Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-07-31, n. 202307431
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Testo completo
Pubblicato il 31/07/2023
N. 07431/2023REG.PROV.COLL.
N. 02319/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2319 del 2020, proposto da Assunta Giuliano, rappresentata e difesa dall'avvocato R D V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Manzoni, 153/i;
contro
Comune di Mugnano di Napoli, non costituito in giudizio;
Consorzio Mugnano 2, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. 4403/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° giugno 2023 il Cons. Fabrizio Di Rubbo e udito l'avvocato R D V;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con ricorso proposto innanzi al competente T.a.r., depositato il 23 dicembre 2013, la sig.ra Assunta Giuliano, premesso di essere proprietaria di un terreno sito in Mugnano di Napoli alla contrada Terracciano, individuato in catasto al foglio 4, particella 678, di are 4,93, acquistato con atto di compravendita del 5 febbraio 1994, ha esposto che in data 30 gennaio 1998 il Comune di Mugnano di Napoli aveva occupato mq 252 del predetto terreno per la realizzazione di opere di integrazione della viabilità urbana.
Reputata illecita l’occupazione del proprio fondo, la ricorrente ha esposto di avere dapprima diffidato l’ente con atto stragiudiziale notificato il 25 giugno 1999 e poi proposto atto di citazione in data 22 febbraio 2002 innanzi al Tribunale civile di Napoli - Sezione Distaccata di Marano per ottenere il risarcimento dei danni sofferti, precisando che tale giudizio civile è stato definito con sentenza n. 51 del 18 gennaio 2012, con cui il Tribunale ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla controversia.
Ciò premesso, la ricorrente ha chiesto la condanna del Comune di Mugnano di Napoli e del Consorzio Mugnano Due, quest’ultimo quale soggetto delegato a compiere la procedura espropriativa, al risarcimento dei danni patiti in conseguenza diretta ed immediata dell'occupazione ed irreversibile trasformazione della porzione di mq. 252 del terreno di sua proprietà, tali da inverare una fattispecie acquisitiva da “accessione invertita”, nonchè al pagamento dell’indennità di occupazione;in via subordinata, alla restituzione della superficie illecitamente occupata, previa riduzione in pristino della stessa, oltre al risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima, o in alternativa la condanna dell’Amministrazione all’adozione del provvedimento previsto dall’art. 42 bis d.P.R. 327/2011 onde acquisire il bene e risarcire il danno.
A fondamento della domanda ha proposto i seguenti cinque motivi di ricorso:
1) violazione dei principi di garanzia del contraddittorio e del giusto procedimento – mancata comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità – violazione art. 7 L. 241/1990 e artt. 11 e 16 d.P.R. 327/2001;
2) violazione dell’art. 20, comma 2, L. 865/1971 – avvenuta scadenza del termine quinquennale – insussistenza di proroghe espresse – mancata determinazione dell’indennità di occupazione;
3) diritto al risarcimento dei danni per avvenuta accessione invertita, in quanto si sarebbe verificata l’irreversibile trasformazione del suolo con la compiuta ultimazione delle opere di urbanizzazione nel gennaio del 2004;
4) in caso di mancato perfezionamento della predetta fattispecie acquisitiva del bene da parte della P.A., obbligo di restituzione previa riduzione in pristino o, in alternativa, di acquisire il bene e risarcire il danno derivante dall’occupazione illegittima ai sensi e per gli effetti dell’art. 42 bis del d.P.R. 327/2001;
5) violazione degli artt. 42 e 97 Cost. nonché dell’art. 834 c.c.
I soggetti convenuti non si sono costituiti in giudizio.
Previo ordine giudiziale la ricorrente ha depositato documentazione.
All’esito dell’udienza pubblica del 18 giugno 2019 il ricorso è stato respinto.
La ricorrente ha proposto appello avverso tale decisione, reiterando in forma di gravame i motivi respinti dal T.a.r.
Ha inoltre lamentato (cfr. pagg. 4 e s. dell’atto d’appello) che la sentenza <(…) ha del tutto omesso di esaminare e pronunciarsi sulla domanda come, da ritenersi formulata nelle conclusioni del ricorso, sub lett. b), circa la condanna del Comune al pagamento dell’indennità di esproprio, pari al valore venale del suolo occupato per mq 217,00 pari ad € 50.612,78 oltre ad € 50.612,78 per la diminuzione di valore della area residua, come da perizia giurata in atti. Tale domanda, infatti, presupponeva la regolare emissione del decreto di esproprio ed era (come lo è) da ritenersi avanzata proprio in via subordinata rispetto alle domande principali (circa il risarcimento dei danni per la irreversibile trasformazione del fondo e/o per la “occupazione espropriativa”), implicanti (invece) la illegittimità della procedura ablativa per la mancata conclusione della stessa con la emissione del decreto di esproprio .>.
Gli appellati, nonostante la rituale notifica, non si sono costituiti.
All’udienza pubblica del 1° giugno 2023 la causa è passata in decisione.
2. E’ necessario premettere, al fine di individuare la complessiva materia per cui è causa, che il ricorso di primo grado reca, sul punto evidenziato dall’appellante come oggetto di omessa pronuncia da parte del T.a.r., le seguenti testuali conclusioni:
< a) Accertarsi e dichiararsi illegittima l’occupazione, l’apprensione e la detenzione dell’immobile indicato in premessa da parte del Comune di Mugnano di Napoli (Na);
b) Per l’effetto, condannarsi lo stesso, stante l’avvenuta trasformazione del fondo, al pagamento del relativo valore venale con riferimento al momento in cui la stessa è divenuta irreversibile, pari ad € 50.612,78 oltre ad ulteriori € 50.612,78 poiché a seguito dell’occupazione (…) r isulta gravamente compromesso anche il valore della restante parte di terreno (…) o a quella diversa somma quantificata dall’adito T.A.R. (…);>.
Inoltre, al successivo punto “ f) ” delle stesse conclusioni è richiesto di <Condannarsi lo stesso Ente alla restituzione delle eventuali aree non irreversibilmente trasformate unitamente al pagamento dell’indennità di occupazione illegittima con interessi legali e rivalutazione;>.
Infine, segue al punto “ g ” delle conclusioni una domanda, l’unica formalmente proposta in via subordinata (< qualora l’adita giustizia reputi non essersi perfezionata l’acquisizione del terreno di proprietà della ricorrente >), di restituzione del terreno previa sua rimessione in pristino e risarcimento del danno, o in alternativa di condanna all’emissione d’un provvedimento ex art. 42 bis d.P.R. 327/2001 onde conseguire le relative spettanze economiche (pur erroneamente indicate di nuovo in termini risarcitori).
Il Collegio ritiene, anche in base ai poteri officiosi di riqualificazione in diritto delle domande giudiziali, che, nonostante la richiesta di ristoro economico presente al punto “ b) ” citato sia stata formulata con formale riguardo alla previa perdita della proprietà a seguito della fattispecie “acquisitiva” in passato delineata dalla giurisprudenza (addotta nel terzo motivo del ricorso), la stessa domanda possa considerarsi riferibile anche al caso – equivalente negli esiti finali - di ablazione regolarmente occorsa in conseguenza dell’eventuale legittimità della procedura espropriativa impugnata nei primi due motivi del ricorso, assumendo in tal caso una veste (oltre che condizionata al relativo rigetto) indennitaria anziché risarcitoria.
L’assunto è corroborato dalla ratio della richiesta di ristoro economico, riconducibile alla definitiva perdita del bene (meno rilevanti essendo le concrete modalità con cui ciò possa essere avvenuto) ed è compatibile con le “poste” economiche ivi domandate (in modo opportunamente elastico: < o a quella diversa somma quantificata dall’adito T.A.R. >), oltrechè con la generale tendenza del ricorso a indicare in termini risarcitori le varie richieste economiche (comprese quelle ex art. 42 bis cit.).
A ciò va aggiunta la richiesta, sopra citata, dell’indennità di occupazione (benchè quest’ultima sia ivi definita “ illegittima ” – e “ legittima ” solo nelle conclusioni dell’atto d’appello - che si tratti di domanda indennitaria è comunque attestato a contrario dalla presenza, al precedente punto “ c ”, di una diversa domanda di condanna < al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima >).
Quanto sopra è qui peraltro delibato in via incidentale e ai soli fini della pronuncia infra resa sulla giurisdizione, fermi restando i poteri di esatta individuazione e qualificazione della domanda spettanti al giudice ordinario (così come le eventuali preclusioni e decadenze intervenute) cui in parte qua la causa potrà essere tempestivamente riproposta ex art. 11 c.p.a.
Tanto premesso, la Sezione ritiene il ricorso in parte inammissibile per difetto di giurisdizione sulle domande d’indennità come sopra individuate e nel resto infondato, per quanto rispettivamente si passa ad esporre.
3. In punto di giurisdizione, vanno ancora operate le seguenti considerazioni.
3.1 Anzitutto non ricorre, nella presente causa, una fattispecie di “ translatio iudicii ”, nonostante la precedente proposizione della summenzionata causa al Tribunale civile di Napoli (peraltro relativa al solo risarcimento da illecito, da quanto si evince in atti) conclusasi in data 18 gennaio 2012 con sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione (così la sentenza impugnata, incontestata sul punto).
A prescindere dall’esame dei profili intertemporali di applicabilità del particolare istituto citato (essendo la causa civile iniziata nel 2002), è dirimente ai fini della suindicata conclusione che il passaggio in giudicato della sentenza civile, non impugnata, sia avvenuto al più tardi nel marzo 2013 (applicandosi ratione temporis il termine annuale d’impugnazione), mentre il ricorso introduttivo del presente processo è stato depositato il 23 dicembre dello stesso anno e dunque, in ogni caso, oltre il termine perentorio di riproposizione sancito dall’art. 11 c.p.a.
Tale rilievo consente di qualificare come “nuova” la presente causa e, conseguentemente, di declinare senza ostacoli la giurisdizione limitatamente alle domande d’indennizzo – supra individutate, non delibate dal T.a.r. e riproposte con l’appello - anche ove si ritenessero già proposte nella predetta sede civile (il che peraltro non è, come si evince dal relativo atto di citazione depositato).
Non trova infatti applicazione – in difetto di translatio iudicii – la preclusione a pronunciare di nuovo sulla giurisdizione sancita dall’art. 11 c.p.a. (salvo solo l’eventuale “conflitto” di giurisdizione ivi ammesso a certe condizioni).
3.2 Neppure osta al rilievo officioso del difetto di giurisdizione amministrativa in parte qua l’art. 9 c.p.a. in punto di pronuncia “implicita” del giudice di primo grado (che, ove presente, consente al Consiglio di Stato di pronunciare sulla questione di giurisdizione solo in presenza d’un appello sul punto).
Infatti una pronuncia in materia, ancorchè implicita, non è qui in alcun modo presente, per non essersi il T.a.r. pronunciato sulla giurisdizione sulle domande d’indennizzo né espressamente, né implicitamente, non avendole neppure nel merito esaminate.
Del resto, sul punto la sentenza è stata gravata dalla ricorrente (cfr. pagg. 4 e s. dell’atto d’appello) proprio per avere <(…) omesso di esaminare e pronunciarsi sulla domanda (…) c i rca la condanna del Comune al pagamento dell’indennità di esproprio (…)>.
Trattasi dunque di domande meramente “riproposte” in sede d’appello ex art. 101 c.p.a.
Ciò posto, la corretta applicazione dell’art. 9 c.p.a. implica che, in difetto di una pronuncia anche solo “implicita” del T.a.r., possa qui darsi luogo d’ufficio al rilievo del difetto di giurisdizione su ogni domanda indennitaria, come avrebbe dovuto fare il giudice di primo grado.
3.3 Nel merito, la conclusione in termini di difetto di giurisidizione discende dall’art. 133, lett. f), c.p.a. che, nel disporre la giurisdizione esclusiva sugli atti in materia urbanistica e di uso del territorio, fa espressamente salva la giurisdizione “ del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa ”.
Pertanto, il presente processo in parte qua potrà essere riproposto innanzi al giudice ordinario, ai sensi e nell’osservanza dei termini dell’art. 11 c.p.a.
4. Passando alla domanda risarcitoria da illegittimità provvedimentale (su cui sussiste la giurisdizione amministrativa ex art. 30 c.p.a.), quest’ultima, già respinta dal T.a.r. con la decisione impugnata, risulta manifestamente infondata per i dirimenti rilievi che seguono.
4.1 E’ anzitutto incontestato che la ricorrente sia stata destinataria, quantomeno nel 2013, di una notifica specificamente relativa all’occupazione d’urgenza effettuata in forza del decreto datato 15 maggio 2003, e che cionostante quest’ultimo sia rimasto inoppugnato (cfr. atto d’appello, pag. 3: < Quanto, poi, all’atto di avviso di immissione nel possesso e redazione del verbale di consistenza con il “nuovo” decreto di occupazione temporanea, le veniva sì notificato, ma solo del tutto tardivamente, nullamente ed inammissibilmente, nel maggio del 2003, allorchè già era pendente il giudizio intrapreso presso il Tribunale di Napoli […]>).
Anche la relativa precedente “dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità della opera in parola”, emessa con delibera di Giunta comunale n. 42 del 30 novembre 2002, è rimasta inoppugnata (così la sentenza di primo grado, non gravata sul punto: <[…] la deducente non tiene conto del fatto che, con deliberazione di Giunta comunale n. 42 del 30 ottobre 2002 – depositata dalla ricorrente ma anch’essa restata non gravata – è stato approvato il progetto definitivo (a firma dell’ing. B. Palazzo) per i lavori di ampliamento stradale ivi specificati (che hanno interessato anche la particella catastale n. 678, come indicato nell’allegato piano particellare di esproprio), deliberazione che, come precisato alla lettera C) e D) del dispositivo, ex art. 1 della legge n.1/1978, “costituisce dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità della opera in parola” e fissa in cinque anni il termine per il completamento dei lavori e della procedura di espropriazione. >).
Quanto poi alla conoscenza del fatto dannoso su cui verte la richiesta risarcitoria, essa è addirittura ben antecedente ai periodi suesposti, potendo farsi risalire alla precedente occupazione d’urgenza effettuata con decreto del 20 aprile 1998 (di cui è contestata la formale notifica perchè effettuata al coniuge della ricorrente), che costituiva un fatto evidente e ben visibile, tanto da avere indotto la ricorrente alla notificazione dapprima di un atto stragiudiziale (in data 25 giugno 1999) e poi dell’atto introduttivo della succitata causa civile in data 22 febbraio 2012 (cfr. la sentenza impugnata, incontestata su tali fatti).
4.2 Tutto ciò premesso, occorre considerare in diritto che alla presente causa (pur proposta, in via autonoma per quanto precisato, nella vigenza dell’attuale c.p.a.) non può applicarsi, stante l’anteriorità temporale dei fatti sopra citati, il termine di decadenza ex art. 30, comma 3, c.p.a. “ decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo ”;mentre la prescrizione quinquennale ex art. 2043 c.c., applicabile alla fattispecie in base alla pregressa giurisprudenza, richiede un’apposita eccezione, non proposta dalle controparti non costituite (trattasi di profili rimasti assorbiti nella motivazione della sentenza impugnata).
Tuttavia, a prescindere dai citati istituti decadenziali e prescrizionali, a norma dell’art. 1227, secondo comma, c.c., disposizione certamente applicabile ratione temporis al caso di specie, “ Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza .”.
4.3 Orbene, proprio l’omessa impugnazione nelle sedi a ciò utili degli atti amministrativi sopra citati e sicuramente conosciuti dalla ricorrente (nel 2013 è intervenuta la rituale notifica dell’occupazione d’urgenza effettuata con decreto del 15 maggio 2003;la precedente “dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità della opera in parola” era stata dichiarata con delibera di Giunta comunale n. 42 del 30 novembre 2002 che, quand’anche non conosciuta, avrebbe quantomeno potuto essere impugnata in via congiunta al successivo decreto d’occupazione) induce ad applicare la predetta norma, con conseguente esclusione di ogni risarcimento, considerata l’omessa coltivazione da parte della ricorrente delle proprie (eventuali) ragioni innanzi alla giurisdizione amministrativa.
Sul punto, è infondata l’obiezione dell’appellante (cfr. pag. 3 dell’atto d’appello), secondo cui < Quanto, poi, all’atto di avviso di immissione nel possesso e redazione del verbale di consistenza con il “nuovo” decreto di occupazione temporanea, le veniva sì notificato, ma solo del tutto tardivamente, nullamente ed inammissibilmente, nel maggio del 2003, allorchè già era pendente il giudizio intrapreso presso il Tribunale di Napoli – Sezione Distaccata di Marano (atto di citazione notificato il 22.2.2002) per cui doveva (e deve) ritenersi che una formale e sostanziale impugnativa avverso la così irrituale ed illegittima procedura espropriativa fosse da ritenersi ricompresa nella citazione introduttiva di quel giudizio. >.
Invero, il pregresso giudizio intrapreso innanzi al G.O., palesemente sfornito di giurisdizione rispetto al provvedimento amministrativo pacificamente conosciuto nel 2003, esclude il ricorrere di quell’uso dell’ordinaria diligenza cui l’art. 1227, secondo comma, c.c. condiziona la risarcibilità del (possibile) danno.
Le considerazioni che precedono sono dunque sufficienti a escludere la fondatezza della domanda risarcitoria da illegittimità provvedimentale e consentono d’assorbire l’esame di ogni altro connesso profilo qui non espressamente trattato.
4.4 Non occorre pronunciare sulle spese, stante la mancata costituzione dei soggetti convenuti.