Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-06-07, n. 202104340

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-06-07, n. 202104340
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104340
Data del deposito : 7 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/06/2021

N. 04340/2021REG.PROV.COLL.

N. 00308/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 308 del 2021, proposto da
Federazione Nazionale Migep delle Professioni Sanitarie e Sociosanitarie, Sindacato Professionale Human Caring Sanità - Shc Sanità, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'avvocato P T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Salute e Ministero dell'Istruzione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 05387/2020, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute e del Ministero dell'Istruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 maggio 2021 il Cons. Ezio Fedullo e uditi l’Avvocato P T per la parte appellante e l'Avvocato dello Stato Enrico De Giovanni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza appellata, il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso proposto dalle ricorrenti associazioni di categoria, rappresentative di soggetti riconducibili alla figura dell’operatore socio-sanitario (c.d. OSS), avverso il provvedimento del Ministero della Salute – Direzione Generale delle Professioni Sanitarie e delle Risorse Umane del Servizio Sanitario Nazionale, Ufficio V-Disciplina delle professioni sanitarie del 17 ottobre 2019 (prot. n. 51843-P), adottato in riscontro alla loro istanza del 13 settembre 2019, intesa a sollecitare l’attuazione dell’art. 5 della legge n. 3 dell’11 gennaio 2018 attraverso l’inserimento nell’area delle professioni sociosanitarie anche della predetta figura professionale dell’OSS.

Con l’istanza suindicata, in particolare, gli istanti, premesso che l’art. 5 l. n. 3/2018 “ha istituito l’area delle professioni sociosanitarie, nella quale è espressamente compreso l’operatore sociosanitario” e che, “con tale intervento, il legislatore ha inteso superare il precedente inquadramento dell’OSS previsto dall’Accordo Stato-Regioni del 2001 - che relegava detto operatore nell’area tecnica – inserendo quest’ultimo nell’area sociosanitaria”, evidenziavano che “il Ministero della Salute inspiegabilmente non ha dato attuazione a quanto previsto dalla l. n. 3/2018 in tema di OSS: ad oggi non ha formalmente inserito la figura professionale dell’OSS nell’area sociosanitaria, impedendo così agli operatori interessati di poter ottenere i migliori trattamenti economici e professionali che spettano loro in forza di detta Legge. Ed invero, sul proprio sito web ufficiale – in palese violazione del citato dettato normativo – il Ministero ha inserito l’OSS nel profilo professionale degli operatori di interesse sanitario secondo quanto previsto dall’Accordo Stato-Regioni del 2001, anziché nelle professioni sociosanitarie”.

Gli esponenti rilevavano altresì, con l’istanza suindicata, che “l’art. 5 l. n. 3/2018 prevede inoltre che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministero della Salute, debba definire l’ordinamento didattico della formazione (anche) per gli OSS”, lamentando che “neanche sotto questo profilo è stata data attuazione alla L. 3/2018, con la inevitabile conseguenza che non vi è ad oggi neanche un percorso formativo chiaro e uniforme”.

Con l’atto impugnato in primo grado, il Ministero della Salute, in persona del Direttore Generale delle Professioni Sanitarie e delle Risorse Umane del Servizio Sanitario Nazionale, dopo aver premesso che “la figura e il relativo profilo professionale dell’Operatore Socio-Sanitario e la definizione dell’ordinamento didattico dei corrispondenti corsi di formazione è stata oggetto dell’Accordo tra il Ministro della Sanità, il Ministro per la Solidarietà Sociale e le Regioni e Province Autonome del 22 febbraio 2001”, ha evidenziato che “per la tipologia di formazione e le modalità di individuazione della figura, l’Operatore Socio-Sanitario è ricondotto alla fattispecie di operatore di interesse sanitario disciplinata dall’art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 2006, n. 43”, aggiungendo che, quindi, “la predetta legge n. 3/2018 nulla innova rispetto alla connotazione originaria dei profili professionali compresi nell’area delle professioni socio-sanitarie, tanto che permane l’iscrizione agli Ordini professionali di appartenenza ove prevista” e che, “nello specifico, anche per l’Operatore socio sanitario non è variato lo status di operatore di interesse sanitario, di cui alla legge n. 43/2006”, concludendo che “pertanto, per la tipologia di formazione e le competenze attribuite sopra esplicitate, l’Operatore Socio-Sanitario non può essere assimilabile alle Professioni sanitarie di cui al comma 1 dell’art. 1 della legge n. 43/2006, che conseguono un’abilitazione all’esercizio professionale all’esito di un corso triennale universitario”.

Infine, l’Amministrazione ha rilevato “che il secondo periodo del comma 4 dell’art. 5 della legge n. 3/2008 prevede che “con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, sentite le competenti commissioni parlamentari e acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, è definito l’ordinamento didattico della formazione per i profili professionali sociosanitari”, è riferito ai nuovi profili professionali socio-sanitari individuati con il procedimento di cui al comma 2 dello stesso art. 5 e non già a quelli preesistenti elencati successivamente”.

Il T.A.R., in riscontro alle censure formulate dalla parte ricorrente avverso l’atto suindicato, ha evidenziato che:

- “l’area delle professioni socio-sanitarie, di cui fanno parte anche gli OSS, è stata già istituita per legge (art. 5 della legge n. 3 del 2018). Pertanto alcun atto consequenziale o attuativo, di natura costitutiva e organizzativa, è ulteriormente e specificamente rimesso, nella direzione sopra indicata, alla sfera di competenza dell’intimato Ministero della salute”;

- “il Ministero della salute deve ulteriormente attivarsi soltanto per la individuazione dei “nuovi profili professionali” (comma 2): area questa in cui non rientrano di certo gli OSS, a suo tempo oggetto di pregresso riconoscimento e relativa disciplina con Accordo Stato – Regioni del 22 febbraio 2001 (cfr., in questa stessa direzione, anche il comma 5 del predetto art. 5, laddove si prevede come già visto che: “Sono compresi nell'area professionale di cui al presente articolo i preesistenti profili professionali di operatore socio-sanitario”)”;

- “i percorsi formativi e l’ordinamento didattico sono invece riservati alla principale competenza del Ministero dell’istruzione. Si è rivelato pertanto erroneo coinvolgere, in questa prima fase, unicamente il Ministero della salute il quale interviene soltanto in seconda battuta e, comunque, previa iniziativa del richiamato Dicastero dell’istruzione”;

- “quanto poi agli anelati miglioramenti economici, trattasi come è evidente di materia contrattuale ordinariamente rimessa, come tale, ad accordi di natura pattizia tra datori di lavoro ed associazioni sindacali rappresentative dei lavoratori. Basti pensare che, almeno per ciò che riguarda quegli operatori impiegati presso enti del servizio sanitario nazionale, il decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede al Titolo III (art. 40, comma 2) che la definizione dei comparti della contrattazione collettiva nazionale – nonché le “apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità” da prevedere all’interno dei comparti medesimi – è espressamente riservata ad “appositi accordi tra l’ARAN e le Confederazioni rappresentative”. Di qui ancora una volta l’estraneità, rispetto ad una simile peculiare procedura, dell’intimato Ministero della salute”.

Mediante i motivi di appello, gli originari ricorrenti censurano i surriportati passaggi motivazionali della sentenza appellata, di cui chiedono la riforma in vista del finale accoglimento del ricorso di primo grado.

Si è costituito nel giudizio di appello, per resistere al gravame, l’appellato Ministero della Salute.

Tanto premesso, l’appello non è meritevole di accoglimento.

In primo luogo, gli appellanti deducono che, “a causa del mancato formale inserimento degli OSS nell’area delle professioni sociosanitarie in corretta e puntuale esecuzione dell’art. 5, L. 3/2018, il Decreto del Ministero della Salute del 7.1.2020, con il quale è stata istituita - basandosi espressamente sulla L. 3/2018 - la “Consulta permanente delle professioni sanitarie e sociosanitarie”, non ha previsto la partecipazione degli OSS a tale Consulta, “quale organismo operativo e propositivo che faciliti il dialogo tra le professioni, avvicini le stesse ai decisori istituzionali e collabori al miglioramento della qualità dell’assistenza dei cittadini””.

Il motivo non può essere accolto.

Se da un lato esso è privo di concreta attitudine critica nei confronti della statuizione del T.A.R. intesa ad evidenziare che l’inclusione del profilo professionale dell’OSS nell’area delle professioni socio-sanitarie è direttamente operata dal legislatore (non essendo idoneo il reclamato “formale inserimento degli OSS” nell’area predetta, in quanto di carattere meramente ricognitivo, ad integrare un provvedimento attuativo che l’appellato Ministero sia tenuto a porre in essere in esecuzione del dettato normativo), dall’altro lato la mancata partecipazione della categoria professionale degli OSS alla Consulta permanente delle professioni sanitarie e sociosanitarie”, istituita con decreto del Ministero della Salute del 7 gennaio 2020, avrebbe dovuto essere fatta valere, laddove ritenuta idonea ad integrare un profilo di illegittimità del medesimo provvedimento, attraverso la sua rituale impugnazione.

Né la suindicata statuizione del giudice di primo grado può ritenersi inficiata dal rilievo attoreo secondo cui il legislatore, con l’art. 5 l. n. 3/2018, avrebbe “espressamente inserito il profilo professionale degli OSS nell’area delle professioni sociosanitarie, cioè in un area fortemente e costantemente integrata con quella sanitaria, con la partecipazione di tutti gli operatori sanitari non solo nella prestazione dei servizi, ma anche nella programmazione, conferendo in tal modo agli OSS compiti di collaborazione ed interazione con le professioni sanitarie nonché nuove competenze, che in precedenza non aveva”.

Deve invero osservarsi che la tesi di parte appellante, secondo cui l’istituzione ad opera della l. n. 3/2018 dell’area socio-sanitaria, in attuazione dell’art. 3 octies , comma 1, d.lvo n. 502/1992, come inserito dall’art. 3, comma 3, d.lvo n. 229 del 19 giugno 1999, e la previsione dell’inserimento nella stessa della figura professionale dell’OSS comporterebbero una modifica del relativo status professionale ( ergo , delle competenze ad esso attribuite, rispetto a quello definite con l’Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2001) stride con il carattere meramente ricognitivo (dei precedenti profili professionali) che l’art. 5, comma 5, l. n. 3/2018 attribuisce all’istituzione dell’area delle professioni socio-sanitarie, laddove prevede che “sono compresi nell’area professionale di cui al presente articolo i preesistenti profili professionali di operatore socio-sanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale”.

Né del resto potrebbe farsi leva, al fine di giustificare la necessaria revisione del profilo professionale dell’OSS quale conseguenza della istituzione dell’area delle professioni socio-sanitarie e della inclusione ex lege nella stessa della suddetta figura professionale, sul rapporto di integrazione che sussiste tra i suddetti operatori e le professioni sanitarie, trattandosi di aspetto caratterizzante il medesimo profilo professionale già alla stregua della definizione che ne dà il citato Accordo Stato-Regioni, laddove, ad esempio, prevede che “l’operatore socio-sanitario è l’operatore che, a seguito dell’attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale, svolge attività indirizzata a: a) soddisfare i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario;
b) favorire il benessere e l’autonomia dell’utente” e che “l’operatore socio-sanitario svolge la sua attività in collaborazione con gli altri operatori professionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale”.

Del resto, se si considera che l’Accordo del 22 febbraio 2001 è stato perfezionato in esecuzione dell’art. 3 octies , comma 5, d.lvo n. 502/1992, ai sensi del quale “le figure professionali operanti nell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria, da formare in corsi a cura delle regioni, sono individuate con regolamento del Ministro della sanità di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
con lo stesso decreto sono definiti i relativi ordinamenti didattici”, non può non osservarsi che la disciplina della figura, del profilo professionale e dell’ordinamento didattico dell’operatore socio-sanitario, da esso recepita, reca già la presa d’atto degli elementi di raccordo tra le professioni socio-sanitarie e quelle propriamente sanitarie (che infatti vengono da essa puntualmente delineati), che sono sottesi al suddetto inquadramento della figura dell’OSS.

Inoltre, in tale linea interpretativa, non può non rilevarsi che l’art. 1, comma 2, l. n. 43/2006, laddove prevede che “resta ferma la competenza delle regioni nell’individuazione e formazione dei profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie come definite dal comma 1” (e tra essi, appunto, quello dell’OSS), se da un lato è coerente con l’evoluzione normativa precedente, che pur assegnando alla figura professionale dell’OSS uno specifico rilievo nel quadro della integrazione delle funzioni assistenziali di tipo sociale e sanitario, ne conserva la distinzione rispetto alle professioni sanitarie (anche di ordine infermieristico), dall’altro lato non può ritenersi superato dal disposto dell’art. 5 l. n. 3/2018, che non fa che dare attuazione all’art. 3 octies , comma 1, d.lvo n. 502/1992 (laddove prevede l’istituzione di un’”area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria”) ed a recepire conseguentemente, per la parte concernente i preesistenti profili professionali riconducibili all’area suddetta, i contenuti dell’Accordo menzionato.

Discende dai rilievi che precedono che l’appartenenza all’area socio-sanitaria, in cui confluiscono profili professionali caratterizzati dalla diversa modulazione dei contenuti professionali e dalla eterogenea compresenza di profili sociali e sanitari (spaziando il relativo spettro dalle professioni propriamente sociali, come il sociologo e l’assistente sociale, a quelle sanitarie, come l’educatore professionale), non costituisce da sola riprova dell’attrazione della figura dell’OSS nell’ambito delle professioni sanitarie tout court: attrazione che del resto la stessa parte appellante, come chiarito con successiva memoria difensiva, dichiara di non perseguire.

Nemmeno può essere accolto il motivo di appello inteso a censurare il provvedimento impugnato laddove afferma che l’art. 1 l. n. 43/2006 conferisce alle Regioni la competenza nell’individuazione dei profili di operatori di interesse sanitario, assumendo la parte appellante che, per effetto dell’art. 5 l. n. 3/2018, laddove istituisce l’area delle professioni sociosanitarie che espressamente comprende anche gli OSS, attualmente l’individuazione e la formazione di tale figura professionale in nessun caso può essere di competenza regionale né tantomeno di un Accordo Ministro/Regioni.

Basti osservare, in chiave reiettiva, che la competenza delle Regioni nella individuazione e formazione delle figure professionali operanti nell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria trova fondamento nell’art. 5, comma 2, l. n. 3/2018, che la prevede per i “nuovi profili professionali sociosanitari “”in attuazione delle disposizioni del comma 1, mediante uno o più accordi, sanciti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e recepiti con decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sono individuati nuovi profili professionali sociosanitari”).

Deve solo aggiungersi, in linea con le deduzioni difensive erariali, che dalla norma menzionata possono trarsi ulteriori argomenti a dimostrazione della infondatezza del gravame, essendo evidente che se l’istituzione di nuovi profili professionali afferenti all’area socio-sanitaria deve avvenire, secondo il dettato di legge, mediante lo strumento concertativo suindicato, coerente con la ripartizione tra Stato e Regioni della materia, analogo iter dovrebbe essere seguito ai fini della innovazione sostanziale dei contenuti professionali dei profili preesistenti, come appunto quello di OSS, risultando quindi inappropriato il ricorso alla legge statale, come la parte appellante sostiene essere avvenuto nella specie.

Con ulteriore profilo di censura, la parte appellante contesta la sentenza appellata laddove ha rilevato che, essendo i percorsi formativi e l’ordinamento didattico “riservati alla principale competenza del Ministero dell’istruzione”, “si è rivelato pertanto erroneo coinvolgere, in questa prima fase, unicamente il Ministero della salute il quale interviene soltanto in seconda battuta e, comunque, previa iniziativa del richiamato Dicastero dell’istruzione”.

La sentenza merita, anche sotto tale profilo, di essere confermata.

Deve infatti osservarsi che sebbene, come evidenziato dalla parte appellante, essa abbia instaurato il contraddittorio anche nei confronti del Ministero dell’Istruzione, al quale è stata indirizzata anche l’istanza del 13 settembre 2019, il provvedimento impugnato (che integra l’oggetto del giudizio) promana unicamente dal Ministero della Salute, nonostante la sua competenza “secondaria” nel procedimento definitorio dell’ordinamento didattico delle figure professionali afferenti all’area sociosanitaria.

In ogni caso, deve rilevarsi che, anche aderendo alla prospettazione attorea, secondo cui l’art. 5, comma 4, l. n. 3/2018, nel rimandare ad un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, sentite le competenti commissioni parlamentari e acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, “l’ordinamento didattico della formazione per i profili professionali sociosanitari”, non esclude i profili professionali preesistenti, deve osservarsi che esso non impone la necessaria modifica dei relativi ordinamenti didattici (ed in particolare di quello concernente gli OSS, definiti dal citato Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2001).

La parte appellante censura quindi la sentenza appellata laddove afferma che gli anelati miglioramenti economici afferiscono ad una “materia contrattuale ordinariamente rimessa, come tale, ad accordi di natura pattizia tra datori di lavoro ed associazioni sindacali rappresentative dei lavoratori”.

Deduce sul punto la parte appellante che il mancato formale inserimento degli OSS nell’area delle professioni sociosanitarie da parte dell’appellato Ministero della Salute, che ancora qualifica tale profilo professionale quale mero “operatore di interesse sanitario” e, dunque, quale operatore relegato nell’area tecnica, come avveniva prima dell’istituzione dell’area delle professioni sociosanitarie, preclude agli OSS di ottenere, in sede di contrattazione, i riconoscimenti economici coerenti con il nuovo inquadramento professionale della categoria.

Nemmeno tale motivo può essere accolto.

Deve infatti osservarsi, in senso contrario, che l’attrazione degli OSS all’area sociosanitaria costituisce la conseguenza immediata del disposto di cui all’art. 5, comma 1, l. n. 3/2018, né la permanente qualificazione ministeriale degli stessi come operatori “di interesse sanitario”, ai sensi dell’art. 1, comma 2, l. n. 43/2006, può considerarsi ostativa al riconoscimento agli stessi, in sede sindacale e di contrattazione collettiva, degli eventuali miglioramenti economici connessi al nuovo inquadramento, tenuto conto della assenza di profili di contraddittorietà tra il suddetto inquadramento ope legis e la riconducibilità alle professioni “di interesse sanitario” (che ha carattere residuale rispetto a quelle di tipo sanitario di cui al comma 1).

Deducono infine gli appellanti che il diritto degli OSS abilitati in Italia ad esercitare la propria attività in un altro Paese dell’Unione europea, ai sensi della direttiva

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