Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-03-26, n. 202002121

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-03-26, n. 202002121
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002121
Data del deposito : 26 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/03/2020

N. 02121/2020REG.PROV.COLL.

N. 08668/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8668 del 2016, proposto dai signori G G, A B e R G, rappresentati e difesi dall’avvocato L P ed elettivamente domiciliati presso lo Studio del dottor Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;

contro

il Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato A F ed elettivamente domiciliato presso lo Studio dell’avvocato Fabio Ca in Roma, via Nizza, n. 53;

nei confronti

del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. III, 23 giugno 2016 n. 790, per la parte in cui ha parzialmente respinto il ricorso degli odierni appellanti, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del Comune di Bari e del Ministero intimato nonché gli atti depositati;

Esaminate le ulteriori memorie depositate da entrambe le parti, anche di replica ed i nuovi documenti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2019 il Cons. S T e uditi per le parti gli avvocati gli avvocati Fabio Ca, per delega dell’avvocato A F, Antonio Salerno, per delega dell’avvocato L P nonché l’avvocato dello stato Davide Di Giorgio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello i signori G G, A B e R G hanno chiesto a questo Consiglio riforma, in parte qua , della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. III, 23 giugno 2016 n. 790, per la parte in cui ha parzialmente respinto il ricorso di primo grado (R.g. n. 575/2016), proposto ai fini dell’annullamento del provvedimento, a firma del direttore della Ripartizione urbanistica ed edilizia privata del Comune di Bari, prot. n. 49854 dell’1 marzo 2016, che ha imposto condizioni al rilascio del permesso in sanatoria nella pratica di condono edilizio n. 6306, della nota della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Bari, Bat e Foggia prot. n. 001708 del 4 febbraio 2016 nonché per l’accertamento e la declaratoria dell’intervenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza di sanatoria di cui alla pratica di condono edilizio n. 6306, presentata ai sensi della l. 24 novembre 2003, n. 326 e la condanna al risarcimento del danno ingiusto cagionato ai ricorrenti per effetto della colpevole condotta serbata dall’amministrazione in sede procedimentale.

2. - La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la vicenda contenziosa come segue, limitatamente alle questioni fatte oggetto di ricorso in primo grado e decise con la sentenza della quale qui si chiede la riforma:

- i signori G G, A B e R G sono proprietari di un immobile sito in Torre a Mare di Bari, alla via dei Trulli civ. 25/27, ove ha sede il ristorante “Il Pirata”;

- i suddetti, in data 9 dicembre 2004, hanno presentato al Comune di Bari una richiesta di condono edilizio, ai sensi della l. 24 novembre 2003, n. 326 e della l.r. Puglia 23 dicembre 2003, n. 28, per la sanatoria di una tensostruttura adibita a sala clienti con chiusura verticale laterale in alluminio e vetro;

- i richiedenti la sanatoria, al cospetto della mancata conclusione del procedimento di condono edilizio, rivolgevano agli uffici comunali, in data 11 agosto 2010, una nuova istanza al fine di ricevere notizie circa l’esito dell’istruttoria e la conclusione del procedimento nonché volta ad ottenere la copia degli atti istruttori formati sino a quella data;

- in risposta a tale ultima richiesta il dirigente lo Sportello unico per l’edilizia del Comune di Bari, con nota prot. n. 215373 del 15 settembre 2010, ricordando che la tensostruttura oggetto della domanda di condono ricadeva in area disciplinata dal Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT/p), comunicava che ai fini della conclusione del procedimento sarebbe stato necessario acquisire il prescritto parere paesaggistico;

- di conseguenza, con nota prot. n. 12617 del 20 gennaio 2016, il competente ufficio comunale trasmetteva il fascicolo istruttorio alla Soprintendenza territoriale per i beni architettonici e paesaggio onde acquisire il parere di competenza, ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42;

- la Soprintendenza, con nota prot. n. 1708 del 4 febbraio 2016, rendeva parere non favorevole, esprimendosi nel senso della incompatibilità di parte delle struttura oggetto della domanda di condono con le caratteristiche del paesaggio circostante;

- tuttavia, con la successiva nota prot. n. 4365 del 23 marzo 2016, all’esito di un ulteriore approfondimento istruttorio, la Soprintendenza declinava la competenza ad esprimere il richiesto parere paesaggistico, avendo riscontrato l’assenza di vincoli con riferimento al bene nel quale erano state realizzate le opere oggetto della richiesta di sanatoria;

- all’esito del sopradescritto percorso sub-fasico del procedimento di sanatoria il Comune di Bari, con nota dirigenziale prot. n. 49854 dell’1 marzo 2016, disponeva il rilascio del condono, condizionandolo però “ (…) alla presentazione di soluzione progettuale che consenta una migliore integrazione architettonica del manufatto con il contesto di inserimento ” (così, testualmente, nel provvedimento citato).

3. - I signori G G, A B e R G impugnavano tale ultimo provvedimento, in uno con la nota della Soprintendenza, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, chiedendone l’annullamento e nel contempo l’accertamento della formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono, oltre a proporre domanda risarcitoria.

Nella sostanza i suddetti hanno sostenuto, dinanzi al primo giudice, che la normativa di settore e segnatamente l’art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla l. 326/2003, non contempla, in assenza di elementi ostativi all’accoglimento dell’istanza di condono, l’ipotesi che il rilascio del condono in sanatoria sia condizionato alla presentazione di “ulteriori soluzioni progettuali”, di talché il provvedimento impugnato e recante tale clausola condizionante non poteva che essere ritenuto illegittimo.

Il giudice di prime cure, ritenendo inammissibile la domanda di annullamento della nota della Soprintendenza, in quanto doveva essere considerata di portata meramente interlocutoria, visto che si era limitata a verificare la conformità delle trasformazioni oggetto dell’istanza alle norme del PPTR e non scrutinabili per assenza di presupposti le ulteriori domande proposte (di accertamento della formazione del silenzio-assenso incondizionato sulla domanda di condono edilizio e di condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni), ha nello stesso tempo ritenuto fondata la censura di illegittimità del provvedimento comunale, visto che dalla lettura dello stesso traspariva che l’area ove insiste l’immobile in questione non è gravata da alcun vincolo e che quindi non si giustificava l’apposizione della condizione.

Fin qui i fatti che hanno preceduto la proposizione del ricorso in sede di appello.

4. – I signori G G, A B e R G sostengono, nella presente sede di appello, la erroneità della sentenza del Tribunale amministrativo regionale, con riferimento alla reiezione della due domande proposte in primo grado e relative all’accertamento della formazione del silenzio-assenso ed al riconoscimento del risarcimento del danno.

Per quanto concerne la prima domanda, riproposta in appello, gli appellanti ricordano di avere presentato la domanda di condono in data 9 dicembre 2004 e di avere effettuato tutti gli adempimenti prescritti dalla legge, derivandone che, in assenza di provvedimento negativo nel termine di 24 mesi dalla presentazione della detta istanza, senza alcun dubbio era maturato il silenzio-assenso (equivalente al titolo abilitativo di sanatoria edilizia), senza condizioni, sulla ridetta istanza ai sensi dell’art. 32, comma 37, d.l. n. 269/2003, convertito dalla l. 326/2003.

In secondo luogo erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto di non accogliere la domanda risarcitoria, fondata sul presupposto che gli odierni appellanti hanno dovuto attendere la risposta comunale per oltre dieci anni, giacché, per il lungo ed ingiustificato tempo trascorso, l’amministrazione aveva provocato in capo agli istanti, indubbiamente, un danno patrimoniale che si può quantificare nella misura di € 100.000,00 ovvero in altra misura, superiore o inferiore, che sarà determinata nel corso del processo, anche all’esito di consulenza tecnica d’ufficio, peraltro già richiesta in primo grado e (altrettanto erroneamente) mai disposta dal Tribunale amministrativo.

5. – Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di Bari, eccependo in via preliminare la inammissibilità dell’appello per avere la Ripartizione urbanistica ed edilizia privata, in data 21 aprile 2017 e quindi in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza qui oggetto di appello, rilasciato il richiesto permesso di costruire in sanatoria n. 6306 (depositato in atti).

In ogni caso nella specie non erano maturati i presupposti per la formazione del silenzio-assenso anche in ragione della necessità di acquisire il parere della Soprintendenza e comunque nessun danno è derivato agli odierni appellanti e all’attività commerciale dalla durata del procedimento.

Con memoria di replica gli appellanti hanno contestato le argomentazioni sviluppate dal comune e hanno ribadito le già rassegnate conclusioni.

6. – Il Collegio, in via preliminare, non può che constatare la improcedibilità dell’appello nella parte in cui viene riproposta la domanda di accertamento della formazione del silenzio assenso in merito alla istanza di condono edilizio presentata al Comune di Bari in data 9 dicembre 2004.

Infatti il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, seppure in epoca successiva rispetto alla pubblicazione della sentenza di primo grado qui oggetto di appello e rispetto alla proposizione del mezzo di gravame qui in esame, rende superflua la valutazione nel merito della intervenuta (a suo tempo) formazione del silenzio-assenso sulla domanda di condono, avendo la parte interessata ottenuto il “bene della vita” al quale aspirava con la presentazione della domanda di sanatoria. In tal modo si è dunque consumato l’interesse alla decisione della domanda sulla formazione del silenzio-assenso in grado di appello, atteso che l’eventuale fondatezza della domanda di accertamento respinta in primo grado e riproposta nella sede di appello affatto potrebbe incidere favorevolmente, sia in senso formale che in senso sostanziale, sulla posizione soggettiva degli interessati e odierni appellanti, già soddisfatti, con riferimento all’accoglimento dell’istanza di sanatoria proposta a suo tempo, dall’intervenuto rilascio del titolo richiesto.

Semmai, vale la pena di osservare, l’eventuale fondatezza della domanda di accertamento circa la formazione del silenzio-assenso, se confermata all’esito del relativo scrutinio, potrebbe condurre, al contrario di quanto postulano gli appellanti, alla contemporanea reiezione della domanda risarcitoria, dal momento che costoro non potrebbero più sostenere di avere atteso oltre dieci anni la conclusione del procedimento di condono.

7. – Quanto, infine alla domanda risarcitoria riproposta in sede di appello, il Collegio ritiene utile ricordare che, per giurisprudenza consolidata, in tema di risarcimento del danno da ritardo (che ricorrerebbe nella specie) si è affermato quanto segue (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. IV, 15 gennaio 2019 n. 358):

- l’art. 2- bis , comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241 prevede la possibilità di risarcimento del danno da ritardo (nonché da inerzia dell’amministrazione) nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo (cfr., anche, Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2016 n. 4028);

- il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’ an che sul quantum (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2016 n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione. E ciò sempre che, nell’ipotesi ora considerata, la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. III, 18 maggio 2016 n. 2019);

- l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum , in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia i presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale) sia quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) (cfr. Cons. giust. reg. sic., 16 maggio 2016 n. 139;
Cons. Stato, sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1768, Sez. V, 9 marzo 2015 n. 1182 e Sez. IV, 22 maggio 2014 n. 2638);

- in definitiva, benché l’art. 2- bis l. 241/1990, rafforzi la tutela risarcitoria del privato nei confronti della pubblica amministrazione, la domanda deve essere comunque ricondotta nell'alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità;

- tale configurazione del danno da ritardo non muta alla luce dell’arresto dell’Adunanza Plenaria 4 maggio 2018 n. 5, secondo la quale, con l'art. 2- bis l. 241/1990 “ il legislatore - superando per tabulas il diverso orientamento in passato espresso dalla sentenza dell'Adunanza plenaria 15 settembre 2005, n.

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