Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-03-16, n. 201001540

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-03-16, n. 201001540
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201001540
Data del deposito : 16 marzo 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01433/2002 REG.RIC.

N. 01540/2010 REG.DEC.

N. 01433/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 1433 del 2002, proposto da:
M L e M V, rappresentate e difese dagli avv.ti D F e G P, con domicilio eletto presso G P, in Roma, via Ezio 24;

contro

Comune di Azzano Decimo, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti A S e F V Lucchesi, con domicilio eletto presso F V Lucchesi, in Roma, via Fontanella Borghese, 72;
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv. R C, con domicilio eletto presso Regione Friuli Venezia Giulia - Ufficio Distaccato Regione, in Roma, piazza Colonna, 355;

per la riforma della sentenza del TAR FRIULI VENEZIA GIULIA - TRIESTE n. 00897/2001, resa tra le parti, concernente ADOZIONE VARIANTE P.R.G..

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune e della Regione appellati;

Vista la memoria prodotta dal Comune a sostegno delle sue difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta, alla pubblica udienza del 2 febbraio 2010, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;

Uditi, alla stessa udienza, l’avv. G P per le appellanti, l’avv.to Antonio Voltaggio, in sostituzione dell’avv. A S, per il Comune di Azzano Decimo e l’avv. R C per la Regione Friuli – Venezia Giulia;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – Con atto notificato in data 11 febbraio 2002 e depositato il successivo 22 febbraio 2002, le ricorrenti in primo grado, già proprietarie di un’area distinta in catasto terreni del Comune di Azzano Decimo col mapp. N. 30 del fg. N. 7, hanno proposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli – Venezia Giulia indicata in epigrafe, che, riuniti i ricorsi n. 29/97, n. 413/97, n. 47/99 e n. 310/00 da loro proposti avverso gli atti della sequenza procedimentale posta in essere da detto Comune per la realizzazione di lavori di sistemazione e potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tiezzo interessanti la predetta area, ha dichiarato:

- in parte irricevibile ed in parte inammissibile il ricorso n. 47/99, proposto per l’annullamento: 1) della deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 255 del 19.11.1998, con la quale è stato approvato il progetto esecutivo dei lavori di sistemazione e di potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tiezzo;
2) di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguenziale, comprese: a) la deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 13 del 28.1.1998, con la quale è stato approvato il progetto preliminare dei lavori di sistemazione e di potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tiezzo;
b) la deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 64 del 10.9.1998, con la quale è stato approvato il piano economico finanziario;
c) la deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 211 del 16.10.1998, con la quale è stato approvato il progetto definitivo;

- inammissibile il ricorso n. 29/97, volto all’annullamento: 1) della deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 85 del 18.10.1996, con la quale è stato approvato il progetto preliminare dei lavori di sistemazione e di potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tiezzo, nonché il progetto preliminare del 1° lotto;
2) di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguenziale;

- inammissibile il ricorso n. 413/97, per l’annullamento: 1) della deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 29 del 17.4.1997, con la quale è stato approvato il progetto definitivo del 1° lotto dei lavori di sistemazione e di potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tiezzo, ed è stata adottata la variante n.14 quater al Piano regolatore generale comunale;
2) di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguenziale;

- inammissibile il ricorso n. 310/00, proposto: a) per l’annullamento 1) del decreto del Direttore regionale della Direzione regionale dell’edilizia e dei servizi tecnici-Servizio delle espropriazioni, dell’11.4.2000, dec. N. EST. 325 D/ESP/4330, che ha disposto l’espropriazione di un’area di mq. 11.339 P.C. 6207 foglio 17, mapp. 30, di proprietà delle ricorrenti;
2) di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguenziale;
b) per la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento del danno ingiusto arrecato alle ricorrenti.

Le appellanti censurano dette statuizioni d’ordine processuale, anche quanto alla condanna alle spese del giudizio conseguentemente pronunciata dal T.A.R., per riproporre poi sia tutti i motivi di illegittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati fatti valere in primo grado con detti ricorsi, sia la domanda di risarcimento dei danni da occupazione usurpativa già avanzata con il terzo ed il quarto dei ricorsi stessi.

2. – Si sono costituiti in giudizio, per resistere, il Comune di Azzano Decimo e la Regione Friuli – Venezia Giulia, deducendo l’infondatezza in fatto e in diritto del gravame.

Con memoria in data 21 gennaio 2010 il Comune, ripercorsa in fatto l’intera vicenda procedimentale amministrativa, eccepisce l’inammissibilità e comunque l’infondatezza dell’appello.

3. - La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 2 febbraio 2010.

4. – Il primo Giudice ha ritenuto irricevibile il ricorso di primo grado n. 47/99 “nella parte in cui è diretto alla caducazione della deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 255 del 19.11.1998, con la quale è stato approvato il progetto esecutivo dei lavori di sistemazione e di potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tizzo”, il che, ha poi proseguito, “comporta la inammissibilità: 1) del medesimo ricorso, nella parte in cui è volto all’annullamento, quali atti presupposti, della deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 13 del 28.1.1998, con la quale è stato approvato il progetto preliminare dei lavori di sistemazione e di potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tiezzo;
della deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 64 del 10.9.1998, con la quale è stato approvato il piano economico finanziario;
della deliberazione del Consiglio comunale di Azzano Decimo n. 211 del 16.10.1998, con la quale è stato approvato il progetto definitivo;
2) dei ricorsi nn. 29/97, 413/97 e 310/00” ( pag. 13 sent. ).

La articolata censura svolta dalle appellanti avverso tali statuizioni è infondata.

Va osservato in proposito che l'espropriazione, ch’è classico provvedimento ablatorio della proprietà privata, richiede, quale indefettibile presupposto di legittimità, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera pubblica, che consente appunto di avviare il relativo procedimento.

Invero, con l'atto dichiarativo della pubblica utilità, ch’è dunque il primo atto della procedura espropriativa a sua volta conclusivo di un’autonoma fase procedimentale, il diritto soggettivo del privato affievolisce ad interesse legittimo e si costituisce, in capo all'amministrazione, il potere espropriativo.

Nella fattispecie oggetto del presente giudizio, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera deve effettivamente ricondursi, come correttamente ritenuto dal T.A.R., alla deliberazione di approvazione del progetto esecutivo n. 255 in data 19 novembre 1998;
e ciò per effetto del disposto dell’art. 17, comma 1, della L.R. Friuli – Venezia Giulia 31 ottobre 1986, n. 46 ( vigente all’epoca dell’assunzione della deliberazione stessa ), a norma del quale “relativamente alle opere pubbliche da realizzarsi nel territorio regionale, la dichiarazione di pubblica utilità e la dichiarazione di urgenza ed indifferibilità dei relativi lavori sono implicite nell'atto di approvazione del progetto esecutivo dalla data in cui lo stesso diviene efficace ai sensi di legge”;
e tale atto, con il quale si qualifica l’opera come di pubblico interesse anche ai fini di un’eventuale necessità espropriativa ( e che proprio per questo rappresenta “la guarentigia prima e fondamentale del cittadino e nel contempo la ragione giustificatrice del suo sacrificio nel bilanciamento degli interessi del proprietario alla restituzione dell’immobile ed in quello pubblico al mantenimento dell’opera pubblica per la funzionale sociale della proprietà”: Corte Cost., n. 90/1866;
Cass., sez. un., n. 4423/1977 e n. 118/1978;
Cass., sez. I, n. 14606/2009 ), deve considerarsi lesivo per i proprietarii delle aree interessate, con conseguente ònere di tempestiva impugnazione anche ai fini dell’eventuale annullamento, in virtù del noto effetto caducante determinato dalla sua eliminazione dal mondo della realtà giuridica, del decreto di espropriazione successivamente adottato, che, com’è risaputo, deve risultare sorretto da valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità, la quale, in quanto atto immediatamente ed autonomamente lesivo della sfera giuridica del destinatario, deve essere tempestivamente impugnato, mentre il decreto di esproprio conclusivo della procedura, non svolgendo ( a differenza degli atti terminali delle procedure concorsuali ) un ruolo approvativo di tali pregressi provvedimenti, non può consentire, esso, la deduzione, per la prima volta, di censure - ormai divenuti tardive – rivolte in realtà avverso atti presupposti di apposizione del vincolo o di approvazione del progetto, che siano divenuti ormai inoppugnabili.

Inammissibili od infondate devono poi ritenersi le deduzioni concernenti la pretesa non riconoscibilità, nella citata deliberazione della Giunta Comunale n. 255/1998, del valore di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, o circa la pretesa inesistenza della stessa.

Invero, così opinando, del tutto erroneamente le appellanti mostrano di ritenere la generale ed indefettibile necessità di uno specifico atto amministrativo, che dichiari la pubblica utilità;
laddove, invece, la dichiarazione di pubblica utilità della singola opera pubblica da realizzare, oltre che essere espressa e specifica - come avviene per le opere private di interesse pubblico ed anche per numerose opere di enti pubblici non territoriali - può essere anche implicita o "per equivalente".

In questi casi, invero, non si richiede un ulteriore specifico accertamento del pubblico interesse, perchè la dichiarazione di pubblica utilità è stata via via collegata da singole leggi, automaticamente, all'emissione di tipici provvedimenti amministrativi aventi altre finalità immediate e destinati a produrre altri effetti.

In altri termini, l'ordinamento riconnette all'emissione di tipici provvedimenti amministrativi, espressamente indicati da singole leggi, accanto all'effetto proprio o tipico che non è snaturato nè modificato, l'ulteriore effetto della dichiarazione di pubblica utilità: come dimostra esemplificativamente la legge n. 1150 del 1942, art. 16, comma 9 ( in base al quale tutti i piani di terzo livello - piani particolareggiati, p.e.e.p., piani di lottizzazione ed altri - adottati dal Comune ed approvati dalla Regione, oltre agli effetti proprii di piani esecutivi comportano l'ulteriore valenza di dichiarazione di pubblica utilità delle opere in essi previste ), ovvero la legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1 ( che ha generalizzato la dichiarazione di pubblica utilità implicita dell'approvazione di progetti di opere pubbliche ), oppure, infine, la disposizione regionale applicabile appunto al caso di specie ( art. 17, comma 1, L.R. Friuli – Venezia Giulia ), che riconnette tale effetto alla specifica approvazione del progetto esecutivo d’opera pubblica.

Né la mancata, lamentata, indicazione, in detta deliberazione, dei termini d’inizio e compimento dei lavori e delle espropriazioni ex l. n. 2359 del 1865 può valere, come pretendono le appellanti, a vanificare la veduta qualificazione discendente dalla stessa volontà del legislatore: e ciò perché, da un lato, vertesi, nella fattispecie all’esame, in ipotesi in cui i termini in questione ( la cui fissazione è “connaturale ad ogni procedimento espropriativo”: Corte Cost., 30 marzo 1992, n. 141 ) sono stabiliti dallo stesso legislatore ( e ciò è anzi divenuta la regola nel nuovo t.u., D.P.R. n. 327 del 2001, che, all’art. 13, ha unificato i due termini finali fissandone la durata massima;
la disposizione continua tuttavia a distinguere espressamente il termine di validità del vincolo, nel comma 1, dal termine di validità della dichiarazione di pubblica utilità, nel comma 6 ), laddove l’art. 18 della citata L.R. n. 46/1986 dispone, al primo comma, che, “per i procedimenti espropriativi da effettuarsi nell'ambito del territorio regionale, il periodo utile per l'esecuzione dei lavori e delle espropriazioni è fissato in mesi 24 per il loro inizio e in mesi 36 per la loro ultimazione a decorrere dalla data della dichiarazione espressa o implicita di pubblica utilità”;
dall’altro, perché ogni eventuale illegittima omissione di siffatta indicazione nel contesto dell’atto deliberativo avente ex lege efficacia di provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, così come ogni eventuale ipotesi ( pure prospettata con l’atto di appello ) di illegittima proroga di ciascuno di detti termini, costituisce semmai un vizio dell’atto stesso, da denunciarsi con ricorso proponibile esclusivamente nei termini decadenziali previsti dall’art. 21 della legge n. 1034/1971 o da eventuali norme speciali.

Lo stesso deve poi dirsi della pure denunciata “inesistenza” dell’atto ( ravvisabile, sottolinea il Collegio, soltanto quando manchi la “apparenza” di un atto amministrativo, il che non si verifica certo nel caso di specie a proposito della controversa deliberazione n. 255 ), che costituisce semmai, a seguire la prospettazione fattane dalle appellanti ( che pretendono di ravvisarla nella “presunta destinazione urbanistica inesistente”, sulla quale si fonderebbe la deliberazione medesima ), un mero vizio di legittimità dell’atto stesso, da far valere ritualmente con ricorso giurisdizionale ai fini del suo eventuale annullamento.

Né, per finire sul punto, può negarsi alla deliberazione di Giunta n. 255/1998 il veduto valore di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera sol perché, secondo le appellanti, “la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera risale alla delibera n. 29 del 17.04.1997, oggetto di impugnazione con ricorso n. 413/97 notificato a mezzo posta il 20 giugno 1997, con cui il Consiglio Comunale di Azzano ha: - approvato il progetto definitivo del primo lotto dei lavori di sistemazione e potenziamento del centro sportivo polifunzionale di Tiezzo;
- dato atto che detto provvedimento costituisce, ai sensi dell’art. 1 – comma 5 – della legge n. 1/1978 – adozione della variante n. 14 quater al vigente P.R.G.C., relativamente alla quale trovano applicazione le procedure previste dalla medesima normativa” ( pagg. 62 – 63 app. ).

Se è pur vero, infatti, che l'approvazione di un progetto di opera pubblica equivale ex lege a dichiarazione di pubblica utilità nonché indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, solo allorquando l'opera stessa sia conforme alle previsioni dello strumento urbanistico ( ex plurimis, C.d.S., sez. IV, 1° marzo 2001, n. 1145), che, laddove tale conformità difetti, è necessario che il progetto dell'opera pubblica da realizzare sia approvato dal competente consiglio comunale, ai sensi del quarto comma del già citato articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 ( se l'opera pubblica viene localizzata su aree già specificamente destinate alla realizzazione di servizi pubblici ) ovvero ai sensi del quinto comma, in variante allo strumento urbanistico in vigore ( se l'opera pubblica viene localizzata in aree non destinate a servizi pubblici ) e che, in tale ultima ipotesi, l’approvazione del progetto e la conseguente variante urbanistica esplicano i loro effetti solo dopo l’approvazione regionale, da cui normalmente derivano gli effetti di dichiarazione di pubblica utilità del progetto dell’opera pubblica approvata, non pare dubbio che, nella Regione Friuli – Venezia Giulia, nella vigenza della veduta disposizione dell’art. 17, comma 1, della L.R. n. 46/1986, solo all’atto di approvazione del progetto esecutivo è attribuibile la valenza di dichiarazione di pubblica utilità implicita e che solo, dunque, dopo l’approvazione del progetto esecutivo diventa attuale l’interesse del privato a contestare, unitamente agli atti che ne costituiscono il presupposto, la concreta intenzione dell’Amministrazione di esercitare il potere ablatòrio;
impugnazione, questa, che, come s’è visto, costituisce preciso ònere per il privato che da detto esercizio si ritenga leso, anche tenuto conto del fatto che, mentre l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità ha come s’è detto effetto caducante degli atti successivi della procedura ( a prescindere, dunque, dalla loro eventuale impugnazione ), ogni eventuale illegittimità degli atti presupposti dalla dichiarazione medesima ( ed in particolare, per quanto concretamente concerne il caso di specie, degli atti recanti rispettivamente l’approvazione del progetto preliminare generale, quella del progetto preliminare primo lotto e del progetto preliminare primo lotto - ampliato, quella del primo progetto definitivo e quella del nuovo progetto definitivo che ha sostituito quello approvato con deliberazione consiliare n. 29/97, quella della variante 14-quater confermativa del precedente vincolo quinquennale decaduto contestuale all’approvazione del primo progetto definitivo ed infine quella di approvazione del relativo piano economico finanziario ) ha effetto meramente viziante l’atto consequenziale, che diviene sì invalido per vizio di invalidità derivata, ma resta efficace salva apposita ed idonea impugnazione, resistendo all'annullamento dell'atto presupposto ( cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2008, n. 1331;
sez. I, 17 gennaio 2007, n. 4915/2006 ).

La effettuata ricostruzione circa la natura e gli effetti della discussa deliberazione di Giunta Comunale n. 255/1998 di approvazione del progetto esecutivo dell’opera de qua e circa il raccordo che viene a determinarsi tra i varii atti del procedimento di cui si tratta, nonché le vedute conclusioni circa l’effettiva sussistenza in capo alle odierne appellanti di un ònere di ( tempestiva ) impugnativa della detta deliberazione di approvazione del progetto esecutivo delle opere, consente ora di passare alla questione, a questo punto centrale, della tempestività o meno del ricorso di primo grado n. 47/99, con il quale appunto detto atto è stato impugnato.

Inattaccabile risulta, ad avviso del Collegio, la pronuncia di irricevibilità del ricorso medesimo resa dal T.A.R.

Pare invero anzitutto indubitabile al Collegio l’applicabilità, ratione temporis, al caso di specie del disposto dell’art. 19 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67 ( convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135 ), a norma del quale “nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad essa connesse e provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate … tutti i termini processuali sono ridotti della metà …” ( commi 1 e 3 ).

Ed infatti, come s’è sopra ampiamente visto, l’atto impugnato ha certamente natura di atto della procedura espropriativa, senza che l’invocata circostanza ch’esso valga altresì a sostituire la concessione edilizia a norma dell’art. 78-bis della L.R. n. 52/1991 possa valere, come invocato dalle appellanti, a sottrarlo al veduto speciale regime processuale, essendo invero, nella giurisdizione generale di legittimità del Giudice amministrativo, l’oggetto del giudizio ( ch’è unico ) complessivamente costituito, oltre che dai motivi dell’impugnativa, dal provvedimento impugnato, che laddove ( come appunto accade nel caso di specie ) rechi una pluralità di statuizioni ed effetti, ricade in toto nel veduto regime speciale anche laddove solo alcuni di questi siano riconducibili alle materie per le quali lo stesso è dettato, non essendo certo il provvedimento stesso frazionabile quanto al suo regime di impugnazione e non essendo nemmeno peraltro lo stesso a tal fine suscettibile di individuazione di un contenuto principale e di uno secondario, solo il primo dei quali varrebbe a determinarne il regime di impugnativa.

Pertanto, applicandosi alla fattispecie lo speciale regime disegnato dall’art. 19 cit., è pacifico, ai sensi di tale norma, che i termini processuali relativi ai ricorsi aventi ad oggetto provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate (tra cui rientra la controversia portata all'esame della Sezione) sono ridotti alla metà e che per termini processuali si intendono anche quelli per notificare il ricorso e depositarlo presso il giudice adito ( Consiglio di Stato, sez. IV, 17 dicembre 1998, n. 1816;
5 luglio 1999, n. 1661;
29 gennaio 1999, n. 96;
7 marzo 2001, n. 1315;
6 giugno 2001, n. 3061;
15 febbraio 2002, n. 937;
da ultimo, 28 novembre 2006, n. 6920 ).

Inoltre, neppure può condividersi l’assunto delle appellanti, secondo cui l’individuazione del dies a quo del termine per proporre il ricorso di cui si tratta sarebbe stata erroneamente effettuata dal Giudice di primo grado laddove questi ha ritenuto realizzata la piena conoscenza da parte delle odierne appellanti della lesiva deliberazione di Giunta n. 255 con la ricezione di una raccomandata, loro inviata dal Comune in data 24 novembre 1998, avente ad oggetto “procedimento per l’occupazione temporanea d’urgenza e definitiva degli immobili necessari all’esecuzione dei lavori di sistemazione e potenziamento del centro sportivo”.

Rileva invero il Collegio che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, agli effetti del decorso del termine di impugnazione del provvedimento pregiudizievole è sufficiente la conoscenza della sua esistenza e della sua lesività (la cui consapevolezza non presuppone che l’interessato abbia anche acquisito conoscenza degli eventuali vizii dell’atto stesso: Cons. St., Sez. IV, 30 giugno 2004, n. 4803;
Sez. VI, 20 giugno 2003, n. 3690;
Sez. VI, 10 marzo 2003, n. 1275), cioè degli elementi essenziali di un atto amministrativo, conoscenza che perciò comporta in capo al soggetto interessato l'onere di impugnazione giurisdizionale entro i successivi 60 giorni ( o, nel rito speciale di cui si tratta, nel termine dimezzato di trenta giorni ), fatta salva la possibilità di proporre motivi aggiunti nel caso in cui dalla conoscenza integrale del provvedimento dovessero emergere ulteriori profili di illegittimità o vizi percepibili solo in seguito all'integrale cognizione del provvedimento lesivo ( cfr. Cons. St., Sez. VI, 20 settembre 2002, n. 4780 e Sez. V, n. 1275/2003, cit. ).

Ciò posto, nella fattispecie, le odierne appellanti avevano certamente acquisito la piena conoscenza dell'atto poi impugnato, dei suoi elementi essenziali e della sua lesività, nel momento individuato dal T.A.R., come si evince dalla citata nota loro inviata dal Comune, con cui le si informava dell’intervenuta approvazione ( con specifica indicazione degli estremi del relativo atto ) del progetto esecutivo dell’opera in argomento e della conseguente volontà di esproprio degli immobili di proprietà privata occorrenti alla realizzazione dell’opera ( fra cui quelli appartenenti alle stesse odierne appellanti ), come da Piano Particellare di esproprio allegato alla nota medesima.

Tanto vale a realizzare, ad avviso del Collegio, alla stregua dei parametri sopra evidenziati afferenti all’interpretazione del concetto di “piena conoscenza” dal quale l’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 fa decorrere il termine decadenziale di impugnazione, proprio il pieno ingresso nella sfera cognitiva delle interessate del provvedimento e del suo carattere di lesività;
donde la correttezza della statuizione di tardività pronunciata dal T.A.R. con riguardo al relativo ricorso giurisdizionale notificato solo in data 11 gennaio 1999 e dunque ben oltre il prescritto termine abbreviato di trenta giorni.

4.1 – Non può, infine, essere condivisa ed accolta l’istanza di remissione in termini per errore scusabile avanzata dalle appellanti, giacché, una volta accertato che la nota sopra indicata integra una comunicazione sufficiente a comportare la piena conoscenza del ridetto provvedimento impugnato e dunque idonea a far decorrere il relativo termine, nessun difetto di comunicazione può di certo imputarsi all’Amministrazione.

Del resto, anche la mancata apposizione, in calce al provvedimento amministrativo, della formula ( prescritta dall’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990 ) recante il termine e l’autorità cui impugnare, può implicare sì, secondo la giurisprudenza, in caso di eventuale ritardo nell'impugnazione di quest'ultimo, il riconoscimento dell'errore scusabile, ma solo quando ne sussistano i presupposti e cioè una situazione normativa obiettivamente inconoscibile o confusa, uno stato di obiettiva incertezza, per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, per la particolare complessità di una fattispecie concreta, per i contrasti giurisprudenziali esistenti o per il comportamento dell'amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti ( Consiglio Stato, sez. IV, 19 luglio 2004, n. 5182 ).

Ora, nel caso in esame, si può ragionevolmente escludere che vi fosse una qualsivoglia oscurità od incertezza, soggettiva od oggettiva, circa il termine per ricorrere o, come s’è sopra ampiamente visto, circa la natura dell’atto oggetto di impugnativa.

La migliore dimostrazione di ciò è invero data dal fatto che le ricorrenti hanno notificato il ricorso esattamente nel termine ordinario di 60 giorni ( ignorando pertanto la norma processuale che dava luogo all’abbreviazione dei termini, che, in vigore peraltro da più di diciotto mesi all’epoca della proposizione del ricorso de quo, non aveva dato luogo a particolari contrasti giurisprudenziali circa la portata della sua applicazione ), con lo stesso sollevando peraltro, nella piena consapevolezza della lesività dell’atto impugnato, proprio alcuni degli argomenti qui utilizzati per invocarne la non impugnabilità o quanto meno la scusabilità dell’errore della sua tardiva aggressione in sede giudiziale.

4.3 – In conclusione, il ricorso di primo grado n. 47/99 deve considerarsi tardivo quanto alla impugnazione della deliberazione della Giunta Comunale n. 255/1998, sì che la declaratoria di irricevibilità dello stesso pronunciata dal T.A.R. va confermata.

Tanto comporta la consolidazione di detto provvedimento lesivo della sfera giuridica delle ricorrenti, donde la improcedibilità (anziché la inammissibilità dichiarata dallo stesso T.A.R.), per sopravvenuta carenza di interesse, dei ricorsi di primo grado n. 29/97 e n. 413/97 rivolti contro gli atti ad esso preliminari, atteso che l’eventuale annullamento di questi non arrecherebbe alcun concreto vantaggio al ricorrente, il cui interesse sarebbe irrimediabilmente pregiudicato dal provvedimento sopraggiunto e non contestato ( ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato - Sez. IV - 21 aprile 2008, n. 1773 ) e l’inammissibilità, per le stesse ragioni, del ricorso n. 47/99 laddove rivolto avverso gli atti presupposti del provvedimento rimasto inoppugnato ( del cui reciproco rapporto s’è sopra ampiamente detto ), oltre che del ricorso n. 310/00 ( con cui è stato impugnato il decreto di esproprio ), l’impugnativa del decreto stesso ( caratterizzata peraltro dall’assenza di qualsiasi deduzione quanto ad eventuali vizii proprii di tale atto ) non potendo ritenersi in alcun modo comprensiva di quella dell’atto “a monte” della procedura espropriativa, la cui mancata tempestiva impugnazione s’è sopra accertata.

La salvezza, che deriva dalle considerazioni fin qui svolte, tanto dell’atto dichiarativo della pubblica utilità quanto del decreto di esproprio, nonché la prova risultante in atti del rispetto nella fattispecie del termine triennale di validità degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità derivante dall’approvazione del progetto esecutivo ( decorrente dalla data della relativa deliberazione della Giunta Comunale n. 255/1998 ), consentono altresì di escludere che si verta in ipotesi di trasformazione da parte dell’Amministrazione del fondo di proprietà delle ricorrenti in assenza di titolo, sì che, sussistendo piuttosto nel caso all’esame gli estremi della legittima degradazione ad interesse legittimo del diritto di proprietà delle stesse, va pure respinta la proposta domanda di risarcimento dei danni.

4.4 – Quanto, infine, alle spese del giudizio di primo grado, poste dal T.A.R. a carico delle ricorrenti che pure tale statuizione contestano con l’appello all’esame, è appena il caso di aggiungere che, secondo un indirizzo giurisprudenziale dal quale il collegio non intende discostarsi, "la statuizione delle spese di giudizio è il risultato di un potere - dovere del giudice sindacabile in appello soltanto nei casi di condanna alle spese della parte vittoriosa ovvero di decisione manifestamente irrazionale o di condanna della parte soccombente a somme palesemente esorbitanti" ( Consiglio Stato, sez. VI, 23 aprile 2009, n. 2502;
da ultimo, VI, 25 settembre 2009, n. 5776 );
il che, con la precisazione che anche la pronuncia in rito di irricevibilità od inammissibilità del ricorso configura una fattispecie di soccombenza, non si verifica certo nel caso di specie.

5. – L’appello, in definitiva, va respinto.

Le spese del presente grado, comunque, possono essere integralmente compensate fra le parti.

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