Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-09-03, n. 201304387

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-09-03, n. 201304387
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304387
Data del deposito : 3 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05612/2007 REG.RIC.

N. 04387/2013REG.PROV.COLL.

N. 05612/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5612 del 2007, proposto da:
Perfetti Claudio, rappresentato e difeso dall’avv. G B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via F. Paulucci de Calboli, 1;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione II quater , 6 marzo 2007, n. 2182, resa tra le parti, concernente sanatoria di fabbricato.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 21 maggio 2013 il consigliere A P e udito per l’amministrazione appellata l’avvocato dello dello Stato Gerardis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente ha impugnato innanzi il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio il decreto del Soprintendente per i beni ambientali ed architettonici del Lazio, adottato in data 2 maggio 2000, recante annullamento del provvedimento del Comune di Ariccia n. 85 del 13 dicembre 1999 con cui si esprimeva parere favorevole ai sensi degli artt. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, relativamente alla domanda di sanatoria di un villino abusivamente edificato dal ricorrente in località Marana.

Egli ha dedotto i seguenti motivi:

I) violazione dall’art. 82, comma 9, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 nel testo modificato dall’art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, per violazione del termine decadenziale di sessanta giorni entro il quale provvedere all’annullamento;

II) la Soprintendenza avrebbe erroneamente ritenuto il parere comunale insufficientemente motivato e si sarebbe sostituita alle valutazioni riservate all’autorità comunale, annullando l’autorizzazione in sanatoria sulla base di un proprio apprezzamento di merito, alla stessa precluso;

III) eccesso di potere per disparità di trattamento rispetto ad altri soggetti, autori di analoghi interventi abusivi, la cui sanatoria non è stata impedita dalla Soprintendenza, che li ha ritenuti compatibili con il contesto ambientale;

IV) eccesso di potere per erronea rappresentazione della realtà in quanto il Soprintendente avrebbe espresso una valutazione di non compatibilità delle opere abusivamente realizzate con il contesto ambientale, alquanto mutato rispetto al momento dell’imposizione del vincolo per effetto di un fenomeno di abusivismo diffuso, tale che la zona avrebbe ormai perduto l’originaria valenza paesistico-panoramica oggetto di tutela.

2. Il giudice di primo grado ha respinto la prima censura rilevando che il termine di sessanta giorni di cui all’art. 82, comma 9, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, attiene al solo esercizio del potere di annullamento, risultando l’ulteriore fase della comunicazione o della notificazione estranea alla prescrizione normativa e non potendo l’atto di annullamento ministeriale essere considerato di natura recettizia (Cons. St., VI, 10 febbraio 2006, n. 528).

Il giudice di primo grado ha rigettato anche la seconda censura prendendo le mosse dal parere comunale (annullato con il provvedimento soprintendentizio impugnato) che risultava così motivato: “Considerato che dall’esame istruttorio eseguito dall’Ufficio tecnico comunale in data 22 novembre 1999 è risultato che le opere previste nel progetto possono ritenersi compatibili con il contesto paesistico e panoramico vincolato con le previsioni del P.T.P.- Ambito territoriale n. 9”.

Il parere favorevole espresso dal Comune è stato ritenuto dalla Soprintendenza “viziato da eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione e da violazione di legge perché in contrasto con l’art.82, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616”.

Tale essendo il tenore letterale dell’atto impugnato, appare evidente che la Soprintendenza non ha inteso sovrapporre il proprio giudizio di merito alla valutazione di compatibilità dell’intervento operata dal Comune, ma ha soltanto rilevato che il parere comunale risultava inficiato da tipici vizi di legittimità, quali sono il contrasto dell’opera con le prescrizioni del PTP in materia di lotto minimo e di indici e valori edificatori puntualmente indicati ed il difetto di motivazione in merito alla compatibilità dell’intervento con i vincoli imposti dalla vigente disciplina paesistica ”.

La terza censura è stata disattesa perché la difesa erariale - le cui affermazioni sono rimaste incontestate - ha rappresentato che le costruzioni abusive ritenute meritevoli di autorizzazione in sanatoria erano riconducibili ai soli casi di edifici realizzati prima dell’entrata in vigore del vincolo;
sicché, attesa l’eterogeneità delle situazioni considerate, non era ipotizzabile alcuna disparità di trattamento nei confronti del ricorrente, che ha invece effettuato l’intervento abusivo in epoca successiva a quella sopraindicata.

In ogni caso l’eventuale sanatoria già concessa per interventi abusivi realizzati in precedenza nella medesima area, in quanto illegittima, non poteva essere invocata per pretendere l’estensione di illegittimità commesse.

In ordine alla quarta censura il giudice di primo grado ha rilevato che, pur dovendosi riconoscere l’obiettivo degrado della zona interessata dal manufatto abusivo, tal circostanza non vale ad inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, finalizzato, comunque, a salvaguardare il residuo valore paesistico delle zone ancora non del tutto compromesse. “ Salva restando, ovviamente la possibilità di attivare il procedimento per la rimozione del vincolo al fine di adeguare lo strumento di pianificazione paesistica, ormai divenuto obsoleto, alle modifiche ambientali sopravvenute qualora l’effettivo stato dei luoghi sia, a giudizio degli organi competenti, irrimediabilmente compromesso ”.

3. L’interessato ha proposto ricorso in appello reiterando le censure dedotte in primo grado.

4. Il motivo relativo alla decadenza nell’esercizio del potere di annullamento, per superamento del termine perentorio di sessanta giorni, è infondato, alla luce della costante giurisprudenza della Sezione: “ Il termine di sessanta giorni originariamente previsto dall’art. 82, nono comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dalla l. 8 agosto 1985 n. 431, si riferisce non alla comunicazione, ma all’adozione del provvedimento ministeriale (non recettizio) di annullamento del parere favorevole espresso dall’amministrazione cui compete esprimersi in merito alla compatibilità paesaggistica. Eguale conclusione vale con riferimento a quanto dispone, in merito, l’art. 159, d.lgs. n. 42 del 2004, che, sul punto, non innova al regime previgente ” (Cons. St., VI, 18 aprile 2011, n. 2378).

Il termine originario è stato interrotto dalla richiesta di chiarimenti documentali, inviata in data 14 febbraio 2000 e quindi certamente tempestiva rispetto alla data di ricezione della documentazione originaria pervenuta in data 29 dicembre 2009.

D’altro canto la richiesta di integrazione documentale, ritenuta inidonea a interrompere il termine, viene contestata in maniera estremamente generica, affermandosi, ma non specificando, che trattavasi di documento del tutto secondario, cosicché deve ribadirsi la legittimità della richiesta istruttoria.

5. Il parere comunale (annullato con il provvedimento soprintendentizio impugnato) risultava così motivato: “ Considerato che dall’esame istruttorio eseguito dall’Ufficio tecnico comunale in data 22 novembre 1999 è risultato che le opere previste nel progetto possono ritenersi compatibili con il contesto paesistico e panoramico vincolato con le previsioni del P.T.P.- Ambito territoriale n. 9 ”.

Il parere favorevole espresso dal Comune è stato ritenuto dalla Soprintendenza “ viziato da eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione e da violazione di legge perché in contrasto con l’art.82, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ”.

L’autorità deputata alla gestione del vincolo deve esporre compiutamente le ragioni per le quali essa ritiene l’opera compatibile con la sussistenza del vincolo.

Nel caso di specie risulta evidente che il parere rilasciato dal’’autorità comunale si risolve in una mera affermazione di principio, affetta quindi dal vizio di difetto di motivazione indicato nel provvedimento impugnato. La Sezione, ancora di recente, ha avuto modo di affermare: “ Il divieto per la soprintendenza di effettuare valutazioni di merito intorno all’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune sussiste soltanto se l’ente che rilascia l’autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera. In caso contrario gli organi ministeriali possono annullare il provvedimento adottato per difetto di motivazione e indicare, anche per evidenziare il vizio di eccesso di potere dell’atto esaminato le ragioni di merito, sorrette da un puntuale indicazione degli elementi concreti della specifica fattispecie, che concludono per la non compatibilità delle opere edilizie con i valori tutelati ” (Cons. St., VI, 9 aprile 2013, n. 1905).

6. “ In caso di impugnazione giurisdizionale di determinazioni amministrative di segno negativo fondate su una pluralità di ragioni (ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento), è sufficiente che una sola di esse resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti indenne dalle censure articolate ed il ricorso venga dichiarato infondato, o meglio inammissibile in parte qua, per carenza di interesse alla coltivazione dell’impugnativa avverso l’ulteriore ragione ostativa, il cui esito resta assorbito dalla pronuncia negativa in ordine alla prima ragione ostativa ” (Cons. St., VI, 5 marzo 2013, n. 1323).

7. Alla luce del predetto principio giurisdizionale le ulteriori censure possono essere assorbite in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe scalfire il provvedimento impugnato che si fonda legittimamente sull’accertato vizio di difetto di motivazione del provvedimento sottoposto all’esame dell’autorità statale.

8. In conclusione il ricorso va rigettato con compensazione delle spese di giudizio per giusti motivi.

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