Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-10-26, n. 202006491

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-10-26, n. 202006491
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006491
Data del deposito : 26 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/10/2020

N. 06491/2020REG.PROV.COLL.

N. 02971/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2971 del 2019, proposto da
General Logistics Systems Italy S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A L, Rosario Zacca', M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorita' per Le Garanzie Nelle Comunicazioni non costituito in giudizio;
Ministero dello Sviluppo Economico, Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Sardegna Servizi Espressi S.r.l., F.G.V. Autotrasportatori S.r.l. non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 00235/2019, resa tra le parti, concernente PER L'ANNULLAMENTO E/O LA RIFORMA,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. III, 8/1/2019, n. 235, non notificata .


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2020 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati A L, e l'avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame la società odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 235 del 2019 del Tar Lazio, di rigetto dell’originario gravame, proposto dalla stessa impresa al fine di ottenere l’annullamento della delibera dell’Autorità odierna appellata n. 246/17/CONS, che ha accertato la violazione, da parte di GLS Italy, degli obblighi informativi di cui all’art. 14-bis del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261 e ordinato alla medesima di pagare la somma di euro 40.000,00, a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione accertata, diffidando, nel contempo, la società dal porre in essere ulteriori comportamenti in violazione dell’art. 14-bis.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:

- error in procedendo e in iudicando in relazione al primo motivo di ricorso, contraddittorietà e travisamento della motivazione, violazione degli artt. 6 d.lgs. 261 del 1999, 1 e 8 Regolamento Titoli, 7 ss. del disciplinare in relazione agli artt. 2, n.1, 1-bis e 19, 6 e 9 della Direttiva 97/67/CE;
97 Cost., 1 e 10 l. 241 del 1990 nonché dei principi di ragionevolezza e proporzionalità;

- error in procedendo e in iudicando in relazione al secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, contraddittorietà e travisamento della motivazione, violazione degli artt. 24 Cost., 1, 3, l. 689 del 1981, 2, 6, 14-bis e 21 d.lgs. 261 cit., 3 e 10 l. 241 cit. e 2497 c.c., nonché dei principi di legalità e di clare loqui;

- error e in iudicando in relazione al quinto motivo di ricorso, contraddittorietà e travisamento della motivazione, violazione degli artt. 11 e 18 l. 689 cit. e della Delibera

AGCOM

265/15/CONS nonchè dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Le parti appellate si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.

All’udienza del 7 aprile 2020 la causa veniva rinviata in base alla normativa anti pandemia, ai sensi dell’art. 84 d.l. 18 del 2020.

Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2020 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, va esaminata l’istanza di rinvio, formulata dalla difesa di parte appellata in ragione della pendenza di ricorso per revocazione avverso una decisione resa dalla sezione in analoga controversia.

1.1 L’istanza non può essere accolta.

1.2 In linea generale, nel processo amministrativo nessuna norma processuale o principio generale attribuisce alle parti in causa un diritto al rinvio della discussione del ricorso, poiché il principio dispositivo, che pure informa il processo amministrativo, va contemperato con l'interesse pubblico alla sollecita definizione della controversia coinvolgente l'esercizio di pubblici poteri (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 17 maggio 2018, n. 2948).

Inoltre, nel processo amministrativo non è accoglibile la richiesta di rinvio della trattazione del gravame presentata dal ricorrente se non è stato prospettato, neppure nel corso della discussione della causa, un ragionevole elemento idoneo a giustificarlo, anche in ragione del necessario rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

1.3 In linea particolare, nel caso di specie, oltre a mancare l’accordo delle parti, l’istanza, formulata oltretutto dalla parte resistente in prime cure e appellata nella presente sede, non si fonda su alcun elemento direttamente incidente sulla vicenda in oggetto, se non a fronte dell’auspicio erariale che l’autonomo e straordinario rimedio impugnatorio attivato in altra sede e per altra vertenza possa sortire effetto favorevole. Non sussistono pertanto gli eccezionali presupposti che consentono, nel processo amministrativo di merito, il rinvio della trattazione, anche a fronte della piena esecutività dei provvedimento impugnati.

2. Passando all’analisi della controversia in esame, in via di ricostruzione della vicenda contenziosa va rilevato, preliminarmente, che la società General Logistics Systems Italy s.p.a. (di seguito “GLS”) è una delle società attraverso cui General Logistics System BV, appartenente al Royal Mail Group, fornisce servizi di corriere espresso in 41 Paesi europei. La società ‒ titolare di autorizzazione generale per l’esercizio dei servizi postali ‒ detiene, in Italia, i diritti di utilizzazione dell’omonimo marchio, rivestendo la qualifica di affiliante (franchisor) del network di corrieri espressi esercenti l’attività di autotrasporto sotto il marchio GLS. Gli affiliati (franchisees) al gruppo (in numero allo stato di 57) sono imprenditori autonomi e indipendenti che hanno stipulato con GLS singoli contratti di franchising con licenza di marchio GLS (“Affiliati”) e che, fra gli affiliati, rientra GLS Enterprise s.r.l. (“GLS Enterprise”), totalmente partecipata da GLS.

3. La vicenda in esame trae origine da un altro procedimento sanzionatorio avviato nei confronti di GLS con atto di contestazione n. 13/16 nell’ambito del quale era emerso che GLS, GESC, i 56 Affiliati nonché i Terzi Non Affiliati di cui si avvalgono alcuni Affiliati agirebbero come “componenti di un unitario centro di organizzazione imprenditoriale per l’offerta al pubblico di servizi di corriere espresso” sottoposto al “totale controllo” di GLS. Inoltre, l’AGCOM aveva constatato che mentre GLS e GLS 3 Enterprise erano in possesso dell’autorizzazione generale, GESC, alla data dell’ispezione, ne era sprovvista, così come risultavano altresì priva di autorizzazione l’Affiliato Sardegna Splendida Veloce S.r.l./Sardegna Servizi Espressi S.r.l. (“Affiliato Sardegna”) nonché alcuni Terzi Non Affiliati. Con ordinanza ingiunzione n. 58/17 l’AGCOM aveva, quindi, condannato la sola GLS per la violazione degli obblighi inerenti l’autorizzazione generale ex art. 27, c. 7, del D.Lgs. 261/99 a seguito del riscontrato mancato possesso del titolo abilitativo sui predetti soggetti. GLS ha impugnato il provvedimento innanzi al TAR Lazio che con sentenza n. 8151/2018 ha respinto il ricorso. Avverso tale sentenza è stato proposto appello accolto da questa sezione con sentenza 3111 del 2019, dalle cui conclusioni non vi sono ragione per discostarsi.

4. Per ciò che concerne in particolare la vicenda conteziosa ulteriore, oggetto della presente controversia, con riguardo all’anno 2016 (appunto oggetto del presente gravame) l’Autorità ha contestato la violazione dell’art. 14-bis cit. con delibera CONT. n. 1/17/DSP. Il procedimento avviato è quindi proseguito – ai sensi dell’art. 18 della Legge n. 689 del 1981 e dell’art. 9 del Regolamento di procedura in materia di sanzioni amministrative – con l’acquisizione delle memorie difensive della GLS e la successiva audizione dei rappresentati della società.

Il procedimento si è concluso con la delibera impugnata col ricorso respinto dalla sentenza qui appellata, n. 246/17/CONS, che ha accertato la violazione, da parte di GLS Italy, degli obblighi informativi di cui all’art. 14-bis del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261 e ordinato alla medesima di pagare la somma di euro 40.000,00, a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione accertata, diffidando, nel contempo, la società dal porre in essere ulteriori comportamenti in violazione dell’art. 14-bis.

L’AGCOM ha motivato il proprio provvedimento sulla base della considerazione che le “clausole” del contratto franchising e dell’allegato “regolamento generale GLS” attribuiscono a GLS il ruolo di società capogruppo, dotata di penetranti poteri di direzione e di coordinamento degli affiliati i quali, pur essendo soggetti giuridici distinti, solo entro certi limiti sono in grado di determinare autonomamente le modalità di gestione dell’attività. Stanti tali poteri decisori e di controllo, secondo l’AGCOM la GLS era tenuta a fornire tutte le informazioni richieste, ivi comprese quelle che, sebbene afferenti alle altre imprese coinvolte nel network, erano comunque nella sua piena disponibilità. Infatti, a causa dell’incompleta informativa di GLS Italy, nella Relazione 2016 sono stati considerati i soli ricavi della capogruppo e della affiliata GLS Enterprise, così rappresentando una quota di mercato dei servizi di corriere espresso, riferibile al network GLS, rivelatasi di molto inferiore a quella reale. L’incompletezza dei dati, pertanto, ha “pregiudicato le finalità della Relazione annuale 2016 dell’AGCOM impedendole una fedele rappresentazione del marcato di riferimento”.

5. Così ricostruita la vicenda contenziosa, è possibile passare all’esame dei motivi di gravame, in parte fondati, sulla scorta dell’orientamento già espresso dalla sezione con la sentenza n. 3111 del 2019, condivisa dal Collegio, cui occorre fare riferimento anche per evidenti ragioni di certezza.

6. Il primo motivo di appello ‒ incentrato sulla violazione della direttiva 97/67/CE ‒ è infondato.

6.1 Lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari ‒ in precedenza sottratto alle norme di concorrenza e caratterizzato dalla presenza di monopoli legali verticalmente integrati ‒ è stato avviato dall’Unione europea con la direttiva 97/67/CE (modificata con la direttiva 2008/6/CE), imponendo agli Stati membri l’abolizione (in via «progressiva e controllata») di qualsiasi forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore.

In base all’art. 1, comma 1, del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261 ‒ recante l’attuazione della predetta direttiva 97/67/CE e per il miglioramento della qualità del servizio ‒ la fornitura dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali nonché la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica costituiscono attività di preminente interesse generale. Su queste basi, vengono prefigurati diversi livelli di regolazione: sono previste attività in principio liberalizzate ma in relazione alle quali, per la particolare configurazione che presenta la realtà dei fattori del mercato con i relativi effetti, è necessario garantire il carattere comunque universale del servizio (art. 3 del d.lgs. n. 261 del 1999);
sono previste attività liberalizzate che non richiedono l’imposizione di specifici obblighi di servizio pubblico (art. 6);
era prevista una riserva legale di attività per “esigenze di ordine pubblico” con riferimento alle attività di notificazione, a mezzo posta, di atti giudiziari e di atti di accertamento della violazione del Codice della strada, la quale è però venuta meno, ai sensi dell’art. 1, comma 57, della legge 4 agosto 2017, n. 124, a decorrere dal 10 settembre 2017.

6.2 L’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 97/67 consente agli Stati membri di assoggettare le imprese del settore postale ad autorizzazioni generali per i servizi che esulano dall’ambito di applicazione del servizio universale, mentre il paragrafo 2, primo comma, del suddetto articolo, prevede la facoltà per gli Stati membri di introdurre procedure di autorizzazione per i servizi che rientrano nell’ambito di applicazione del servizio universale. Inoltre, l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, della citata direttiva, elenca gli obblighi ai quali può essere subordinato il rilascio di autorizzazione, senza che sia possibile dedurre dal suo disposto a quale categoria di autorizzazioni – quelle relative a tutti i servizi postali o quelle che riguardano solo i servizi che rientrano nell’ambito del servizio universale – si riferisce tale comma (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 16 novembre 2016, in C‑2/15). L’articolo 2, punto 19, della medesima direttiva, prima di elencare dette esigenze in modo tassativo, le definisce come motivi di interesse generale e di natura non economica che possono portare uno Stato membro ad imporre condizioni in materia di fornitura di servizi postali.

Sennonché, la normativa interna di attuazione, all’art. 6 del decreto-legislativo n. 261 del 1999, sembrava imporre, indistintamente e automaticamente, alle imprese che offrono servizi postali esulanti dal servizio universale di disporre di una autorizzazione generale – definita dall’art. 1, comma 2, lettera q), dello stesso decreto-legislativo come: «ogni autorizzazione che non richiede al fornitore di un servizio postale interessato di ottenere una esplicita decisione da parte dell'amministrazione competente prima dell'esercizio dei diritti derivanti dall’autorizzazione, indipendentemente dal fatto che questa sia regolata da una licenza per categoria o da norme di legge generali e che sia prevista o meno per essa una procedura di registrazione o di dichiarazione» –, senza che fosse previamente verificata la necessità di un’autorizzazione del genere al fine di garantire il rispetto di almeno una fra le esigenze essenziali. I dubbi di compatibilità con il diritto europeo suscitati dalla formulazione della disposizione sono stati tuttavia fugati dalla Corte di Giustizia.

6.3 In primo luogo, la Corte di Giustizia, con sentenza 31 maggio 2018, in C-259/16 e C-260/16, ha confermato la legittimità dell’inquadramento del servizio di «corriere espresso» nell’ambito dei servizi postali, ai sensi della direttiva 97/67/CE e la sottoposizione di tale attività all’autorizzazione generale. Infatti, benché sia possibile operare una distinzione fra il servizio universale e il servizio di corriere espresso, basata sulla sussistenza o meno di un valore aggiunto fornito ai clienti, per il quale essi accettano di pagare di più (in tal senso, la sentenza 15 giugno 2017, in C-368/15), è dirimente constatare che un simile criterio di differenziazione è del tutto privo di rilevanza quanto alla natura dei servizi elencati all’articolo 2, punto 1, della direttiva 97/67. La circostanza, quindi, che detti servizi apportino, eventualmente, un valore aggiunto non è tale da far venir meno la loro qualità di «servizi postali», ai sensi della menzionata disposizione.

6.4 Sotto altro profilo, la stessa Corte di Giustizia ha rilevato che la normativa nazionale italiana, la quale impone alle imprese (non solo di autotrasporto e di spedizione, ma anche) di corriere espresso di disporre di un’autorizzazione generale per la fornitura di servizi postali, è giustificata da due esigenze essenziali elencate all’articolo 2, punto 19, della direttiva 97/67, e segnatamente: il rispetto delle condizioni di lavoro e dei sistemi previdenziali (come si desume dagli artt. 6, comma 3, e 18-bis del decreto legislativo n. 261 del 1999, e dagli artt. 10 e 11, comma 1, lettera b, del regolamento in materia di titoli abilitativi) e la riservatezza della corrispondenza (come si desume dall’articolo 10, comma 8, del regolamento in materia di titoli abilitativi).

6.5 Sulla scorta degli elementi ermeneutici forniti dalla stessa Corte di Giustizia, deve altresì ritenersi che la normativa italiana, oltre che giustificata dalle predette esigenze essenziali, neppure eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito, anche tenuto conto che l’autorizzazione generale è considerata come concessa 45 giorni dopo la ricezione, da parte delle autorità competenti, dell’istanza dell’impresa interessata. L’appellante, del resto, non indica con precisione quali siano gli obblighi imposti dalla normativa in discussione nei procedimenti principali che potrebbero risultare sproporzionati, tranne quello relativo al finanziamento del servizio universale.

7. Con il secondo ordine di censure ‒ che in sostanza ripropongono il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso di primo grado, da trattarsi congiuntamente attesa la loro connessione argomentativa ‒, l’appellante sostiene che a GLS non potrebbe essere imputata alcuna responsabilità giuridica per le attività dei terzi (quale è la mancanza del titolo autorizzativo) per omessa vigilanza sul rispetto, da parte degli operatori affiliati, della normativa di settore in materia di titoli abilitativi all’esercizio dell’attività postale. Le imprese che fanno parte del gruppo GLS sono soggetti autonomi e indipendenti, godendo di libertà imprenditoriale nella gestione dell’attività, per la quale devono, pertanto, munirsi di un proprio titolo abilitativo, cosicché sarebbe necessario imputare ogni condotta soltanto in capo al soggetto direttamente responsabile.

Viene inoltre dedotto che, a prescindere dalla qualificazione del network in termini di franchising (come sostenuto dall’appellante) ovvero di gruppo societario (come preteso dall’Autorità), nessuna responsabilità potrebbe esserle attribuita per l’omesso possesso del titolo abilitativo da parte di terzi, in ragione dei principi in materia di sanzioni amministrative e della precipua normativa adottata dall’Autorità in materia di titoli abilitativi. Si aggiunge che gli asseriti oneri di vigilanza e controllo in capo a GLS sarebbero stati fatti discendere da mere facoltà contrattuali, laddove un tale compito sarebbe spettato unicamente all’Autorità preposta al controllo dei titoli abilitativi.

7.1 Va premesso che non sono contestate tra le parti le risultanze istruttorie:

La tesi dell’Autorità, avallata dal giudice di primo grado, può così compendiarsi:

- i diversi soggetti appartenenti al «gruppo» che svolgono le varie fasi del servizio postale gestito da GLS, sebbene distinti dal punto di vista giuridico, sono strettamente connessi, in modo da assicurare che la fornitura del servizio sia diretta e controllata da un «unico centro decisionale» in grado di assicurare uniformità nelle modalità di svolgimento e nei livelli qualitativi del servizio;

- al di là del mero dato formale degli assetti intraziendali, si tratta di una rete che non si risolve nella mera affiliazione commerciale e nell’uso di un determinato marchio (secondo la formula ordinaria del franchising), bensì è caratterizzata dall’esercizio concreto di una «direzione unitaria» da parte di GLS, con un forte potere di controllo sulla gestione dell’attività da parte degli altri soggetti del gruppo, funzionale ad assicurare i servizi postali forniti dal gruppo;

- nei settori regolati, come quello postale, la «società capogruppo» ha l’obbligo di verificare il corretto adempimento della regolamentazione adottata dall’Autorità di regolazione;

- attesi gli ampi poteri di controllo nei confronti delle «società del gruppo», GLS avrebbe potuto verificare il possesso dei titoli da parte di tutti i componenti della rete di impresa, o, comunque adottare opportune ed efficaci direttive volte ad assicurare che tutti gli operatori della filiera fossero in possesso delle abilitazione necessarie ad operare nel mercato dei servizi postali.

7.2 Ritiene il Collegio che tali statuizioni sono erronee sotto un duplice ordine di profili.

In primo luogo, il meccanismo di imputazione in capo a GLS delle attività poste in essere da tutte le altre imprese coinvolte nel servizio di corriere è rimasto privo di giustificazione giuridica.

L’insistito richiamo alla nozione di «gruppo» societario è fuorviante.

È noto che il legislatore non ha inteso dettare, né una nozione di gruppo (espressione che fa solitamente riferimento al fenomeno per cui imprese societarie formalmente autonome e indipendenti sono soggette a direzione unitaria, integrando un’unica impresa sotto il profilo economico), né una sua disciplina organica, bensì introdurre regole di responsabilità delle società o degli enti per abuso di direzione unitaria (la quale ricorre, ai sensi dell’art. 2497 c.c., in presenza dei seguenti presupposti: l’attività di direzione e coordinamento;
la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale;
l’agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui;
il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione;
la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società;
il nesso di causalità).

La sussistenza della direzione unitaria comporta una serie di ulteriori effetti organizzativi, quali: obblighi pubblicitari e informativi (art. 2497-bis c.c.);
obbligo di motivazione delle decisioni influenzate dalla direzione unitaria (art. 2497-ter c.c.);
diritto di recesso al ricorrere di specifici presupposti (art. 2497-quater c.c.);
l’applicazione ai finanziamenti infragruppo delle norme sui finanziamenti soci di s.r.l. (art. 2497-quinquies c.c.).

In definitiva, il gruppo societario è considerato come un “fatto”, coincidente con l’attività di direzione e coordinamento, rispetto al quale si pongono particolari esigenze di disciplina, sia sotto il profilo organizzativo, sia (soprattutto) sotto il profilo della tutela dei soci di minoranza e dei creditori della società dipendente.

Ebbene, nel caso in esame – sulla scorta dei fatti allegati in giudizio – non risulta che tra GLS e le altre imprese affiliate sussista quella situazione di controllo azionario di diritto o di fatto (art. 2359, comma 1, c.c.), in presenza della quale era lecito presumere ex lege (art. 2497-sexies, c.c.) una attività di direzione e coordinamento esercitata dalla società controllante (attività che costituisce un quid pluris rispetto al mero esercizio del controllo). Non operando tale presunzione, l’attività di direzione doveva essere dimostrata in concreto.

Neppure sono stati forniti elementi sufficienti a ritenere integrata la fattispecie del controllo contrattuale di cui all’art. 2497-septies, c.c. È necessario fornire sul punto qualche precisazione aggiuntiva.

7.3 La legge 6 maggio 2004, n. 129, ha introdotto una serie di disposizioni relative al contratto di franchising, denominato contratto di «affiliazione commerciale», con il quale un imprenditore inserisce un altro imprenditore nella propria catena distributiva, determinando un forte grado di integrazione e cooperazione. Il tipo contrattuale in esame costituisce espressione della tendenza, diffusasi negli ultimi anni, verso uno sviluppo «a rete» dell’impresa, la quale ha condotto allo «scorporo» di alcune fasi distributive (ma anche produttive: è il caso alla c.d. subfornitura) della grande impresa.

La disciplina introdotta dal legislatore intende delineare un quadro normativo di riferimento al fine di garantire uno sviluppo razionale del fenomeno collaborativo tra imprese di struttura e forza contrattuale diverse (connotate, nella maggioranza dei casi, da uno squilibrio informativo tra affiliante e aspirante affiliato). Del franchising il legislatore ha inteso fissare la nozione, il contenuto e la durata minima, gli obblighi delle parti, le sanzioni in caso di comunicazioni di informazioni false in fase di trattative precontrattuali. Il fondamento è quello di garantire, nella fase prodromica alla stipula del contratto di affiliazione commerciale, la trasparenza e la tutela dell’affidamento delle parti, e in particolare dell’aspirante affiliato, di regola soggetto «debole» del rapporto, il quale deve essere messo in condizione di conoscere preventivamente le informazioni essenziali relative al contratto che andrà a stipulare, al fine di prevenire comportamenti scorretti e favorire uno spirito di leale collaborazione tra le parti.

Ebbene, non tutti i contratti del tipo anzidetto – sol perché disciplinano una collaborazione strutturata tra soggetti economicamente e giuridicamente indipendenti – danno luogo ad una attività di direzione, ben potendo limitarsi a disciplinare una particolare forma di divisione del lavoro tra grandi aziende e imprese di dimensioni medio-piccole (c.d. «affidamento in outsourcing»), in cui gli affiliati sono incaricati di svolgere l’attività di distribuzione di beni o servizi di un altro imprenditore (nel caso in esame, ad esempio, il ciclo di lavorazione che caratterizza il servizio fornito da GLS prevede che il pacco del singolo utente sia lavorato, nella fase di raccolta dall’impresa x, nella fase di trasporto dall’impresa y, nella successiva fase di smistamento dall’impresa z, nella fase di recapito da altra impresa ancora).

Il collegamento “gerarchico” tra società è ravvisabile solo al cospetto di un contratto, in forza del quale più società autonome si «assoggettano» all’attività di direzione e coordinamento di una di esse. Ma, a tal fine, non sono sufficienti gli elementi addotti dall’Autorità, quali: l’unitarietà dell’immagine fornita, il marchio unitario, il sistema di tracciatura, l’omogeneità e l’uniformità del prodotto, l’esistenza di una rete per la tracciatura dei pacchi, le clausole che obbligano gli affiliati a svolgere l’attività in una zona circoscritta del territorio nazionale. L’attività di direzione – sebbene non necessiti della totale eterodirezione delle singole imprese – richiede pur sempre l’esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. In mancanza di tali presupposti, è dato ravvisare una attività di mero coordinamento, consistente nel realizzare un sistema di sinergie tra società diverse.

7.4 In definitiva, la sussistenza dell’attività di direzione e coordinamento – posta dal provvedimento impugnato a fondamento della sanzione – avrebbe dovuto essere accertata in fatto (non operando, come si è detto sopra, il sistema di presunzioni). L’Autorità avrebbe dovuto contestare atti formali a carattere negoziale (quali deliberazioni o accordi contrattuali, tra le società interessate), o anche di mero indirizzo (quali ordini di servizio, istruzioni, regole di comportamento), purché idonei ad influenzare significativamente le scelte gestionali della società.

Anzi, nella vicenda per cui è causa, sono stati forniti elementi di segno contrario alla tesi dell’assoggettamento contrattuale. Basti pensare che: il contratto non fissa alcun parametro in relazione al prezzo che i singoli affiliati applicano agli utenti (il punto 6 della Carta dei Servizi, stabilisce che «il prezzo del servizio è rimesso al tipo di servizio offerto ed è soggetto a libera contrattazione»);
non risultano clausole contrattuali che assegnino a GLS speciali prerogative nell’esternalizzazione da parte degli affiliati di parte dei servizi di loro spettanza in favore dei terzi non affiliati.

7.5 Ma anche prescindere dalla fonte (rimasta indimostrata) del potere di direzione e coordinamento, la fattispecie sanzionatoria per omesso controllo applicata dall’Autorità (GLS avrebbe omesso di vigilare sul rispetto, da parte degli affiliati e terzi non affiliati, della normativa di settore in materia di titoli abilitativi all’esercizio dell’attività postale) non ha sufficiente base legale.

La Corte Costituzione ha precisato come, dall’art. 25 della Carta, data l’ampiezza della sua formulazione, debba desumersi il principio secondo cui «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto» (sentenza n. 196 del 2010;
in senso analogo anche le sentenze n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014). Per quanto tali affermazioni siano state formulate con riferimento a uno dei corollari del principio di legalità, quello dell’irretroattività delle norme incriminatrici, tuttavia, esse sono parimente da riferire ad altro corollario di detto principio: il principio di tassatività e determinatezza delle norme sanzionatorie (in tal senso, la sentenza della Corte n. 121 del 2018).

Ad irrobustire le garanzie connesse al principio di legalità e delle tutele procedimentali e giurisdizionali, sta poi la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La nozione “sostanziale” enucleata dalla Corte di Strasburgo ‒ legata a tre criteri alternativi tra loro: la qualificazione dell’illecito operata dal diritto nazionale;
la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente;
la severità, ovvero la gravità del sacrificio imposto ‒ comporta infatti l’applicazione di garanzie molto significative (il diritto al giusto processo in materia civile e penale, di cui all’art. 6;
l’applicazione del principio nulla poena sine lege, di cui all’art. 7, e del principio ne bis in idem, ai sensi dell’art. 4, par. 1, del Protocollo n. 7) anche per l’emanazione di sanzioni amministrative.

La sanzione pecuniaria di cui si discute – la quale ha natura «penale» ai sensi dell’art. 7 della CEDU, in ragione della dimensione intrinsecamente «afflittiva» del suo importo complessivo – può venire disposta, nel rispetto del canone di prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile, soltanto «nei casi e per i tempi» considerati dalla legge (art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689).

7.6 Sennonché, la norma applicata – segnatamente: l’art. 21, comma 7, del d.lgs. n. 261 del 1999, secondo cui «[c]hiunque violi gli obblighi inerenti alla autorizzazione generale è punito con la sanzione pecuniaria amministrativa da cinquemila euro a centomila euro» –, non prevede alcuna forma di responsabilità in capo a soggetti diversi da quelli che abbiano omesso di dotarsi del necessario titolo abilitativo.

Anche qualora si reputasse possibile – in contrasto con i richiamati canoni di tassatività e determinatezza – estendere la portata dalla disposizione fino ad includere anche la culpa in vigilando di soggetti diversi da quelli che abbiano direttamente violato l’obbligo di munirsi del titolo, vale la pena osservare che comunque difetterebbe il correlativo “obbligo di garanzia” in capo all’odierna appellante: sia la legge n. 129 del 2004, sia le norme del codice civile sul gruppo societario, non prevedono in capo al franchisor e alla società controllante un obbligo di verifica circa il possesso da parte dei franchisees e delle società controllate delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle rispettive attività economiche.

7.7 Da ultimo, va rimarcato che il Collegio reputa assai grave la presenza sul mercato di operatori “abusivi”. Ritiene tuttavia che – in assenza di base legale – di tale violazione debbano rispondere direttamente coloro che hanno omesso il conseguimento del titolo abilitativo necessario.

8. Per le ragioni che precedono, l’appello risulta fondato e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere accolto.

Possono assorbirsi gli ulteriori motivi di appello, atteso che dal loro accoglimento la società appellante non ricaverebbe utilità sostanziali ulteriori rispetto a quelle già derivanti dall’illegittimità accertata.

Le spese di lite del doppio grado di giudizio vanno compensate, in considerazione dell’indubbia difficoltà ricostruttiva della vicenda.

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