Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-07-07, n. 202205647

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-07-07, n. 202205647
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205647
Data del deposito : 7 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/07/2022

N. 05647/2022REG.PROV.COLL.

N. 07654/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7654 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G M, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) -OMISSIS- resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2022 il consigliere A R e udito per la parte appellante l’avvocato Murolo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso ex art. 116 Cod. proc. amm. l’odierno appellante impugnava innanzi al TAR Lazio il provvedimento della Procura Generale presso la Corte di Cassazione del 12 aprile 2021, comunicato con nota del -OMISSIS-, di diniego di accesso agli atti inerenti il procedimento disciplinare nei confronti di quattro magistrati del distretto della Corte d’Appello di-OMISSIS-, attivato su suo esposto, in uno ad ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, se e in quanto lesivo della sua posizione giuridica;
domandava quindi che, dichiarata l’illegittimità dei provvedimenti di diniego gravati per violazione di legge in relazione agli artt. 22 e ss. L. 7 agosto 1990, n. 241 , nonché per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. e accertato il suo diritto all’accesso, venisse ordinata alle amministrazioni intimate l’ostensione degli atti richiesti.

2. Esponeva in fatto: - di essere stato imputato nel procedimento penale iscritto al n. -OMISSIS- della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia presso il Tribunale di-OMISSIS- (proc. c.d. “-OMISSIS-”), per fatti in relazione ai quali era stata emessa la sentenza della Corte d’appello di-OMISSIS- n. -OMISSIS-, avverso la quale era stato proposto ricorso per cassazione, ancora pendente;
- di aver depositato, in data 25.7.2019, presso la cancelleria del Presidente della Corte d’Appello di-OMISSIS-, un esposto nei confronti dei componenti del collegio giudicante della -OMISSIS-di detta Corte, che aveva emesso la suddetta sentenza, nonché del -OMISSIS-, denunciando “l’indebita partecipazione di quest’ultimo alla camera di consiglio, tenutasi i giorni 18 e 19 luglio 2019, e, quindi, la violazione del principio di segretezza” ;
- di aver poi integrato l’esposto con altri scritti evidenziando che il predetto Presidente della Sezione Penale, “intrattenutosi senza alcun giustificato motivo per circa un’ora e mezzo nel locale ove si era riunito il collegio in camera di consiglio, aveva presieduto in precedenza il -OMISSIS-, trattando nel merito la posizione di un coimputato, e concorrendo all’emissione dell’ordinanza del 5/10/2015” ;
- che tanto l’esposto quanto le successive integrazioni erano trasmesse agli organi competenti per l’avvio del procedimento disciplinare nei confronti dei predetti magistrati;
- che la Procura Generale presso la Suprema Corte di Cassazione: a) con missiva del 31 dicembre 2019 forniva, quale unica notizia ostensibile , che gli esposti trasmessi erano oggetto di valutazione ; b) con comunicazione del 9 giugno 2020 informava il richiedente, sempre quale unica notizia ostensibile, che l’esposto era stato definito e che in altro procedimento costituiva oggetto di valutazione ; c) con comunicazione dell’8 marzo 2021, informava l’esponente, quale unica notizia ostensibile, che i procedimenti originati dall’esposto erano stati definiti .

2.1. Pertanto, dopo aver premesso che la richiesta di accesso agli atti, per come formulata, non rientrava nella categoria dell’accesso generalizzato , bensì in quella dell’accesso documentale ordinario di cui all’art. 22 della l. 241/1990- che consente di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi agli interessati, tali essendo “ tutti i soggetti privati […] che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” - precisava di aver interesse ad ottenere gli atti richiesti per tutelare la propria posizione nell’ambito del processo penale ancora pendente.

In particolare, assumeva che la documentazione richiesta era necessaria per sostenere il motivo di nullità dedotto con il ricorso per cassazione proposto avverso la citata sentenza -OMISSIS-, per asserita violazione dell’art. 125 n. 4 c.p.p., che impone al giudice di deliberare in camera di consiglio “senza la presenza dell’ausiliario designato ad assisterlo e delle parti” e statuisce che “la deliberazione è segreta” , e che ciò aveva evidenziato anche nell’istanza avanzata dal proprio difensore, il 30 marzo 2021, alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione (avente ad oggetto “richiesta di accesso agli atti (l. 241/90 e ss.mm.ii. e D.Lgs. 33/2013/Richiesta documentazione ex art. 391 quater c.p.c.”) , ove si era difatti sostenuto che la “presenza indebita del quarto Giudice” in camera di consiglio (il quale aveva peraltro, quale Presidente del Tribunale del Riesame, trattato una similare posizione di un coimputato) avrebbe comportato l’invalidità della deliberazione e la conseguente nullità della sentenza.

2.2. Lamentava che, tuttavia, con il provvedimento impugnato la Procura Generale presso la Corte di Cassazione aveva respinto la richiesta di accesso agli atti alla luce dei principi affermati dalla sentenza del Consiglio di Stato, -OMISSIS-, soggiungendo, inoltre, che l’accesso sarebbe stato consentito solo e qualora l’interessato avesse proceduto contro i magistrati in sede civile ex art. 9, comma 2, L. 13 aprile 1988, n. 117 ( “Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati ).

3. Con la sentenza in epigrafe, nella resistenza del Ministero della Giustizia, il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato.

4. Avverso la sentenza l’originario ricorrente propone appello, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e invocandone l’integrale riforma.

4.1. Si è costituito anche nel presente giudizio il Ministero intimato, argomentando l’infondatezza dell’appello e concludendo per il suo rigetto.

4.2. Con ordinanza n. -OMISSIS- il Collegio respingeva l’istanza cautelare, difettandone i presupposti di legge.

4.3. Alla camera di consiglio del 10 marzo 2022, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. L’appellante contesta la sentenza anzitutto per eccesso di potere sub specie di carenza di motivazione .

Lamenta infatti che la decisione appellata abbia respinto il ricorso con motivazione lacunosa, inadeguata e affatto convincente, priva di specifica valutazione dei fatti di causa e fondata sul mero astratto richiamo al precedente di questa Sezione n. -OMISSIS-, che ha affermato la natura giurisdizionale , e non amministrativa , degli atti dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati.

La sentenza si sarebbe così acriticamente appiattita sui detti principi giurisprudenziali, senza però ricostruire la fattispecie oggetto di giudizio sì da verificarne la concreta applicabilità al caso deciso.

1.2. Con altro ordine di censure l’appellante ha poi contestato l’erronea classificazione degli atti del procedimento disciplinare avviato a carico di magistrati, sostenendone la riconducibilità alla categoria degli atti amministrativi e perciò l’insussistenza di divieti ex lege alla loro ostensibilità.

In particolare, ragioni ostative o limitazioni all’accesso richiesto non potrebbero desumersi dalle norme di cui agli artt. 15 e 16 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 ( Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150 ), dalla quale neppure potrebbero trarsi validi argomenti positivi per suffragare la tesi della natura giurisdizionale di tali atti, salvo il generico riferimento (di cui all’art. 16 comma 2 della legge citata) all’osservanza, per l’attività di indagine, delle norme del codice di procedura penale, in quanto compatibili e con le eccezioni previste dalla legge.

1.3. L’appellante ha poi lamentato l’omessa delibazione da parte della sentenza delle censure con cui si era sostenuta la violazione, ad opera dei provvedimenti impugnati, degli artt. 3, 24 e 111 Cost., evidenziando che l’accesso richiesto fosse strumentale al diritto di difesa in giudizio, in attuazione dei principi del giusto processo, rispetto al quale il diritto alla riservatezza dovrebbe considerarsi, a suo avviso, sempre recessivo e cedevole.

1.4. Ha infine richiamato quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui “può ritenersi jus receptum il principio di ostensibilità dell’esito del procedimento penale e della motivazione ad esso sottesa , ove la richiesta provenga dall’autore dell’esposto e tale conoscenza sia rilevante a fini difensivi” (Cons. Stato, Ad. Plen. 20 aprile 2006, n. 7), nonché la decisione del TAR Lazio n. -OMISSIS- (riformata in appello da Cons. Stato, V, -OMISSIS-), secondo la quale la parte lesa da un comportamento disciplinarmente rilevante (quale egli appellante sarebbe nella presente fattispecie) è titolare di un interesse qualificato all'ostensione degli atti del relativo procedimento la cui conoscenza sia strumentale alla tutela in giudizio, come previsto dall’art. 24, comma 7, della L. n. 241/ 1990 a mente del quale “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” .

Ha dunque ribadito come nel caso di specie l’acquisizione degli atti procedimentali in parola sia assolutamente necessaria per poter provare una circostanza (non altrimenti dimostrabile) determinante ai fini dell’eventuale declaratoria di nullità della sentenza penale di appello.

2. L’appello, ritiene il Collegio, è infondato.

3. Deve, in primo luogo, evidenziarsi come la motivazione del provvedimento impugnato si fondi tra l’altro ( ma non solo , per quanto innanzi si dirà) sul richiamo ai principi di recente affermati dal precedente di questo Consiglio di Stato, -OMISSIS-, correttamente richiamato anche dalla sentenza appellata, reso in analoga fattispecie (laddove pure, a fronte di una richiesta di accesso agli atti del procedimento disciplinare, la cui conoscenza si assumeva rilevante a fini difensivi, proveniente sempre dall’autore dell’esposto- in quel caso un altro magistrato-, era stato comunicato dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione che “l’unica notizia ostensibile è che il procedimento originato dall’esposto è stato definito” ).

3.1. In particolare tale decisione, con statuizioni che il Collegio condivide e dal quale non si intravede qui ragione alcuna per discostarsi, pur dichiarando improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’appello contro la sentenza di prime cure (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, n. 13332 dell’11 dicembre 2020, menzionata dall’appellante a suffragio delle proprie tesi), essendo stati già nelle more del giudizio ostesi gli atti richiesti, ha affermato, ai soli fini del regolamento delle spese secondo il principio di soccombenza virtuale, che nel merito lo stesso sarebbe stato fondato giacché “gli atti del procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari non sono atti amministrativi secondo la disciplina sull’accesso ex art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ma casomai giurisdizionali, sulla scorta degli artt. 15 e 16 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 [Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150]. Sicché rispetto ad essi non valgono le esigenze di ordine generale a fondamento dell’accesso nei confronti dell’attività di pubblico interesse dell’amministrazione, consistenti nel «favorire la partecipazione e (…) assicurarne l’imparzialità e la trasparenza» (art. 22, comma 2, l. n. 241 del 1990)” .

3.2. Nondimeno, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, l’astratto richiamo ai su riportati principi (che sarebbe già di per sé assorbente e decisivo) non costituisce affatto unica ragione posta dal provvedimento impugnato, prima, e dalla sentenza appellata, poi, a base del diniego di accesso agli atti del procedimento.

3.3. Infatti, come la sentenza di primo grado contiene un’analitica ricostruzione della fattispecie concreta oggetto di giudizio ai fini della sussunzione in quella astratta e la specifica valutazione dei fatti rilevanti di causa, pienamente adempiendo al dovere di motivazione non esauritosi affatto nel riferimento a principi giurisprudenziali asseritamente acquisiti (sicché il sillogismo che distingue il giudizio non è affatto monco, come sostiene l’appellante, della premessa minore e, indi, privo della conclusione razionale ), così pure la motivazione del provvedimento di rigetto dell’istanza, contestualizzata la vicenda sottesa all’istanza di accesso (formulata sia ai sensi della legge n. 241 del 1990, che disciplina l’accesso documentale ordinario, sia ai sensi del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni , nonché ex art. 341 quater c.p.p. che contempla la richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione rivolta dal difensore ai fini delle indagini difensive), illustra compiutamente, con motivazioni non illogiche né irragionevoli o erronee, perché ben possano qui trovare applicazione i principi affermati da quella giurisprudenza che, in relazione alla fattispecie in esame (accesso agli atti del procedimento predisciplinare), ha affermato “l’inesistenza del diritto di accesso con riguardo agli istituti sia dell’accesso “documentale”, sia dello stesso “accesso civico generalizzato” (sentenze del Consiglio di Stato, sezione V, 6 aprile 2020, n. -OMISSIS-) ;
nel contempo, richiama altresì i conformi principi affermati dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, che ha rigettato istanze analoghe di rilascio di copia del provvedimento di definizione di esposto disciplinare, spiegando anche che, per le medesime ragioni (essenzialmente correlate all’esclusione della natura di atti amministrativi di detti documenti), non è qui applicabile neanche l’art. 341 quater c.p.p. (pure citato nell’istanza presentata dal ricorrente), che concerne esclusivamente i “documenti amministrativi” in possesso della pubblica amministrazione e non anche gli atti giudiziari.

3.4. Giova infatti evidenziare che le decisioni correttamente richiamate dal provvedimento impugnato, con orientamento che il Collegio condivide, hanno chiarito che l’accesso generalizzato non è consentito in presenza di una normativa di settore che preveda “specifiche condizioni, modalità o limiti” all’accesso, quale qui quella contenuta nel d.lgs. n. 109 del 2006, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati e del relativo procedimento per l’applicazione delle sanzioni.

3.5. Ad ogni modo anche a voler ritenere qui applicabile, come sostiene l’appellante, unicamente la disciplina dell’accesso documentale tradizionale , o ordinario , previsto dalla legge sul procedimento amministrativo (sebbene, come evidenziato, l’istanza di ostensione sia stata formulata anche ai sensi del d.lgs. n. 33 del 2013 che disciplina il c.d. accesso civico), non sussistono qui comunque i presupposti di legge per dichiarare il diritto di accesso del ricorrente agli atti richiesti.

Infatti, l’accesso documentale ordinario consente un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente di carattere fondamentale (generalmente a fini difensivi).

3.6. Nel caso di specie manca, tuttavia, come rilevato nel provvedimento impugnato, tanto la previa dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, quanto la relazione di stretta ed esclusiva strumentalità agli interessi individuali dell’istante , posto in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, che caratterizzano l’accesso documentale ordinario secondo la disciplina di legge (come è segno la constatazione per cui la legge n. 241 del 1990, all’art. 24, comma 3, ne esclude espressamente, con la previsione di inammissibilità di istanze a ciò preordinate, l’utilizzabilità ai fini di un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, essendo, quest’ultima, finalità estranea alla tutela dell’interesse privato ed individuale che legittima e giustifica l’ostensione documentale: cfr. in termini Cons. Stato, V, 6 aprile 2020, n. -OMISSIS-, alla quale si rinvia per la puntuale disamina ivi tracciata degli istituti e delle differenti finalità dell’accesso documentale ordinario e dell’accesso civico, sia semplice che generalizzato).

3.7. Ed infatti, in disparte le considerazioni sulla natura para-giurisdizionale degli atti concernente la fase pre-disciplinare avviata su segnalazione del ricorrente (natura che non è invero, per quanto anzidetto, revocabile in dubbio, essendo detta fase strutturata secondo un modulo para-giurisdizionale, in quanto regolata in conformità al codice di procedura penale e funzionale al corretto esercizio dell’azione disciplinare a carico dei magistrati), le ragioni sottese al diniego di accesso non si esauriscono nel mero aprioristico richiamo a principi giurisprudenziali relativi a tale specifica tipologia di atti, avendo il provvedimento impugnato chiarito, da un lato, perché non sia qui neppure ipotizzabile un vulnus alla posizione giuridica dell’esponente, dall’altro che non è comunque in concreto identificabile un interesse all’accesso agli atti e al provvedimento definitorio del procedimento.

3.7.1. Per quanto concerne il primo profilo, il provvedimento impugnato evidenzia infatti che, essendo la responsabilità disciplinare “preordinata esclusivamente a sanzionare la violazione dei doveri funzionali del magistrato nei confronti dello Stato” e non trattandosi di procedimento “pregiudiziale (e pregiudicante)” rispetto agli altri rimedi (interni ed esterni al processo), la tutela del diritto asseritamente leso può e deve essere assicurata esclusivamente all’interno del processo , attraverso gli strumenti previsti dalla legge processuale e all’uopo preordinati (anche con riguardo alle situazioni ipotizzate nell’istanza, “eventualmente influenti sulla ritualità e validità degli atti processuali” ) ovvero, nei casi nei quali sia ipotizzabile la responsabilità del magistrato, ai sensi della legge n. 117 del 1998, facendosi così valere un diritto al risarcimento mediante la proposizione dell’azione civile, in alcun modo pregiudicata dalla giurisdizione disciplinare.

Inoltre, il provvedimento impugnato sottolinea che nella fattispecie in esame non è stato avviato in concreto alcun procedimento disciplinare, concernendo la pretesa soltanto un procedimento predisciplinare , definito, con conseguente inammissibilità dell’accesso agli atti di quella fase procedimentale.

3.7.2. Con riguardo invece al secondo profilo (vale a dire la sussistenza di un concreto interesse all’accesso agli atti e al provvedimento definitorio del procedimento predisciplinare), il diniego gravato, oltre alle precedenti considerazioni svolte, afferma correttamente che tali atti “in nessun modo e in nessun punto” condizionano negativamente la tutela della situazione giuridica dell’esponente, che potrà e dovrà esplicarsi “mediante gli ordinari rimedi stabiliti dalla legge processuale anche in punto di validità e ritualità degli stessi” .

3.8. Alla luce delle su indicate motivazioni, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato abbia bene escluso, con argomentazioni non illegittime ed esenti dai vizi dedotti, la sussistenza sia di un interesse diretto, concreto e attuale , corrispondente a una situazione giuridica tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l’accesso (Cons. Stato, V, 21 agosto 2017, n. 4043), sia di un nesso di strumentalità tra la situazione giuridicamente tutelata e l’ostensione della documentazione oggetto di istanza.

3.8.1. Ed invero, l’appellante non ha in alcun modo dimostrato la sussistenza di reali ed effettive esigenze difensive correlate alla richiesta ostensione documentale, tali da rendere necessaria la conoscenza degli atti in questione per curare e difendere i propri interessi in giudizio: egli infatti si è limitato ad adombrare nell’istanza, con mere illazioni del tutto sfornite di adeguato supporto probatorio (tant’è vero che egli stesso riconosce di non disporre di alcuna prova confortante l’eccepita nullità della sentenza penale), la circostanza esterna, accidentale e del tutto irrilevante concernente l’asserita permanenza, per un certo tempo, nei locali ove si era già svolta la camera di consiglio- secondo la tempistica indicata nella stessa richiesta di accesso- di un altro magistrato, presenza che non appariva invero affatto ingiustificata, straordinaria o singolare, come sostiene l’appello, trattandosi del Presidente della stessa Sezione penale di cui facevano parte i componenti del collegio giudicante;
ma non ha minimamente fornito elementi probatori, anche solo a livello indiziario, che il magistrato abbia in qualche modo partecipato o concorso alla formazione dell’ iter decisionale, così pregiudicando, come asserito, la segretezza della deliberazione o la capacità del collegio giudicante.

3.8.2. Ne segue che, considerato che correttamente il diniego di accesso ha escluso che alla conoscenza dei documenti in questione sia correlata alcuna utilità presumibilmente ricavabile dal richiedente, sia in relazione alla situazione giuridica sottesa alla domanda di accesso che all’interesse ivi dedotto, deve in definitiva escludersi che alcuna apprezzabile lesione o potenziale pregiudizio possa in effetti derivare agli interessi sostanziali di parte appellante dagli atti impugnati, in effetti ben potendo (e dovendo) la tutela dei medesimi interessi prospettati dall’istante esplicarsi mediante gli ordinari rimedi predisposti dall’ordinamento, anche in punto di validità e ritualità degli atti processuali concernenti il giudizio penale.

3.8.3. Inoltre, la mera qualità di autore dell’esposto (che peraltro nel caso di specie non ha dato luogo a un procedimento disciplinare), qualità sulla quale l’appellante ha esclusivamente fondato l’asserito diritto di accesso, è circostanza di suo inidonea a radicare in detto autore, in assenza di altri elementi, la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241/1990, legittima all’accesso nei confronti degli atti del procedimento predisciplinare che da quell’esposto ha tratto origine (in tal senso è anche la citata Cons. Stato, Ad. Plen. 20 aprile 2006, n. 7).

3.9. In conclusione, per le sopra esposte considerazioni, va dunque confermata la declaratoria di legittimità del diniego di accesso documentale impugnato in prime cure, a fronte di una richiesta del tutto generica e con funzione meramente esplorativa, non assistita da alcun comprovato e qualificato interesse di tipo “difensionale” tutelato dall’ordinamento.

4. L’appello va, pertanto, respinto.

5. Sussistono nondimeno giusti motivi, per la complessità e parziale novità delle questioni trattate, per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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