Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-03-19, n. 201401357
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N. 01357/2014REG.PROV.COLL.
N. 05517/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5517 del 2011, proposto da:
Ingg. C &Bi S.p.a. in liquidazione,
rappresentata e difesa dall'avv. S C, presso il cui studio ha eletto domicilio, in Roma, alla via Giovanni Antonelli, 49;
contro
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Napoli e U.T.G. - Prefettura di Roma,
costituitisi in giudizio, per legge rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli uffici della stessa, in Roma, alla via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, sezione I TER, n. 2434/2011, resa tra le parti, concernente domanda di risarcimento dei danni derivanti dall'adozione di informative antimafia.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e delle Prefetture di Napoli e di Roma;
Viste le memorie difensive;
Vista l’ordinanza istruttoria di questa Sezione n. 5441/2013;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2014, il Cons. Hadrian Simonetti;
Uditi per le parti, alla stessa udienza, l’Avvocato S C e l’Avvocato dello Stato Angelo Vitale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Dagli atti di causa emerge che la società odierna appellante è stata costituita nel lontano 1956 ed ha sempre avuto come oggetto sociale, in misura preminente, la partecipazione a gare di appalto e l’esecuzione di opere pubbliche e, in misura ridotta, l’edilizia privata.
A lungo la società in questione, a base familiare, è risultata tra le prime cento imprese di costruzioni in Italia, raggiungendo il massimo di fatturato al principio degli anni ’90 del secolo scorso, al culmine della ricostruzione post-terremoto in Campania, per poi conoscere negli anni successivi un progressivo declino, testimoniato anche dalla drastica riduzione del personale, che ne ha provocato, in ultimo, la messa in stato di liquidazione.
2. Per quanto più rileva in questa sede, all’inizio degli anni 2000 la società appellante, al tempo non ancora in liquidazione, fu destinataria di due informative antimafia: la prima nel luglio del 2001 da parte della Prefettura di Napoli;la seconda nel gennaio del 2003 da parte della Prefettura di Roma.
2.1. Le informative trovavano il loro fondamento, tra l’altro ed in particolare: su tre rapporti di subappalto di lavori eseguiti per Anas ed intrattenuti dalla società C &Bi con imprese riconducibili al D’Ascoli e già gravate da informative antimafia;su alcuni passaggi di un’ordinanza di custodia cautelare del 1998 emessa dal Gip presso il Tribunale di Napoli nei confronti del capo clan Mario Fabbrocino ed in cui si faceva menzione dell’impresa C &Bi;su di una dichiarazione del pentito Carmine Alfieri sempre del 1998, in cui si avanzava il dubbio che l’odierna appellante potesse essere eterodiretta dal citato D’Ascoli, indagato per associazione mafiosa;sul rinvenimento di cambiali negoziate dalla C &Bi nell’abitazione di un noto pregiudicato.
2.2. L’una e l’altra informativa furono impugnate dalla società destinataria, rispettivamente dinanzi al Tar Campania ed al Tar Puglia, sezione staccata di Lecce e, all’esito di entrambi i giudizi, i ricorsi furono accolti e gli atti interdittivi annullati.
2.3. Entrambe le sentenze (Tar Campania, Napoli, n. 1821/2003 e Tar Puglia, Lecce, n. 8975/2003) furono impugnate in appello dall’Amministrazione dell’Interno e il Consiglio di Stato, con decisioni distinte ma in massima parte convergenti (sez. IV, n. 2783/2004 e sez. VI, n. 2849/2006), respinse gli appelli e confermò le pronunce di primo grado.
3. A distanza di alcuni anni, con ricorso notificato il 13 maggio 2008, l’odierna appellante ha chiesto la condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni, che ha allegato esserle derivati dall’emissione delle due informative prefettizie del 2001 e del 2003, quantificati in una somma pari a 180 milioni di euro, oltre alla rivalutazione ed agli interessi.
3.1. A fondamento della domanda risarcitoria, la Società C &Bi ha sostenuto che il comportamento complessivo della Prefettura - di Napoli e poi di Roma, sia prima che dopo l’adozione degli atti a suo tempo annullati, quindi in un arco temporale compreso tra il 1999 ed il 2006 - sarebbe stato la causa diretta della perdita (di) o della rinuncia ad una serie di commesse pubbliche e della necessità di accettare transazioni (con Anas) a condizioni del tutto svantaggiose e che tutto questo avrebbe finito per determinare la sua fuoriuscita dal mercato.
3.2. Assumendo che dal giudicato di annullamento delle due informative si evincesse la colpa grave dell’amministrazione (cfr. ricorso a p. 14), la ricorrente ha distinto i danni subiti in patrimoniali e non patrimoniali, da lesione all’immagine, quantificandone l’ammontare complessivo, sulla base di una perizia di parte, nella misura di 180 milioni di euro.
3.3. Il Tar Lazio, sezione prima ter, con un’articolata ed analitica sentenza, disattesa motivatamente l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa erariale, ha respinto il ricorso, giudicando la domanda infondata, sia relativamente alla prova dei danni e della loro imputabilità diretta alle due informative prefettizie, sia relativamente alla sussistenza della colpa, sul rilievo che l’elemento soggettivo fosse da escludere in ragione della complessità e della difficoltà degli accertamenti all’origine della vicenda.
4. Con il ricorso in appello, proposto avverso la sentenza di primo grado, se ne deduce l’erroneità sotto vari profili, insistendo e sviluppando l’originaria domanda di risarcimento dei danni.
4.1. Si sottolinea, in particolare, il comportamento dell’amministrazione, che per molti anni non solo avrebbe negato alla società C &Bi il rilascio della certificazione antimafia, ma si sarebbe anche rifiutata sempre di incontrare i responsabili di tale impresa, manifestando in tal modo un atteggiamento di generale chiusura e prevenzione, che troverebbe ulteriore conferma nella decisione di proporre appello per ben due volte nei confronti delle sentenze Tar che avevano annullato le informative.
4.2. Si è costituita e difesa l’amministrazione dell’Interno, replicando con articolate memorie difensive e tornando in particolare ad eccepire, con la memoria di (tardiva) costituzione, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sul presupposto che il dies a quo , per il calcolo dei cinque anni, decorrerebbe dalla data di emanazione delle informative e non, come sostiene l’appellante richiamando l’Adunanza plenaria n. 12/2007 di questo Consiglio, dal passaggio in giudicato delle sentenze di annullamento.
4.3. Disposta ed eseguita l’istruttoria per l’acquisizione dei fascicoli relativi ai giudizi impugnatori, di primo e di secondo grado, delle due informative, all’udienza del 20.2.2014, in vista della quale le difese hanno depositato ulteriori memorie e parte appellante ha rideterminato la quantificazione dei danni in misura pari a circa 330 milioni di euro, la causa è stata discussa ed è passata in decisione.
5. Deve essere esaminata, preliminarmente, l’eccezione di prescrizione sollevata anche in appello dalla difesa erariale, con memoria di costituzione depositata l’8.11.2011, al fine di valutarne, innanzi tutto, l’ammissibilità.
5.1. La difesa appellante sostiene, infatti, da un lato che simile eccezione, poiché a suo tempo espressamente esaminata e motivatamente respinta dal Giudice di primo grado, potesse essere riproposta in questa sede solamente nelle forme dell’appello incidentale;e, dall’altro, che, anche ove si ritenesse applicabile estensivamente l’art. 101, co. 2, c.p.a., la memoria dell’8.11.2011 sarebbe comunque tardiva, in quanto depositata ben oltre il termine di costituzione di 60 giorni che, nel caso di specie, decorreva dal 17.6.2011, data del perfezionamento della notifica dell’appello nei confronti della difesa erariale.
5.2. Replica la difesa erariale invocando l’art. 346 c.p.c., inteso quale espressione di un principio generale di segno “liberale”, che non prevede preclusioni temporali o formali e che si applicherebbe a tutte le eccezioni “non accolte” sollevate dalla parte vittoriosa nel merito del giudizio di primo grado e che, in questo caso, non sarebbe derogato dall’art. 101, co. 2, c.p.a., applicabile invece, testualmente, alle sole eccezioni “dichiarate assorbite o non esaminate”.
5.3. Così riassunte le contrapposte linee difensive, la Sezione deve ricordare come, già prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, la giurisprudenza di questo Consiglio, superando iniziali incertezze, riteneva necessario che le eccezioni in secondo grado, quando fossero già state esaminate e disattese dalla sentenza impugnata, fossero sollevate mediante appello incidentale (v., tra le altre, sez. V, n. 181/1990 e 894/1991, che si riferiscono proprio alla prescrizione).
5.4. Ciò posto, deve ritenersi che il nuovo codice sia in linea di continuità con il ricordato orientamento giurisprudenziale e che la riproposizione in appello delle eccezioni “non accolte” nella sentenza di primo grado possa avvenire solamente in due modi: o con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio, se le eccezioni sono state “dichiarate assorbite o non esaminate”;oppure necessariamente con appello incidentale, se le eccezione sono state esaminate e disattese espressamente.
5.5. Poiché nel caso di specie l’eccezione di prescrizione era stata attentamente esaminata e motivatamente disattesa dal Tar (v. sentenza da p. 12 a p. 16), sarebbe stato onere della difesa erariale riproporla nelle forme dell’appello incidentale, eventualmente tardivo ai sensi dell’art. 96, co. 5, c.p.a., che, come noto, richiama l’art. 334 c.p.c.
5.6. Ne consegue l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione e, quindi, la proponibilità della domanda risarcitoria.
6. Sempre preliminarmente, e considerate anche le osservazioni della difesa erariale che ha paventato la violazione del principio dispositivo, è bene precisare come l’istruttoria disposta con l’ordinanza n. 5441/2013 non autorizzasse le parti al deposito di nuovi documenti o alla deduzione di nuovi mezzi di prova in violazione dell’art. 104, co. 2, c.p.a., avendo come sola finalità quella di far conoscere compiutamente al Collegio, mediante l’acquisizione dei relativi fascicoli di causa, gli atti procedimentali, che avevano preceduto l’emanazione delle informative prefettizie.
7. Con questa precisazione, si deve passare ora ad esaminare se la pretesa risarcitoria avanzata dalla società C &Bi sia fondata o meno.
7.1. Muovendo dalla nota premessa (v. già la sentenza di primo grado, pp. 22-23) secondo cui incombe in capo al ricorrente l’onere di allegazione e dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità (aquiliana) dell’amministrazione (condotta, evento, nesso di causalità, colpa e danno), va osservato come, nel ricorso originario proposto dinanzi al Tar, ripercorsa la vicenda “storica” delle informative antimafia e dei relativi giudizi di annullamento (pp. 1-10), si assume - in punto di danno e di nesso di causalità - che, per effetto di tale vicenda, la società avrebbe perduto completamente ogni potenzialità imprenditoriale, rimanendo esclusa dagli appalti pubblici (p. 10).
7.2. Da qui, sul presupposto (dato, però, assolutamente per implicito) che la società non avesse (o non potesse avere) altre attività o interessi (edilizia privata, ad esempio), la necessità di alienare il proprio patrimonio immobiliare e ridurre drasticamente il personale, il che avrebbe poi condotto, come si apprende dall’intestazione del successivo atto di appello, alla messa in liquidazione della società.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente, dunque, gli effetti delle informative del 2001 e del 2003 avrebbero determinato, nel volgere di pochi anni, la brusca fine di una società, che, sino ad allora, sarebbe stata invece florida e leader nel settore degli appalti pubblici.
7.3. E’ evidente che una simile tesi difensiva presuppone la duplice dimostrazione che, immediatamente prima delle informative prefettizie, la società fosse in una situazione patrimoniale e finanziaria ottimale o comunque prospera e che, se quelle informative non ci fossero state, tale situazione si sarebbe protratta nel tempo o comunque avrebbe avuto un decorso differente, nel senso che la parabola della società sarebbe stata con ogni probabilità decisamente migliore.
Si tratta quindi secondo la teoria, formulata in Germania nell’ottocento, della Differenzhypothese , di calcolare la differenza tra quello che è stato e quello che ragionevolmente sarebbe potuto essere, se l’attività dell’amministrazione fosse stata esente dai vizi a suo tempo accertati.
7.4. Con la precisazione che il primo termine del confronto – “quello che è stato”: ossia la situazione patrimoniale che si è determinata per la società e che ha condotto alla sua liquidazione – deve essere rapportato alla vicenda storica delle informative annullate secondo un nesso di causalità giuridica (v. art. 1223 c.c.), distinguendo quindi tra le vere e proprie cause e le semplici occasioni del maturare di tale situazione.
7.4.1. Come noto, nel sistema della responsabilità civile (anche della p.a., che sul punto non sembra ricevere una disciplina sostanziale “speciale”) il processo causale si snoda attraverso due fasi (v. Cass. s.u., n. 576/2008 e Cons. St., sez. VI, n. 2751/2008).
7.4.2. Una prima fase, che tende a ricostruire il fatto dannoso attraverso la ricerca del collegamento materiale tra la condotta e l’evento e che si ritiene debba essere risolto alla stregua degli artt. 40 e 41 del c.p. e dell’art. 1227, co. 1, c.c.
7.4.3. Una seconda fase, che concerne il collegamento giuridico tra il fatto e le conseguenze dannose risarcibili e che ha nel citato art. 1223 c.c. (richiamato dall’art. 2056 c.c.) la sua regola generale, nel senso di limitare la risarcibilità ai soli danni diretti ed immediati, e di cui costituisce una specificazione l’art. 1227, co. 2, c.c.
7.4.4. Nella fattispecie in esame, dove non è seriamente dubitabile che si sia completata la prima fase del processo causale, avendo il comportamento complessivo dell’amministrazione determinato come evento la lesione della libertà di impresa (in specie di quella contrattuale che ne costituisce parte essenziale) della ricorrente (art. 41 Cost.), è necessario accertare tuttavia se ricorra anche un nesso di causalità giuridica ai sensi dell’art. 1223 e quindi se - applicando un criterio di regolarità causale, sulla base di un giudizio ex ante - senza di quelle informative l’effetto dannoso si sarebbe prodotto o meno.
7.5. Nello stabilire se, ed in quale misura, la crisi e la messa in liquidazione della società sia imputabile, sul piano eziologico, alla vicenda storica delle informative prefettizie degli anni 2001-2003, si deve poi considerare come le informative, intese come atti amministrativi, siano (solamente) una delle componenti dell’illecito, che, in tesi, l’amministrazione dell’interno avrebbe commesso;la difesa ricorrente rimprovera, infatti, all’amministrazione l’intera condotta da essa serbata, sia prima che dopo l’adozione delle informative, in un arco temporale che copre quasi un decennio.
7.5. Tale rilievo specifico si lega alla questione più generale se sia configurabile in linea teorica un provvedimento amministrativo (non solo invalido, ma anche) illecito o se, piuttosto, non siano illeciti gli effetti materiali prodotti dal provvedimento, nel senso quindi che la sua lesività deriverebbe non dalla sua adozione ma dalla sua concreta esecuzione e, in tal modo, l’ atto stesso degraderebbe a fatto (impeditivo dell’attività privata).
7.6. Nel caso di specie, è importante sottolineare, sin da ora e sulla scorta di quanto già rilevato dal Giudice di primo grado (v. sentenza a p. 25 e 29), come le due informative prefettizie del 2001 e del 2003 fossero relative a singoli e specifici affidamenti di appalti pubblici: quella della Prefettura di Napoli del luglio 2001 era riferita ad un appalto indetto dall’Ente gestione governativa Ferrovia Alifana per interventi straordinari riguardanti opere di difesa dell’abitato di Quindici;quella della Prefettura di Roma del gennaio 2003 all’affidamento di lavori da parte del Consorzio di bonifica Stornara e Tara in favore di un’Ati, di cui era parte anche la C &Bi.
Le informative stesse ebbero peraltro esecuzione per un periodo delimitato nel tempo, tenuto conto che furono tempestivamente annullate dal giudice amministrativo a distanza, in un caso (quella del 2001), di poco più di un anno e, nel secondo caso (quella del 2003), di circa nove mesi, dalla loro adozione.
7.7. Queste considerazioni sono da sole determinanti nel caso della seconda informativa del 7.1.2003 - adottata dalla Prefettura di Roma richiamando, in massima parte, gli accertamenti posti a fondamento di quella del 2001 della Prefettura di Napoli ed enfatizzando l’avvenuto trasferimento, medio tempore , della sede legale dell’impresa da Napoli a Roma – il cui annullamento in giudizio, con dispositivo di sentenza pubblicato il 18.10.2003, precedette nel tempo l’estromissione della C &Bi dall’Ati cui erano stati affidati i lavori da eseguire per il Consorzio di bonifica Stornara e Tara.
7.8. Tale estromissione, di cui si duole parte appellante e che costituirebbe la diretta conseguenza dannosa dell’informativa illegittima, sarebbe quindi avvenuta – il condizionale si impone perché nessun documento è stato mai offerto a dimostrazione di tale fatto – quando l’informativa antimafia era già venuta meno e riprendeva vigore e validità la precedente liberatoria del 24.6.2002 rilasciata dal medesimo Prefetto.
7.9. Sulla base di tale elemento temporale, ed applicando un criterio di regolarità causale, deve escludersi che la perdita di tale commessa - quand’anche fosse dimostrabile e si traducesse in una stima economicamente plausibile – abbia trovato la propria causa (efficiente) nell’informativa;non foss’altro perché, in questa prospettiva, sarebbe stato del tutto ragionevole attendersi che, con la stessa determinazione mostrata in questa sede, la C &Bi si opponesse ad un’estromissione motivata in ragione di un’informativa, a quel punto, già annullata in giudizio dal Tar.
Né la difesa ricorrente ha indicato, in termini puntuali e specifici, quali altre occasioni di guadagno, derivanti da contratti pubblici, avrebbe perduto per effetto di tale informativa.
7.10. Ebbene, anche ammettendo che l’informativa di per sé sola potesse minare la credibilità e la reputazione della società, assumendo quindi che in astratto tale atto potesse produrre un danno in via immediata e diretta a prescindere dalla sua esecuzione, la difesa ricorrente non ha dimostrato minimamente di quali e quante commesse pubbliche la società sarebbe stata privata (in termini di esclusioni, mancate ammissioni, mancati inviti, mancate aggiudicazioni, etc.) perché “marchiata” dal segno pregiudizievole dell’informativa antimafia.
Lo stesso ragionamento vale anche per le transazioni pregiudizievoli che la società ricorrente afferma (v. ancora con la memoria di replica del 28.1.2014, a p. 16) di aver dovuto concludere con Anas, a causa sempre delle informative antimafia;ciò sul fondamentale rilievo che un’affermazione di tal genere non trova alcun riscontro nella documentazione prodotta.
8. In realtà, se, per un verso, l’onere probatorio relativo al nesso di causalità tra gli ingentissimi danni allegati e il fatto illecito è assai carente, per altro verso, è invece proprio dalla documentazione prodotta dalla ricorrente – in particolare dalla perizia di stima del dott. P V (che, peraltro, all’epoca dei fatti in contestazione era il Presidente del collegio sindacale della società e, quindi, deve ritenersi potenzialmente “interessato” alla definizione della presente causa, sicché mai come in questo caso la perizia ha il valore di una semplice allegazione di parte) - che emergono una serie di indizi, sui quali è possibile fondare una ricostruzione alternativa delle vicende che hanno interessato la società C &Bi.
8.1. I dati ivi indicati (a p. 7 e 9) rivelano, infatti, come tra il 1996 ed il 1999, prima dell’adozione delle informative in questione, sia il fatturato che il personale impiegato dalla società avessero subito una drastica contrazione, il primo ridotto di circa della metà da 50 a 25 miliardi di vecchie lire, il secondo passato da 132 a 39 unità.
Si tratta di una contrazione che si inscrive all’interno di una tendenza di medio periodo che già segna(va), nella seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso, un fortissimo ridimensionamento della società e rispetto alla quale non consta che fossero stati elaborati nuovi piani aziendali, che preannunciassero un’inversione di tendenza.
8.2. Il Collegio non ha elementi per stabilire con certezza quali siano state le cause storiche di questo progressivo ridimensionamento, né, ai fini della presente decisione e a distanza ormai di tanti anni, è necessario o utile acquisire ulteriori elementi.
8.2.1. Si può comunque ipotizzare che, in una qualche misura, abbiano avuto un peso sia, sul piano generale, le trasformazioni intervenute nel settore degli appalti pubblici, segnate come fatto notorio da minori risorse pubbliche disponibili e dal superamento della fase espansiva della ricostruzione post-terremoto in Campania;sia, con specifico riferimento alla compagine sociale in questione, il passaggio del testimone tra gli originari fondatori dell’impresa (Leonardo C e Antonio Bi) ed i loro eredi, avvenuto nei primi anni ’90, in concomitanza, sembrerebbe dai documenti acquisiti dalla Guardia di finanza di Napoli e allegati all’informativa del 2001, con l’arresto eseguito a carico dei primi dall’autorità giudiziaria penale nel 1993, per reati contro la P.A.
8.3. I dati documentali appena richiamati e gli altri elementi indicati dimostrano quindi, nell’insieme, che le difficoltà della società si erano manifestate in epoca precedente la vicenda qui in esame e che esistevano fatti pregressi e concomitanti, in parte derivanti da cause di forza maggiore ed in parte da comportamenti imputabili all’odierna ricorrente, che, data la loro dimensione e portata, erano capaci di assorbire (in massima parte, se non del tutto) la rilevanza causale delle informative.
9. Ed è al lume di questa considerazione che si deve ora esaminare l’informativa prefettizia del 2001 e gli effetti da essa determinati.
9.1. Prescindendo per il momento dai contenuti dell’informativa e dagli accertamenti che ne sono stati all’origine, approfondendo il profilo del danno che da essa sarebbe derivato, una volta ancora deve rilevarsi l’obiettiva sproporzione tra il petitum (ed il tono generale) della domanda risarcitoria ed il grado di dettaglio delle allegazioni e delle prove offerte a sostegno.
9.1. L’affermazione secondo cui per effetto di questa informativa, e dell’indagine che la precedette avviata nel corso del 1999, la società sarebbe stata impossibilitata a partecipare alle gare e costretta in pratica alla chiusura, non si è tradotta nella benché minima elencazione di quali e quante procedure sarebbero state precluse alla ricorrente in quegli anni;sicché l’affermazione si risolve in una petizione di principio.
9.2. Il solo ed unico riferimento ad un affidamento di lavori specifico, da parte della difesa ricorrente, è quello che concerne l’appalto bandito dalla Gestione Governativa Ferrovia Alifana e Benevento all’origine dell’emissione dell’informativa, che era stato aggiudicato all’Ati guidata da A e di cui la C &Bi era la mandante.
In ordine a tale commessa la difesa ricorrente ha sempre sostenuto (v. da ultimo la memoria del 20.1.2014 a p. 5) di essere stata estromessa dall’Ati, all’indomani dell’informativa, quantunque le modalità e i termini di tale estromissione, avvenuta a lavori già in corso ( anzi, secondo le non contestate deduzioni della difesa erariale, a commessa già terminata ), non siano stati documentati compiutamente nel corso del giudizio di primo grado (v. sentenza Tar a p. 27), né possano esserlo in appello per il divieto di cui al ricordato art. 104, co.