Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-17, n. 201401326

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-17, n. 201401326
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401326
Data del deposito : 17 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08378/2002 REG.RIC.

N. 01326/2014REG.PROV.COLL.

N. 08378/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8378 del 2002, proposto dal signor L G, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, C D G e A C, con domicilio eletto presso A C in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

Comune di Bologna, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati L S, G S R e A C Castagna, con domicilio eletto presso G S R in Roma, via Orti della Farnesina, n. 126;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 01227/2001, resa tra le parti, concernente concessione edilizia in sanatoria su unità immobiliare


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2014 il Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti l’avvocato Beatrice Belli su delega dell'avvocato A C e G S R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il signor Gabriele L, comproprietario di un immobile, in data 13.12.1990 presentava domanda di concessione edilizia per lavori di ristrutturazione e di completamento inerenti la parziale variazione d'uso da abitazione ad ufficio.

Successivamente il signor L, avendo eseguito i lavori oggetto di variante senza attendere il rilascio della concessione, chiedeva il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell'art. 13 della legge n. 47 del 1985.

Il comune di Bologna, in data 23.3.1994, rilasciava la concessione in sanatoria, determinando altresì un contributo concessorio di £. 51.418.564, ripartito in oneri di urbanizzazione primaria per £. 7.556.420, oneri di urbanizzazione secondaria per £. 16.591.592, contributo commisurato al costo di costruzione per £.

1.561.592 ed oblazione per £. 25.709.282.

Avverso la concessione edilizia in sanatoria il sig. L proponeva ricorso (n. 1363/1994) al T.A.R. per l'Emilia Romagna, contestando l'eccessiva onerosità del contributo concessorio con riferimento all'intervento effettuato, che non avrebbe comportato modifiche essenziali dell'edificio e, pertanto, avrebbe dovuto essere configurato come meramente funzionale.

Con lo stesso ricorso il signor L sollevava questione d’illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge regionale n. 46/1988 nella parte in cui era stata prevista la "concessione" per tutti i cambi di destinazione di uso, compresi quelli meramente funzionali.

Nel frattempo il Comune di Bologna, non avendo provveduto il sig. L al pagamento del contributo concessorio, notificava, in data 19.8.1996, la cartella esattoriale n. 762503, relativa alla sanzione-oblazione ex art. 13 L. n. 47/1985 per l'importo di £. 104.447.128 oltre accessori.

Avverso la cartella esattoriale il signor L proponeva altro ricorso (n. 2120/1996) innanzi al T.A.R. per l'Emilia Romagna, deducendo la violazione degli artt. 1 e 2 della legge regionale n. 46/1988 (modificati dalla legge n. 6/1995), violazione dei principi di correttezza e buona amministrazione, nonché violazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990.

Il T.A.R., con sentenza n. 1227 del 25 ottobre 2001, depositata l'11 dicembre 2001, disposta la riunione dei giudizi, ha respinto entrambi i ricorsi.

In ordine al secondo ricorso proposto avverso la cartella esattoriale, i giudici di prime cure hanno ritenuto inammissibile il primo motivo di censura in quanto "la qualificazione dell'intervento assentito" era contestabile solo attraverso l'azione impugnatoria avverso il provvedimento autorizzatorio. Il secondo motivo di censura è stato, invece, ritenuto infondato in quanto il mancato pagamento dell'oblazione, nei termini previsti, determinava l'applicazione automatica della sanzione di cui all'art. 3 della legge n. 47/1985, senza alcun onere di preavviso da parte della amministrazione né preventiva messa in mora del soggetto obbligato.

Avverso la sentenza il sig. Gabriele L ha proposto appello.

Si è costituito in giudizio il Comune di Bologna che ha chiesto il rigetto dell'appello perché infondato e la conferma della sentenza del T.A.R. n. 1227/2001 che ha respinto gli originari ricorsi nn. 1364/1994 e 2120/1996. Il Comune di Bologna ha, inoltre, riproposto l'eccezione di inammissibilità del ricorso n. 2120/1996 (promosso avverso la cartella esattoriale n.762503/1996), per omessa notifica dello stesso al concessionario del servizio riscossione.

La causa è stata trattenuta per la decisione all'udienza pubblica del 4 febbraio 2014.

Con il primo motivo di appello l'appellante lamenta violazione degli artt. 3 e 25 della legge n. 47/1985, eccesso di potere per falso presupposto di fatto e diritto.

L'appellante sostiene che i lavori assentiti avrebbero natura funzionale e non strutturale, atteso che quelli effettuati all'interno dell'immobile sarebbero consistiti nella messa a norma degli impianti tecnici, nella sostituzione o eliminazione di tramezzi e nell'inserimento "in un più ampio contesto di un ambiente privo di qualsiasi autonomia strutturale … ". I lavori effettuati all'esterno sarebbero, invece, consistiti nel rendere funzionale una porta lasciando inalterato l'aspetto degli immobili.

L'appellante deduce, altresì, che il cambio di destinazione d'uso non avrebbe rilievo, in quanto l'immobile in questione sarebbe idoneo a svolgere, per le sue caratteristiche originarie, sia l'uso ad abitazione che a studio professionale.

In ordine a quanto assunto, giova evidenziare, preliminarmente, che i primi giudici hanno ritenuto che il pagamento del contributo concessorio fosse dovuto in quanto le opere realizzate erano state qualificate dallo stesso ricorrente come di ristrutturazione e parziale cambio di destinazione e che non si è, quindi, trattato di mutamento d'uso meramente funzionale. L’intervento era, pertanto, qualificabile di manutenzione straordinaria, ai sensi dell'art. 31 della legge 457/1978. Inoltre, i lavori hanno interessato un immobile vincolato ex legge n. 1089/1939, riconducibili per la loro natura a quelli qualificati dall'art. 7 del regolamento edilizio, all'epoca vigente, come di ristrutturazione ed assoggettati a concessione onerosa.

Quanto sostenuto dal T.A.R. è da condividere, atteso che la giurisprudenza è dell’avviso che gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia (Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 1996 n. 1551).

In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l’ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente. Anche in questi casi si configura il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 18 ottobre 2002 n. 5775;
Consiglio di Stato, sez. V , 23 maggio 2000 n. 2988).

Una "ristrutturazione" nei termini definiti dall'art. 31 comma 1 lett. d) della legge 5 agosto 1978 n. 457, si configura tale quando l'immobile sul quale si lavora resta immutato non solo nella forma, nel volume e nell’altezza, ma quando i lavori effettuati sono di lieve entità.

Come evidenziato analiticamente dal Comune, le opere assentite con la concessione in sanatoria non sono state, invece, di modesta entità, consistendo in "nuove forature e tamponatura di entrata", nel completo rifacimento degli impianti elettrico, idrosanitario, di riscaldamento e condizionamento e nella demolizione di parte del muro divisorio tra le originarie distinte unità immobiliari in questione, con conseguente accorpamento delle stesse.

Trattasi, pertanto, di opere di ristrutturazione la cui disciplina sul piano edilizio, non è, pertanto, dissimile da quelle di cui all'art. 31 lett. b) della legge 457/1978, che considera lavori di manutenzione straordinaria le modifiche rivolte a rinnovare e sostituire le parti anche strutturali degli edifici o a realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari o tecnologici, purché non ne siano alterati i volumi, le superfici e, soprattutto, la destinazione d'uso.

Come ritenuto dal Comune, quindi, gli interventi di manutenzione straordinaria, associati ad un cambio di destinazione d'uso sono sottratti al regime autorizzatorio e ricadono tra le ristrutturazioni assoggettate a concessione onerosa.

Con il secondo motivo di censura l'appellante lamenta l’omessa o l’inadeguata motivazione della sentenza nella parte in cui il mutamento d'uso è stato considerato non meramente funzionale e nella parte in cui è stato ritenuto "incontestato" l'art. 7 del regolamento edilizio che qualificava la manutenzione straordinaria, accompagnata dal cambio di destinazione d'uso, come lavori di ristrutturazione assoggettati a concessione onerosa.

Sul punto il T.A.R ha evidenziato che le opere realizzate non sono qualificabili di manutenzione straordinaria, atteso, come si è detto, che ciò è escluso dall'art. 3 della legge 457/1978, essendo intervenuto un mutamento d'uso dell’immobile vincolato ex legge n. 1089/1939 (su di esso è intervenuto il nulla osta della Sopraintendenza prot. n. 5461 del 6 agosto 1993) e i lavori effettuati erano espressamente e coerentemente qualificati dall'art. 7 del regolamento edilizio all'epoca vigente, di ristrutturazione, ed assoggettati, in quanto tali, a concessione onerosa. Ed è "incontestabile", anche, che la norma regolamentare non è stata espressamente impugnata contestualmente alla concessione in sanatoria, che di essa costituiva atto applicativo.

Circa la ricorrenza nel caso di specie delle previsioni di cui all'art. 7 della legge n. 241/1990 il T.A.R. si è espresso richiamando il contenuto di una sua precedente sentenza al riguardo ed ha anche chiarito, in termini condivisi da giurisprudenza ricorrente, che le sanzioni previste all'art. 3 comma 2 della legge n. 47/1985, per il mancato versamento nei termini di legge del contributo concessorio, si applicano automaticamente per effetto del ritardo, senza onere di preavviso né necessità di preventiva messa in mora dell'obbligato.

L'appellante, infine, ripropone la questione degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 259/1997, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 2 della legge regionale dell’Emilia Romagna n. 46/1988.

A parere dell'appellante, le questioni non definite, come nella fattispecie, nell'arco temporale tra il 26.11.1988 (data di entrata in vigore della citata legge regionale n. 46/1988) e il 18.2.1995 (data di entrata in vigore della legge regionale n. 6/1995 che ha sostituito la legge n. 46/1988), erano disciplinate dall'art. 25 della legge n. 47/1985, che prevedeva che per il cambio d'uso fosse sufficiente una semplice autorizzazione e non un provvedimento di concessione, con conseguente inapplicabilità dell'art. 3 della legge n. 47 del 1985.

La censura è irrilevante, atteso che la norma regionale dichiarata incostituzionale subordinava a rilascio di concessione edilizia, anziché a semplice autorizzazione, i mutamenti di destinazione d'uso senza opere;
ipotesi, questa, che non ricorre nella fattispecie, nella quale, come si è visto, sono stati realizzati i rilevanti interventi descritti, finalizzati alla modificazione di due immobili e al cambiamento della loro destinazione d'uso.

Con il terzo motivo di censura l'appellante eccepisce il difetto di motivazione della sentenza, laddove è stata disposta la condanna nei propri confronti alle spese di giudizio di primo grado.

La censura è infondata, atteso che, il T.A.R. ha applicato l'art. 26 del c.p.a., che prevede che in sentenza il giudice provvede anche alle spese del giudizio, a termini degli altri articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del c.p.c. e, nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente ritenuto che le spese, afferenti due giudizi unificati, dovessero seguire la soccombenza

Con il quarto motivo di censura, l'appellante insiste nel sostenere che il Comune avrebbe dovuto “avvertire l'interessato” dei gravi effetti che il decorso del tempo avrebbe prodotto a suo carico per il mancato pagamento dell'oblazione, con ciò violando i principi di correttezza e di buona amministrazione, nonché gli artt. 3 della legge n. 47/1985 e 7 della legge n. 241/1990.

Orbene, l'art. 3 della legge n. 47 del 1985 dispone, al secondo comma, che "il mancato versamento, nei termini di legge, del contributo di concessione di cui agli articoli 3, 5, 6 e 10 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, comporta … l'aumento del contributo", nelle misure ivi previste, mentre al quarto comma dispone che "nel caso di pagamento rateizzato le norme di cui al secondo comma si applicano ai ritardi nei pagamenti delle singole rate".

La norma, di chiara lettura, prevede espressamente, quindi, che una volta perfezionatasi la fattispecie che comporta il pagamento o "l'aumento del contributo", il Comune è tenuto ad attivarsi per riscuotere la somma di cui risulta creditore, senza alcuna necessità di segnalare al debitore inadempiente le conseguenze del superamento del termine di legge o di quello fissato in sede di rateizzazione per provvedere al pagamento di quanto dovuto (Cons. Stato, sez. IV, 20 agosto 2007, n. 4419).

Le osservazioni sopra esposte, che evidenziano l’infondatezza del gravame, consentono di prescindere dall’eccezione di inammissibilità, riproposta in questa sede dal Comune con riferimento al ricorso di primo grado n. 2120/1996, promosso avverso la cartella esattoriale n. 762503/1996.

Conclusivamente l'appello è infondato e va respinto.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in misura di E. 2.500,00 (duemilacinquecento/00) in favore del Comune appellato.

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