produzione” possono essere ricomprese fasi a monte o a valle del processo chimico o fisico di trasformazione, quali lo stoccaggio dello zucchero, non diversamente dallo stoccaggio delle barbabietole da zucchero;
2.- avuto riguardo al contesto generale ed agli obiettivi della normativa esaminata, ogni impianto la cui utilizzazione sia idonea a influire sulla quantità dello zucchero producibile va considerato, di regola, un impianto di produzione rispetto al quale sussiste l’obbligo di smantellamento;
3.- la realizzazione sul sito di uno zuccherificio di un silo determina il processo di produzione, poiché tale processo è concepito in funzione della disponibilità e della vicinanza dello stoccaggio;ed il silo, ove abbia capacità eccedente la produzione della normale campagna di commercializzazione, da solo o con altri silos dello stesso produttore, consente di trasformare tutto il raccolto anche nel caso in cui superi la vendita prevista per quell’esercizio, cioè incide direttamente sulle quantità di zucchero producibili e sui processi di produzione, consentendo di differire in tutto o in parte la vendita del prodotto di una data campagna e, così, di incidere sul mercato comunitario;
4.- poiché la normativa in parola parte manifestamente dal postulato che, di regola, ai fini della concessione dell’aiuto integrale la facoltà di non smantellare e riutilizzare gli impianti non di produzione, conservando il diritto al detto aiuto integrale, essa va interpretata in senso stretto, sicché “è evidente che un silo destinato allo stoccaggio delle zucchero del beneficiario dell’aiuto deve essere considerato come un impianto di produzione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che sia utilizzato pure per altri usi”;
5.- al contrario, può non essere smantellato il silo “per il quale sia dimostrato che per ragioni tecniche o commerciali non serve allo stoccaggio della produzione di zucchero del beneficiario dell’aiuto e che sia impiegato unicamente per lo stoccaggio di zucchero, prodotto entro la quota, depositato da altri produttori o acquistato presso questi ultimi”, ovvero che “serva esclusivamente al confezionamento o all’imballaggio di zucchero prodotto altrove entro la quota”;
6.- conclusivamente, spetta al giudice nazionale valutare caso per caso se un silo, per le sue caratteristiche tecniche o il vero uso che ne è fatto, costituisca o meno impianto di produzione.
VIII.b.- Inoltre, in relazione ad altri quesiti delle cause riunite concernenti più direttamente la validità della stessa normativa alla luce delle norme superiori e dei principi del diritto primario dell’Unione e, segnatamente, dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento, la Corte ha stabilito che l’esame delle questioni “non ha evidenziato alcun elemento atto a inficiare la validità degli articoli 3 e 4 del regolamento n. 320/2006 e dell’articolo 4 del regolamento n. 968/2006”.
Tanto, precisato che la questione della validità si pone con riguardo agli impianti di stoccaggio e non anche con riguardo agli impianti di confezionamento, non costituenti di per sé impianti di produzione, sulla scorta delle seguenti considerazioni:
1.- quanto al principio di proporzionalità, da un lato il produttore che rinunci alla quota di produzione attribuita ad una delle sue fabbriche, che smantelli il grosso degli impianti di produzione e che “continui” ad utilizzare il silo per lo stoccaggio che produce in altri siti industriali “non ha, di norma, diritto all’aiuto alla ristrutturazione stante il divieto, stabilito dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di base, di utilizzare gli impianti di produzione non smantellati per la fabbricazione di prodotti rientranti nell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero” (punto n. 40 della sentenza della Corte);dall’altro lato, per lo smantellamento totale il medesimo produttore avrebbe diritto all’aiuto integrale alla ristrutturazione, ancorché l’onere finanziario supplementare comportato dallo smantellamento del silo rappresenterebbe solo una parte esigua dei costi complessivi di smantellamento;
2.- il principio di proporzionalità richiede che gli atti dell’Unione non superino i limiti di quanto idoneo e necessario agli scopi legittimi perseguiti dalla normativa e, laddove sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si ricorra alla misura meno restrittiva e gli inconvenienti causati non siano sproporzionati rispetti agli scopi stessi;peraltro, stante l’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione in materia di politica agricola, solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento in materia, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale provvedimento, sicché “si tratta di sapere non se il provvedimento adottato dal legislatore fosse il solo o il migliore possibile, ma se esso fosse manifestamente inidoneo”;
3.- nella specie, il regime di ristrutturazione si fonda sulla partecipazione volontaria dei produttori, mirando (considerando 5 del regolamento di base) ad introdurre un incentivo economico per indurre le imprese meno produttive ad abbandonare la produzione entro quota, dunque consente al produttore di decidere liberamente se intende fruire dell’aiuto, di scegliere la fabbrica per la quale rinunciare alla quota corrispondente e se optare per lo smantellamento totale o per quello parziale, sicché il beneficio che può trarre dalla ristrutturazione dipende in gran parte dalle sue stesse scelte;e sotto tale profilo “la normativa in esame (…) non è sproporzionata”;
4.- quanto al principio di parità di trattamento, vigente anche nell’ambito della politica agricola ed espressione del principio generale di uguaglianza (secondo cui situazioni analoghe non devono essere trattate in modo dissimile e situazioni diverse non devono essere trattate nello stesso modo a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato), la conclusione di cui innanzi sulla proporzionalità della normativa può essere riferita anche alla verifica dell’osservanza del principio di parità di trattamento;
5.- se, infatti, può sorgere dubbio per la concessione indifferenziata di un uguale importo di aiuto alla ristrutturazione per tonnellata di quota rinunciata sia se il produttore abbia un silo da smantellare, sia che non l’abbia e perciò non debba sopportare spese di smantellamento, rispetto al predetto obiettivo dell’aiuto le situazioni di entrambi i produttori “sono del tutto simili nella misura in cui il numero delle tonnellate di quota rinunciata sia identico”;
6.- atteso che i costi diretti della demolizione del silo sono solo una piccola parte dei costi totali di smantellamento del sito, il legislatore dell’Unione, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità di cui gode in materia di politica agricola comune, “non risulta aver adottato (…) una misura manifestamente inadeguata all’obiettivo perseguito, ossia ridurre la produzione di zucchero per riequilibrare il mercato interno” laddove non ha previsto che l’importo forfettario dell’aiuto per tonnellata di quota rinunciata vari a seconda che la fabbrica designata dal produttore per lo smantellamento disponga o meno di silo;
7.- tale conclusione non è inficiata dal fatto che il costo reale dello smantellamento del silo possa essere molto più elevato, potendo essere ricostruito ad un costo molto maggiore di quello della demolizione, atteso che una tale ricostruzione con impiego del silo per la produzione dello zucchero sarebbe incompatibile con l’obbligo di cessare definitivamente in tutto o in parte la produzione mediante gli impianti di produzione pertinenti (artt. 3, par. 3, lett. a, e 4, lett. a, del regolamento di base).
IX.- Tanto premesso, è evidente che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante nei primi due motivi, la normativa di cui si discute, la quale non si pone in contrasto con gli invocati principi di proporzionalità e di parità di trattamento, consente la permanenza dei silos solo in via di eccezione ed in ben ristretti casi;quindi occorre verificare se, con riferimento al periodo di attività produttiva dello zuccherificio (particolarmente significativo è, in proposito, il cit. punto n. 40 della sentenza della Corte), per il silo dello stabilimento di Forlimpopoli e per i due silos dello stabilimento di San Pietro in Casale, qui in discussione, sia dimostrato che ricorressero a suo tempo singolarmente e di fatto le condizioni che ne ora consentirebbero l’esenzione dallo smantellamento;condizioni che, per quanto ben chiarito dalla Corte di giustizia, consistono nella pregressa utilizzazione, per ragioni tecniche o commerciali, dell’impianto di stoccaggio esclusivamente per zucchero prodotto entro quota altrove, sia dallo stesso produttore che da altri produttori e da loro depositato o venduto, ossia nell’utilizzazione del silo nell’ambito della sola commercializzazione e non della produzione intesa nei sensi espressi dalla stessa Corte, unicamente in questo caso potendosi escludere il silo dal novero degli impianti di produzione da smantellare per mantenere il diritto all’aiuto integrale.
Tuttavia, dagli atti di causa non emerge alcuna prova in tal senso. Ne deriva che vanno qualificati come impianti produttivi tutti e tre i silos, peraltro definiti “di stoccaggio a lungo termine” dalla commissione ministeriale di valutazione (vedasi verbale 3 agosto 2006 n. 3, pag. 2), come evidenziato dalla stessa appellante.
X.- Circa il terzo motivo, incentrato sul legittimo affidamento - rientrante nei principi comunitari fondamentali e non intaccabile da un ripensamento postumo - al mantenimento dei silos che sarebbe stato ingenerato dalle Istituzioni europee, le quali non hanno sollevato obiezioni fino al settembre 2010 pur essendo costantemente informate di tutti gli elementi, nonché dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dall’AGEA, il primo giudice ha correttamente osservato che il principio del legittimo affidamento, come quello della certezza del diritto, non può essere di ostacolo all’applicazione effettiva delle previsioni contenute nella normativa comunitaria in virtù del superiore principio di effettività (cfr. Corte giust. CE, sez. II, 3 settembre 2009 n. nella causa 2/08, richiamata dal TAR).
D’altro canto, come altresì ritenuto in sostanza nella sentenza appellata, ai sensi degli artt. 9 e 10 del regolamento di applicazione è vero che la decisione di ammissibilità della domanda di aiuto spetta ai competenti organi dello Stato membro, ma la trasmissione delle domande e dei relativi piani alla Commissione non ne comporta il controllo ai fini dell’eventuale rifiuto dell’aiuto comunitario.
Invero, a norma degli artt. 30 ss. del Regolamento (CE) n.1290 del Consiglio del 21 giugno 2005 e ss.mm.ii., concernente il finanziamento della politica agricola comune, il finanziamento comunitario è condizionato dalla verifica successiva dell’aderenza dell’intervento di ristrutturazione alla ripetuta normativa comunitaria, la cui persistente mancanza implica l’addebito all’Italia della “conseguente, significativa, rettifica finanziaria” con obbligatoria rivalsa dell’AGEA nei confronti dell’impresa interessata, come evidenziato dalla stessa AGEA nella diffida in data 22 marzo 2011.
Alla stregua di tali ultime considerazioni, per un verso deve escludersi la rilevanza di un soggettivo affidamento, pur a fronte del sostegno del Ministero (ed iniziale di AGEA) alle tesi di SFIR, e per altro verso nel comportamento dell’AGEA non è ravvisabile alcuna contraddittorietà per aver prima aderito all’interpretativa della normativa comunitaria seguita dal Ministero e dalle imprese interessate, per poi mutare indirizzo dopo poco più di un mese.
XI.- Il motivo seguente concerne l’accoglimento solo parziale delle censure riguardanti lo svincolo delle cauzioni presentate dalla Società a garanzia degli impegni assunti. Si lamenta che il TAR abbia ritenuto che le cauzioni dovessero essere svincolate in correlazione agli importi attribuibili a titolo di “smantellamento parziale”, mentre da un lato l’intervento eseguito si configura come “completo” e, dall’altro lato, nell’atto introduttivo del giudizio e nei motivi aggiunti mai era stato sostenuto che le cauzioni dovessero essere svincolate nei limiti predetti;di qui il vizio di ultrapetizione.
Il primo assunto è smentito da quanto innanzi. A ciò va aggiunto che con la lettera di “osservazioni” del 9 dicembre 2010 la Commissione europea aveva espressamente raccomandato “vivamente all’Italia di non rilasciare nessuna ulteriore cauzione alla imprese interessate”, evidentemente in vista delle anzidette conseguenze sul finanziamento comunitario in ragione del negativo apprezzamento dei controlli eseguiti dallo Stato membro e della relazione finale del Ministero. Pare chiaro, infine, che in questa situazione e pur in presenza della dichiarazione da parte del Ministero della conclusione del piano di ristrutturazione, non è operante la previsione dello svincolo delle cauzioni di cui all’art. 22 del regolamento di applicazione, richiamato dall’art. 2 del d.m. 15 febbraio 2007, recante “disposizioni in materia di pagamento dell’auto comunitario alla ristrutturazione dell’industria dello zucchero”.
Al secondo assunto è agevole opporre il difetto di interesse alla deduzione di ultrapetizione, il cui accoglimento porterebbe al consolidarsi del diniego totale di svincolo, in contrasto palese con l’utilità che l’appellante si ripropone di ottenere.
XII.- Il quinto motivo è rivolto avverso la menzionata nota AGEA del 22 marzo 2011, di diffida alla demolizione dei manufatti, ritenuta immotivata ed intempestiva in relazione all’ancora non intervenuta determinazione della Commissione e non potendosi escludere che la medesima Commissione accolga la prospettazione dell’attuale appellante.
In realtà, l’AGEA si è allineata ai rilievi formulati proprio dai Revisori comunitari, rilievi ben noti alla destinataria della diffida, sicché l’ipotesi del discostarsi della Commissione da quell’impostazione già appariva invero assai remota, con la conseguenza della doverosità da parte dell’Agenzia di prevenire una siffatta determinazione negativa dell’Esecutivo comunitario e, soprattutto, il già accennato addebito all’Italia della “conseguente, significativa, rettifica finanziaria”.
XIII.- La doglianza che residua investe la statuizione del TAR di reiezione delle censure dirette a far valere l’irripetibilità ai sensi dell’art. 26 del regolamento di applicazione delle spese sostenute anteriormente a 24 mesi prima della citata lettera di “osservazione” della Commissione del 9 dicembre 2010, come peraltro riconosciuto dalla stessa Commissione nella riunione bilaterale del 4 maggio 2011. Al riguardo, va condivisa e ritenuta assorbente, rispetto alle altre, la considerazione del primo giudice secondo cui “non risulta avviata alcuna procedura di recupero”, quindi di inammissibilità delle dette censure avanzate in prevenzione, non essendo sindacabili atti non ancora posti in essere dall’Amministrazione.
XIV.- In conclusione, l’appello dev’essere respinto.
Tuttavia la novità delle questioni sottoposte alla Sezione, nonché la complessità della vicenda e del percorso processuale, consigliano la compensazione tra le parti delle spese del grado.