Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-10-12, n. 201604207
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Testo completo
Pubblicato il 12/10/2016
N. 04207/2016REG.PROV.COLL.
N. 05340/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5340 del 2007, proposto dai signori L M e L A E, rappresentati e difesi dall'avvocato G L, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Mazzini, 134;
contro
Comune di Rio nell'Elba, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato P S, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, viale delle Milizie, 2;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Toscana - Sezione I - n. 3230 del 25 luglio 2006, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. Nicola Russo e udito per la parte appellata l’avvocato Richiello (per delega Stolzi);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I Sigg.ri Marcello e Alberto Edoardo Lanza sono comproprietari di un appezzamento di terreno di circa 2.900 mq, sito nel Comune di Rio nell’Elba in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale ed idrogeologico, sul quale insistono un antico fabbricato rustico ed un altrettanto antico mulino, primo di una serie.
1.1. Nel 1997 gli odierni appellanti chiedevano il rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di n. 16 villette a schiera con piscina condominiale sul predetto terreno. Nelle more del procedimento autorizzatorio, il Comune di Rio nell’Elba adottava, con delibera consiliare del 9 aprile 1999 n. 12, il Piano Strutturale (P.S.) ai sensi della L.R.T. n. 5/1995, approvato definitivamente con delibera del 24 febbraio 2000 n. 16.
1.2. In detto Piano si prevedeva, tra l’altro, la perimetrazione dell’area di proprietà degli appellanti all’interno della più vasta Unità Territoriale Omogenea Elementare (U.T.O.E.) n. 7 denominata “Valle dei Mulini”, classificata come area di interesse storico, inoltre, si fissavano degli obiettivi di recupero e valorizzazione dei manufatti agricoli e dei mulini ivi esistenti, disponendo, in regime di salvaguardia, la sospensione delle previsioni del Piano di Fabbricazione previgente eccedenti il restauro, la manutenzione straordinaria e la ristrutturazione edilizia degli edifici esistenti. In aggiunta, si individuavano le dimensioni massime ammissibili dei carichi insediativi, indicate in quelle esistenti, incrementabili solo per recupero o ampliamento di edifici esistenti, aventi già caratteristiche residenziali o miste.
1.3. Successivamente, con delibera del 26 aprile 1999 n. 17, il Consiglio comunale adottava il Regolamento Urbanistico (R.U.), definitivamente approvato con la delibera del 31 luglio 2001 n. 39, nel quale si prevedeva la disciplina urbanistica esecutiva delle previsioni del P.S. per la “Valle dei Mulini”, volta al recupero degli originari insediamenti, con esclusione della possibilità di un’espansione edilizia per il terreno di proprietà degli appellanti.
2. Con ricorso al TAR per la Toscana, n.r.g. 2706/2001, notificato in data 14 novembre 2001, i Sigg.ri Lanza impugnavano la deliberazione del consiglio comunale di Rio dell’Elba n. 39 del 31 luglio 2001 recante l’approvazione del Regolamento Urbanistico nella parte in cui viene modificata la previsione urbanistica preesistente per quanto riguarda il terreno di proprietà dei ricorrenti con conseguente inedificabilità dell’area, deducendo i seguenti motivi:
a) premesso che il terreno de quo si trova nella c.d. “Valle dei Mulini”, zona coniata ad hoc dallo strumento urbanistico, e che essa da tempo ha perso i caratteri di zona agricola, essendo stata completamente urbanizzata, sarebbe viziato da contraddizione in termini e da illogicità il Regolamento Urbanistico che, da una parte, vorrebbe preservare il territorio agricolo e, dall’altra , lo regolamenta con “disposizioni relative al territorio urbano”;in ogni caso il progetto presentato non avrebbe compromesso né il mulino né il fabbricato rustico, che sarebbero stati ceduti al Comune;
b) sviamento di potere: mediante una norma ad personam si sarebbe voluto colpire i ricorrenti, come si evincerebbe dalla circostanza che, se il procedimento edilizio si fosse concluso prima, la richiesta concessione edilizia sarebbe stata rilasciata.
2.1. Si costituiva in giudizio il Comune appellato, il quale, in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione del P.S., sia quale atto direttamente incidente la posizione degli appellanti, sia quale atto presupposto rispetto al R.U. contestato e, nel merito, sosteneva la legittimità dell’atto impugnato e l’infondatezza del ricorso.
2.3. Con sentenza n. 3230 del 25 luglio 2006, il TAR per la Toscana – Sezione prima –dichiarava inammissibile il ricorso per omessa impugnativa del Piano Strutturale con compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
3. Con ricorso n.r.g. 5340/2007 i Sigg.ri Lanza hanno proposto appello avverso la citata sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e sostenendo l’ammissibilità del ricorso di primo grado;sono state proposte, in particolare, le seguenti censure:
a) “illegittimità della sentenza di primo grado per aver affermato l’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancata tempestiva impugnazione del Piano Strutturale”;
b) “violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 10 della Legge n. 241/1990 e successive modificazioni III sulle singole scelte urbanistiche operate con riferimento ai terreni di proprietà degli odierni appellanti;
c) “eccesso di potere per carenza ed erroneità sui presupposti. Eccesso di potere. Contraddittorietà nell’azione amministrativa. Illogicità manifestata. Eccesso di potere per sviamento di potere”;
d) “sviamento di potere”;
e) “violazione del principio di affidamento”.
3.1. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale appellata, con memoria depositata il 7 dicembre 2007;con successiva memoria depositata il 21 aprile 2016, è stata ribadita l’inammissibilità del ricorso di primo grado e, conseguentemente, l’infondatezza del presente gravame, di cui viene chiesto il rigetto.
4. Alla pubblica udienza del 26 maggio 2016, l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
5. L’appello è infondato e va, pertanto, rigettato.
6. Con il primo motivo di censura, gli odierni appellanti sostengono l’erroneità della sentenza oggetto di gravame, nella parte in cui ha accolto l’eccezione del Comune di Rio nell’Elba di inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa impugnazione del Piano Strutturale (P.S.), per due ordini di ragioni:
a) il primo è che la posizione giuridica soggettiva vantata dai Sig.ri Lanza sarebbe stata incisa direttamente dal Regolamento Urbanistico (R.U.), le cui disposizioni non avrebbero natura puramente esecutiva rispetto allo strumento urbanistico generale costituito dal P.S.;
b) il secondo è che, comunque, la lesione sarebbe divenuta definitiva, concreta ed attuale solo con l’approvazione del R.U., sicché il P.S. doveva essere impugnato, al più, insieme con il R.U., come sarebbe, peraltro avvenuto, stante la previsione, nel ricorso di primo grado, dell’estensione del gravame ad ogni altro atto a questo connesso e/o presupposto e/o consequenziale.
6.1. Ad avviso di questo Consiglio, le argomentazioni addotte da parte appellante non appaiono condivisibili e non meritano, pertanto, accoglimento.
6.1.1. In particolare, con riguardo al primo ordine di ragioni, si osserva che, la lettera della normativa de qua non lascia adito a dubbi.
Difatti, ai sensi dell’art. 24 della L.R.T. n. 5/1995, il P.S. detta gli indirizzi e i parametri da rispettare nella predisposizione della parte gestionale del Piano Regolatore Generale (P.R.G.), consistenti nella divisione del territorio in unità territoriali organiche elementari (le cc.dd. U.T.O.E), nonché, nella definizione delle dimensioni massime ammissibili degli insediamenti e delle funzioni in ciascuna U.T.O.E..
Successivamente, l’art. 27 della legge cit. stabilisce che le disposizioni del P.S. sono vincolanti per gli atti successivi costituenti la parte gestionale del P.R.G.. Inoltre, dalla lettura del contenuto concreto del P.S di cui alla delibera consiliare 9 aprile 1999 n. 12 (approvato con deliberazione n. 16 del 24 febbraio 2000), si evince chiaramente che già con esso si prevedeva l’inserimento del terreno di proprietà degli appellanti nella U.T.O.E. n. 7 “Valle dei Mulini”, la sua qualificazione e perimetrazione quale area di interesse storico, nonché, la possibilità di operare in essa solo mediante attività di restauro, manutenzione straordinaria e ristrutturazione edilizia degli edifici esistenti, indicando le dimensioni massime dei carichi ammissibili, con totale esclusione di nuove edificazioni.
Pertanto, le disposizioni direttamente lesive degli interessi dei ricorrenti, in relazione al progetto presentato al Comune, sono da individuarsi nelle norme del P.S., il quale tuttavia non è stato specificamente oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale.
Diversamente, il R.U. impugnato dai ricorrenti, contiene la disciplina meramente esecutiva-esplicativa delle previsioni del P.S., dotate di propria autonoma efficacia giuridica;quindi, l’eventuale annullamento del R.U. non comporterebbe per i Sig.ri Lanza la soddisfazione dell’interesse giuridico vantato, permanendo l’efficacia della disciplina urbanistica preclusiva all’edificazione contenuta nell’atto presupposto, ossia nel P.S..
6.1.2. Con il secondo argomento addotto, parte appellante sostiene di aver impugnato il P.S. unitamente al R.U. in quanto ricompreso nella formula “ogni altro atto a questo connesso e/o consequenziale” riportata nell’epigrafe del ricorso al T.a.r..
Al riguardo, rileva il Collegio che, ai sensi della norma sancita dall’art. 6, r.d. n. 642 del 1907 ( ratione temporis vigente, oggi art. 40 c.p.a.) come interpretato dalla costante giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6012;sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2417;sez. III 14 gennaio 2014 n. 101;sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2960):
a) il generico richiamo, nell’epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, o la mera citazione di un atto nel corpo del ricorso stesso non sono sufficienti a radicarne l’impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure;ciò perché solo l’inequivoca indicazione del petitum dell’azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa;
b) la mancata impugnazione di un atto rilevante al fine del decidere non può essere surrogata dalla formula di stile, normalmente utilizzata nell’epigrafe del ricorso, e cioè che il gravame si estende a tutti gli atti connessi e presupposti, in quanto tale formula non può ritenersi sufficiente a far ricomprendere nell’oggetto dell’impugnazione atti non nominati e dei quali non è possibile l’individuazione nel testo del ricorso, nemmeno esaminando le censure proposte.
Ciò posto, sono infondate le deduzioni svolte dagli odierni appellanti, volte ad estendere l’impugnazione avverso il P.S. sulla scorta della generica formula di richiamo ad “ogni altro atto presupposto e/o connesso” contenuta nel ricorso di primo grado.
6.2. In definitiva, l’omessa impugnativa del P.S., alla luce delle censure mosse dai ricorrenti avverso il R.U. e del rapporto di presupposizione esistente tra i due strumenti urbanistici per quanto attiene all’area di cui trattasi, comporta la conferma della declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado di cui alla sentenza impugnata, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure formulate da parte appellante in questa sede.
7. Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate come da dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26 c.p.a.
8. Il Collegio rileva, altresì, che il rigetto dell’appello si fonda, come sopra evidenziato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi delle norme sancite dall’art. 26, co. 1, c.p.a e 96, u.c., c.p.c., secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. da ultimo Sez. IV, n. 2693 del 2016 cit. i cui principi si richiamano integralmente), anche in ordine alla determinazione della somma da liquidarsi in via equitativa.
9. La condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 26, c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies , lettere a) e f), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.